N. 288 SENTENZA 20 novembre - 23 dicembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse  -  Imposta  sul  reddito  delle  societa'  (IRES)  -
  Applicazione, per il periodo d'imposta  in  corso  al  31  dicembre
  2013, di una "addizionale" di 8,5 punti percentuali a carico  delle
  imprese  creditizie,  finanziarie  e  assicurative   -   Denunciata
  introduzione  della  norma  con  decreto-legge   in   assenza   dei
  presupposti di necessita' ed urgenza, irragionevole  disparita'  di
  trattamento impositivo e  violazione  del  principio  di  capacita'
  contributiva - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge  30  novembre   2013,   n.   133,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5, art. 2, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 53 e 77, secondo comma. 
(GU n.52 del 27-12-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Aldo CAROSI; 
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,
  Augusto Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2,
del decreto-legge 30 novembre  2013,  n.  133  (Disposizioni  urgenti
concernenti l'IMU, l'alienazione di  immobili  pubblici  e  la  Banca
d'Italia), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  29  gennaio
2014, n. 5, promossi con ordinanze del 5 luglio 2018 e del  12  marzo
2019 dalla Commissione tributaria regionale per il Piemonte  e  dalla
Commissione tributaria di secondo grado  di  Trento,  rispettivamente
iscritte ai nn. 7 e 123 del  registro  ordinanze  2019  e  pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6  e  36,  prima  serie
speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione della Online SIM spa e della  ITAS
VITA spa, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  20  novembre  2019  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi gli avvocati  Gabriele  Escalar  per  la  Online  SIM  spa,
Massimo Basilavecchia per la ITAS VITA spa e l'avvocato  dello  Stato
Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 luglio 2018,  la  Commissione  tributaria
regionale (CTR) del Piemonte ha sollevato, in riferimento agli  artt.
3,  53  e  77,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2,  del  decreto-legge
30 novembre 2013, n. 133  (Disposizioni  urgenti  concernenti  l'IMU,
l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia),  convertito,
con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5. 
    La norma e' censurata nella  parte  in  cui  dispone  che,  «[i]n
deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio  2000,  n.  212,  per  il
periodo d'imposta  in  corso  al  31  dicembre  2013,  per  gli  enti
creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 87, per la Banca d'Italia  e  per  le  societa'  e  gli  enti  che
esercitano attivita' assicurativa, l'aliquota di cui all'articolo  77
del testo unico delle imposte sui redditi,  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e'  applicata
con una addizionale di 8,5 punti percentuali». 
    1.1.- Le questioni sono sorte nell'ambito di un giudizio che trae
origine dal ricorso proposto dalla  societa'  finanziaria  denominata
Online SIM spa avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla istanza di
rimborso dei tributi da essa versati, ai sensi  del  citato  art.  2,
comma 2, del  d.l.  n.  133  del  2013,  a  titolo  di  «addizionale»
all'imposta sui redditi delle societa' (IRES) dovuta per il 2013. 
    Nei confronti della sentenza  di  rigetto  pronunciata  in  primo
grado, la societa' ricorrente  ha  interposto  appello,  ribadendo  i
motivi posti a fondamento della domanda di rimborso, compendiati  nei
dubbi di legittimita' costituzionale  della  disposizione  denunciata
prospettati in riferimento agli artt. 3,  53  e  77,  secondo  comma,
Cost. 
    1.2.- La CTR del Piemonte,  diversamente  dal  giudice  di  prime
cure, ritiene che tali dubbi siano non manifestamente infondati. 
    Il   giudice   a   quo   anzitutto   rileva   che   il    gettito
dell'«addizionale»  introdotta  dalla  norma   censurata   e'   stato
destinato   alla   copertura   delle   minori    entrate    derivanti
dall'abolizione, prevista dall'art. 1, comma 1, dello stesso d.l.  n.
133 del 2013, della  seconda  rata  dell'imposta  municipale  propria
(IMU) per l'anno 2013 su una «molteplicita' di immobili». 
    Quindi evidenzia, da un lato, che di  tale  abolizione  avrebbero
beneficiato tutti i proprietari, a prescindere dal  reddito  da  essi
posseduto. Dall'altro,  che  le  imprese  creditizie,  finanziarie  e
assicurative tenute al versamento  dell'«addizionale»  non  sarebbero
state, nel corso del 2013, «economicamente piu'  forti»  degli  altri
soggetti passivi dell'imposta in parola. 
    1.2.1.- Sulla scorta di queste premesse, il  Collegio  rimettente
prende le mosse dalla dedotta violazione degli artt. 3  e  53  Cost.,
che sarebbero lesi in quanto l'art. 2, comma 2, del d.l. n.  133  del
2013 - nel circoscrivere l'applicabilita' dell'«addizionale» da  esso
istituita a coloro che operano nei settori creditizio, finanziario  e
assicurativo - avrebbe determinato una irragionevole  discriminazione
qualitativa dei redditi. 
    Al riguardo, la CTR  piemontese  osserva,  innanzitutto,  che  il
presupposto impositivo dell'IRES e' rappresentato  dal  solo  reddito
complessivo netto prodotto, assumendo pertanto rilievo, perche' sorga
l'obbligazione tributaria, esclusivamente  l'aspetto  quantitativo  e
non invece il settore  produttivo  nell'ambito  del  quale  opera  il
soggetto passivo dell'imposta. 
    Nello specifico, la norma censurata violerebbe  il  principio  di
eguaglianza tributaria di cui agli artt. 3 e 53 Cost.  in  quanto  la
circostanza che le imprese  creditizie,  finanziarie  e  assicurative
siano sottoposte «a stretta  vigilanza  pubblica»  non  comporterebbe
«necessariamente» che esse versino in una situazione di fatto diversa
da  quella  in  cui  si  trovano  gli  altri  soggetti  obbligati  al
versamento dell'IRES e idonea a giustificare la sperequazione tra  le
due categorie. 
    La  soggezione  alla  vigilanza  pubblica  non  sarebbe   difatti
sintomatica di  una  particolare  «ricchezza»  degli  unici  soggetti
passivi incisi  dalla  censurata  «addizionale»  e,  dunque,  di  una
capacita' contributiva maggiore - del  resto  nemmeno  suffragata  da
«analisi [...] empiriche» - di quella espressa, a parita' di reddito,
dagli altri soggetti passivi dell'IRES. 
    Il trattamento differenziato  riservato  dalla  norma  denunciata
solo  ad  alcuni  soggetti  sarebbe  irragionevole,  a  parere  della
Commissione rimettente, anche sotto un altro profilo. 
    La considerazione che le imprese gravate  dall'«addizionale»  non
sarebbero soggetti «economicamente piu' forti degli altri»,  valutata
unitamente alla sopra evidenziata circostanza per cui dell'abolizione
della  seconda  rata  dell'IMU   avrebbero   beneficiato   «tutti   i
proprietari» di «una molteplicita' di beni immobili»,  a  prescindere
dal reddito da essi posseduto, non consentirebbe, infatti, neppure di
ritenere che la disposizione oggetto dell'odierno scrutinio sia volta
al perseguimento di una finalita' solidaristica e redistributiva. 
    Di qui il lamentato vulnus agli artt.  3  e  53  Cost.,  che  non
potrebbe d'altronde essere escluso soltanto in  forza  del  carattere
transitorio della misura impositiva oggetto della censura. 
    L'art. 2, comma 2, del d.l.  n.  133  del  2013  si  porrebbe  in
contrasto anche con l'art. 77, secondo comma, Cost., per difetto  dei
requisiti di necessita' e urgenza. 
    In  proposito,  la  CTR  piemontese  osserva  che  le  situazioni
straordinarie che legittimano il ricorso alla decretazione  d'urgenza
dovrebbero preesistere all'esercizio del potere legislativo. 
    Nel caso di specie, invece, l'«addizionale» sarebbe funzionale  a
soddisfare un'esigenza - segnatamente  consistente  nella  necessaria
copertura finanziaria del minor gettito derivante dall'IMU - che  non
preesisteva all'adozione del d.l. n. 133 del  2013:  essa  e'  stata,
infatti, determinata contestualmente dallo stesso Governo, il  quale,
per realizzare una propria «scelta politica», con il precedente  art.
1, comma 1, del medesimo d.l. ha, appunto, abolito  la  seconda  rata
dell'IMU per determinati immobili, fabbricati e terreni. 
    1.3.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate   inammissibili   o,
comunque, manifestamente infondate. 
    1.3.1.- L'eccezione d'inammissibilita'  e'  basata  sull'asserito
difetto di motivazione in  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza
della questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. 
    Sarebbe, in particolare, lacunosa l'argomentazione inerente  alla
natura temporanea del prelievo  oggetto  del  presente  incidente  di
legittimita' costituzionale: il giudice rimettente, difatti,  avrebbe
sostenuto, in maniera apodittica, senza in alcun  modo  motivare  sul
punto, che tale natura non  sarebbe  idonea  a  «sanare»  la  dedotta
disparita', laddove,  invece,  la  transitorieta'  dell'«addizionale»
concorrerebbe a «circoscrivere l'aggravio di imposta ad  una  cerchia
specifica di contribuenti». 
    1.3.2.- Nel merito, le questioni sarebbero,  in  ogni  caso,  non
fondate. 
    L'Avvocatura ritiene anzitutto insussistente la violazione  degli
artt. 3 e 53 Cost. 
    La irragionevole disparita' di trattamento di cui si duole la CTR
del Piemonte non sarebbe ravvisabile, dal momento che, per un  verso,
i redditi prodotti dai soggetti passivi incisi dalla norma  censurata
esprimerebbero una differenziata capacita' contributiva e  per  altro
verso, l'aggravio d'imposta derivante dall'art. 2, comma 2, del  d.l.
n. 133 del 2013 sarebbe  transitorio  e  giustificato  anche  da  una
finalita' solidaristica e redistributiva. 
    Sotto il primo aspetto, la difesa statale - dopo aver  richiamato
la sentenza n. 21 del 2005, in cui questa Corte, con riferimento alle
«aliquote differenziate previste, in materia di Irap, per  i  settori
bancario  e  assicurativo»,  ha,  tra  l'altro,  affermato  che   una
previsione siffatta «rientra [...] pienamente nella  discrezionalita'
del legislatore, se sorretta da non irragionevoli motivi di  politica
economica e redistributiva» - sostiene che diversi  sarebbero,  nella
specie,  gli  indici  dai  quali  evincere  la   maggiore   capacita'
contributiva delle imprese creditizie, finanziarie e assicurative. 
    Tali indici sintomatici sarebbero,  nello  specifico,  desumibili
dal fatto che l'esercizio dell'attivita' da  parte  di  tali  imprese
presuppone il rilascio di specifiche autorizzazioni: queste  difatti,
da  un  lato,   implicherebbero   l'accertamento   della   stabilita'
patrimoniale  e  finanziaria  dei  soggetti  interessati,  i   quali,
pertanto,  disporrebbero  di  una   «comprovata   forza   economica»;
dall'altro,  comporterebbero   una   riduzione   della   concorrenza,
determinando di fatto una  limitazione  dell'accesso  ai  mercati  di
riferimento. Mercati peraltro  caratterizzati  dalla  prestazione  di
servizi  pressoche'  necessitati  e  conseguentemente  meno  esposti,
rispetto ad altri, al rischio della  perdita  di  clientela  anche  a
fronte della eventuale traslazione su  di  essa  dei  maggiori  costi
fiscali sopportati. 
    Sotto il secondo aspetto, afferente alla natura temporanea e alla
finalita'   solidaristica   e    redistributiva    dell'«addizionale»
censurata, la difesa statale  rimarca  che  tale  prelievo  e'  stato
circoscritto all'anno d'imposta 2013  ed  e'  strettamente  correlato
all'abolizione  della   seconda   rata   dell'IMU,   con   la   quale
condividerebbe pertanto lo scopo di sostenere il mercato  immobiliare
e di alleviare il carico fiscale di «ampie fasce di contribuenti»  in
un periodo di congiuntura economica critica. 
    In questa prospettiva, d'altro canto,  l'Avvocatura  ritiene  che
sia  privo  di  pregio  l'assunto  del  giudice  a  quo  secondo  cui
l'abolizione appena detta avrebbe avvantaggiato tutti i  contribuenti
a prescindere dal loro reddito: da essa sono stati, infatti,  esclusi
- secondo il disposto dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 133 del  2013
- gli «immobili espressivi di elevata capacita' contributiva da parte
dei loro possessori», sicche' la platea dei beneficiari dello sgravio
fiscale sarebbe  stata,  in  realta',  circoscritta,  in  base  a  un
criterio oggettivo coerente con la natura di  imposta  reale  propria
dell'IMU. 
    Anche la questione sollevata in riferimento all'art. 77,  secondo
comma, Cost. sarebbe, a parere della difesa dello  Stato,  destituita
di fondamento. 
    La norma  denunciata  andrebbe  difatti  letta  alla  luce  della
«complessiva operazione» realizzata con il d.l. n. 133  del  2013  e,
segnatamente,  della  ratio  dell'abolizione   della   seconda   rata
dell'IMU. 
    La situazione straordinaria idonea a legittimare il ricorso  alla
decretazione  d'urgenza  non   andrebbe   pertanto   ravvisata   solo
nell'esigenza di  copertura  del  minor  gettito  conseguito  a  tale
abolizione,  ma  anche  nella  crisi  economica  del  Paese  e  nella
necessita'  di  alleggerire  temporaneamente  il  peso  del  prelievo
fiscale derivante dalla citata imposta reale. 
    1.4.- Si e' costituita la Online SIM spa, ricorrente nel processo
principale, la quale ha chiesto che le questioni siano accolte  sulla
scorta  di  argomentazioni  sostanzialmente  riproduttive  di  quelle
addotte dal giudice rimettente. 
    1.4.1.- La parte privata  premette  che  le  questioni  sarebbero
rilevanti  ai  fini  della  decisione  da   assumere   nel   processo
principale, giacche' esse in sostanza  coincidono  con  le  doglianze
mosse nei confronti del silenzio-rifiuto  formatosi  sull'istanza  di
rimborso,  tanto  che   l'accoglimento   della   domanda   giudiziale
dipenderebbe     esclusivamente      dall'auspicata      declaratoria
d'illegittimita' costituzionale. 
    1.4.2.- Nel merito, muovendo dalla dedotta  violazione  dell'art.
77,  secondo  comma,  Cost.,  essa  in  primo  luogo  evidenzia   che
l'«addizionale»  oggetto   dell'odierno   scrutinio   sarebbe   stata
introdotta al solo fine - reso esplicito dal preambolo  del  d.l.  n.
133 del 2013 e  dai  lavori  preparatori  del  disegno  di  legge  di
conversione del d.l. stesso - di realizzare la  «decisione  politica»
concernente l'abolizione della  seconda  rata  dell'IMU  e  di  porre
rimedio alla conseguente necessita' di reperire la relativa copertura
finanziaria  attraverso  l'individuazione,  «in  un  lasso  di  tempo
estremamente breve», di risorse «la cui entita' non fosse soggetta  a
incertezza». 
    Da tanto emergerebbe chiaramente l'insussistenza dei requisiti di
necessita' e d'urgenza. 
    La necessita' di provvedere  sarebbe  stata  difatti  determinata
contestualmente dallo stesso Governo allo scopo di attuare il proprio
programma politico, sicche' essa non preesisteva  all'adozione  della
norma denunciata e non potrebbe, quindi, ritenersi che sia  sorta  in
maniera imprevedibile. D'altro canto, la  detta  abolizione,  essendo
frutto  di   una   «mera   scelta   politica»   dell'esecutivo,   non
presenterebbe alcun connotato d'urgenza. 
    Ne' l'«addizionale» posta dall'art. 2, comma 2, del d.l.  n.  133
del  2013   concorrerebbe   al   perseguimento   di   una   finalita'
solidaristica e redistributiva, poiche'  l'abolizione  della  seconda
rata dell'IMU avrebbe avvantaggiato anche i contribuenti  che  godono
di un reddito elevato e non solo quelli meno abbienti,  in  tal  modo
provocando, malgrado  l'esclusione  degli  immobili  "di  lusso",  un
effetto regressivo. 
    Infine, la parte costituita sostiene che  l'«abuso  commesso  dal
Governo»  sarebbe  ancor  piu'  evidente  alla  luce   dell'iter   di
approvazione del disegno di legge di conversione del d.l. n. 133  del
2013: l'esecutivo, infatti, dopo aver fatto illegittimamente  ricorso
alla decretazione  d'urgenza,  nel  porre  la  questione  di  fiducia
avrebbe altresi' impedito alla minoranza  «di  esprimere  la  propria
opinione» o di formulare eventuali emendamenti,  cosi'  «imponendo  a
tutto il Parlamento [...] la propria scelta politica [...]». 
    Anche la questione sollevata in riferimento agli  artt.  3  e  53
Cost. sarebbe, secondo la ricorrente nel giudizio a quo, fondata, dal
momento che l'applicabilita' dell'«addizionale», introdotta dall'art.
2, comma 2, del d.l. n. 133 del  2013,  esclusivamente  alle  imprese
creditizie,  finanziarie  e  assicurative  avrebbe  determinato   una
irragionevole  disparita'  di  trattamento  impositivo,  non  essendo
sorretta da alcuna  adeguata  giustificazione.  Non  sarebbe  difatti
sufficiente, a tal fine, la sola circostanza che  le  imprese  appena
menzionate operino in determinati settori produttivi. 
    Ne' potrebbe sostenersi che  l'«addizionale»  sia  funzionale  ad
attuare   una   redistribuzione   della   ricchezza   in    un'ottica
solidaristica. Cio', non solo sulla scorta di quanto dianzi detto  in
merito agli effetti regressivi dell'abolizione dell'IMU, ma anche  in
considerazione del fatto che le suddette imprese attraversavano,  nel
2013, una fase di recessione economica, attestata, tra  l'altro,  sia
dalla Banca d'Italia sia dalla Commissione nazionale per le  societa'
e la borsa (CONSOB). 
    In forza di tale ultimo rilievo,  dovrebbe,  pertanto,  del  pari
escludersi che, nel corso del 2013, i soggetti  incisi  dal  prelievo
censurato   abbiano   manifestato    una    «eccezionale    capacita'
contributiva» o disponessero di  «maggiore  liquidita'»  rispetto  ad
altri contribuenti. Aspetti, questi, che in ogni caso sarebbero stati
soltanto presunti dal Governo, il quale  non  avrebbe  svolto  alcuna
«indagin[e] empiric[a]» al riguardo. 
    Sotto altro profilo, la parte privata ritiene,  inoltre,  che  la
struttura dell'«addizionale» denunciata sia  incoerente  con  il  suo
stesso presupposto, giacche' si applica sull'intero reddito  prodotto
e  non  limitatamente  a  quella  parte  di  esso  ascrivibile   alla
ipotizzata maggiore capacita' contributiva. 
    Anche secondo la ricorrente nel processo principale,  infine,  la
transitorieta' dell'«addizionale» non sarebbe, da sola, sufficiente a
escludere la dedotta illegittimita' costituzionale, essendo  comunque
necessario, affinche' la disparita' di trattamento impositivo non  si
ponga in contrasto con i precetti di cui agli artt. 3 e 53 Cost., che
essa  sia   altresi'   sorretta   da   «un'adeguata   giustificazione
obiettiva». 
    1.5.-  In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura  generale  ha
tempestivamente depositato una memoria illustrativa, insistendo nelle
conclusioni gia' rassegnate. 
    Con riferimento al vulnus all'art. 77, secondo comma,  Cost.,  la
difesa statale, per un verso, osserva  che  l'imprevedibilita'  della
situazione straordinaria di necessita' e d'urgenza posta a fondamento
della  decretazione  d'urgenza  non  sarebbe  richiesta  dall'evocato
parametro costituzionale. Per altro verso,  sostiene  che  del  tutto
legittimamente il Governo avrebbe fatto ricorso al decreto-legge  per
disporre, in relazione al periodo d'imposta in corso al  31  dicembre
2013, l'abolizione della seconda rata dell'IMU -  e  conseguentemente
reperire le risorse necessarie a garantire, nel rispetto dell'art. 81
Cost., la relativa copertura  finanziaria  -  in  considerazione  del
«contesto di urgenza economica» in cui cio' e' avvenuto. 
    In merito, invece, alla denunciata violazione degli artt. 3 e  53
Cost., l'Avvocatura rimarca come da tali precetti non deriverebbe «un
principio di necessaria parita' di aliquota a  parita'  di  reddito»,
ben potendo il legislatore differenziare le aliquote in relazione  ai
diversi comparti produttivi, fermo restando il  sindacato  di  questa
Corte in ordine alla  non  manifesta  irragionevolezza  delle  scelte
adottate. Del resto, anche la limitazione della misura  impositiva  a
un solo anno deporrebbe a sostegno del maggior «grado di  attualita'»
della  capacita'  contributiva  dei  soggetti  operanti  nei  settori
economici incisi, che sarebbero connotati da «elevata  liquidita'  "a
breve"». 
    1.6.-  Anche  la  Online  SIM  spa  ha  depositato  una  memoria,
sviluppando  gli  argomenti  spesi  nell'atto   di   costituzione   e
replicando alle deduzioni svolte dall'Avvocatura  generale  nell'atto
d'intervento. 
    1.6.1.- Quanto alla lesione degli artt. 3 e 53  Cost.,  la  parte
contesta  che   dalle   caratteristiche   dei   settori   creditizio,
finanziario e assicurativo possano essere  desunti  «fatti  economici
sintomatici di una peculiare ed  effettiva  capacita'  contributiva»:
tali caratteristiche contraddistinguerebbero,  infatti,  anche  altri
settori produttivi - come  quelli  della  distribuzione  dell'energia
elettrica e del gas nonche' del trasporto ferroviario e aereo -  che,
tuttavia, non sono stati colpiti dall'«addizionale». 
    Quanto, invece, alla  violazione  dell'art.  77,  secondo  comma,
Cost., la parte costituita in primo  luogo  ribadisce  l'assenza  dei
requisiti di legittimita' della  decretazione  d'urgenza,  rimarcando
che la necessita' di reperire risorse  finanziarie  per  attuare  una
scelta  politica  non  costituirebbe,  a   tale   fine,   un   idoneo
presupposto. In secondo luogo, deduce che la carenza dei  presupposti
di necessita' e d'urgenza non potrebbe essere esclusa quand'anche  si
ritenesse che la norma censurata abbia introdotto l'«addizionale» per
far fronte alla crisi economica  del  Paese,  dal  momento  che  tale
circostanza, da un canto,  non  emergerebbe  ne'  dal  preambolo  del
decreto-legge ne' dai lavori preparatori;  dall'altro,  non  potrebbe
comunque giustificare l'intervento normativo del Governo, giacche' la
crisi era «scoppiata» nel 2008, con la conseguenza che  allorche'  e'
stato adottato il d.l. essa era ormai divenuta «ordinaria». 
    Infine, rileva  che  l'impatto  di  una  eventuale  decisione  di
accoglimento sul bilancio dello Stato sarebbe  limitato,  poiche'  il
rimborso  dell'«addizionale»,  istituita  per  il  solo  anno   2013,
spetterebbe unicamente a coloro i quali  abbiano  gia'  presentato  -
prima della scadenza del termine previsto dalla legge,  ovvero  entro
il 16 giugno 2018 - la relativa istanza. 
    2.-  Con  successiva  ordinanza  dell'11  marzo  2019,  anche  la
Commissione tributaria di secondo grado di Trento  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  53  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma  2,  del  d.l.  n.  133  del  2013,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 5 del 2014. 
    2.1.- La questione e' sorta nell'ambito di un  giudizio  promosso
dalla societa' assicuratrice denominata ITAS VITA spa a  seguito  del
silenzio-rifiuto    formatosi    sulla    istanza     di     rimborso
dell'«addizionale» all'IRES da  essa  versata  per  l'anno  d'imposta
2013. 
    2.2.- La Commissione rimettente premette, in punto di  rilevanza,
che la disposizione censurata osta all'accoglimento del ricorso della
contribuente. 
    2.2.1.-  In  ordine  alla  non   manifesta   infondatezza   della
questione,  il  giudice  a  quo   -   disattese   le   eccezioni   di
illegittimita'  costituzionale  sollevate  dalla  parte  privata   in
riferimento agli artt. 41, 42, 77 e 97 Cost. - ritiene invece,  sulla
scorta di un iter  argomentativo  sostanzialmente  analogo  a  quello
percorso dalla CTR piemontese, che la norma denunciata violi gli art.
3 e 53 Cost. 
    Con essa sarebbe stato, infatti, introdotto un aggravio fiscale a
carico di una circoscritta platea di soggetti passivi sul presupposto
che questi avrebbero corrisposto «con sicuro margine di  certezza  il
tributo richiesto, in quanto [...] economicamente "forti"», mentre in
realta'  si  tratterebbe  di  soggetti   privi   di   una   capacita'
contributiva maggiore di quella manifestata, a  parita'  di  reddito,
dalle altre imprese tenute al pagamento dell'IRES. 
    Questo   erroneo   presupposto    economico,    d'altro    canto,
comporterebbe una disparita' di  trattamento  non  giustificabile  in
forza della temporaneita' dell'«addizionale» introdotta dall'art.  2,
comma 2, del d.l. n. 133 del  2013,  ne',  sotto  altro  aspetto,  in
virtu' della esclusione,  dalla  base  imponibile  dell'«addizionale»
medesima, delle variazioni  in  aumento  derivanti  dall'applicazione
dell'art. 106, comma 3, del decreto del Presidente  della  Repubblica
22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle  imposte
sui redditi). 
    2.3.- Anche in questo giudizio e' intervenuto il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 
    2.3.1.-  La  difesa  dello  Stato   riproduce   testualmente   le
argomentazioni addotte nell'atto di  intervento  spiegato  nel  primo
giudizio, in punto sia di inammissibilita', sia di infondatezza della
questione. 
    Al profilo di inammissibilita' gia' dedotto nel  primo  giudizio,
l'Avvocatura ne aggiunge uno, incentrato sulla contraddittorieta' tra
il dedotto vulnus agli artt. 3 e 53 Cost. e le ragioni in  base  alle
quali la Commissione trentina  ha,  invece,  ritenuto  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalla
parte privata in riferimento agli artt. 41, 42 e 77 Cost.:  la  crisi
economica che ha mosso il legislatore  ad  abolire  la  seconda  rata
dell'IMU e l'obiettivo di reperire risorse finanziarie per coprire il
conseguente  minore  gettito,  se  sono  apparse  al  giudice  a  quo
sufficienti a escludere la carenza  del  requisito  di  necessita'  e
d'urgenza  e  la  compromissione   del   principio   della   liberta'
d'iniziativa economica, dovrebbero parimenti valere  a  escludere  la
violazione degli artt. 3 e 53 Cost. 
    2.4.- Si e' costituita in giudizio la ITAS VITA  spa,  sostenendo
le argomentazioni del giudice rimettente. 
    Premessa  la  rilevanza  della  questione  -  giacche'   il   suo
accoglimento  rappresenta  il  presupposto  indispensabile   per   il
riconoscimento, nell'ambito  del  giudizio  a  quo,  del  diritto  al
rimborso dell'IRES da  essa  versata  -  anche  la  parte  costituita
ritiene, nel merito, che l'art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del  2013
si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. 
    La lesione degli evocati parametri costituzionali  discenderebbe,
in particolare, dalla discriminazione  -  irragionevole  perche'  del
tutto ingiustificata - determinata dalla norma censurata. 
    Non sarebbe, infatti, riscontrabile in capo alle imprese  gravate
dall'«addizionale»,  peraltro  «notoriamente  in   difficolta'»   nel
periodo   d'imposta   rilevante,   alcun   «elemento   differenziale»
significativo  di  una  loro  maggiore  capacita'  contributiva,  non
essendo a tal  fine  sufficiente  la  sola  appartenenza  ai  settori
creditizio, finanziario o assicurativo. Ne'  tali  settori  sarebbero
caratterizzati da  una  «fiorente  situazione  economica»,  la  quale
sarebbe stata, in tesi, idonea a  giustificare  un'«addizionale»  che
avrebbe potuto coerentemente riguardare solo l'«extraprofitto»:  cio'
alla luce del principio, desumibile dalla sentenza n. 10 del 2015  di
questa  Corte,  secondo  cui  la  discrezionalita'  di  cui  gode  il
legislatore nella  diversa  modulazione  delle  imposte  incontra  il
limite  derivante  dalla  necessita'  di  «applicare  il  trattamento
[tributario] deteriore a quella sola parte della base imponibile  che
manifesta un tratto differenziale rispetto alla restante». 
    Infine,  la  parte  privata  evidenzia   che   la   temporaneita'
dell'«addizionale» introdotta  dalla  norma  denunciata  non  sarebbe
sufficiente,  da   sola,   a   rendere   ragionevole   la   censurata
discriminazione,  essendo  a   tal   fine   pur   sempre   necessario
l'accertamento  di  effettivi  indici  rivelatori  di  una   maggiore
capacita' contributiva. 
    2.5.- L'Avvocatura generale  ha  tempestivamente  depositato  una
memoria illustrativa, riprendendo  le  deduzioni  svolte  a  conforto
della infondatezza della  questione  sollevata  in  riferimento  agli
artt. 3 e 53 Cost. nella memoria  depositata  nel  giudizio  promosso
dalla CTR piemontese. 
    2.6.-  Anche  la  ITAS  VITA  spa  ha  depositato  una   memoria,
replicando all'atto di intervento del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e insistendo nella fondatezza delle questioni sollevate. 
    Tale parte anzitutto precisa di non contestare la legittimita' in
astratto della discriminazione qualitativa tra redditi,  incentrando,
piuttosto, la propria argomentazione sulla mancanza di ogni «elemento
rappresentativo di una ulteriore attitudine alla  contribuzione»:  da
questo punto di vista, la sentenza n. 21 del  2005  di  questa  Corte
costituirebbe «la migliore riprova, a contrario, della illegittimita'
della disposizione qui denunziata», perche' l'esigenza redistributiva
nasceva in quel caso «da elementi  strutturali  interni  allo  stesso
tributo». 
    Quindi, ritiene che non sia condivisibile la  tesi  della  difesa
dello Stato  circa  «i  presunti  vantaggi  strutturali  dei  settori
colpiti [...]», i quali sarebbero in realta' insussistenti e, in ogni
caso, potrebbero  essere  eventualmente  considerati  nell'ambito  di
revisioni di sistema o di «un prelievo  aggiuntivo  [commisurato]  al
solo indice di capacita' contributiva» da essi desumibile. 
    Quanto poi al carattere transitorio dell'«addizionale», la difesa
della societa' ribadisce la sua inidoneita' a escludere il  sindacato
di questa Corte sulle scelte adottate dal legislatore  e  sottolinea,
sotto altro aspetto, che proprio esso riduce l'impatto  sul  bilancio
dello  Stato  della   eventuale   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Commissione  tributaria  regionale  (CTR)  del  Piemonte
dubita, in riferimento agli artt. 3, 53 e 77,  secondo  comma,  della
Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2,
del decreto-legge 30 novembre  2013,  n.  133  (Disposizioni  urgenti
concernenti l'IMU, l'alienazione di  immobili  pubblici  e  la  Banca
d'Italia), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  29  gennaio
2014, n. 5. 
    La norma e' censurata nella  parte  in  cui  prevede  che,  «[i]n
deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio  2000,  n.  212,  per  il
periodo d'imposta  in  corso  al  31  dicembre  2013,  per  gli  enti
creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 87, per la Banca d'Italia  e  per  le  societa'  e  gli  enti  che
esercitano attivita' assicurativa, l'aliquota di cui all'articolo  77
del testo unico delle imposte sui redditi,  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e'  applicata
con una addizionale di 8,5 punti percentuali». 
    Ad avviso del giudice a quo, tale  disposizione  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.,  sotto  un  primo  profilo,  in
quanto  discriminerebbe  qualitativamente  i   redditi   in   maniera
irragionevole, dal momento che non sarebbe ravvisabile, in capo  alle
imprese    creditizie,    finanziarie    e    assicurative    gravate
dall'«addizionale» da essa  introdotta,  una  capacita'  contributiva
maggiore di quella propria degli altri soggetti passivi  dell'imposta
sui redditi delle societa' (IRES). Sotto un  altro  profilo,  perche'
non perseguirebbe una finalita' solidaristica e redistributiva. 
    Ne' tali profili d'illegittimita' potrebbero  essere  esclusi  in
forza della sola natura transitoria della misura  impositiva  oggetto
di doglianza. 
    Risulterebbe, inoltre, violato l'art. 77, secondo  comma,  Cost.,
per difetto dei requisiti di necessita' e d'urgenza. 
    La norma denunciata sarebbe, infatti, funzionale  alla  copertura
finanziaria del  minore  gettito  fiscale  derivante  dall'abolizione
della seconda rata dell'imposta municipale propria (IMU) per il 2013,
che e' stata, tuttavia, disposta dall'art. 1, comma 1,  del  medesimo
d.l. n. 133 del 2013 al fine  di  attuare  una  scelta  politica  del
Governo: l'«addizionale» risponderebbe, pertanto,  a  una  necessita'
che  non  preesisteva  alla  decretazione  d'urgenza,  essendo  stata
determinata contestualmente dal Governo stesso. 
    2.- Anche la Commissione tributaria di secondo  grado  di  Trento
solleva, in riferimento  agli  artt.  3  e  53  Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del
2013. 
    Secondo il giudice rimettente - le  cui  argomentazioni  sono  in
larga misura analoghe a quelle addotte  dalla  CTR  piemontese  -  la
disposizione censurata recherebbe un vulnus  agli  evocati  parametri
costituzionali perche' avrebbe introdotto  una  misura  impositiva  a
carico di una circoscritta platea di imprese prive, tuttavia, di  una
capacita' contributiva maggiore di quella manifestata, a  parita'  di
reddito, dalle altre imprese tenute al pagamento dell'IRES. 
    3.-  Le  due  ordinanze   di   rimessione   sollevano   questioni
parzialmente coincidenti e aventi ad oggetto la stessa norma, sicche'
i relativi giudizi  vanno  riuniti  per  essere  definiti  con  unica
decisione. 
    4.- In entrambi i giudizi, l'Avvocatura generale dello  Stato  ha
eccepito preliminarmente l'inammissibilita' delle questioni sollevate
in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.  per  difetto  di  motivazione
sulla non manifesta infondatezza. 
    L'eccezione - basata  sull'apoditticita'  dell'argomento  secondo
cui la natura transitoria  dell'«addizionale»  non  sarebbe  da  sola
idonea a «sanare» la dedotta violazione dei parametri  costituzionali
sopra menzionati - non e' fondata. 
    I  giudici  a  quibus  si  sono  soffermati  criticamente   sulla
discriminazione derivante dalla disciplina posta dall'art.  2,  comma
2,  del  d.l.  n.  133  del  2013,  sostenendo   che   essa   sarebbe
irragionevole,  in   primo   luogo,   perche'   le   imprese   incise
dall'«addizionale» non avrebbero una capacita' contributiva  maggiore
di quella propria delle altre imprese soggette all'IRES.  Le  imprese
destinatarie   dall'aggravio   fiscale   non   sarebbero,    difatti,
«economicamente piu' forti» di quelle che operano in diversi  settori
produttivi,  non  potendosi  ritenere  a  tal  fine  sufficiente   la
circostanza che le prime siano sottoposte a vigilanza pubblica. 
    L'irragionevolezza   del   differente   trattamento    impositivo
censurato sarebbe peraltro apprezzabile, secondo la CTR del Piemonte,
anche sotto un  altro  profilo:  il  rilievo  che  precede,  valutato
unitamente alla considerazione per cui dell'abolizione della  seconda
rata dell'imposta  municipale  propria  (IMU)  avrebbero  beneficiato
«tutti i proprietari» di «determinati immobili», a prescindere dunque
dal reddito da essi prodotto, non consentirebbe di  ritenere  che  la
disposizione   denunciata   realizzi   finalita'   solidaristiche   e
redistributive. 
    Alla luce delle argomentazioni appena  illustrate,  le  questioni
sollevate superano il vaglio di ammissibilita', dal  momento  che  il
giudizio  negativo  espresso  dai   giudici   a   quibus   circa   la
compatibilita' tra l'art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013 e  gli
artt. 3 e 53 Cost. e' stato motivato in maniera compiuta e  idonea  a
sorreggere autonomamente le censure prospettate. 
    Deve, pertanto, essere riservato al merito il  vaglio  in  ordine
alla eventuale idoneita' della natura  temporanea  dell'«addizionale»
oggetto dell'odierno scrutinio a escludere la dedotta  compromissione
dei teste' citati parametri costituzionali. 
    4.1.-  E'  del  pari  non  fondata   l'ulteriore   eccezione   di
inammissibilita', formulata con specifico riferimento alla  questione
sollevata  dalla  Commissione  trentina,  alla   quale   l'Avvocatura
generale addebita la contraddittorieta' della motivazione in punto di
non manifesta infondatezza. 
    Secondo la difesa statale, le ragioni  -  in  sostanza  ravvisate
nella crisi economica che ha  mosso  il  legislatore  ad  abolire  la
seconda rata dell'IMU e nello scopo di reperire  risorse  finanziarie
per coprire il conseguente minore gettito -  che  hanno  condotto  il
giudice rimettente a ritenere manifestamente infondate  le  questioni
sollevate dalla parte ricorrente nel giudizio a  quo  in  riferimento
agli artt. 41, 42 e 77 Cost. sarebbero altresi' idonee a escludere la
violazione degli artt. 3 e 53 Cost. 
    A siffatto rilievo e' tuttavia agevole replicare che la finalita'
di fronteggiare la congiuntura economica negativa in cui  versava  il
Paese e la connessa esigenza di copertura  finanziaria  evidentemente
non sono di per se' sufficienti a dar conto,  in  particolare,  della
maggiore  capacita'  contributiva  delle  imprese   alle   quali   e'
applicabile la norma denunciata, sulla cui assenza si incentra invece
il primo profilo della censura inerente alla lesione degli artt. 3  e
53 Cost. 
    Non sussiste, pertanto, l'eccepita contraddittorieta'. 
    5.-  Nel  merito,  occorre  prendere  le  mosse  dalla  questione
sollevata dalla CTR piemontese in riferimento  all'art.  77,  secondo
comma, Cost. 
    Essa ha, infatti, carattere pregiudiziale,  giacche'  investe  lo
stesso corretto esercizio della funzione normativa primaria,  con  la
conseguenza che la sua eventuale fondatezza rimuoverebbe il contenuto
precettivo della norma e comporterebbe l'assorbimento  delle  censure
formulate in  riferimento  agli  ulteriori  parametri  costituzionali
evocati (ex plurimis, sentenze n. 16 del 2017, n. 186 e  n.  154  del
2015). 
    5.1.- La questione non e' fondata. 
    5.2.- Come dianzi detto, il vulnus recato  all'art.  77,  secondo
comma, Cost. si apprezzerebbe, segnatamente,  sotto  il  profilo  del
difetto dei requisiti della necessita' e dell'urgenza, che  sarebbero
nella specie insussistenti in quanto la situazione straordinaria  cui
fare  fronte  mediante  la  norma  denunciata  non  preesisteva  alla
decretazione d'urgenza, essendo stata contestualmente  provocata  dal
legislatore stesso al fine di realizzare una propria scelta politica. 
    La tesi del giudice a quo si basa,  piu'  in  particolare,  sulla
considerazione per cui la  necessita'  che  ha  mosso  il  Governo  a
introdurre, con l'art.  2,  comma  2,  del  d.l.  n.  133  del  2013,
l'«addizionale» censurata e' rappresentata dall'esigenza di copertura
finanziaria della diminuzione del gettito derivante dall'esenzione  -
disposta dal precedente art. 1, comma 1, del  medesimo  decreto-legge
in relazione a una pluralita'  di  immobili  -  dal  pagamento  della
seconda rata dell'IMU  per  il  2013.  La  medesima  decretazione  di
urgenza sarebbe stata quindi  l'origine  dei  propri  presupposti  di
straordinaria necessita' e urgenza piu' che la tempestiva risposta ad
essi. 
    5.3.- Cosi' delineati i confini entro cui si muove, con  riguardo
al  parametro  in  esame,   l'odierno   scrutinio   di   legittimita'
costituzionale,  occorre  osservare  che  non  erra  la   Commissione
rimettente  nel  rilevare  che  la  disposizione  sospettata  mira  a
soddisfare  il  fabbisogno  finanziario  generato  dalla   disciplina
dettata dal citato art. 1, comma 1, del d.l. n. 133 del 2013. 
    Tanto emerge chiaramente da quanto disposto dal successivo art. 8
del d.l. n.  133  del  2013,  rubricato  per  l'appunto  «[c]opertura
finanziaria»,  a  mente  del  quale  «[a]gli  oneri  derivanti  dagli
articoli 1 e 2 [...] si provvede  mediante  utilizzo  delle  maggiori
entrate derivanti dal medesimo articolo 2». 
    5.4.- Benche' sia corretta  la  premessa  da  cui  muove  la  CTR
piemontese, non e' altrettanto condivisibile la conseguenza che  essa
ne trae in ordine  alla  dedotta  violazione  dell'art.  77,  secondo
comma, Cost. La finalita' della norma sospettata,  infatti,  conduce,
al contrario, a escludere che nella fattispecie ricorra un'ipotesi di
evidente mancanza  dei  presupposti  di  straordinaria  necessita'  e
urgenza, cui la costante giurisprudenza di questa  Corte  circoscrive
il proprio sindacato sulla legittimita' dell'adozione, da  parte  del
Governo, di un decreto-legge (ex plurimis, sentenza n. 97 del 2019). 
    Al riguardo, va anzitutto  osservato  che  e'  pur  vero  che  la
giurisprudenza costituzionale ha in diverse occasioni  affermato  che
la preesistenza di una situazione di fatto comportante la  necessita'
e l'urgenza di  provvedere  costituisce  un  requisito  di  validita'
dell'adozione del decreto-legge. 
    Tuttavia, il riferimento alla preesistenza - sulla cui carenza si
incentra la doglianza del giudice a quo - del caso  straordinario  di
necessita' e d'urgenza e' frutto  della  evidente  constatazione  che
questo rappresenta un presupposto della  decretazione  d'urgenza,  di
talche', sul piano logico, non puo', di norma,  succederle.  Da  tale
considerazione non si puo', pero', inferire, contrariamente a  quanto
ritenuto dal rimettente, un generale corollario per cui la situazione
posta  a  fondamento  del  decreto-legge  dovrebbe  indefettibilmente
precedere l'intervento normativo urgente. 
    E' paradigmatica,  in  tal  senso,  la  fattispecie  oggetto  del
presente incidente di legittimita' costituzionale. 
    L'esigenza che il censurato art. 2, comma 2, del d.l. n. 133  del
2013  mira  a  soddisfare  e'  difatti  preordinata,  come   poc'anzi
chiarito, al rispetto del principio di  copertura  finanziaria  posto
dall'art. 81, terzo comma, Cost. 
    E' pertanto palese - benche' detta esigenza non preesistesse alla
decretazione d'urgenza - la  necessita'  di  inserire  la  norma  nel
decreto-legge in parola unitamente alle disposizioni che, abolendo la
seconda rata dell'IMU, hanno determinato minori entrate e nuove spese
a carico  del  bilancio  dello  Stato:  il  legislatore,  altrimenti,
sarebbe venuto meno all'obbligo di  indicare  la  relativa  fonte  di
copertura. 
    Nell'ottica del  giudice  a  quo,  paradossalmente,  si  dovrebbe
giungere  a  ritenere  che  non  sia  mai  consentito,  in  sede   di
decretazione d'urgenza, adottare norme che comportino nuove spese e/o
minori entrate, poiche' il Governo non  potrebbe  mai  rispettare  il
dettato costituzionale provvedendo  contestualmente  a  reperirne  la
relativa copertura finanziaria. Ma una siffatta conclusione  si  pone
in contrasto con la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  che  ha,  al
contrario, precisato che l'obbligo, imposto dall'art.  81  Cost.,  di
darsi carico delle conseguenze finanziarie delle leggi - se di regola
grava sul Parlamento, istituzionalmente preposto all'esercizio  della
funzione  legislativa  -  «grava  invece  sul   Governo,   allorche',
ricorrendo i presupposti di cui all'art. 77  Cost.,  si  faccia  esso
stesso legislatore, sostituendosi in via di urgenza alle Camere nella
forma del decreto-legge» (sentenza n. 226 del 1976). 
    5.5.- In questa  prospettiva,  l'attenzione  va  dunque  rivolta,
tenuto conto  della  lumeggiata  interdipendenza  funzionale  tra  la
disposizione censurata e quella di cui all'art. 1, comma 1, del  d.l.
n. 133 del 2013, anche alle finalita' da quest'ultima perseguite. 
    A tal proposito, giova innanzitutto osservare, in linea generale,
che il suddetto  art.  1,  comma  1,  nell'abolire  la  seconda  rata
dell'IMU per il 2013, e' coerente con il titolo del decreto-legge  n.
133 del 2013,  il  quale  reca  «[d]isposizioni  urgenti  concernenti
l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia», e con
il successivo  preambolo,  che  fa  riferimento,  tra  l'altro,  alla
«straordinaria necessita' ed urgenza  di  provvedere  in  materia  di
pagamento dell'imposta municipale propria [...]». 
    Tanto premesso, va rilevato che l'abolizione disposta dalla norma
in parola risponde anche all'intento - che,  diversamente  da  quanto
dedotto dalla contribuente nella  memoria  illustrativa,  emerge  dai
lavori preparatori al disegno di conversione in legge del d.l. (e  in
particolare dall'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze
nella seduta del 13 dicembre 2013 dinanzi alla Commissione finanze  e
tesoro del Senato della Repubblica) -  di  affrontare  la  «difficile
fase congiunturale» apprestando un rimedio funzionale  soprattutto  a
sostenere i soggetti ritenuti in maggiore difficolta'. 
    La scelta adottata dal legislatore si pone dunque in armonia  con
i presupposti e le finalita'  del  decreto-legge  in  esame,  ove  si
rifletta sul fatto che essa si e' tradotta nella eliminazione  di  un
obbligo  tributario  posto  a  carico  di  una  diffusa   platea   di
contribuenti e il  cui  adempimento  avrebbe  acuito  le  difficolta'
derivanti da una situazione di crisi economica a carattere sistemico.
Milita  in  tal  senso  anche  l'ulteriore  considerazione  per  cui,
allorche' e' stato adottato il decreto-legge in discorso, la scadenza
per il pagamento della seconda rata dell'IMU era ormai imminente e si
rendeva, pertanto, pressante l'esigenza di intervenire prontamente. 
    Lo specifico contesto in cui la  disposizione  e'  stata  dettata
consente  quindi  di  escludere,   alla   stregua   del   consolidato
orientamento di questa Corte, che nella specie  possa  ritenersi  con
evidenza insussistente il presupposto della straordinaria  necessita'
e urgenza di provvedere (ex plurimis, sentenze n. 33 del 2019, n. 137
del 2018 e n. 236 del 2017). 
    Ne'  tali   conclusioni   possono   essere   contraddette   dalla
circostanza - sottolineata dalla ricorrente nel giudizio a quo -  per
cui l'inizio della  congiuntura  economica  negativa  risalirebbe  al
2008, sicche' nel  2013  essa  sarebbe  ormai  divenuta  «ordinaria»:
proprio la  persistenza  di  tale  congiuntura  sfavorevole  (di  cui
peraltro ha dato sostanzialmente conto anche la stessa parte  privata
nelle sue difese) concorre difatti a integrare i presupposti fattuali
del provvedimento normativo d'urgenza. 
    Mette conto, infine, evidenziare che  non  contrasta  con  quanto
affermato la dedotta riconducibilita' dell'abolizione dell'IMU a  una
«scelta politica» rientrante nel programma di Governo.  Va,  infatti,
precisato, da un lato,  che  l'abrogazione  dell'IMU  sull'abitazione
principale e' stata disposta, a regime, con  un  altro  provvedimento
normativo, ovvero con la legge 27  dicembre  2013,  n.  147,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», e che, con il  decreto-legge
n. 133 del 2013 e' stato eliminato soltanto l'obbligo  di  versamento
della seconda rata per  il  2013;  dall'altro,  che,  ricorrendone  i
presupposti, il programma di Governo ben puo'  essere  attuato  anche
mediante la decretazione d'urgenza. 
    5.6.- In forza delle ragioni sopra illustrate, si deve  escludere
che si sia al cospetto di  una  evidente  carenza  dei  requisiti  di
necessita' e d'urgenza; cio' consente di superare,  in  relazione  al
parametro evocato, anche il rilievo, addotto dalla parte  privata  al
fine di sottolineare la gravita' delle conseguenze della  prospettata
violazione, sulla compressione del dibattito dovuta alla questione di
fiducia posta dal Governo in sede di conversione in  legge  del  d.l.
(sentenza n. 251 del 2014). 
    6.- I giudici a quibus ritengono che la  norma  denunciata  violi
anche gli artt. 3 e 53 Cost., innanzitutto  perche'  riserverebbe  un
diverso  trattamento  impositivo  a  situazioni  che  manifestano  la
medesima capacita' contributiva: le imprese incise dall'«addizionale»
non sarebbero, infatti, dotate di una ricchezza maggiore delle  altre
imprese egualmente soggette all'IRES ma escluse dal pesante  aggravio
fiscale. Essi evidenziano, al riguardo, che non solo il  Governo  non
avrebbe effettuato «analisi [...] empiriche» dalle quali dedurre  che
i soggetti  colpiti  dall'«addizionale»  siano  «economicamente  piu'
forti» degli altri,  ma  anche  che  la  sottoposizione  a  vigilanza
pubblica non potrebbe essere ritenuta, in se' stessa, sintomatica  di
una maggiore capacita' contributiva. La  norma  impugnata,  pertanto,
determinerebbe  una  irragionevole  discriminazione  qualitativa  dei
redditi  rispetto  alla  generalita'  degli  altri  soggetti  passivi
dell'IRES. 
    I rimettenti contestano poi che  la  disposizione  censurata  sia
ascrivibile a una finalita' solidaristica  e  redistributiva  perche'
dell'abolizione generalizzata della seconda rata  dell'IMU  avrebbero
beneficiato  tutti  i  contribuenti  interessati  a  prescindere  dal
reddito da essi posseduto. 
    6.1.- Le questioni non sono fondate. 
    6.2.-  Le  censure  formulate  dai  giudici  rimettenti   rendono
tuttavia   opportuno    precisare    preliminarmente    la    cornice
costituzionale nell'ambito della quale  si  inserisce  l'oggetto  del
presente giudizio. 
    Al riguardo, occorre osservare che nella Costituzione  il  dovere
tributario, inteso come concorso  alle  spese  pubbliche  in  ragione
della propria capacita' contributiva, e'  qualificabile  come  dovere
inderogabile di solidarieta' non solo perche' il prelievo fiscale  e'
essenziale - come ritenevano risalenti concezioni che  lo  esaurivano
nel paradigma dei doveri di soggezione - alla vita  dello  Stato,  ma
soprattutto in  quanto  esso  e'  preordinato  al  finanziamento  del
sistema  dei  diritti  costituzionali,  i  quali  richiedono  ingenti
quantita' di risorse per divenire effettivi:  sia  quelli  sociali  -
come, ad esempio, la tutela della salute, che  peraltro  deve  essere
assicurata gratuitamente agli indigenti (art. 32, primo comma, Cost.)
- sia gran parte di quelli civili (si pensi alla spesa necessaria per
l'amministrazione della giustizia,  che  e'  funzionale  a  garantire
anche tali diritti). 
    E'  infatti  da  tale  legame,  anche  in  forza  della  funzione
redistributiva dell'imposizione fiscale e del  nesso  funzionale  con
l'art. 3, secondo comma, Cost., che discende la riconducibilita'  del
dovere tributario al crisma dell'inderogabilita' di  cui  all'art.  2
Cost.,  che  rende,  oltretutto,  di  immediata  evidenza   come   il
disattenderlo rechi pregiudizio  non  a  risalenti  paradigmi  ma  in
particolare al suddetto sistema dei diritti. 
    Tale qualifica, tuttavia, dato il contesto sistematico in cui  si
colloca, si giustifica solo nella misura in cui il sistema tributario
rimanga saldamente ancorato al complesso dei principi e dei  relativi
bilanciamenti che  la  Costituzione  prevede  e  consente,  tra  cui,
appunto, il rispetto del principio di capacita' contributiva (art. 53
Cost.). 
    Sicche' quando il  legislatore  disattende  tali  condizioni,  si
allontana dalle altissime ragioni di civilta' giuridica  che  fondano
il dovere tributario: in queste ipotesi si  determina  un'alterazione
del  rapporto  tributario,  con  gravi  conseguenze  in  termini   di
disorientamento non solo dello stesso sviluppo  dell'ordinamento,  ma
anche del relativo contesto sociale. 
    6.3.- Occorre, quindi, considerare che le censure dei  rimettenti
si   inquadrano   nell'ambito   delle   cosiddette    discriminazioni
qualitative dei redditi, uno dei  temi  piu'  sensibili  del  diritto
costituzionale tributario: infatti, sebbene il legislatore  goda,  in
astratto, di ampia discrezionalita', pur  con  il  limite  della  non
arbitrarieta',   nell'identificare   gli    indici    di    capacita'
contributiva, questa discrezionalita' si  riduce  laddove  sul  piano
comparativo vengano in evidenza, in concreto, altre situazioni in cui
lo stesso legislatore, in difetto di  coerenza  nell'esercizio  della
stessa, ha effettuato scelte impositive differenziate  a  parita'  di
presupposti. 
    In  questi  casi,  infatti,   viene   in   causa   il   principio
dell'eguaglianza tributaria, desumibile dal combinato disposto  degli
artt. 3 e 53 Cost., che nella giurisprudenza di questa Corte e' stato
all'origine  di  alcune  tra  le  piu'  significative   pronunce   di
incostituzionalita' in materia tributaria, tra le quali  la  sentenza
n. 10  del  2015,  secondo  cui  «ogni  diversificazione  del  regime
tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve
essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali
la   differenziazione   degenera   in   arbitraria   discriminazione»
(sostanzialmente nello  stesso  senso,  sentenze  n.  104  del  1985,
relativa agli emolumenti arretrati per lavoro dipendente, e n. 42 del
1980, in tema di imposta locale sui redditi). 
    6.4.- Tale impostazione va qui ribadita e pertanto  questa  Corte
e' chiamata a  verificare  se  esistano  adeguate  giustificazioni  a
fondamento dell'imposta introdotta con l'art. 2, comma 2, del d.l. n.
133 del 2013, che, in via straordinaria e temporanea, ha incrementato
il prelievo fiscale a  carico  di  un'unica,  ristretta,  cerchia  di
soggetti. 
    6.5.-  La  risposta  a  tale  interrogativo,  alla   luce   delle
considerazioni  che  seguono,  e'  positiva,   con   la   conseguente
infondatezza delle censure  prospettate  dai  giudici  rimettenti  in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. 
    6.5.1.- Innanzitutto, e' opportuno precisare che, nonostante  sia
stata espressamente qualificata dal legislatore  come  «addizionale»,
la suddetta imposta  appare,  piu'  correttamente,  riconducibile  al
novero delle "sovraimposte": a fronte  dell'identita'  del  parametro
(il reddito) con il tributo principale IRES, il prelievo e' a  carico
solo di determinati soggetti passivi e  su  una  base  imponibile  in
parte differenziata da quella dell'IRES stessa. 
    Infatti, il censurato art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del  2013,
se dispone, al primo periodo, che «l'aliquota di cui all'articolo  77
del testo unico delle imposte sui redditi,  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  e'  applicata
con una addizionale» di 8,5 punti percentuali», tuttavia, al  secondo
periodo precisa che «[l]'addizionale non e' dovuta  sulle  variazioni
in aumento derivanti dall'applicazione dell'articolo  106,  comma  3,
del suddetto testo unico». 
    Viene  cosi'  disattivata,  ai  fini  del  calcolo   della   base
imponibile della nuova imposta, la "variazione in aumento"  derivante
dall'applicazione dell'art. 106, comma  3,  del  citato  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico  delle  imposte  sui  redditi»  (TUIR).
Norma,   questa,   che   detta,   al   fine   della    determinazione
dell'imponibile IRES, una disciplina speciale per gli enti  creditizi
e finanziari di cui al decreto legislativo 27  gennaio  1992,  n.  87
(Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE relativa ai  conti  annuali
ed  ai  conti  consolidati  delle  banche  e  degli  altri   istituti
finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE relativa agli obblighi in
materia di pubblicita'  dei  documenti  contabili  delle  succursali,
stabilite  in  uno  Stato  membro,  di  enti  creditizi  ed  istituti
finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro),  in  seguito
estesa, in virtu' del rinvio contenuto nell'art.  16,  comma  9,  del
decreto  legislativo  26  maggio  1997,  n.  173  (Attuazione   della
direttiva 91/674/CEE in materia di conti annuali e consolidati  delle
imprese di assicurazione), anche alle imprese di assicurazione. 
    Tale disciplina speciale prevede in sostanza che le perdite e  le
svalutazioni dei crediti verso  la  clientela,  benche'  in  astratto
interamente deducibili alla sola condizione della loro iscrizione  in
bilancio a tale titolo,  in  concreto  lo  divengano  in  una  misura
estremamente diluita  per  singolo  periodo  d'imposta,  determinando
pertanto  una  (spesso)  significativa  variazione  in  aumento   del
risultato del bilancio civilistico e, quindi, del reddito  imponibile
ai fini dell'IRES. 
    In conseguenza della disattivazione di tale  clausola,  la  nuova
imposta e'  stata  dunque  originariamente  introdotta  su  una  base
imponibile  notevolmente  ridotta   rispetto   a   quella   ordinaria
dell'IRES: da questo punto di vista, non e'  corretto  l'assunto  dei
giudici a quibus  secondo  cui  l'aliquota  dell'IRES  sarebbe  stata
necessariamente elevata al 36  per  cento,  per  l'effetto  congiunto
dell'imposizione ordinaria (nella misura del 27,5  per  cento)  e  di
quella straordinaria (nella misura dell'8,5 per cento). 
    6.5.2.-  La  descritta  regola  di  determinazione   della   base
imponibile non e', tuttavia,  idonea,  di  per  se',  a  giustificare
l'imposta censurata; essa, piuttosto, assume rilevanza in una diversa
ottica,  all'interno  della  quale  viene  in  causa  il  complessivo
intervento fiscale disposto dal legislatore,  considerato  anche  nel
suo precipuo contesto temporale, che e' quello di una  pesante  crisi
che ha colpito tutti i settori economici. 
    A questo riguardo, non appare in se' censurabile,  rimanendo  nei
limiti che si preciseranno  di  seguito,  che  il  legislatore  abbia
assunto come presupposto dell'imposizione l'appartenenza dei soggetti
passivi della nuova imposta al mercato finanziario (cui  questi  sono
evidentemente riconducibili), ravvisandovi uno  specifico  indice  di
capacita' contributiva. 
    In proposito, l'Avvocatura generale dello Stato ha osservato  che
in tale mercato: a) «sussistono "barriere all'entrata", nel senso che
le relative imprese possono essere esercitate solo dopo aver ottenuto
specifiche  autorizzazioni  dalle  autorita'  di  vigilanza,   basate
sull'accertamento della stabilita' patrimoniale e  finanziaria  delle
imprese  interessate»;  b)  di   conseguenza,   si   determina   «una
concorrenza che, per quanto ampia,  e'  limitata  ai  soli  operatori
parimenti autorizzati»; c) «il carattere pressoche' necessitato [dei]
servizi bancari, assicurativi, finanziari» favorisce il  determinarsi
di  domanda  sostanzialmente  «anelastica  rispetto  alla  curva  dei
prezzi». 
    Sarebbe questo - sempre secondo l'Avvocatura - il significato  da
attribuire al «riferimento alla soggezione  alla  vigilanza  pubblica
dei settori bancario, finanziario, assicurativo che si  rinviene  nei
lavori preparatori del decreto-legge». 
    In effetti e' difficilmente dubitabile che il mercato finanziario
presenti caratteristiche peculiari rispetto a quello industriale.  Si
tratta, infatti, di un mercato che, in forza delle descritte barriere
strutturali,  assume  connotati  di  tipo  oligopolistico,   con   la
conseguenza  che  le  imprese  in  esso  operanti  dispongono  di  un
significativo potere di mercato, derivante anche da  un  certo  grado
(variabile in relazione ai servizi e  ai  settori)  di  anelasticita'
della domanda. 
    Non e' pertanto implausibile che il legislatore,  nell'ambito  di
un periodo di crisi e nella comparazione con il mercato  industriale,
abbia desunto dall'appartenenza al mercato finanziario uno  specifico
e autonomo indice di capacita' contributiva, rilevante ai fini di  un
temporaneo intervento anticongiunturale. 
    D'altra parte, su un piano piu' generale, questa  Corte  gia'  in
altre occasioni ha giudicato  infondate,  in  presenza  di  oggettive
giustificazioni, censure riferite a tributi istituiti solo per alcuni
soggetti passivi all'interno  di  una  determinata  categoria:  nella
sentenza n.  201  del  2014  ha  ritenuto,  infatti,  che  non  fosse
ingiustificata la limitazione al  solo  «settore  finanziario»  della
platea dei soggetti  passivi  sottoposti  al  prelievo  «addizionale»
sulle remunerazioni in forma di  bonus  e  stock  options;  in  senso
analogo, nella sentenza n. 269 del 2017 si e' affermato che  «non  e'
irragionevole che le spese di funzionamento  dell'autorita'  preposta
al corretto funzionamento del mercato [AGCM]  gravino  sulle  imprese
caratterizzate  da  una  presenza  significativa   nei   mercati   di
riferimento [con fatturato superiore a 50 milioni di euro]  e  dotate
di considerevole capacita' di incidenza sui movimenti delle  relative
attivita' economiche». 
    Nei termini appena illustrati l'imposta censurata  supera  quindi
il vaglio della connessione  razionale:  del  resto  in  un  contesto
complesso come quello  contemporaneo,  dove  si  sviluppano  nuove  e
multiformi creazioni di valore, il concetto di capacita' contributiva
non necessariamente deve rimanere legato solo a  indici  tradizionali
come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e  piu'
evolute forme di capacita', che ben possono denotare una forza o  una
potenzialita' economica. 
    6.5.3.-  Tanto   chiarito,   occorre,   tuttavia,   ulteriormente
precisare  che  il  legislatore,   quando   assume   un   determinato
presupposto, economicamente valutabile, quale  indice  di  una  nuova
capacita' contributiva in riferimento solo  a  determinati  soggetti,
rimane sottoposto al vincolo della  non  arbitrarieta'  con  riguardo
alla misura della imposizione, che deve  risultare  proporzionata  al
presupposto stesso. Cio' vale soprattutto quando, come  nel  caso  di
specie, non si puo' certo ritenere che lo stesso mercato finanziario,
nonostante le sue caratteristiche strutturali, non sia stato,  a  sua
volta, colpito dalla crisi, come del resto  documentato  dalle  parti
private. 
    Al   riguardo,   non   puo'   peraltro   essere   condivisa    la
giustificazione, adombrata dalla difesa  dello  Stato,  per  cui  nel
mercato finanziario e' possibile «traslare» sulla clientela  i  costi
fiscali dei relativi servizi: la traslazione delle  imposte  dirette,
infatti, finisce per colpire una capacita'  contributiva  diversa  da
quella  del  soggetto  passivo  dell'imposta,  rendendo   del   tutto
aleatoria la verifica dell'idoneita' alla contribuzione dei  soggetti
terzi che subiscono la traslazione. Spesso, peraltro, soprattutto  in
presenza  di  servizi  necessitati,   proprio   per   effetto   della
traslazione si determina anche un effetto regressivo dell'imposizione
diretta, la cui compatibilita' con l'art. 53  Cost.  potrebbe  essere
tutt'altro che scontata. 
    E' un altro, quindi, il  piano  sul  quale  deve  svilupparsi  il
sindacato di costituzionalita'. 
    Da tale punto di vista, e' utile ricordare che nella sentenza  n.
21 del 2005  questa  Corte,  se  da  un  lato  ha  affermato  che  la
previsione di aliquote differenziate per settori  produttivi  rientra
nella discrezionalita' del legislatore (sempre che sia  sostenuta  da
non irragionevoli motivi di politica redistributiva),  ha  poi  pero'
chiaramente precisato, dall'altro,  che  «[l]'aumento  provvisorio  e
calibrato delle aliquote [IRAP] per i settori bancario, finanziario e
assicurativo» risultava  giustificato  dalla  specifica  esigenza  di
neutralizzare il minore impatto dell'allora nuovo tributo proprio sui
suddetti settori: e' pertanto all'interno della considerazione di una
revisione di sistema che si  e'  sviluppata  la  verifica  della  non
arbitrarieta' della misura dell'imposizione. 
    6.5.4.-  Anche  nel  presente  giudizio  e'   quindi   necessario
considerare  l'insieme  degli  interventi   legislativi   che   hanno
complessivamente accompagnato quello censurato, il quale deve  essere
collocato nel contesto di una riforma (anch'essa, per certi versi, di
carattere  sistemico)   che   ha   prodotto   significativi   effetti
compensativi in riferimento ai soggetti passivi della nuova imposta. 
    In proposito, va rilevato non solo che l'art.  2,  comma  2,  del
d.l. n. 133 del 2013 ha, come si e' visto, disattivato, ai  fini  del
calcolo della base imponibile della nuova imposta, la  variazione  in
aumento di cui all'art. 106, comma 3, del TUIR, ma anche  che  l'art.
1, comma 160, lettera c), numero 1, della  legge  n.  147  del  2013,
approvata prima della  conversione  del  suddetto  decreto-legge,  e'
intervenuto sulla medesima disposizione appena citata,  in  relazione
pero' all'imposizione  ordinaria  IRES,  modificandola  nei  seguenti
termini: «[p]er gli enti creditizi e finanziari  di  cui  al  decreto
legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni e le  perdite  su
crediti verso la  clientela  iscritti  in  bilancio  a  tale  titolo,
diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, sono
deducibili   in   quote   costanti   nell'esercizio   in   cui   sono
contabilizzate e  nei  quattro  successivi.  Le  perdite  su  crediti
realizzate  mediante  cessione  a  titolo  oneroso  sono   deducibili
integralmente nell'esercizio in cui sono  rilevate  in  bilancio.  Ai
fini del presente comma le svalutazioni e le  perdite  deducibili  in
quinti  si  assumono  al  netto  delle  rivalutazioni   dei   crediti
risultanti in bilancio». Analoga deducibilita' e'  stata  introdotta,
inoltre, ai fini dell'imposta regionale  sulle  attivita'  produttive
(IRAP). 
    Si tratta di modifiche che, con effetto gia'  a  far  data  dello
stesso anno d'imposta 2013  (ferma  l'applicazione  delle  previgenti
disposizioni fiscali alle rettifiche di valore iscritte  in  bilancio
nei   periodi   d'imposta    precedenti),    hanno    pertanto:    a)
considerevolmente attenuato l'impatto della variazione in aumento; b)
ridotto  la  prociclicita'  del  sistema  fiscale,   consentendo   la
deduzione di importi  maggiori  in  fasi  congiunturali  avverse;  c)
generalmente alleviato l'entita' della tassazione  sui  soggetti  del
mercato finanziario, in periodi di perdite elevate (anche  se  queste
ultime hanno  normalmente  una  incidenza  maggiore  per  il  settore
bancario rispetto a quello assicurativo). 
    In tal modo, il legislatore ha dimostrato di  venire  incontro  a
una puntuale esigenza degli specifici settori finanziario, creditizio
e assicurativo, in conseguenza della crisi economica. 
    6.5.5.- Proprio la indicata specificita' del regime normativo dei
suddetti settori produttivi rende evidente  che  questi  non  possono
essere confrontati con altri settori, con i quali abbiano  in  comune
solo la caratteristica, di per se' ininfluente, di collocarsi  in  un
mercato vigilato.  Vanno  percio'  disattese  le  osservazioni  della
Online SIM spa che - nel denunciare  l'ingiustificata  disparita'  di
trattamento tra i  soggetti  passivi  della  censurata  "addizionale"
rispetto  a  quelli   dell'IRES   appartenenti   ai   settori   della
distribuzione dell'energia elettrica e del gas, nonche' del trasporto
ferroviario o aereo - pone a raffronto termini eterogenei. 
    6.5.6.-  Cosi'  individuato  il  presupposto   della   denunciata
«addizionale», occorre conseguentemente escludere, da  un  lato,  che
detto prelievo abbia natura di imposta sugli extra-profitti  (ipotesi
prospettata, sia pure per  negarla,  negli  scritti  difensivi  delle
parti);  dall'altro,  che   esso   intenda   colpire   (come   invece
erroneamente  adombrato   dall'Avvocatura   generale)   la   «elevata
liquidita' "a breve"» di cui disporrebbero i  soggetti  operanti  nei
settori creditizi, finanziari e assicurativi. 
    Sotto il primo aspetto, e' qui sufficiente rilevare che la  nuova
imposta si applica sull'intero reddito - determinato nei termini gia'
illustrati - e non solo sulla parte ascrivibile a ipotetiche forme di
extra-profitto. Del resto, non solo manca qualsiasi indice  normativo
a sostegno della tesi in oggetto, ma ne' il legislatore storico (come
si evince dai lavori parlamentari preparatori), ne' i rimettenti, ne'
l'Avvocatura hanno mai affermato che  l'«addizionale»  ha  natura  di
imposta sugli extra-profitti. 
    Sotto  il  secondo  aspetto,  occorre  anche  qui  osservare  che
l'«addizionale» non e' commisurata alle  riserve  di  liquidita',  le
quali, tra l'altro, sono legislativamente richieste  dalla  normativa
di settore e sottoposte a vigilanza e quindi ben  difficilmente  esse
potrebbero essere considerate, ai fini dell'IRES, un  idoneo,  nuovo,
indice di capacita' contributiva. 
    6.5.7.- E' solo dopo la premessa di tali considerazioni che  puo'
venire in rilievo,  all'interno  della  complessiva  valutazione  del
contesto in cui si inserisce la nuova  imposta,  anche  il  carattere
della sua transitorieta'. 
    Di  per  se',  infatti,  la  temporaneita'  dell'imposizione  non
costituisce un argomento  sufficiente  a  fornire  giustificazione  a
un'imposta,  che  potrebbe  comunque  risultare   disarticolata   dai
principi costituzionali, con le gravi conseguenze  sopra  prefigurate
in chiusura del punto 6.2. 
    Tuttavia, essa assume, nel caso oggetto del presente giudizio, un
senso come argomento aggiuntivo rispetto alla valutazione sistematica
appena svolta,  dal  momento  che  dimostra  come  a  fronte  di  una
attenuazione dell'imposizione ordinaria IRES e IRAP, solo per  l'anno
2013 e' stato disposto, attraverso il nuovo tributo, un aggravio  del
prelievo. 
    6.5.8.- In virtu' di  questi  elementi  -  che  contestualizzano,
ridimensionandone l'impatto, l'intervento fiscale censurato - si puo'
quindi concludere che il legislatore non  ha  travalicato  il  limite
dell'arbitrarieta' dell'imposizione. 
    7.- L'introduzione dell'imposta censurata, del  resto,  e'  stata
finalizzata a fornire copertura, per l'anno 2013,  a  una  operazione
redistributiva diretta ad alleggerire contingentemente, in un periodo
di difficile e  critica  congiuntura  economica,  il  carico  fiscale
incombente soprattutto sui  residenti  per  effetto  dell'obbligo  di
pagamento della seconda rata dell'IMU, ovvero di una imposta di  tipo
patrimoniale  gravante  principalmente  sull'abitazione   principale,
destinata quindi a essere assolta con una liquidita' normalmente  non
ricavabile dal cespite colpito dall'imposizione. 
    A  prescindere  da  ogni   considerazione   sulla   significativa
destrutturazione del livello di finanza autonoma cui ha poi  condotto
la definitiva abolizione dell'IMU sull'abitazione principale, si puo'
dunque concludere che il bilanciamento operato dal legislatore  possa
essere considerato, da questo punto di vista, non irragionevole. 
    Non contraddice tale conclusione l'argomento addotto dai  giudici
rimettenti e rimarcato dalle parti costituite, secondo  cui  dovrebbe
escludersi ogni connotazione  solidaristica  dall'intervento  fiscale
censurato  poiche'  dall'abolizione  della  seconda   rata   dell'IMU
avrebbero tratto beneficio, malgrado l'esclusione degli immobili  "di
lusso", anche contribuenti con un reddito elevato. 
    In ogni caso, infatti, il suddetto intervento del legislatore  ha
comportato  uno   spostamento   della   fiscalita'   dall'imposizione
immobiliare sulle persone fisiche a quella reddituale su  determinate
persone giuridiche, avvantaggiando comunque anche  le  famiglie  meno
abbienti  colpite  dalla  difficile  fase   congiunturale,   con   un
innegabile,   per   quanto   parziale,   effetto   redistributivo   e
solidaristico. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2, del  decreto-legge  30  novembre
2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti  l'IMU,  l'alienazione
di  immobili  pubblici  e  la  Banca   d'Italia),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 29  gennaio  2014,  n.  5,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, 53 e 77, secondo comma, della Costituzione,
dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del  2013,  come
convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.,  dalla
Commissione tributaria di secondo grado  di  Trento  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2019. 
 
                                F.to: 
                       Aldo CAROSI, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA