N. 52 SENTENZA 12 febbraio - 12 marzo 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari -  Inapplicabilita'
  ai condannati per il delitto di sequestro di  persona  a  scopo  di
  estorsione, pur se sia stata riconosciuta l'attenuante del fatto di
  lieve entita'  -  Denunciata  irragionevolezza  nonche'  violazione
  della finalita' rieducativa e del principio di  individualizzazione
  della pena - Non fondatezza delle questioni. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.13 del 25-3-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis,
comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promosso dal Tribunale di sorveglianza  di  Firenze,
nel procedimento a carico di R. D.S.,  con  ordinanza  del  21  marzo
2019, iscritta al n. 116 del registro  ordinanze  2019  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima   serie
speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze,  con  ordinanza
depositata il 21 marzo  2019  e  iscritta  al  n.  116  del  registro
ordinanze 2019, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27  della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
4-bis,  comma  1,  della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della  liberta'),  «nella  parte  in  cui  non
esclude dal novero dei reati ivi ricompresi quello  di  cui  all'art.
630 c.p., allorche' sia stata riconosciuta l'attenuante del fatto  di
lieve entita', ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale  n°
68 del 23 marzo 2012». 
    2.- Il tribunale rimettente si trova a decidere  sulla  richiesta
di affidamento in  prova  al  servizio  sociale,  avanzata  ai  sensi
dell'art. 47 ordin. penit., da R. D.S., detenuto dal 30  giugno  2017
in esecuzione della pena di nove anni  e  otto  mesi  di  reclusione,
irrogata per i reati di sequestro di persona a  scopo  di  estorsione
(art. 630 del codice penale) e lesioni personali (artt.  582,  585  e
576, numero 1, cod. pen.), commessi in concorso con altri  (art.  110
cod. pen.). 
    Espone il collegio rimettente che, con la  sentenza  di  condanna
(divenuta definitiva il 26 giugno 2017), e' stata  riconosciuta,  per
il reato di sequestro di persona, «la diminuente dell'art. 311  c.p.,
come da sentenza della Corte Costituzionale n. 68 del 19-03-2012», in
ragione della limitata durata nel tempo del sequestro  (tre  giorni),
del luogo di restrizione (appartamento) e della parziale liberta'  di
movimento  delle  persone  offese  (non  soggette  a   strumenti   di
coercizione).  E'  stata  altresi'  riconosciuta   l'attenuante   del
risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 62, numero 6), cod. pen. 
    Riferisce il giudice a quo che  il  detenuto,  a  sostegno  della
propria istanza, ha prospettato  la  disponibilita'  di  domicilio  e
lavoro in Roma, specificando inoltre che  la  durata  della  pena  da
espiare, in quanto non superiore ai quattro  anni  (essendo  il  fine
pena fissato per  il  16  dicembre  2022),  rientrerebbe  nei  limiti
previsti dal comma 3-bis dell'art. 47 ordin. penit. 
    Il rimettente rileva, tuttavia, che la condanna e' stata inflitta
per il reato di cui all'art. 630 cod. pen., contemplato dal  comma  1
dell'art.   4-bis   ordin.   penit.,   che   vieta   la   concessione
dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  in   assenza   di
collaborazione con la giustizia. Collaborazione di cui, del resto, il
detenuto non ha avanzato richiesta di  accertamento,  in  quanto  «in
effetti non [...] prestata», come riferisce sempre il giudice a  quo.
Neppure   risulta   chiesto   l'accertamento   della   collaborazione
cosiddetta impossibile o inesigibile. 
    Di qui, l'inammissibilita' dell'istanza di affidamento  in  prova
al servizio sociale. 
    2.1.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  collegio
rimettente  richiama  l'ordinanza  della  Corte  di  cassazione  «del
21-09-2018 [recte: 16 novembre 2018], prima sezione, n. 51877  [...],
in materia in parte  analoga»,  e  ritiene  di  dover  sollevare  «la
medesima questione di legittimita' costituzionale,  gia'  prospettata
dalla Corte di legittimita', pur riguardando il caso oggi ad  oggetto
l'accesso ad una misura alternativa e non  ad  un  permesso  premio»,
venendo sempre in rilievo il profilo «dell'´ostativita` del reato  di
sequestro  di  persona  a  scopo  di  estorsione,  pur   nell'ipotesi
attenuata della lieve entita'». 
    Anche il Tribunale di  sorveglianza  di  Firenze  -  riportandosi
«integralmente» alle motivazioni  contenute  nella  citata  ordinanza
della Corte di cassazione - prospetta la violazione degli artt.  3  e
27 Cost. in  conseguenza  dell'inclusione,  fra  i  reati  cosiddetti
ostativi alla concessione della misura  alternativa  alla  detenzione
nella specie richiesta, del reato di sequestro di persona a scopo  di
estorsione, nei casi  in  cui  sia  stata  riconosciuta  la  speciale
attenuante della lieve entita' del  fatto,  come  da  sentenza  della
Corte costituzionale n. 68 del 2012. 
    Il  rimettente  ricostruisce  l'origine   del   regime   ostativo
introdotto  dall'art.  4-bis  ordin.   penit.,   rinvenendola   nella
necessita' - soddisfatta con l'emanazione delle «leggi dell'emergenza
dei primi anni '90» - di introdurre restrizioni rispetto  a  «delitti
di particolare allarme sociale»,  quali  i  «reati  associativi  piu'
gravi (associazione di tipo mafioso e associazione  finalizzata  allo
spaccio di sostanze stupefacenti)» e quelli commessi «con finalita' o
metodo mafioso», oltre al reato di cui all'art. 630 cod.  pen.  Tutte
queste fattispecie sarebbero caratterizzate «dal necessario o  almeno
normale inserimento del  reo  in  compagini  criminose  di  gruppo  o
comunque collegate con organizzazioni criminali». 
    Per effetto di successivi interventi legislativi  ripetuti  negli
anni - ricorda ancora il rimettente - e' stato ampliato l'elenco  dei
reati «ostativi o parzialmente tali», disegnando una  disciplina  che
avrebbe superato le censure di illegittimita' costituzionale in forza
dell'effetto  «mitigatore»   della   collaborazione   e   della   sua
«estensione  alle  accezioni   di   impossibilita',   inesigibilita',
irrilevanza». 
    Tuttavia,  il   giudice   a   quo   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'inserimento della fattispecie di cui all'art. 630
cod. pen., «nell'ipotesi  della  lieve  entita'  del  fatto»,  tra  i
delitti per  cui  vi  sarebbe  «presunzione  pressoche'  assoluta  di
pericolosita' sociale, come se anche detto reato fosse espressione di
criminalita'   esercitata   in   forma   organizzata    o    comunque
particolarmente pervasiva e quindi tale da giustificare  l'esclusione
tout court dai benefici penitenziari in assenza di collaborazione». 
    Il Tribunale di sorveglianza di Firenze ricorda che, con legge 30
dicembre 1980, n. 894 (Modifiche all'articolo 630 del codice penale),
per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione  e'  stato
previsto un notevole inasprimento della  risposta  sanzionatoria,  in
ragione dell'allarme sociale cagionato dal fenomeno dei sequestri  di
persona, «perpetrati in Italia dalla criminalita'  organizzata».  Una
«[t]ale severita' di inquadramento» - sospettata di contrasto con  il
quadro  costituzionale  rispetto  a  fatti   «meno   rilevanti,   per
caratteristiche  oggettive  di  tempo,  di  azione,  di   numero   di
partecipi, determinanti la restrizione della liberta'  della  vittima
per breve durata o con profitti patrimoniali di entita' contenuta»  -
e' stata oggetto di una declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva che la pena
da esso comminata fosse diminuita quando, per la natura, la specie, i
mezzi,  le  modalita'  o  circostanze  dell'azione,  ovvero  per   la
particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risultasse di
lieve entita' (sentenza n. 68 del 2012), sulla  falsariga  di  quanto
previsto per la «parallela fattispecie di cui all'art. 289  bis  c.p.
sulla base dell'art. 311 c.p.». 
    Secondo il rimettente, il  riconoscimento  dell'attenuante  della
lieve entita' del fatto, oltre a determinare una diminuzione di pena,
implica «logicamente una valutazione di  minore  pericolosita'  degli
autori o almeno un'attenuazione della presunzione di  pericolosita'»,
tale da rendere ingiustificato un regime di maggior rigore  anche  in
punto di esecuzione penale. 
    Il Tribunale di sorveglianza di Firenze, in  definitiva,  ritiene
che l'art. 4-bis, comma 1,  ordin.  penit.  contrasti  con  l'art.  3
Cost., nella parte in cui parifica  irragionevolmente  un  condannato
per sequestro di persona a scopo di estorsione di «lieve entita'»  ai
condannati «di ben  superiore  pericolosita'  pur  nell'ambito  dello
stesso titolo di reato». 
    Sostiene, altresi', che la norma censurata violi l'art. 27 Cost.,
nella parte in cui preclude «al medesimo condannato»  l'accesso  alla
misura alternativa dell'affidamento in  prova  al  servizio  sociale,
«impedendo anziche' favorire  quel  progressivo  reinserimento  nella
societa'» che realizza lo scopo rieducativo della pena, pur a  fronte
di un gia' intervenuto risarcimento del danno. 
    2.2.- In punto di rilevanza,  il  rimettente  evidenzia  che  «in
astratto» ricorrerebbero gli altri presupposti per la concessione del
beneficio, quali la  pena  residua  «nella  soglia  di  legge»  e  la
presenza di ulteriori elementi  valutabili  in  fatto  (ivi  compreso
l'avvenuto integrale risarcimento del danno). Tuttavia, «di fronte al
titolo di reato commesso», rientrante tra quelli cosiddetti ostativi,
in assenza di collaborazione e in mancanza di alcuna prospettazione o
offerta di collaborazione, il detenuto non puo'  avere  accesso  alla
misura alternativa richiesta «e quindi l'istanza appare inammissibile
tout court, senza che possano  svilupparsi  ulteriori  considerazioni
nel merito». 
    3.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per la non fondatezza delle questioni sollevate. 
    L'interveniente ha ricordato che questioni analoghe,  per  quanto
riferite alla concessione dei permessi premio e non  dell'affidamento
in prova al servizio sociale, erano state sollevate  dalla  Corte  di
cassazione e che le stesse sono state dichiarate  non  fondate  dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 188 del 2019. 
    Secondo   l'Avvocatura   generale   dello   Stato,    la    Corte
costituzionale, nella pronuncia da ultimo  citata,  avrebbe  rilevato
come  la  disposizione  censurata  sia  stata  oggetto  di   numerose
modifiche, che,  anche  se  tra  loro  disomogenee,  sarebbero  tutte
ispirate all'esigenza di  collegare  l'inasprimento  del  trattamento
sanzionatorio all'allarme  sociale  «derivante  dal  puro  titolo  di
reato», in  base  a  valutazioni  rientranti  nella  discrezionalita'
legislativa. Inoltre, l'attenuante  della  lieve  entita'  del  fatto
commesso rileverebbe  «semmai  ai  fini  della  determinazione  della
misura della pena, ma non invece ai fini delle  modalita'  della  sua
espiazione». 
    Il  legislatore  avrebbe,  dunque,  esercitato  in  maniera   non
arbitraria il potere discrezionale  di  cui  dispone  in  materia  di
politica penitenziaria. 
    Neppure sarebbe  violato  l'art.  27  Cost.,  «essendovi  precise
ragioni nella differenziazione dei trattamenti penitenziari», tali da
non  ledere  alcun  principio  di  progressivita'  di  trattamento  e
flessibilita' della pena. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze  dubita   della
conformita' agli artt. 3 e 27  della  Costituzione  dell'art.  4-bis,
comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), «nella parte in cui non esclude dal novero dei reati
ivi ricompresi quello di cui all'art. 630 c.p., allorche'  sia  stata
riconosciuta l'attenuante del fatto di lieve entita', ai sensi  della
sentenza della Corte Costituzionale n° 68 del 23 marzo 2012». 
    2.- In punto di rilevanza delle questioni sollevate, il giudice a
quo riferisce di essere  investito  dell'istanza  di  affidamento  in
prova al servizio sociale da parte di  un  detenuto  in  possesso  di
tutti  i  requisiti  cui  ordinariamente  l'art.  47  ordin.   penit.
subordina la concessione della misura in questione. Osserva,  dunque,
che  l'unico  ostacolo  all'accoglimento  dell'istanza  consisterebbe
nell'inclusione  del  reato  di  sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione  tra  i  delitti  cosiddetti  ostativi,  secondo  l'elenco
contenuto nella disposizione censurata, anche nell'ipotesi in cui sia
stata riconosciuta l'attenuante del fatto di lieve entita'. Pertanto,
in assenza di collaborazione con la giustizia - «in effetti non [...]
prestata» (come pure riferisce il rimettente) - e in  mancanza  della
richiesta di accertamento della collaborazione cosiddetta impossibile
o inesigibile, il procedimento dovrebbe inevitabilmente chiudersi con
una dichiarazione di inammissibilita' dell'istanza. 
    2.1.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  collegio
rimettente prospetta una violazione degli artt. 3 e 27 Cost. 
    Sostiene, in particolare, che il reato di sequestro di persona  a
scopo  di  estorsione,  ove  sia  stata  riconosciuta   la   speciale
attenuante  della  lieve  entita'  del  fatto,  sarebbe   disomogeneo
rispetto  ai   «delitti   di   particolare   allarme   sociale»   che
giustificarono  l'introduzione  del  regime  di  particolare   rigore
contemplato  dall'art.  4-bis  ordin.  penit.  nella   sua   versione
originaria. 
    In quella versione figuravano i  «reati  associativi  piu'  gravi
(associazione di tipo mafioso e associazione finalizzata allo spaccio
di sostanze stupefacenti)» e quelli commessi «con finalita' o  metodo
mafioso» (oltre allo stesso reato di  cui  all'art.  630  cod.  pen.,
nella sua  forma  non  circostanziata),  tutti  contraddistinti  «dal
necessario  o  almeno  normale  inserimento  del  reo  in   compagini
criminose  di  gruppo  o  comunque   collegate   con   organizzazioni
criminali». Un tale  carattere,  a  parere  del  rimettente,  sarebbe
estraneo al reato di sequestro di persona  laddove  sia  riconosciuta
l'attenuante della lieve entita' del fatto.  In  presenza  di  questa
attenuante  non  si  giustificherebbe,  pertanto,   la   «presunzione
pressoche' assoluta  di  pericolosita'  sociale»:  infatti,  oltre  a
determinare  una  diminuzione  di  pena,   l'attenuante   in   parola
implicherebbe «logicamente una valutazione  di  minore  pericolosita'
degli  autori  o  almeno   un'attenuazione   della   presunzione   di
pericolosita'». 
    Contrasterebbe,  dunque,  con  l'art.  3  Cost.   l'irragionevole
parificazione fra il trattamento  del  condannato  per  sequestro  di
persona a scopo di estorsione di «lieve entita'»  e  quello  previsto
per soggetti «di ben superiore pericolosita'  pur  nell'ambito  dello
stesso titolo di reato». 
    La violazione dell'art. 27  Cost.,  invece,  sarebbe  conseguenza
dell'impedimento frapposto «al medesimo condannato» all'accesso  alla
misura alternativa dell'affidamento in prova,  che  ostacolerebbe  il
suo necessario «progressivo reinserimento nella societa'». 
    3.- Le questioni non sono fondate. 
    3.1.- Come ricorda l'Avvocatura generale dello Stato, le medesime
questioni, sollevate sulla base di censure del tutto sovrapponibili a
quelle odierne, sono state dichiarate non fondate con la sentenza  n.
188 del 2019, depositata  in  data  successiva  al  provvedimento  di
rimessione qui in esame. 
    Agli effetti del presente scrutinio  non  rileva  la  circostanza
che,  nel  giudizio  incidentale  gia'  definito,  fosse   presa   in
considerazione la preclusione concernente un permesso premio e non la
concessione di una  misura  alternativa  alla  detenzione,  richiesta
invece  nell'odierno  giudizio  principale.  Nella  prospettiva   del
rimettente,  infatti,  a  risultare  in  contrasto  con  i  parametri
costituzionali evocati e' l'inclusione -  tra  i  delitti  cosiddetti
ostativi  all'accesso  ai  benefici  penitenziari  -  del  reato   di
sequestro di persona a scopo di estorsione,  in  quanto  (e  solo  in
quanto) assistito dal riconoscimento  dell'attenuante  del  fatto  di
lieve entita'. In altre parole, il rimettente  richiama  l'attenzione
sulla qualita' del fatto ostativo, non  sulle  caratteristiche  della
misura preclusa. 
    Pur rilevando che le numerose modifiche intervenute  negli  anni,
rispetto al nucleo  della  disciplina  originaria,  hanno  variamente
ampliato  il  catalogo  dei  reati  ricompresi   nella   disposizione
censurata, in  virtu'  di  scelte  di  politica  criminale  tra  loro
disomogenee, la sentenza n. 188 del 2019 ha chiarito che «[a]l  tempo
presente,  l'unica  adeguata  definizione  della  disciplina  di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit. consiste nel sottolinearne la natura  di
disposizione  speciale,  di  carattere  restrittivo,   in   tema   di
concessione dei benefici  penitenziari  a  determinate  categorie  di
detenuti  o  internati,  che  si  presumono  socialmente   pericolosi
unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la  detenzione
o l'internamento sono stati disposti (sentenza n. 239 del 2014)». 
    Con valutazione che va oggi ribadita,  e'  stato  cosi'  ritenuto
«incongruo l'argomento del giudice a quo,  secondo  il  quale  se  la
fattispecie di reato e' assistita dall'attenuante di  lieve  entita',
essa dovrebbe essere, per cio' solo,  espunta  dal  catalogo  di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit., sul presupposto che  il  riconoscimento
di quella attenuante priverebbe di ogni validita', sul piano logico e
statistico,  la  presunzione  del  collegamento  del  condannato  con
organizzazioni criminali». 
    Come noto, la previsione di attenuanti, anche diverse  da  quelle
della lievita' del fatto,  consente  di  adeguare  la  pena  al  caso
concreto, ma non riguarda necessariamente  l'oggettiva  pericolosita'
del comportamento descritto dalla fattispecie astratta. 
    In ogni caso, anche la  concessione  dell'attenuante  considerata
dal rimettente e' rilevante ai soli fini della  determinazione  della
pena  proporzionata  al   caso   concreto,   mentre,   nella   logica
dell'attuale art. 4-bis, comma 1, ordin.  penit.,  essa  non  risulta
invece idonea a incidere, di  per  se'  sola,  sulla  coerenza  della
scelta  legislativa  di  ricollegare  al  sequestro   con   finalita'
estorsive un trattamento piu' rigoroso in fase di  esecuzione,  quale
che sia la misura della pena inflitta nella sentenza di condanna. 
    D'altra parte, gli elementi che  giustificano  il  riconoscimento
della piu' volte citata attenuante - natura, specie, mezzi, modalita'
o circostanze dell'azione, oppure particolare tenuita'  del  danno  o
del pericolo - non sono necessariamente in contraddizione, anche  sul
piano empirico, con l'adesione o la partecipazione del  condannato  a
pericolose organizzazioni criminali, stabili e strutturate. 
    Significativa, infine, e' la circostanza che, nell'elenco di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit., figurano, ab origine, i reati  commessi
con finalita' di terrorismo, tra  cui  il  reato  previsto  dall'art.
289-bis cod. pen. (Sequestro di persona a scopo di  terrorismo  o  di
eversione),   fattispecie   la   cui   invocazione   quale    tertium
comparationis ha determinato, con la  sentenza  n.  68  del  2012  di
questa  Corte,  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevede che  la  pena
da esso comminata e' diminuita  quando  il  fatto  risulta  di  lieve
entita'. 
    In sostanza, il reato di sequestro a scopo  di  terrorismo  e  di
eversione «"nasce" comprensivo dell'attenuante di  lieve  entita'  di
cui all'art. 311 cod. pen., riferita specificamente ai delitti contro
la personalita' dello Stato, per consentire al giudice di rendere  le
pertinenti previsioni sanzionatorie, tutte di  eccezionale  asprezza,
adeguate e proporzionate al reato commesso nel caso concreto. Ebbene,
se l'espressa e contestuale previsione dell'art.  311  cod.  pen.  in
riferimento al sequestro a scopo di terrorismo  o  eversione  non  ha
impedito l'inserimento del reato nell'elenco di  cui  all'art.  4-bis
ordin. penit., non si vede perche', ora, l'estensione dell'attenuante
della lieve entita' all'"omologo" reato  di  cui  all'art.  630  cod.
pen., conseguente alla sentenza n. 68 del 2012, dovrebbe  comportare,
per necessita' costituzionale,  l'espunzione  della  fattispecie  del
sequestro estorsivo, in tale specifico  caso,  dal  medesimo  elenco»
(sentenza n. 188 del 2019). 
    3.2.- Con sentenza n. 253 del  2019,  depositata  successivamente
all'ordinanza di rimessione qui considerata, l'art. 4-bis,  comma  1,
della legge n. 354 del 1975 e'  stato  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui, con riferimento  a  tutti  i  delitti
ricompresi  nella  disposizione  censurata,  non   prevede   che   ai
condannati per quei medesimi delitti possano essere concessi permessi
premio, anche in assenza di collaborazione con la giustizia  a  norma
dell'art. 58-ter della medesima legge  n.  354  del  1975,  allorche'
siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualita' di
collegamenti  con  la  criminalita'   organizzata,   terroristica   o
eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. 
    Tale pronuncia non  incide  sul  destino  delle  questioni  poste
dall'odierno  rimettente.  Quest'ultimo,  infatti,  non  contesta  la
compatibilita' costituzionale della preclusione assoluta  all'accesso
a taluni benefici penitenziari, disegnata dall'art. 4-bis,  comma  1,
ordin. penit. per il condannato che non collabori con  la  giustizia.
Censura  bensi',  come  visto,  l'inclusione  nell'elenco  dei  reati
ostativi di una singola fattispecie di  reato,  in  quanto  assistita
dall'attenuante della lieve entita' del fatto. 
    Si tratta  di  una  strategia  argomentativa  gia'  ritenuta  non
fondata (sentenza n. 188 del 2019), del tutto diversa da  quella  che
ha ispirato le questioni di legittimita'  costituzionale  accolte  da
questa Corte nella citata sentenza n. 253 del 2019. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della  liberta'),  sollevate,  in  riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale  di  sorveglianza
di Firenze, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA