N. 274 ORDINANZA 4 - 18 dicembre 2019

Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato. 
 
Decreto-legge  -  Procedimento  di  conversione  -  Presentazione   e
  approvazione di un emendamento aggiuntivo asseritamente  eterogeneo
  rispetto al testo  originario  del  decreto-legge  -  Conflitto  di
  attribuzione tra poteri proposto da due senatori nei confronti  del
  Senato della Repubblica, e (per quanto occorra)  della  Camera  dei
  Deputati e del Governo della Repubblica - Denunciata lesione  delle
  prerogative spettanti ai singoli  parlamentari  -  Inammissibilita'
  del ricorso. 
- Emendamento 11.0.43, poi divenuto art. 11-ter del decreto-legge  14
  dicembre 2018, n. 135, come  convertito  nella  legge  11  febbraio
  2019, n. 12. 
- Costituzione, artt. 67, 68, primo comma, 70, 71, primo comma, 72  e
  77. 
(GU n.52 del 27-12-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Aldo CAROSI; 
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito  dell'emendamento  del  Senato  della  Repubblica  29
gennaio 2019, n. 11.0.43,  promosso  da  Stefano  Collina  e  Daniele
Manca, nella qualita' di senatori, con ricorso depositato il 25 marzo
2019 ed iscritto al n. 1 del  registro  conflitti  tra  poteri  dello
Stato 2019, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 23 ottobre  2019  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
    Ritenuto che, con  ricorso  depositato  il  25  marzo  2019,  due
senatori in carica  per  la  XVIII  legislatura,  Stefano  Collina  e
Daniele Manca, hanno sollevato conflitto di attribuzione  tra  poteri
dello Stato contro il Senato della Repubblica, «nonche',  per  quanto
occorra, la Camera dei Deputati e il Governo  della  Repubblica»,  in
relazione «all'abuso del procedimento  legislativo»  che  si  sarebbe
consumato  mediante  l'inserimento,  in  sede  di   conversione   del
decreto-legge 14 dicembre  2018,  n.  135  (Disposizioni  urgenti  in
materia di sostegno  e  semplificazione  per  le  imprese  e  per  la
pubblica amministrazione), dell'emendamento 11.0.43 (testo  4),  A.S.
n. 989 (Conversione in legge del decreto-legge 14 dicembre  2018,  n.
135,  recante  disposizioni  urgenti  in  materia   di   sostegno   e
semplificazione per le imprese e per  la  pubblica  amministrazione),
poi divenuto art. 11-ter del citato d.l., come convertito nella legge
11 febbraio 2019, n. 12; 
    che i ricorrenti  assumono  che  tale  emendamento  introdurrebbe
nell'originario  decreto-legge  una   «norma   intrusa»,   cosi'   da
configurare «una ipotesi di grave abuso del procedimento legislativo,
in spregio degli artt. 67, 68, 70, 71 e 77 Cost.»; 
    che, in particolare, in ordine alle disposizioni  introdotte  con
il  citato  emendamento,   sarebbero   violati:   l'art.   67   della
Costituzione in quanto non sarebbe stata  garantita  ai  senatori  la
facolta' di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni,  cosi'
impedendo loro l'esercizio del libero mandato parlamentare; l'art. 68
(recte: 68, primo comma) Cost., in quanto sarebbe stata compressa  la
loro facolta' di esprimere opinioni e voti;  l'art.  71  (recte:  71,
primo comma) Cost., in quanto  sarebbe  stato  impedito  ai  medesimi
senatori di esercitare il  loro  potere  di  iniziativa  legislativa,
nella forma della proposta di emendamenti; l'art. 72 Cost., in quanto
non sarebbe stato loro consentito di esercitare in maniera  effettiva
le facolta' di esame, valutazione, emendamento,  ne'  in  commissione
ne' in assemblea; gli artt. 70 e 77 Cost., in  quanto  sarebbe  stata
negata l'essenza stessa  della  funzione  legislativa  delle  Camere,
imponendo al Parlamento di ratificare scelte maturate altrove; 
    che i ricorrenti ricordano che l'art. 11-ter del d.l. n. 135  del
2018, come convertito, interviene su una materia  assai  complessa  e
dibattuta  negli  ultimi  anni  (le  cosiddette   trivelle)   e,   in
particolare: sospende  i  permessi  di  prospezione,  esplorazione  e
ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, sia per aree in  terraferma
che in mare, con una moratoria di 18-24 mesi, onerosa per il bilancio
dello Stato; affida al Ministero dello sviluppo economico,  entro  18
mesi, il compito di approvare il Piano per la transizione  energetica
sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), al fine  di  individuare  le
aree ove e' consentito lo svolgimento delle attivita' di prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale, volto
a valorizzare la  sostenibilita'  ambientale,  sociale  ed  economica
delle stesse; e, infine, aumenta di 25 volte i canoni di concessione; 
    che il ricorso ricostruisce il procedimento  di  conversione  del
d.l. n. 135 del 2018, a partire  dalla  sua  presentazione  in  prima
lettura al Senato della Repubblica in data 14 dicembre 2018 fino alla
sua approvazione in via definitiva nel termine di sessanta giorni,  e
illustra dettagliatamente le fasi dell'esame svolto  all'interno  del
Senato (A.S. 989) - in sede referente presso le Commissioni riunite I
(Affari costituzionali) e VIII (Lavori pubblici,  comunicazioni);  in
sede  consultiva  presso  la  V  Commissione  (Bilancio)   e   la   X
(Commissione industria, commercio e turismo); e infine in aula -  con
ampia produzione di documenti relativi alle diverse fasi  dei  lavori
parlamentari, mentre da' conto in  modo  sintetico  della  successiva
conclusione dell'iter legislativo presso la Camera dei deputati (A.C.
1550); 
    che in relazione ai lavori svolti presso la Camera dei deputati i
ricorrenti ricordano che il Comitato per  la  legislazione,  nel  suo
parere del 31 gennaio 2019, depositato in  allegato  al  ricorso:  ha
raccomandato al legislatore di attenersi alle indicazioni di cui alle
sentenze della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e n. 32  del  2014
in materia di decretazione d'urgenza, evitando «la commistione  e  la
sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e  finalita'
eterogenei»; ha  osservato  che  «il  decreto-legge,  originariamente
composto da 12 articoli, risulta incrementato, a  seguito  dell'esame
al Senato, a 28 articoli complessivi;  in  termini  di  commi  si  e'
passati dai 39 commi iniziali a 152 commi complessivi»; e ha concluso
che  «destano  comunque  perplessita',   sotto   il   profilo   della
riconducibilita' alle finalita' del provvedimento e al contenuto  del
testo originario, alcune norme inserite nel corso dell'iter», tra  le
quali l'emendamento oggetto del presente conflitto; 
    che, quanto all'ammissibilita' del  conflitto  sotto  il  profilo
soggettivo, i senatori affermano di  agire  nella  loro  qualita'  di
poteri dello Stato a tutela delle proprie prerogative  costituzionali
(artt. 67, 68, 70, 71, primo comma, e 72 Cost.),  anche  relative  al
procedimento legislativo, conformemente al piu' recente  orientamento
della giurisprudenza costituzionale che ha  riconosciuto  ai  singoli
parlamentari  la  qualifica  di  potere  dello  Stato,  abilitato   a
sollevare conflitti di attribuzione in  caso  di  "abuso  del  potere
legislativo" , richiamando ampi  passaggi  dell'ordinanza  di  questa
Corte n. 17 del 2019; 
    che, quanto all'ammissibilita' del  conflitto  sotto  il  profilo
oggettivo, sarebbero innanzitutto soddisfatti  i  requisiti  previsti
dall'art.  37  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo
cui i conflitti tra poteri dello Stato devono  avere  a  oggetto  «la
delimitazione della sfera di  attribuzioni  determinata  per  i  vari
poteri  da  norme  costituzionali»,  perche'  si  tratterebbe  di  un
conflitto «di evidente tono costituzionale»; 
    che  le  lesioni  lamentate  si  risolverebbero   in   violazioni
manifeste   delle   prerogative   costituzionali   dei   parlamentari
rilevabili nella loro evidenza gia' in sede di sommaria  delibazione,
in quanto le prerogative costituzionali dei  senatori  ricorrenti  di
cui agli artt. 67, 68, 70, 71, 72 Cost. sarebbero state  «palesemente
pregiudicate da un evidente abuso della funzione  legislativa,  anche
in ragione della illegittima  utilizzazione  dei  meccanismi  di  cui
all'art. 77 Cost.» (si richiama ancora l'ordinanza di questa Corte n.
17 del 2019); 
    che, nel merito, i ricorrenti sostengono che l'aggiunta  in  sede
di conversione di norme eterogenee rispetto al decreto-legge implichi
uno stravolgimento dell'istituto del decreto-legge e  della  funzione
ascritta al procedimento di conversione (si richiamano le sentenze di
questa Corte n. 32 del 2014, n. 22 del 2012, n. 128 del 2008 e n. 171
del 2007); 
    che l'eterogeneita' dell'emendamento 11.0.43, aggiunto in sede di
conversione, sarebbe palese, come segnalato e contestato  piu'  volte
nel corso dell'iter parlamentare al Senato; 
    che i ricorrenti ricordano che nella seduta del 28  gennaio  2019
il  Presidente  del  Senato  ha  ritenuto  inammissibili   e   quindi
stralciato 62 degli 85 emendamenti approvati in sede referente  dalle
Commissioni riunite  Affari  costituzionali  e  Lavori  pubblici,  ma
avrebbe  tuttavia  salvato  23  emendamenti  comunque   difficilmente
riconducibili alle finalita' e al contenuto del testo originario  del
decreto-legge il quale rispondeva alla finalita' di introdurre,  come
specificato nel titolo, «disposizioni urgenti in materia di  sostegno
e semplificazione per le imprese e per la pubblica  amministrazione»,
al  fine  di  «imprimere  ulteriore  slancio   alla   modernizzazione
dell'azione pubblica»; 
    che a tali finalita' sarebbe del tutto estraneo l'emendamento  in
questione, oltre a quelli stralciati dalla Presidenza, dato che esso,
affrontando «il controverso tema delle  attivita'  di  prospezione  e
ricerca degli idrocarburi», non apparirebbe riconducibile  ad  alcuno
dei contenuti gia' disciplinati dal decreto-legge ne' alla sua  ratio
complessiva; 
    che, sempre nel corso della trattazione in aula  al  Senato,  sul
punto era stata presentata a firma del senatore  Malan  una  apposita
questione pregiudiziale, nella quale si sottolineava proprio  l'abuso
delle forme di conversione del decreto-legge in cui sarebbero incorsi
il Parlamento e il  Governo  aggiungendo  emendamenti  quali  appunto
quello contestato; 
    che, in definitiva, secondo i ricorrenti, l'art. 11-ter «pone una
norma intrusa, vale a dire una regolamentazione  priva  di  qualsiasi
collegamento contenutistico o funzionale rispetto al  decreto-legge»,
con l'effetto  di  spezzare  quel  nesso  di  interrelazione  tra  il
decreto-legge e la legge di conversione, presupposto  dalla  sequenza
delineata dall'art. 77, secondo comma, Cost. (si richiama  ancora  la
sentenza di questa Corte n. 32 del 2014); 
    che il venir meno del legame essenziale tra decreto-legge e legge
di conversione,  oltre  a  rappresentare  un  vizio  di  legittimita'
costituzionale  della  legge  di  conversione,  comprometterebbe   le
ordinarie dinamiche  del  confronto  parlamentare  e  di  conseguenza
menomerebbe le prerogative costituzionali del singolo parlamentare; 
    che, sempre  secondo  i  ricorrenti,  le  attivita'  di  ricerca,
esplorazione e prospezione di idrocarburi sarebbero da anni  «oggetto
di vivace scontro  non  solo  politico,  oltre  che  di  un  apposito
referendum abrogativo nel 2016 (questione trivelle)»; 
    che, di conseguenza,  «[u]na  riforma  di  tale  materia  avrebbe
dovuto  essere  inserita  all'interno  di  provvedimenti   specifici,
mediante un disegno di legge ordinario, oggetto  di  dibattito  nelle
relative commissioni competenti per materia, lasciando  cosi'  spazio
adeguato ai singoli parlamentari  per  effettuare  approfondimenti  e
audizioni, presentare testi  alternativi  ed  emendamenti,  esprimere
opinioni anche in contraddittorio e votare in maniera  consapevole  e
informata, dando piena esplicazione alle forme di cui agli artt. 70 e
ss.  Cost.  e  non  certo  essere  "infilata"  impropriamente   nella
conversione di decreto-legge del tutto eterogeneo»; 
    che la compressione dell'iter legislativo  avrebbe  precluso  «al
singolo senatore di assolvere a quella funzione  di  confronto  e  di
garanzia indispensabili nel procedimento di formazione della volonta'
parlamentare»; 
    che, per quel che riguarda l'andamento dei lavori parlamentari, i
ricorrenti sottolineano che, nel  corso  delle  sedici  sedute  delle
Commissioni  riunite  I  (Affari  costituzionali)  e   VIII   (Lavori
pubblici,  comunicazioni)  in  sede  referente,  l'emendamento  sugli
idrocarburi -  dopo  diversi  rinvii  -  sarebbe  stato  esaminato  e
discusso solamente nella seduta pomeridiana  del  24  gennaio,  nella
quale sono stati esaminati 98  emendamenti  dalle  ore  18  alle  ore
20,20, con un tempo di discussione di circa un l minuto e 30  secondi
per emendamento; 
    che, ancora, la X  Commissione  (Industria,  commercio,  turismo)
competente per materia non avrebbe avuto modo di esprimersi; 
    che  le  lesioni   delle   prerogative   dei   singoli   senatori
apparirebbero «gravissime» anche nella fase dell'esame in  assemblea,
dove il  termine  per  la  presentazione  degli  emendamenti  sarebbe
risultato essere pari a solo due ore lavorative; 
    che,  in  definitiva,  secondo  i  ricorrenti,   sarebbe   «stato
pregiudicato uno dei momenti essenziali dell'iter legis, vale a  dire
il confronto e la discussione  tra  le  diverse  forze  politiche»  e
quindi sarebbero state menomate le prerogative del singolo  senatore,
attraverso  «una   forma   evidente   di   abuso   del   procedimento
legislativo». 
    Considerato  che  in  questa   fase   del   giudizio   la   Corte
costituzionale e' chiamata a verificare, in  camera  di  consiglio  e
senza  contraddittorio,  se  sussistono  i  requisiti  soggettivo   e
oggettivo di un conflitto di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
prescritti dall'art. 37, primo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale); 
    che  sotto  il  profilo  soggettivo,   questa   Corte   ha   gia'
riconosciuto che «la Costituzione individua una sfera di  prerogative
che spettano al singolo parlamentare, diverse e  distinte  da  quelle
che gli spettano in quanto componente dell'assemblea»  (ordinanza  n.
17 del 2019); 
    che, tuttavia, la stessa ordinanza n. 17 del  2019  ha  precisato
che «la legittimazione attiva del  singolo  parlamentare  deve  [...]
essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo,  ossia
alle menomazioni censurabili in sede di conflitto»; 
    che, in particolare, «il sindacato di questa Corte [deve]  essere
rigorosamente  circoscritto  ai  vizi  che   determinano   violazioni
manifeste delle prerogative costituzionali  dei  parlamentari  ed  e'
necessario che tali violazioni siano rilevabili nella  loro  evidenza
gia' in sede di sommaria delibazione»; 
    che  ai  fini  dell'ammissibilita'  del  conflitto  e'   pertanto
necessario che dalla stessa prospettazione  di  parte  contenuta  nel
ricorso emerga «una sostanziale negazione o  un'evidente  menomazione
della   funzione   costituzionalmente    attribuita»    al    singolo
parlamentare; 
    che i senatori ricorrenti lamentano davanti a questa Corte che le
modalita'  con  cui  il  Senato   della   Repubblica   ha   approvato
l'emendamento 11.0.43 (testo 4), A.S. n. 989,  inserito  quale  norma
asseritamente «intrusa» in sede di conversione del  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno  e
semplificazione per le imprese e per  la  pubblica  amministrazione),
avrebbero violato le prerogative proprie di ogni rappresentante della
Nazione garantite dagli artt. 67, 68,  primo  comma,  70,  71,  primo
comma, e 72 della Costituzione, anche in relazione all'art. 77 Cost.; 
    che e' vero -  come  piu'  volte  riconosciuto  da  questa  Corte
(sentenze n. 226 e n. 181 del 2019, n. 32 del 2014 e n. 22 del  2012)
- che in sede di conversione non e' consentito introdurre emendamenti
privi di qualsiasi collegamento contenutistico o funzionale  rispetto
al testo originario del decreto-legge, i quali avrebbero l'effetto di
spezzare il nesso di interrelazione tra il decreto-legge e  la  legge
di conversione, presupposto dalla sequenza  delineata  dall'art.  77,
secondo comma, Cost.;  e  cio'  allo  scopo  di  evitare  che  l'iter
procedimentale «peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario»
(sentenza n. 154 del 2015), previsto per l'approvazione  della  legge
di conversione, possa essere sfruttato per scopi  estranei  a  quelli
che giustificano la decretazione d'urgenza e vada a detrimento  delle
ordinarie dinamiche del confronto parlamentare; 
    che se - in astratto - la palese estraneita'  delle  disposizioni
introdotte in  fase  di  conversione  potrebbe  costituire  un  vizio
procedimentale di gravita' tale da determinare una menomazione  delle
prerogative costituzionali dei singoli parlamentari,  tuttavia  -  in
concreto, nel caso di specie - il ricorso non offre elementi tali  da
portare all'evidenza  di  questa  Corte  ne'  l'asserito  difetto  di
omogeneita' dell'emendamento oggetto del presente conflitto,  ne'  la
conseguente  palese  violazione  delle   prerogative   dei   senatori
ricorrenti; 
    che nel ricorso l'eterogeneita' dell'emendamento e' solo asserita
sulla  base  di  un  mero   raffronto   tra   la   materia   regolata
dall'emendamento stesso e il titolo del decreto-legge; 
    che, d'altra parte, dalla narrativa offerta  dal  ricorso  appare
non essere del tutto  mancato  il  confronto  parlamentare,  ne'  sui
contenuti  dell'emendamento,  ne'  sulla  sua  ammissibilita',   come
dimostra il dibattito culminato con la comunicazione del  28  gennaio
2019 (Senato della Repubblica, XVIII legislatura, 84ª seduta) con cui
il Presidente di assemblea ha reso noto di avere stralciato,  proprio
per  carenza  di  omogeneita'  con  il  decreto-legge,  62  degli  85
emendamenti approvati in sede referente dalle Commissioni  riunite  I
(Affari costituzionali) e VIII (Lavori pubblici, comunicazioni); 
    che, in queste specifiche circostanze, dalla  prospettazione  del
ricorso «non emerge un abuso del  procedimento  legislativo  tale  da
determinare   quelle   violazioni   manifeste    delle    prerogative
costituzionali dei parlamentari»,  rilevabili  «nella  loro  evidenza
gia' in sede di sommaria delibazione», che assurgono a  requisito  di
ammissibilita' di questo tipo  di  conflitti  (ordinanza  n.  17  del
2019); 
    che,  di  conseguenza,  il   ricorso   deve   essere   dichiarato
inammissibile. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile il ricorso per conflitto  di  attribuzione
tra poteri dello Stato indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2019. 
 
                                F.to: 
                       Aldo CAROSI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA