N. 91 SENTENZA 7 aprile - 15 maggio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Norme della  Regione  Piemonte  -
  Accesso alle prestazioni erogate - Introduzione  di  un  indicatore
  sintetico  della  situazione  reddituale  ("Fattore  famiglia")   -
  Applicazione, tra le altre, alle prestazioni sanitarie, comprese le
  compartecipazioni  alla  spesa   -   Lamentata   violazione   della
  competenza esclusiva  statale  in  materia  di  determinazione  dei
  livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali in
  materia di coordinamento della finanza pubblica  -  Non  fondatezza
  delle questioni, nei sensi di cui in motivazione. 
Assistenza e solidarieta' sociale - Norme della  Regione  Piemonte  -
  Accesso alle  prestazioni  erogate  -  Indicatore  sintetico  della
  situazione reddituale  ("Fattore  famiglia")  -  Attribuzione  alla
  Giunta regionale della determinazione dei criteri e delle modalita'
  attuative  -  Lamentata  violazione  della  competenza  legislativa
  esclusiva  statale  in  materia  di  determinazione   dei   livelli
  essenziali delle prestazioni - Non fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Piemonte 9 aprile 2019, n. 16, artt.  3,  comma
  1, lettera a), e 4. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo. 
(GU n.21 del 20-5-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Augusto Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  comma
1, lettera a), e 4 della legge della Regione Piemonte 9 aprile  2019,
n. 16 (Istituzione del Fattore famiglia), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 10-14 giugno  2019,
depositato in cancelleria il 13 giugno 2019, iscritto al  n.  69  del
registro ricorsi 2019 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 31, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte; 
    udito il Giudice relatore Aldo Carosi nell'udienza del  7  aprile
2020, svolta, ai sensi del decreto della Presidente della  Corte  del
24 marzo 2020, punto 1), lettera  c),  senza  discussione  orale,  su
conforme istanza delle parti, pervenuta in data 30 marzo 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la notificazione il 10  giugno  2019,
ricevuto il successivo 14 giugno e  depositato  il  13  giugno  2019,
iscritto al n. 69 del  reg.  ricorsi  del  2019,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a),  della  legge  della
Regione Piemonte 9  aprile  2019,  n.  16  (Istituzione  del  Fattore
famiglia), in riferimento all'art. 117, commi secondo, lettera m),  e
terzo, della Costituzione - quest'ultimo  in  relazione  ai  principi
fondamentali in materia di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»
dettati dagli artt. 8, comma 15, della legge 24 dicembre 1993, n. 537
(Interventi correttivi di finanza  pubblica),  e  17,  comma  6,  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 15 luglio 2011, n. 111 - e dell'art.  4  della  medesima  legge
regionale in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),
Cost. 
    Il ricorrente espone che la Regione Piemonte, con l'art. 1  della
legge regionale in esame, ha istituito  il  Fattore  famiglia  «quale
specifico strumento integrativo per  la  determinazione  dell'accesso
alle prestazioni erogate dalla Regione e dai soggetti  aventi  titolo
negli ambiti di applicazione di cui all'art. 3». Esso e' definito, al
successivo art. 2, come «un  indicatore  sintetico  della  situazione
reddituale  e  patrimoniale  che  integra  ogni   altro   indicatore,
coefficiente  o  quoziente,  comunque  denominato,  negli  ambiti  di
applicazione di cui all'art. 3».  Il  menzionato  art.  3,  comma  1,
lettera a), a sua  volta,  prevede  che  il  Fattore  famiglia  trovi
applicazione, tra l'altro, nell'ambito delle «prestazioni  sociali  e
sanitarie, comprese  le  compartecipazioni  alla  spesa».  L'art.  4,
inoltre, disciplina i criteri e le modalita'  attuative  del  Fattore
famiglia. 
    1.1.-  L'art.  3,  comma  1,  lettera  a),  includendo,  con  una
formulazione generica e non chiara, tra gli  ambiti  di  applicazione
del Fattore famiglia, anche l'accesso alle prestazioni  di  carattere
sanitario, si porrebbe in contrasto con i parametri evocati. 
    Dopo aver premesso che l'accesso alle prestazioni sanitarie  deve
essere garantito a tutti gli assistiti, il Presidente  del  Consiglio
dei ministri richiama l'art. 8, comma 15,  della  legge  n.  537  del
1993, che stabilisce che tutti i cittadini sono soggetti al pagamento
delle prestazioni specialistiche ambulatoriali fino al tetto  massimo
di euro 36,15 per ricetta,  con  assunzione  a  carico  del  Servizio
sanitario nazionale degli importi eccedenti  tale  limite.  L'importo
dovuto  dall'assistito  a  titolo  di  compartecipazione   al   costo
(cosiddetto ticket) e' dunque determinato a livello nazionale. 
    Inoltre l'art. 17, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011,  convertito,
con modificazioni, nella legge n. 111  del  2011,  specifica  che,  a
decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione,
si applicano le disposizioni di cui all'art. 1, comma 796, lettere p)
e p-bis), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge finanziaria 2007)», in base al quale e' previsto,  per  i  non
esenti, il pagamento di un'ulteriore quota fissa sulla ricetta,  pari
a euro 10 (cosiddetto "super ticket"), ma e' altresi' consentito alle
Regioni di adottare misure alternative  che  assicurino  il  medesimo
gettito. Il principio generale ricavabile dalla richiamata  normativa
sarebbe dunque quello per cui le Regioni, seppure possono individuare
misure di partecipazione al costo delle prestazioni alternative  alla
quota fissa per ricetta, sarebbero comunque  tenute  a  garantire  il
medesimo gettito quantificato a livello nazionale. 
    La  norma  regionale  impugnata,  non  chiarendo  come  s'intenda
utilizzare  l'indicatore  Fattore  famiglia  nell'accesso   e   nelle
compartecipazioni alla spesa relativa alle prestazioni  di  carattere
sanitario,  si  porrebbe  quindi  in  contrasto  con  la   richiamata
normativa  nazionale  che,  come  dianzi  illustrato,  stabilisce  la
compartecipazione per l'assistenza specialistica ambulatoriale e  non
prevede la possibilita' di  rimodulazione  in  base  alla  situazione
economica dell'assistito. Peraltro, la  generica  formulazione  della
norma  non  consentirebbe  neppure  di  intenderla  nel   senso   che
l'utilizzo del Fattore famiglia sia destinato a operare limitatamente
all'ulteriore  quota  fissa  di  dieci  euro  sulla  ricetta  e  alle
eventuali quote di compartecipazione introdotte a  livello  regionale
che possono essere eventualmente rimodulate a seconda  della  diversa
situazione reddituale dell'assistito.  Al  contrario,  in  base  alla
norma regionale, l'applicazione dell'indicatore in questione potrebbe
incidere sul diritto all'esenzione garantito a livello nazionale  per
alcune categorie di  assistiti  e  potrebbe  costituire  un  ostacolo
all'accesso alle prestazioni sanitarie e sociosanitarie  incluse  nei
livelli essenziali di assistenza (LEA): donde la  dedotta  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    Al   riguardo,   il   ricorrente   richiama   la   giurisprudenza
costituzionale con la quale e' stato riconosciuto che  la  disciplina
in materia di ticket, determinando il costo  per  gli  assistiti  dei
relativi servizi sanitari,  non  costituisce  solo  un  principio  di
coordinamento della finanza pubblica diretto  al  contenimento  della
spesa sanitaria, ma incide anche sulla  quantita'  e  sulla  qualita'
delle prestazioni garantite e,  quindi,  sui  livelli  essenziali  di
assistenza.  La  misura  della  compartecipazione   dovrebbe   essere
omogenea su tutto  il  territorio  nazionale,  giacche'  non  sarebbe
ammissibile che  l'offerta  concreta  di  una  prestazione  sanitaria
rientrante nei LEA si presenti in modo diverso nelle  varie  Regioni,
considerato che di tale offerta fanno parte non solo  la  qualita'  e
quantita'  delle  prestazioni  che  devono  essere   assicurate   sul
territorio, ma anche  le  soglie  di  accesso,  dal  punto  di  vista
economico, dei cittadini alla loro fruizione  (sentenza  n.  203  del
2008). 
    1.2.- Anche l'art. 4 della legge reg. Piemonte  n.  16  del  2019
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera m),  Cost.,  perche'  i
criteri e le modalita' attuative del Fattore famiglia ivi indicati si
sovrapporrebbero a quelli previsti dalla normativa  statale  ai  fini
della  determinazione  dell'indicatore  della  situazione  economica,
incidendo sulla definizione dei livelli essenziali delle  prestazioni
assistenziali. 
    Ai sensi dell'art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 5 dicembre 2013, n. 159, recante «Regolamento concernente la
revisione delle modalita' di determinazione e i campi di applicazione
dell'Indicatore  della  situazione  economica  equivalente   (ISEE)»,
adottato in attuazione dell'art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011,
n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
nella  legge  22  dicembre  2011,  n.  214,   la   determinazione   e
l'applicazione dell'indicatore ai fini dell'accesso alle  prestazioni
sociali  agevolate  costituisce  difatti  livello  essenziale   delle
prestazioni  oggetto  di  riserva  di  legislazione  statale.   Detto
regolamento prevede altresi', all'art.  2,  comma  1,  che  gli  enti
erogatori possano prevedere «accanto all'ISEE, criteri  ulteriori  di
selezione volti ad identificare  specifiche  platee  di  beneficiari,
tenuto  conto  delle  disposizioni  regionali  in  materia  e   delle
attribuzioni regionali in  tema  di  servizi  sociali»,  e  che  tali
ulteriori criteri possano essere fissati «[i]n relazione a  tipologie
di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non
diversamente  disciplinato  in  sede  di  definizione   dei   livelli
essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni».  Infine,
e' comunque «fatta salva la valutazione  della  condizione  economica
complessiva attraverso l'ISEE». 
    Cio' premesso, dal confronto fra l'impugnato art. 4  della  legge
reg. Piemonte n. 16 del 2019 e il menzionato d.P.C.m. emergerebbe che
i criteri di selezione stabiliti dall'art.  4  stesso  per  l'accesso
alle prestazioni sociali agevolate, individuate dal  precedente  art.
3, si sovrappongono a quelli previsti nel regolamento. 
    La norma regionale, pertanto, non prevedendo criteri di selezione
ulteriori, rispetto a  quelli  individuati  a  livello  statale,  che
identifichino specifiche platee di beneficiari di prestazioni che per
la  loro  natura  rendano  necessario   fissare   siffatti   criteri,
invaderebbe la materia riservata alla legislazione statale  dall'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    2.-  Si  e'  costituita  la  Regione  Piemonte,  in  persona  del
Presidente pro tempore, chiedendo che le questioni  siano  dichiarate
non fondate. 
    Il censurato art. 3,  comma  1,  lettera  a),  della  legge  reg.
Piemonte n. 16 del 2019 opererebbe, come enunciato nell'art. 1  della
medesima legge, nel rispetto della normativa  nazionale  e  regionale
vigente in materia.  Esso  costituirebbe  difatti  espressione  della
facolta' prevista dall'art. 1, comma 796, lettera p-bis), della legge
n. 296 del 2006, prevedendo per i cittadini non esenti un  cosiddetto
"super ticket" modulato in maniera progressiva in rapporto al  valore
della ricetta, secondo quanto previsto dalla  delibera  della  Giunta
della Regione Piemonte 29 luglio 2011, n. 11-2490  (Legge  15  luglio
2011, n. 111 "Conversione in legge, con  modificazioni,  del  decreto
legge 6 luglio 2011,  n.  98  recante  disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria" - attuazione articolo 17,  comma  6,  in
materia  di  compartecipazione  alla  spesa  sanitaria).  La   misura
integrativa  in  esame  opererebbe   dunque   solo   in   riferimento
all'importo aggiuntivo  di  competenza  regionale  gia'  disciplinato
dalla citata delibera. 
    Anche le censure inerenti all'art.  4  sarebbero  infondate,  dal
momento  che  la  menzionata  disposizione   attribuisce   all'organo
esecutivo della Regione,  in  conformita'  a  quanto  chiarito  dalla
giurisprudenza amministrativa in materia (e' citata la  sentenza  del
Consiglio di Stato, sezione quarta, 29 febbraio 2016, n. 838, che  ha
confermato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per  il
Lazio, sezione prima, 11  febbraio  2015,  n.  2458),  il  potere  di
dettare  solo  agevolazioni  di  carattere  "integrativo"  di  quelle
statali e di enucleare indici  di  selezione  volti  ad  identificare
specifiche   platee   di   beneficiari   che   si   aggiungono,   non
sovrapponendosi, a quelli gia' previsti dalla normativa statale. 
    I contenuti della disposizione  regionale  impugnata  -  peraltro
pressoche' identici a quanto stabilito dall'art. 3 della legge  della
Regione Lombardia 27 marzo 2017, n.  10  (Norme  integrative  per  la
valutazione della posizione economica equivalente  delle  famiglie  -
Istituzione del fattore  famiglia  lombardo),  non  impugnato  -  non
sarebbero dunque sovrapponibili a quelli  statali  corrispondenti  e,
pertanto,  non  invaderebbero  la  competenza  esclusiva  statale  in
materia di determinazione di  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e  sociali  (art.  117,  secondo  comma,
lettera m, Cost.). 
    3.- In prossimita' dell'udienza, entrambe le parti hanno  chiesto
la decisione allo stato degli atti, ai sensi del punto 1, lettera c),
del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 24  marzo
2020 (Ulteriori misure  per  garantire  la  continuita'  dei  giudizi
costituzionali durante l'emergenza COVID-19). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Piemonte  9  aprile
2019, n.  16  (Istituzione  del  Fattore  famiglia),  in  riferimento
all'art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, della  Costituzione
- quest'ultimo in relazione ai principi fondamentali  in  materia  di
«coordinamento della finanza pubblica» dettati dagli artt.  8,  comma
15, della legge 24 dicembre 1993, n. 537  (Interventi  correttivi  di
finanza pubblica), e 17, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98  (Disposizioni  urgenti  per  la   stabilizzazione   finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111 - e
dell'art. 4 della medesima legge regionale  in  riferimento  all'art.
117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    1.1.- La legge regionale in esame e'  finalizzata  a  introdurre,
per la determinazione dell'accesso  alle  prestazioni  erogate  dalla
Regione Piemonte, un  nuovo  indicatore  sintetico  della  situazione
reddituale, denominato «Fattore famiglia», integrativo di ogni altro,
il quale, rappresentando le condizioni economiche  reali  dei  nuclei
familiari, favorisce quelli con carichi maggiori,  in  considerazione
del numero di figli minorenni, di disabili non autosufficienti  o  di
anziani. 
    In particolare, l'art. 3 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2019
elenca gli ambiti di applicazione del Fattore  famiglia:  prestazioni
sociali  e  sanitarie,  comprese  le  compartecipazioni  alla  spesa,
servizi  socio-assistenziali,  misure  di  sostegno   per   l'accesso
all'abitazione  principale,  servizi  scolastici,  di  istruzione   e
formazione, anche universitari, comprese le erogazioni di  fondi  per
il sostegno al  reddito  e  per  la  libera  scelta  educativa  e  il
trasporto pubblico  locale.  Viene  inoltre  attribuita  alla  Giunta
regionale la facolta' di estenderne l'uso a ulteriori ambiti. 
    L'art. 4 della  medesima  legge  regionale  affida  alla  Giunta,
previo  parere  dell'Osservatorio  per   l'attuazione   del   Fattore
famiglia, di cui al successivo  art.  5,  e  sentite  le  commissioni
consiliari  competenti,  la  determinazione  dei  criteri   e   delle
modalita' attuative del Fattore famiglia e ne prevede l'aggiornamento
triennale.  La   Giunta   regionale,   peraltro,   provvedera'   alla
definizione di specifiche agevolazioni integrative di quelle previste
dalla normativa statale e all'introduzione di elementi  di  priorita'
per  le  famiglie  che  hanno  in  essere  un  mutuo  per  l'acquisto
dell'abitazione principale, per la presenza di persone  anziane,  non
autosufficienti  o  diversamente  abili,  nonche'  per  le  madri  in
accertato stato di gravidanza. L'accesso ai benefici  previsti  dalla
legge regionale e' comunque riservato ai nuclei familiari che abbiano
adempiuto al pagamento delle imposte regionali. 
    Inoltre, il successivo art. 7 ha  previsto  l'istituzione  di  un
fondo specifico, denominato anch'esso «Fattore famiglia»,  alimentato
da risorse regionali, a cui possono accedere le  amministrazioni  per
compensare  le  maggiori  spese  derivanti   dall'ampliamento   delle
agevolazioni sui costi dei servizi. 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l'art. 3, comma
1, lettera a), della legge reg. Piemonte n. 16 del 2019 -  il  quale,
come in precedenza illustrato, prevede che il Fattore famiglia  trovi
applicazione,  tra  l'altro,  nell'ambito  delle  «prestazioni  [...]
sanitarie, comprese le compartecipazioni  alla  spesa»  -  violerebbe
l'art. 117, secondo comma,  lettera  m),  e  terzo  comma,  Cost.,  -
quest'ultimo in relazione ai  principi  fondamentali  in  materia  di
«coordinamento della finanza pubblica» dettati dall'art. 8, comma 15,
della legge n. 537 del 1993 e dall'art. 17, comma 6, del d.l.  n.  98
del 2011, come convertito - in quanto, non chiarendo come si  intenda
utilizzare  l'indicatore  in  considerazione  nell'accesso  e   nelle
compartecipazioni alla spesa relativa alle prestazioni  di  carattere
sanitario, si porrebbe  in  contrasto  con  la  richiamata  normativa
nazionale che stabilisce la quota a carico dell'assistito della spesa
per l'assistenza  specialistica  ambulatoriale  e  non  contempla  la
possibilita' di rimodulazione in base alla sua situazione economica. 
    Anche l'art. 4 della medesima legge regionale - il quale  demanda
alla Giunta regionale, attraverso la  determinazione  dei  criteri  e
delle modalita' attuative del Fattore famiglia,  la  «definizione  di
specifiche  agevolazioni  integrative  di   quelle   previste   dalla
normativa statale» -  sarebbe  lesivo  della  competenza  legislativa
esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali  che  devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117,  secondo
comma,  lettera   m,   Cost.),   perche'   si   sovrapporrebbe   alla
regolamentazione statale  nella  determinazione  e  nell'applicazione
dell'indicatore   della   situazione   economica   (ISEE)   ai   fini
dell'accesso alle prestazioni sociali agevolate. 
    2.- In via preliminare, e' opportuno  ricostruire  brevemente  il
quadro normativo statale e gli indirizzi giurisprudenziali di  questa
Corte riguardanti le modalita' di accesso e di  compartecipazione  al
costo delle prestazioni sanitarie (cosiddetto ticket). 
    L'art. 8 della legge n. 537 del  1993  pone  il  principio  della
compartecipazione alla spesa sanitaria per i farmaci (comma 14) e per
le prestazioni (comma 15) da parte dei cittadini. In particolare,  al
comma 15 dispone che «[t]utti i cittadini sono soggetti al  pagamento
delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e delle
altre prestazioni specialistiche,  ivi  comprese  le  prestazioni  di
fisiokinesiterapia e le cure termali,  fino  all'importo  massimo  di
lire 70.000  per  ricetta,  con  assunzione  a  carico  del  Servizio
sanitario  nazionale  degli  importi  eccedenti  tale   limite».   Al
successivo comma  16,  il  citato  art.  8  indica  le  categorie  di
cittadini  esentate  per  patologia  o  per  appartenenza  a   nuclei
familiari con determinati livelli di reddito complessivo. 
    Inoltre, l'art. 1, comma 796, lettera p), della legge 27 dicembre
2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), ha  introdotto  il
ticket di dieci euro per le prestazioni di  assistenza  specialistica
ambulatoriale  per  gli  assistiti  non  esentati  e  il  ticket   di
venticinque euro per le  prestazioni  erogate  in  regime  di  pronto
soccorso ospedaliero non seguite da ricovero. La lettera  p-bis)  del
medesimo comma 796 - introdotta dall'art. 6-quater del  decreto-legge
28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative e disposizioni diverse), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 26 febbraio 2007, n. 17 - ha consentito alle Regioni  che
non intendessero applicare il ticket di dieci euro per le prestazioni
di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui  al  primo  periodo
della lettera p), di ricorrere a misure alternative di partecipazione
al costo delle prestazioni sanitarie. Misure che, precisa tuttavia la
norma, devono essere  «subordinat[e]  alla  certificazione  del  loro
effetto  di   equivalenza   per   il   mantenimento   dell'equilibrio
economico-finanziario e  per  il  controllo  dell'appropriatezza»  da
parte di un apposito tavolo tecnico: la possibilita' per  le  Regioni
di introdurre le misure in parola e' quindi condizionata al requisito
dell'equivalenza  tra  il  gettito  da  esse   derivante   e   quello
conseguente  all'applicazione  del  criterio  dettato   dalla   norma
statale. 
    Successivamente, l'art. 61, comma 19, del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6 agosto  2008,  n.  133,  ha  abolito  il
ticket di dieci euro per le prestazioni di  assistenza  specialistica
ambulatoriale per il triennio 2009-2011. Il  comma  21  del  medesimo
articolo ha lasciato,  comunque,  alle  Regioni  la  possibilita'  di
continuare ad applicarlo «in misura integrale o ridotta». 
    L'art.  17,  comma  6,  del  d.l.  n.  98  del  2011  -   evocato
nell'odierno giudizio come parametro interposto -  ha  stabilito  che
«[a] decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto si applicano le disposizioni di  cui
all'articolo 1, comma 796,  lettere  p)  e  p-bis),  della  legge  27
dicembre 2006, n. 296, e cessano di avere effetto le disposizioni  di
cui all'articolo 61, comma 19, del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, nella legge  6  agosto  2008,  n.
133». Ha dunque ripristinato l'efficacia della disciplina del  ticket
introdotta nel 2006 e poi temporaneamente «abolita». 
    Dopo la proposizione del  ricorso  e'  intervenuta  la  legge  27
dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il  triennio  2020-2022),
che, all'art. 1, comma 446, a decorrere dal  1°  settembre  2020,  ha
nuovamente abolito la quota di  compartecipazione  al  costo  per  le
prestazioni  di  assistenza  specialistica   ambulatoriale,   facendo
cessare,  a  decorrere  dalla  stessa  data,  le  misure  alternative
adottate dalle Regioni ai sensi della  lettera  p-bis)  del  medesimo
comma 796. 
    Sino al 31 agosto 2020, dunque, l'art. 1, comma 796, lettere p) e
p-bis), della legge n. 296 del 2006, richiamato  nell'ultimo  periodo
dell'art 17, comma  6,  del  d.l.  n.  98  del  2011,  evocato  quale
parametro interposto, continuera' a produrre effetti sulla disciplina
del  ticket  e  delle  misure  alternative  che  le  Regioni  possono
adottare. 
    2.1.- Dalla disamina delle disposizioni fondamentali  in  materia
emerge un sistema articolato, finalizzato a  determinare  il  livello
complessivo delle risorse del  Servizio  sanitario  nazionale  (SSN).
Detto fabbisogno  sanitario  nella  sua  componente  "indistinta"  e'
finanziato da  plurime  fonti:  entrate  proprie  delle  aziende  del
Servizio   sanitario   nazionale   (ticket   e    ricavi    derivanti
dall'attivita'  intramoenia  dei   propri   dipendenti);   fiscalita'
generale delle Regioni (imposta regionale sulle attivita'  produttive
- IRAP, nella componente di gettito destinata al finanziamento  della
sanita',  e  addizionale  regionale  all'imposta  sul  reddito  delle
persone fisiche - IRPEF); compartecipazione delle Regioni  a  statuto
speciale  e  delle  Province  autonome  di  Trento  e   di   Bolzano;
compartecipazione della Regione Siciliana, per la quale l'aliquota e'
ancora in corso di definizione (sul punto sentenza n. 62  del  2020).
Il bilancio dello Stato finanzia il fabbisogno sanitario non  coperto
dalle altre  fonti  di  finanziamento  essenzialmente  attraverso  la
compartecipazione all'imposta sul valore aggiunto  -  IVA  (destinata
alle Regioni a statuto  ordinario)  e  le  accise  sui  carburanti  e
attraverso il Fondo sanitario nazionale (una quota e' destinata  alla
Regione Siciliana, mentre il resto  complessivamente  finanzia  anche
altre spese sanitarie vincolate a determinati obiettivi). 
    La composizione del finanziamento  del  SSN  e'  evidenziata  nei
cosiddetti riparti (assegnazione del fabbisogno alle singole  Regioni
e individuazione delle fonti di finanziamento) proposti dal Ministero
della salute, sui quali si raggiunge un'intesa in sede di  Conferenza
Stato-Regioni e che  sono  poi  recepiti  con  propria  delibera  dal
Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE). 
    Le Regioni assegnano, in base a diversi  parametri  (sentenza  n.
169 del 2017), le risorse finanziarie alle aziende sanitarie  locali,
che le  impiegano  per  garantire  ai  cittadini  l'erogazione  delle
prestazioni di loro competenza. 
    Infine, l'art. 20 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n.  118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42), in materia di trasparenza dei conti  sanitari  e  finalizzazione
delle  risorse  al  finanziamento  dei   singoli   servizi   sanitari
regionali, detta disposizioni volte a  garantire  l'effettivita'  del
sistema di finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA). 
    In tale contesto e' fondamentale la determinazione e il  costante
aggiornamento  in  termini   finanziari   delle   risorse   vincolate
all'erogazione dei LEA in favore di tutti coloro che si  trovano  sul
territorio delle diverse Regioni. 
    3.- Tanto premesso, la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, comma 1, lettera a), della legge reg. Piemonte n. 16 del
2019 non e' fondata nei termini appresso precisati. 
    La disposizione impugnata prevede che  «1.  Il  Fattore  famiglia
trova  applicazione,  tenendo  conto  delle  diverse   modalita'   di
erogazione delle prestazioni, nei  seguenti  ambiti:  a)  prestazioni
sociali e sanitarie, comprese le  compartecipazioni  alla  spesa;  b)
servizi socio-assistenziali; c)  misure  di  sostegno  per  l'accesso
all'abitazione principale; d) servizi  scolastici,  di  istruzione  e
formazione, anche universitari, comprese le erogazioni di  fondi  per
il sostegno al reddito e per la libera scelta educativa; e) trasporto
pubblico locale». 
    Essa colliderebbe con i parametri evocati ove fosse  interpretata
nel  senso  che  l'applicazione  del  Fattore   famiglia   alteri   -
incrementandolo o  riducendolo  -  l'indefettibile  assetto  unitario
delle compartecipazioni dirette degli utenti fissate dalla  normativa
statale  precedentemente  richiamata.  L'indefettibilita'   di   tale
livellamento della compartecipazione, se da un lato e'  riconducibile
al   principio    di    coordinamento    della    finanza    pubblica
nell'acquisizione delle  risorse  necessarie  alla  spesa  sanitaria,
dall'altro incide «anche  sulla  quantita'  e  sulla  qualita'  delle
prestazioni  garantite  e,  quindi,   sui   livelli   essenziali   di
assistenza» (sentenza n. 187 del 2012). 
    Proprio nell'ottica bidirezionale del principio di eguaglianza  e
della  previa  programmazione  della  spesa   socio-sanitaria   vanno
inquadrate le affermazioni di questa Corte secondo cui, dove sono  in
gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti,  e'
indispensabile superare la prospettiva del  puro  contenimento  della
spesa pubblica, per assicurare la certezza del  diritto  ed  il  buon
andamento delle pubbliche amministrazioni e,  dove  e'  in  gioco  la
garanzia di assicurare l'uniformita' delle prestazioni che  rientrano
nei  livelli  essenziali  di  assistenza  (LEA),  spetta  allo  Stato
determinare la ripartizione dei costi relativi a tali prestazioni tra
il Servizio sanitario  nazionale  e  gli  assistiti,  sia  prevedendo
specifici casi di esenzione a  favore  di  determinate  categorie  di
soggetti, sia stabilendo soglie di compartecipazione ai costi, uguali
in tutto il territorio nazionale (sentenza n. 203 del  2008;  in  tal
senso anche sentenza n. 187 del 2012). 
    Ferma  restando,  dunque,   l'intangibilita'   delle   quote   di
compartecipazione come fissate dalla normativa statale,  e'  tuttavia
possibile interpretare tale disposizione in  modo  costituzionalmente
orientato, nel senso che l'art. 1 della legge  impugnata,  istituendo
«il Fattore famiglia quale specifico  strumento  integrativo  per  la
determinazione dell'accesso alle prestazioni erogate dalla Regione  e
dai soggetti aventi  titolo  negli  ambiti  di  applicazione  di  cui
all'articolo 3»,  non  comporta  alcuna  integrazione  normativa  del
regime delle compartecipazioni  alle  spese  socio-sanitarie  di  cui
all'art. 3, comma 1, lettera  a),  come  fissato  dalla  legislazione
statale, riguardando unicamente la possibilita' di modulare  i  costi
individuali relativi alle altre tipologie di prestazioni per le quali
non  opera  il  criterio  di   uniformita'   sull'intero   territorio
nazionale. 
    Cio' anche in considerazione della ratio della legge, che  appare
ispirata a un intervento  d'insieme,  per  favorire  l'accesso  e  la
fruizione delle prestazioni in relazione alla situazione  complessiva
della famiglia. 
    Cosi' interpretata, la disposizione in esame non  comporta  alcun
effetto diretto neanche  sulla  programmazione  finanziaria  e  sulla
stima  degli  oneri  afferenti  alle  spese  socio-sanitarie  e,   in
particolare,   alla   spesa   per   garantire   quantitativamente   e
qualitativamente i livelli essenziali di assistenza. 
    4.- Anche la  seconda  questione,  proposta  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri nei confronti dell'art.  4  della  legge  reg.
Piemonte n. 16 del 2019, non e' fondata. 
    La norma impugnata regola la determinazione dei criteri  e  delle
modalita' attuative del Fattore famiglia piemontese, stabilendo  che,
sulla base  del  numero  dei  componenti  del  nucleo  familiare,  si
provvede «alla definizione di specifiche agevolazioni integrative  di
quelle previste dalla normativa statale»,  tenendo  conto  di  alcuni
criteri  di  selezione  gia'  considerati  anche  dalla  legislazione
statale nella determinazione dell'ISEE. 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto si
sovrapporrebbe alla  regolamentazione  statale  nella  determinazione
dell'indicatore della situazione economica. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare  che  l'art.  5  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n.  214,
affida al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  il  compito  di
determinare con proprio decreto  quei  peculiari  livelli  essenziali
afferenti a prestazioni o servizi sociali o assistenziali, effettuati
a richiesta dell'interessato (sentenza n. 297 del 2012). 
    In attuazione dell'art. 5 del d.l.  n.  201  del  2011  e'  stato
emanato il decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  5
dicembre 2013, n. 159, recante «Regolamento concernente la  revisione
delle  modalita'  di  determinazione  e  i  campi   di   applicazione
dell'Indicatore della situazione economica  equivalente  (ISEE)»,  il
cui art. 2 prevede e "fa salve" le competenze regionali in materia di
formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali. 
    In sostanza il d.P.C.m. identifica gli  «standard  strutturali  e
qualitativi delle prestazioni, da garantire agli  aventi  diritto  su
tutto   il   territorio   nazionale   in   quanto   concernenti    il
soddisfacimento di diritti civili  e  sociali  [...]  tutelati  dalla
Costituzione» (sentenza  n.  387  del  2007),  lasciando  ampi  spazi
normativi alle Regioni nel campo delle politiche sociali. 
    Secondo l'orientamento di questa Corte, la competenza statale  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. -  alla  quale  e'
stata  ricondotta  la  normativa  dell'ISEE  per  la  concessione  di
agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con  destinazione  dei
relativi risparmi a  favore  delle  famiglie  -  non  attiene  a  una
"materia" in senso stretto, ma costituisce una competenza esclusiva e
"trasversale", idonea a investire una pluralita' di materie (sentenze
n. 203 del 2012, n. 232 del 2011, n. 10 del 2010, n. 322 del 2009, n.
168 e n. 50 del 2008, n. 162 e n. 94 del 2007 e n. 282 del 2002);  in
particolare,  «la  determinazione  dell'ISEE,  delle   tipologie   di
prestazioni  agevolate,  delle  soglie  reddituali  di  accesso  alle
prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo  sulla
competenza residuale regionale in materia  di  "servizi  sociali"  e,
almeno potenzialmente, sulle  finanze  della  Regione,  che  sopporta
l'onere economico di tali servizi» (sentenza n. 297 del 2012). 
    In sostanza la norma regionale impugnata  non  e'  altro  che  la
necessaria  proiezione  nel  programma  e  nel   bilancio   dell'ente
territoriale delle modalita' e dei costi di erogazione  dei  servizi.
Sono infatti presenti in essa specifiche prescrizioni  inerenti,  tra
l'altro,  ai  criteri  e  alle  «modalita'  attuative   del   Fattore
famiglia»,  alle  «specifiche  agevolazioni  integrative  di   quelle
previste dalla normativa statale», all'introduzione di  «elementi  di
priorita'» per determinate famiglie. 
    Tali  elementi  sono  evidentemente   funzionali   a   operazioni
consustanziali  al  buon  andamento  dell'amministrazione,  quali  la
programmazione  degli  interventi  sociali  e  la  quantificazione  e
copertura dei relativi oneri. 
    L'applicazione   delle   metodologie   ISEE,   ascrivibili   alla
competenza  esclusiva  statale,  lascia  nel   settore   disciplinato
dall'art. 4 ampie prerogative alla Regione. Infatti, l'art. 2,  comma
1, del d.P.C.m. n. 159 del  2013  prescrive  che  «[i]n  relazione  a
tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario
e ove non  diversamente  disciplinato  in  sede  di  definizione  dei
livelli essenziali relativi alle medesime tipologie  di  prestazioni,
gli enti  erogatori  possono  prevedere,  accanto  all'ISEE,  criteri
ulteriori di selezione volti ad  identificare  specifiche  platee  di
beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in  materia  e
delle  attribuzioni  regionali  specificamente  dettate  in  tema  di
servizi  sociali  e  socio-sanitari.  E'  comunque  fatta  salva   la
valutazione  della  condizione  economica  complessiva   del   nucleo
familiare attraverso l'ISEE». Da cio' consegue che con l'art. 4 della
legge reg. Piemonte n. 16 del 2019 l'ente territoriale non  fa  altro
che esercitare una competenza legislativa di tipo residuale. 
    Infatti,  la  determinazione   dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni,  attraverso  l'esercizio  della  competenza  legislativa
esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.,  non
comporta la regolazione dell'intera disciplina delle materie cui essa
possa di fatto accedere,  e  dunque  non  esclude,  come  piu'  volte
sottolineato da questa Corte anche successivamente alla modifica  del
Titolo V della Costituzione, che le Regioni e gli enti locali possano
garantire, nell'ambito delle proprie competenze, livelli ulteriori di
tutela. Dunque l'ascrivibilita' della  disposizione  impugnata  anche
alla  materia  regionale  residuale   "servizi   sociali"   legittima
l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale.  Se,   difatti,
l'azione trasversale della normativa statale individua, ai sensi  del
parametro evocato, la prestazione essenziale da assicurare  su  tutto
il territorio dello Stato, oltre tale limite si riespande la generale
competenza  della  Regione  sulla  materia,  residuale,  oggetto   di
disciplina (sentenza n. 222 del 2013). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,
lettera a), della legge della Regione Piemonte 9 aprile 2019,  n.  16
(Istituzione del Fattore famiglia), promossa, in riferimento all'art.
117, commi  secondo,  lettera  m),  e  terzo,  della  Costituzione  -
quest'ultimo in relazione  all'art.  8,  comma  15,  della  legge  24
dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),  e
all'art. 17,  comma  6,  del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n.  111  -
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4 della medesima legge reg. Piemonte  n.  16
del 2019, promossa,  in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera m), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con  il
ricorso in epigrafe. 
    Cosi deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA