N. 120 SENTENZA 6 maggio - 23 giugno 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse - Imposta sulle successioni e donazioni  -  Esenzione
  per i trasferimenti di aziende o rami di esse, di quote  sociali  e
  di azioni - Beneficiari - Discendenti del dante causa -  Inclusione
  del  coniuge  -  Omessa  previsione  -  Denunciata  violazione  dei
  principi di uguaglianza e di tutela della famiglia - Non fondatezza
  delle questioni. 
- Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, art. 3, comma 4-ter. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 29. 
(GU n.26 del 24-6-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-ter
(recte: dell'art. 3, comma 4-ter) del decreto legislativo 31  ottobre
1990,  n.  346  (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), come introdotto
dall'art. 1, comma 78, lettera a), della legge 27 dicembre  2006,  n.
296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge  finanziaria  2007)»,  promosso  dalla
Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna nel procedimento
vertente tra l'Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Parma e
N. B. e altri, con ordinanza del 1° febbraio 2019, iscritta al n. 125
del registro ordinanze 2019 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice relatore Luca Antonini nella camera di consiglio
del 6 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della
Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 1° febbraio 2019, la  Commissione
tributaria  regionale  (CTR)  dell'Emilia-Romagna  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3,  primo  comma,  e  29  della  Costituzione,
questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-ter  (recte:
dell'art. 3, comma 4-ter) del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.
346 (Approvazione del  testo  unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta sulle successioni e donazioni), come  introdotto  dall'art.
1, comma 78, lettera a),  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui
non include tra i trasferimenti di aziende o rami di esse,  di  quote
sociali  e  di  azioni  che  non  sono  soggetti  all'imposta   sulle
successioni e donazioni anche quelli a favore del coniuge  del  dante
causa. 
    La disposizione censurata, nella formulazione applicabile ratione
temporis  nel   giudizio   principale,   prevedeva   che:   a)   «[i]
trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di  famiglia  di  cui
agli articoli 768-bis e seguenti  del  codice  civile  a  favore  dei
discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di  azioni
non sono soggetti all'imposta» (primo  periodo);  b)  «[i]n  caso  di
quote sociali e azioni di soggetti di cui all'articolo 73,  comma  1,
lettera a), del testo unico delle imposte  sui  redditi,  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,  il
beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le  quali
e' acquisito o integrato il controllo ai  sensi  dell'articolo  2359,
primo comma, numero 1), del  codice  civile»  (secondo  periodo);  c)
«[i]l  beneficio  si  applica  a  condizione  che  gli  aventi  causa
proseguano  l'esercizio  dell'attivita'  d'impresa  o  detengano   il
controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla  data  del
trasferimento, rendendo,  contestualmente  alla  presentazione  della
dichiarazione  di  successione  o  all'atto  di  donazione,  apposita
dichiarazione  in  tal  senso»  (terzo  periodo);  d)  «[i]l  mancato
rispetto della condizione di cui al periodo  precedente  comporta  la
decadenza  dal  beneficio,  il  pagamento  dell'imposta   in   misura
ordinaria, della sanzione amministrativa  prevista  dall'articolo  13
del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e  degli  interessi
di mora decorrenti dalla  data  in  cui  l'imposta  medesima  avrebbe
dovuto essere pagata» (ultimo periodo). 
    2.- Le questioni sono sorte nell'ambito di un giudizio  che  trae
origine dai ricorsi, successivamente riuniti,  proposti  avverso  due
avvisi di accertamento  e  liquidazione  della  maggiore  imposta  di
successione  dovuta  sulla  scorta   della   presentazione   di   una
dichiarazione  di  successione  con  richiesta  di  applicazione  del
beneficio previsto dalla norma denunciata. 
    Secondo quanto riferito dal rimettente, gli avvisi impugnati sono
stati emessi con riguardo all'azienda compresa nell'asse  ereditario.
L'Agenzia  delle  entrate,  poiche'  il  coniuge   beneficiario   del
trasferimento  non  poteva  godere  dell'esenzione  introdotta  dalla
disposizione censurata, ha liquidato l'imposta  nei  suoi  confronti,
notificando  il  provvedimento  impositivo  anche  ai  coeredi  quali
obbligati in solido. 
    Accolti i ricorsi in primo  grado,  l'Agenzia  delle  entrate  ha
interposto appello, dolendosi dell'errore di diritto del  giudice  di
prime cure, che aveva esteso al coniuge  l'esenzione  benche'  questa
fosse prevista dall'art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. n. 346  del  1990
esclusivamente in caso di trasferimento a favore dei discendenti. 
    3.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva, da un  lato,
che l'esenzione oggetto dell'odierno scrutinio riguarda unicamente  i
trasferimenti a favore dei discendenti del dante  causa;  dall'altro,
che il sopravvenuto art. 1, comma 31, della legge 24  dicembre  2007,
n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)»  -  il  quale  ha
interpolato la norma censurata includendo nel novero dei  beneficiari
dell'agevolazione anche il coniuge -, e'  entrato  in  vigore  il  1°
gennaio 2008 e, non avendo natura retroattiva, non e' applicabile nel
processo principale, concernente una successione aperta nel 2007. 
    3.1.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTR ritiene  che
l'art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. n. 346 del 1990  rechi  un  vulnus,
innanzitutto,  all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  al
principio di eguaglianza. 
    L'omessa inclusione del coniuge del dante causa tra i beneficiari
dei trasferimenti che non sono soggetti all'imposta di successione  e
donazione si tradurrebbe, infatti, in un'irragionevole disparita'  di
trattamento. 
    In particolare, il giudice a quo, nel  richiamare  l'orientamento
di  questa  Corte  secondo  cui  l'ambito   di   applicazione   delle
disposizioni di agevolazione fiscale non puo' essere  esteso  se  non
quando lo esiga la ratio dell'agevolazione stessa,  ritiene  che  nel
caso di specie ricorra proprio tale ipotesi. 
    In questa prospettiva, sostiene che la suddetta esenzione sarebbe
preordinata ad assicurare la «continuita'  familiare  della  gestione
aziendale», della quale la continuita' «generazionale»  costituirebbe
una specificazione. 
    Di conseguenza, a parere del rimettente, non sarebbe  ravvisabile
una giustificazione ragionevole del diverso regime fiscale  riservato
al destinatario del trasferimento a seconda che questo sia il coniuge
o il  discendente  del  dante  causa,  giacche'  in  ambedue  i  casi
ricorrerebbe la stessa esigenza di mantenere il  complesso  aziendale
«all'interno dell'ambito familiare». 
    3.1.1.-  Alla  luce  di  siffatte  considerazioni,   risulterebbe
violato,  secondo  la  CTR,  anche  l'art.  29   Cost.,   in   quanto
l'esclusione     del     coniuge     dall'agevolazione     tributaria
comprometterebbe la «tutela del nucleo familiare». 
    3.1.2.- A sostegno delle dedotte violazioni,  il  giudice  a  quo
argomenta, infine, osservando che la materia successoria conoscerebbe
altri «esempi» nei quali il  legislatore  tributario  -  al  fine  di
facilitare la circolazione dei beni aziendali all'interno del «nucleo
familiare allargato»  -  avrebbe  riconosciuto  agevolazioni  fiscali
senza  operare  distinzioni  tra  i  suoi  componenti.  Menziona,  in
particolare, le fattispecie disciplinate  dai  commi  3,  4  e  4-bis
dell'art. 25 del d.lgs. n.  346  del  1990,  i  quali  prevedono  una
riduzione dell'imposta ove nell'attivo ereditario siano compresi:  a)
fondi rustici, a condizione, tra l'altro, che l'erede o il  legatario
siano coltivatori diretti e che la devoluzione avvenga nell'ambito di
una famiglia diretto-coltivatrice (comma 3); b) immobili o  parti  di
essi adibiti all'esercizio dell'impresa e devoluti nell'ambito di una
impresa artigiana familiare (comma 4); c) infine, aziende,  quote  di
societa' di persone  o  beni  strumentali  all'esercizio  di  arti  e
professioni, purche', tra l'altro, ubicati in comuni montani con meno
di cinquemila abitanti o nelle frazioni con meno di mille abitanti se
situati in comuni montani di maggiori dimensioni (comma 4-bis). 
    4.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
manifestamente infondate. 
    4.1.- L'eccezione d'inammissibilita' e' basata, in  primo  luogo,
sulla natura additiva della pronuncia richiesta. 
    Sotto   altro   profilo,   le   questioni   sollevate   sarebbero
inammissibili in quanto riguardano una  materia  connotata  da  ampia
discrezionalita' del legislatore, salva la manifesta  violazione  del
canone della ragionevolezza. 
    4.2.- Nel merito, l'Avvocatura generale evidenzia,  innanzitutto,
che la norma censurata e'  applicabile  anche  al  trasferimento  per
effetto del patto di famiglia di  cui  all'art.  768-bis  del  codice
civile. 
    Questo contratto, previsto dall'art. 2 della  legge  14  febbraio
2006, n. 55 (Modifiche al  codice  civile  in  materia  di  patto  di
famiglia),  sarebbe  difatti  diretto  ad  agevolare  la  successione
nell'azienda o nelle partecipazioni societarie dell'imprenditore solo
in favore dei suoi discendenti e non anche degli altri familiari:  in
tale prospettiva, la delimitazione soggettiva dell'esenzione prevista
dalla norma denunciata sarebbe del tutto coerente, in quanto disposta
a favore degli unici soggetti  che  possono  essere  destinatari  del
trasferimento in virtu' del patto di famiglia. 
    D'altra parte, prosegue l'Avvocatura generale,  e'  vero  che  la
norma agevolativa censurata si applica  anche  ai  trasferimenti  per
donazione o successione  mortis  causa,  sicche'  essa  non  potrebbe
essere  giustificata  esclusivamente  sulla  base  della  evidenziata
coerenza con la disciplina del patto di famiglia; nondimeno, il favor
manifestato  dal  legislatore  tributario  nei  confronti  dei   soli
discendenti troverebbe fondamento nella ulteriore considerazione  che
le generazioni piu' giovani sarebbero maggiormente idonee a garantire
l'avvicendamento nella gestione aziendale. 
    Ne' argomenti a  favore  della  necessaria  equiparazione  tra  i
discendenti  e   il   coniuge   potrebbero   essere   desunti   dalle
disposizioni, richiamate dal rimettente, di cui ai commi 3, 4 e 4-bis
dell'art. 25 del d.lgs. n. 346 del 1990: i benefici fiscali  da  esse
previsti, infatti, non  riguarderebbero  qualsiasi  trasferimento  di
azienda, come nella fattispecie disciplinata dalla norma  denunciata,
bensi'  situazioni  particolari  che,  in   quanto   tali,   appaiono
meritevoli di una riduzione dell'imposta. 
    Secondo la difesa statale, nemmeno potrebbe  trarsi  argomento  a
sostegno della  dedotta  disparita'  di  trattamento  dalla  modifica
successivamente apportata al censurato comma 4-ter  dell'art.  3  del
d.lgs. n. 346 del 1990 dall'art. 1, comma 31, della legge n. 244  del
2007, per effetto del quale il beneficio in parola  e'  stato  esteso
anche  ai  trasferimenti  effettuati  a  favore  del  coniuge.   Tale
estensione,  che  non  risponderebbe  alla  sopra  evidenziata  ratio
dell'esenzione dall'imposta, sarebbe difatti del tutto eccezionale e,
di conseguenza, inidonea ad assurgere  a  tertium  comparationis  dal
quale desumere l'asserita violazione del principio di eguaglianza. 
    Ne'  sulla  scorta  della  novella  appena  menzionata  potrebbe,
infine, sostenersi la compromissione dell'art. 29 Cost., dal  momento
che la tutela costituzionale della famiglia non impone in  ogni  caso
un'assoluta parita' di trattamento tra i suoi componenti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria regionale (CTR) dell'Emilia-Romagna
dubita, in  riferimento  agli  artt.  3,  primo  comma,  e  29  della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.   4-ter
(recte: dell'art. 3, comma 4-ter) del decreto legislativo 31  ottobre
1990,  n.  346  (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), come introdotto
dall'art. 1, comma 78, lettera a), della legge 27 dicembre  2006,  n.
296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui
non include tra i trasferimenti di aziende o rami di esse,  di  quote
sociali  e  di  azioni  che  non  sono  soggetti  all'imposta   sulle
successioni e donazioni anche quelli a favore del coniuge  del  dante
causa. 
    La disposizione censurata, nella formulazione applicabile ratione
temporis nel giudizio principale, prevede che: a) «[i] trasferimenti,
effettuati anche tramite i patti di famiglia  di  cui  agli  articoli
768-bis e seguenti del codice civile a  favore  dei  discendenti,  di
aziende o rami di esse,  di  quote  sociali  e  di  azioni  non  sono
soggetti all'imposta» (primo periodo); b) «[i]n caso di quote sociali
e azioni di soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera a), del
testo unico  delle  imposte  sui  redditi,  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,  il  beneficio
spetta  limitatamente  alle  partecipazioni  mediante  le  quali   e'
acquisito o integrato il controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo
comma, numero 1), del codice  civile»  (secondo  periodo);  c)  «[i]l
beneficio si applica a condizione che  gli  aventi  causa  proseguano
l'esercizio dell'attivita' d'impresa o detengano il controllo per  un
periodo non inferiore a cinque anni  dalla  data  del  trasferimento,
rendendo, contestualmente alla presentazione della  dichiarazione  di
successione o all'atto di donazione, apposita  dichiarazione  in  tal
senso» (terzo periodo); d) «[i]l mancato rispetto della condizione di
cui al periodo precedente comporta la  decadenza  dal  beneficio,  il
pagamento  dell'imposta   in   misura   ordinaria,   della   sanzione
amministrativa prevista dall'articolo 13 del decreto  legislativo  18
dicembre 1997, n. 471, e degli interessi  di  mora  decorrenti  dalla
data in cui l'imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata»  (ultimo
periodo). 
    Nello specifico si tratta, come risulta dalla norma, di un regime
agevolativo opzionale:  i  beneficiari  del  trasferimento  non  sono
tenuti,  infatti,  a  corrispondere  l'imposta  sulle  successioni  e
donazioni a condizione che proseguano l'esercizio  dell'attivita'  di
impresa o detengano il controllo  per  un  periodo  non  inferiore  a
cinque anni dalla data del  trasferimento,  rendendo  contestualmente
apposita  dichiarazione  in  tal   senso   nella   dichiarazione   di
successione o nell'atto di donazione. 
    Ad avviso del Collegio rimettente, la norma denunciata lederebbe,
in primo  luogo,  l'art.  3  Cost.,  in  relazione  al  principio  di
eguaglianza, in considerazione  della  irragionevole  disparita'  del
regime fiscale al quale assoggetta i discendenti  e  il  coniuge  del
dante causa. 
    Secondo la CTR, la disciplina dettata dall'art. 3,  comma  4-ter,
del d.lgs. n. 346 del 1990 sarebbe difatti preordinata a favorire  la
«continuita' familiare» nella gestione aziendale e  il  «mantenimento
del complesso all'interno dell'ambito familiare»:  finalita'  il  cui
perseguimento  sarebbe  assicurato  anche  nel   caso   in   cui   il
trasferimento avvenga a favore  del  coniuge  del  dante  causa,  con
conseguente ingiustificata disparita' di trattamento. 
    Poiche' la norma censurata avrebbe, in sostanza, la  funzione  di
tutelare la famiglia,  l'esclusione  del  coniuge  dall'esenzione  in
parola recherebbe inoltre  un  vulnus  all'altro  parametro  evocato,
cioe' all'art. 29 Cost. 
    2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente eccepito
l'inammissibilita' delle questioni sollevate, limitandosi,  sotto  un
primo profilo, a sostenere che cio'  deriverebbe  dal  fatto  che  il
rimettente, chiedendo l'estensione dell'agevolazione al  coniuge  del
dante causa, «invoca una pronuncia chiaramente additiva». 
    L'eccezione  non  e'  fondata,  perche'  si  basa  esclusivamente
sull'assunto, palesemente  infondato,  secondo  cui  a  questa  Corte
sarebbe inibito emettere (e al rimettente richiedere)  una  pronuncia
additiva. 
    E' qui sufficiente  ricordare,  in  contrario,  sia  la  costante
giurisprudenza che ammette in generale tale tipo  di  pronuncia,  sia
quella che  specificamente  consente  di  estendere  le  agevolazioni
fiscali quando lo esiga l'identita' di ratio (ex  plurimis,  sentenza
n. 242 del 2017). 
    2.1.-    E'    parimenti    infondata    l'ulteriore    eccezione
d'inammissibilita',  formulata  dall'Avvocatura  generale  sotto   il
profilo dell'ampia discrezionalita' di cui gode il legislatore  nella
materia tributaria. 
    Se e' infatti vero che le disposizioni che prevedono agevolazioni
fiscali costituiscono esercizio  di  un  potere  discrezionale,  cio'
tuttavia non preclude l'intervento di questa Corte, dal  momento  che
tale discrezionalita' e' pur sempre censurabile «per la sua eventuale
palese arbitrarieta' o irrazionalita' [...]» (ex  plurimis,  sentenze
n. 264 e n. 177  del  2017).  L'Avvocatura  stessa,  del  resto,  nel
prospettare  l'inammissibilita',  afferma   che   il   sindacato   di
legittimita' e' possibile in caso di «manifesta  incongruita'»  delle
scelte legislative e, al fine di escludere che nella  specie  ricorra
un'ipotesi di tal  genere,  finisce  per  contestare  nel  merito  la
fondatezza delle censure. 
    3.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    E' opportuno peraltro inquadrare sotto il  profilo  del  contesto
ordinamentale l'esenzione disposta  dall'art.  3,  comma  4-ter,  del
d.lgs. n. 346 del 1990. 
    3.1.- L'introduzione, negli Stati membri della Comunita' europea,
di forme di agevolazione sulle imposte di successione e donazione con
riguardo al passaggio generazionale delle  imprese  e'  stata  a  suo
tempo sollecitata dalla Raccomandazione 94/1069/CE della  Commissione
europea sulla successione nelle piccole e medie imprese, adottata  il
7 dicembre 1994 (cui ha fatto seguito  la  Comunicazione  98/C  93/02
della Commissione relativa alla trasmissione delle  piccole  e  medie
imprese, adottata il 27 marzo 1998). 
    Sul rilievo che il Libro bianco sulla crescita, la competitivita'
e l'occupazione dell'anno precedente menzionava «la successione nelle
imprese quale settore prioritario cui apportare  dei  miglioramenti»,
la Commissione prendeva atto della  «inadeguatezza  di  alcune  parti
della legislazione degli Stati  membri,  soprattutto  in  materia  di
diritto societario, successorio e  fiscale»,  constatando  «che  ogni
anno diverse migliaia di imprese sono obbligate  a  cessare  la  loro
attivita'  a  causa  di  difficolta'  insormontabili  inerenti   alla
successione; [e] che tali liquidazioni hanno  ripercussioni  negative
sul tessuto economico delle imprese  nonche'  sui  loro  creditori  e
lavoratori». 
    La Raccomandazione evidenziava quindi come  «uno  dei  principali
ostacoli al buon esito della successione familiare» fosse  costituito
dal correlativo onere fiscale,  al  punto  che  «il  pagamento  delle
imposte di successione o di donazione rischia di mettere in  pericolo
l'equilibrio finanziario dell'impresa e quindi la sua sopravvivenza». 
    Invitava  pertanto  gli  Stati  membri  ad  «adottare  le  misure
necessarie per  facilitare  la  successione  nelle  piccole  e  medie
imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese [stesse]
ed il mantenimento dei posti di  lavoro»  (art.  1)  e,  tra  queste,
segnalava   anche   l'opportunita'   di   «incoraggiare   fiscalmente
l'imprenditore a trasferire la sua impresa tramite vendita o cessione
ai dipendenti, soprattutto quando non vi sono successori  nell'ambito
della famiglia» (art.1). 
    Nello specifico, oltre a invitare a ridurre la  tassazione  delle
plusvalenze  in  caso  di   vendita   o   cessione   (art.   7),   la
Raccomandazione sollecitava gli Stati a «ridurre, purche' l'attivita'
dell'impresa prosegua in modo effettivo per un certo periodo  minimo,
i tributi sugli attivi strettamente legati all'esercizio dell'impresa
in caso di trasferimento tramite donazione o successione  ereditaria,
in particolare le imposte di successione, di donazione e di registro»
(art. 6). 
    3.2.- Tali sollecitazioni cadevano in un momento storico  in  cui
il tributo successorio era sensibilmente gravoso non solo negli altri
Paesi europei, ma anche in Italia, dove l'imposta si articolava in un
prelievo unitario, calcolato  sia  sul  valore  delle  singole  quote
ereditarie, sia sul valore globale dell'asse. In particolare, per  il
coniuge e i discendenti beneficiari del  trasferimento,  l'onerosita'
del carico fiscale era  solo  parzialmente  attenuata  dall'esenzione
prevista per la loro quota ereditaria e  dalle  franchigie  sull'asse
globale, tenuto conto  che  su  questo  gravavano  comunque  aliquote
progressive per scaglioni che variavano, da ultimo, dal 7 al  27  per
cento. 
    Successivamente,  pero',  con  la  riforma   dell'imposta   sulle
successioni e donazioni disposta dall'art. 69 della legge 21 novembre
2000, n. 342 (Misure in materia  fiscale),  il  legislatore,  tenendo
conto  delle   indicazioni   della   predetta   Raccomandazione,   ha
notevolmente ridimensionato il peso fiscale delle successioni. 
    In  via  generale,  infatti,  e'  stata  abrogata   l'imposizione
progressiva sull'asse  ereditario  globale  netto,  prevedendosi  una
tassazione proporzionale sulla singola quota nella  limitata  misura,
quanto al coniuge e ai parenti in linea retta, del  4  per  cento  al
netto della franchigia. 
    Inoltre, in particolare per  facilitare  i  trasferimenti  mortis
causa o per donazione delle  aziende,  delle  azioni  e  delle  quote
sociali, e' stato eliminato il riferimento al valore  dell'avviamento
nella determinazione della base imponibile ed e'  stato  esteso  alle
donazioni (art. 25, comma 4-ter, del  d.lgs.  n.  346  del  1990)  il
regime agevolato gia' in precedenza introdotto  nell'art.  25,  comma
4-bis, del d.lgs. n. 346 del 1990 dall'art. 3, comma 28, della  legge
23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione  della  finanza
pubblica), consistente in una riduzione dell'imposta  afferente  alle
aziende ubicate in territori montani. Tale disposizione  prevede  una
riduzione dell'imposta afferente alle aziende, quote di  societa'  di
persone o beni strumentali ubicati in  Comuni  montani  con  meno  di
cinquemila abitanti o nelle  frazioni  con  meno  di  mille  abitanti
(anche  se  situate  in  comuni  montani  di  maggiori   dimensioni),
trasferiti al coniuge o al parente entro il terzo grado del  defunto,
«a  condizione  che  gli  aventi  causa   proseguano   effettivamente
l'attivita' imprenditoriale per un periodo  non  inferiore  a  cinque
anni dalla data del trasferimento». 
    Regimi tributari agevolativi volti a tutelare  specifici  assetti
imprenditoriali  della  piccola  e  media  impresa  in  vista   della
continuita'  dell'attivita'  economica  erano  peraltro  gia'   stati
previsti - a determinate condizioni - nell'art. 25 del d.lgs. n.  346
del  1990  con   riguardo   agli   immobili   adibiti   all'esercizio
dell'impresa nell'ambito di un'impresa artigiana familiare (comma  4)
e ai fondi rustici devoluti a coltivatori diretti in ambito familiare
(comma 3), cui si era aggiunta la  peculiare  disciplina  agevolativa
finalizzata a «favorire la  continuita'  dell'impresa  agricola»  nel
caso di successione o donazione a beneficio di discendenti  entro  il
terzo grado aventi i requisiti  dei  cosiddetti  giovani  agricoltori
(art. 14 della legge 15 dicembre 1998, n. 441, recante «Norme per  la
diffusione  e  la  valorizzazione  dell'imprenditoria  giovanile   in
agricoltura», e successive modificazioni). 
    3.3.- A poca  distanza  dalla  legge  n.  342  del  2000  e'  poi
intervenuta la legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il
rilancio dell'economia), che, con l'art. 13, da un lato, ha soppresso
l'imposta sulle successioni e donazioni e, dall'altro,  ha  mantenuto
un'imposizione solo sulle donazioni tra estranei o affini  o  parenti
in linea collaterale oltre il quarto grado (superata la franchigia di
350 milioni di lire). 
    3.4.- Tale soppressione,  tuttavia,  ha  costituito  una  isolata
parentesi nell'ambito  dello  sviluppo  dell'ordinamento  tributario,
perche' con l'art. 2, commi da 47 a 54, del decreto-legge  3  ottobre
2006,  n.  262  (Disposizioni  urgenti  in   materia   tributaria   e
finanziaria), cosi' come sostituito  in  sede  di  conversione  dalla
legge 24 novembre 2006, n. 286, il  legislatore,  per  un  verso,  ha
abrogato il suddetto art.  13  e,  per  l'altro,  ha  sostanzialmente
"reintrodotto" la soppressa imposta sulle successioni e donazioni. 
    Cio' e' avvenuto,  da  un  lato,  sostanzialmente  riportando  in
vigore le  norme  del  testo  unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta sulle successioni e donazioni di cui al d.lgs. n.  346  del
1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001 e, dunque,  con
le descritte modifiche derivanti  dal  disposto  dell'art.  69  della
legge n.  342  del  2000;  dall'altro,  innalzando  sensibilmente  la
franchigia a favore del coniuge e dei parenti in linea retta (portata
a 1.000.000 di euro per ciascun beneficiario). 
    Peraltro,  in  linea  con  i   sopra   ricordati   inviti   della
Commissione, con la legge 14  febbraio  2006,  n.  55  (Modifiche  al
codice civile in materia di patto di  famiglia),  il  legislatore  ha
anche introdotto, nell'ambito della disciplina sulle successioni  del
codice civile, l'istituto del patto  di  famiglia  (artt.  768-bis  e
seguenti cod.  civ.),  che  consente,  in  un'ottica  preordinata  ad
assicurare la continuita' dell'impresa, la programmazione  strategica
del passaggio generazionale («ad uno o piu'  discendenti»,  ai  sensi
dell'art. 768-bis cod. civ.) dell'impresa stessa, anche in deroga  al
divieto dei patti successori di cui all'art. 458 cod. civ. 
    3.5.-  In  definitiva,  nell'ordinamento  italiano,  al   momento
dell'introduzione da parte del legislatore, con la legge  finanziaria
del  2007,  della  nuova  agevolazione   tributaria   sul   passaggio
generazionale dell'azienda, dei rami aziendali, delle quote sociali e
delle azioni: era stato sensibilmente ridotto in via generale il peso
dell'imposta di successione e donazione; erano stati previsti  regimi
tributari agevolativi al fine di facilitare, in particolari contesti,
la successione nell'attivita' imprenditoriale; erano stati introdotti
specifici   strumenti   contrattuali   diretti   a   permettere   una
programmazione strategica del passaggio generazionale dell'impresa. 
    La norma  denunciata  ha  quindi  previsto  un  ulteriore  regime
fiscale, particolarmente favorevole, che  comporta  -  a  determinate
condizioni  -  la  totale  esenzione  in  occasione   del   passaggio
generazionale per successione mortis causa o per donazione. 
    Dalla scelta di collocare questa  agevolazione  nell'art.  3  del
d.lgs. n. 346 del 1990 deriva altresi' che, in forza  del  rinvio  ad
esso disposto dagli artt. 1, comma 2, e  10,  comma  3,  del  decreto
legislativo 31 ottobre 1990, n. 347  (Approvazione  del  testo  unico
delle disposizioni concernenti le imposte  ipotecaria  e  catastale),
relativo alle imposte ipotecaria e catastale, l'esenzione da  imposta
operi, alle stesse condizioni, anche con riferimento a questi tributi
(altrimenti dovuti nel caso in cui l'azienda comprenda immobili). 
    4. - Una volta  ricostruito  il  contesto  normativo  in  cui  si
inserisce la norma  in  questione,  e'  necessario,  quale  ulteriore
premessa, chiarire in quale  species  essa  si  inquadri  nell'ambito
dell'ampio genus  delle  cosiddette  agevolazioni  fiscali,  che  non
rappresentano un "accidente" dei sistemi tributari, quanto  piuttosto
il  modo  di  risolvere  complessi  problemi  di  ponderazione  degli
interessi e dei valori in gioco in materia di imposizione. 
    Si tratta  di  una  ponderazione  rimessa  in  primo  luogo  alla
valutazione discrezionale del legislatore, ma pur sempre  sindacabile
da  questa  Corte  sotto  il  profilo  della   proporzionalita'   del
bilanciamento operato, in particolare quando viene in causa una  vera
e propria  deroga  al  dovere  di  tutti  di  concorrere  alle  spese
pubbliche in base alla propria capacita' contributiva (artt. 2,  3  e
53 Cost.), con ricaduta sulle  connesse  finalita'  redistributive  e
sulle esigenze di finanziamento dei diritti costituzionali  (sentenza
n. 288 del 2019). 
    4.1 - E' peraltro utile anche precisare che soprattutto in questo
ambito i sistemi fiscali, condizionati dall'alto tasso  di  dinamismo
delle politiche finanziarie, difficilmente tendono a svilupparsi come
costruzioni concettualmente ordinate,  dando  invece  vita  a  figure
spesso caratterizzate da eterogeneita' in termini definitori e da una
notevole approssimazione del linguaggio normativo. 
    Tuttavia, e' comunque possibile  e  opportuno,  sul  piano  della
giustificazione costituzionale, operare una distinzione - di massima,
poiche' le  interconnessioni  rimangono  sempre  possibili  -  tra  i
diversi istituti agevolativi. 
    In alcuni casi e', infatti, comunque ravvisabile la prevalenza di
un  carattere   strutturale,   dal   momento   che   la   sottrazione
all'imposizione   (o   la   sua   riduzione)   e'   resa   necessaria
dall'applicazione coerente e sistematica del presupposto del  tributo
(ad esempio per evitare doppie imposizioni) o dalla ricognizione  dei
soggetti passivi oppure dal rilievo di una minore o assente capacita'
contributiva (che il legislatore puo'  riscontrare  in  relazione  ad
alcune  circostanze  di  fatto  o  alla  particolare  fisionomia  del
tributo). In siffatte ipotesi, si  e'  in  presenza  di  agevolazioni
previste per finalita' intrinseche al prelievo. 
    In  altri  istituti,  invece,  la  natura  di   agevolazione   e'
propriamente riscontrabile, perche', a differenza  di  quelli  appena
descritti,  essi   presuppongono   l'esistenza   di   una   capacita'
contributiva coerente con la struttura del  tributo,  ma,  in  deroga
(gia', in tal senso, sentenza n. 159 del 1985) al dictum de  omni  di
cui  all'art.  53,  primo  comma,  Cost.,   prevedono,   per   motivi
extrafiscali, forme di  esenzione,  di  tassazione  sostitutiva  piu'
favorevole o altre misure comunque dirette a rendere meno  gravoso  o
non  incidente  il  carico  tributario  in  relazione  a  determinate
fattispecie. 
    All'interno di questa categoria di agevolazioni e' poi  possibile
distinguere tra quelle in cui la  finalita'  extrafiscale  perseguita
dal legislatore appare riconducibile all'attuazione di altri principi
costituzionali (quali, a  titolo  esemplificativo,  la  tutela  della
famiglia, del diritto alla salute o lo sviluppo della  previdenza)  e
quelle per le quali, invece, questa prospettiva  teleologica  non  e'
individuabile. Al riguardo  va  precisato  che  il  difetto  di  tale
prospettiva non rende  queste  ultime  agevolazioni  di  per  se'  in
contrasto con la Costituzione, salvo quando la finalita' extrafiscale
non sia in alcun modo riconducibile a motivi attinenti al bene comune
e assuma piuttosto il tratto di un mero privilegio. Rimane fermo,  in
ogni caso, che il suddetto difetto, nell'ambito del  sindacato  sulla
violazione del  principio  di  eguaglianza  tributaria,  implica  uno
scrutinio particolarmente rigoroso sulla  sussistenza  di  una  eadem
ratio che ne giustifichi l'estensione in riferimento alle fattispecie
ritenute escluse. 
    4.2.- Venendo quindi alle censure del rimettente, che si  fondano
sulla mancata inclusione del coniuge nel novero dei  soggetti  esenti
dal pagamento dell'imposta, con un vulnus agli artt. 3  e  29  Cost.,
assume rilievo la specifica struttura della norma in  questione,  che
appare riconducibile,  innanzitutto,  all'ambito  delle  agevolazioni
propriamente tali. 
    Essa, infatti, dispone un'esenzione a fronte di una  riconosciuta
capacita' contributiva, essendo  l'imposizione  delle  successioni  e
donazioni   «giustificata   dall'arricchimento   dell'erede   o   del
beneficiario e quindi in  ragione  della  capacita'  contributiva  di
questi ultimi, che risulta  nuova  e  autonoma  anche  rispetto  alle
imposte a suo tempo versate dal dante  causa»  (sentenza  n.  54  del
2020): non presenta quindi  alcun  carattere  strutturale,  come  del
resto e' evidentemente confermato anche dalla sua natura opzionale. 
    L'esenzione in discorso mira dunque  ad  agevolare  -  attraverso
l'eliminazione dell'onere  fiscale  correlato  al  trasferimento  per
successione o donazione - la continuita'  generazionale  dell'impresa
nell'ambito  dei  discendenti  nella  famiglia  in  occasione   della
successione mortis causa, rispetto  alla  quale  il  trasferimento  a
seguito di donazione puo' rappresentare una  vicenda  sostanzialmente
anticipatoria. 
    Tale scopo della norma e' innanzitutto evincibile dal suo  tenore
letterale  che,  da  un  lato,  riguarda   esclusivamente   complessi
aziendali, partecipazioni sociali e azioni; dall'altro, subordina  la
fruizione del beneficio alla condizione che i discendenti «proseguano
l'esercizio dell'attivita' d'impresa o detengano il controllo» per un
periodo di almeno cinque anni. 
    Cio' trova ulteriore conferma  nei  lavori  preparatori,  da  cui
emerge che il legislatore, in presenza della garanzia di prosecuzione
dell'attivita' dell'azienda da padre a figlio, ha adottato la  scelta
di escludere l'imposizione,  «al  fine  di  facilitare  il  passaggio
generazionale delle imprese a carattere familiare, che  costituiscono
[...] una delle componenti essenziali della struttura produttiva  del
Paese» (relazione della VI Commissione permanente  presso  la  Camera
dei deputati sul disegno di legge recante la legge finanziaria per il
2007). 
    4.3.- La finalita' di agevolare  la  continuita'  della  gestione
familiare di un'impresa, per come considerata nella  struttura  della
esenzione in oggetto, appare eccedente  rispetto  al  favor  familiae
espresso dall'art. 29 Cost. 
    In ipotesi, solo in particolari  casi,  come  ad  esempio  quello
dell'impresa familiare, dove e' prevalente l'aspetto del  lavoro  del
titolare e dei suoi familiari (sovente anche rispetto  a  quello  del
capitale), una connessione e' semmai ipotizzabile, ma non certo nella
generalizzazione disposta dalla norma in oggetto. 
    L'intervento legislativo in esame,  inoltre,  si  differenzia  da
altre misure fiscali invece pacificamente riconducibili  alla  tutela
costituzionale della famiglia, come, ad esempio, le  deduzioni  o  le
detrazioni per i figli a carico, che rispondono appunto allo scopo di
favorire il dovere dei genitori di «mantenere, istruire ed educare  i
figli, anche se nati fuori del matrimonio»  (art.  30,  primo  comma,
Cost.),  e,  al  contempo,  di  considerare   la   minore   capacita'
contributiva che deriva dall'assolvimento di tale dovere. 
    Pertanto la norma oggetto dell'odierno scrutinio, che soprattutto
prescinde completamente dalla  verifica  di  uno  stato  di  bisogno,
risulta eccedente rispetto alla protezione  offerta  dai  «principali
precetti costituzionali (artt. da 29 a 31 Cost.) posti a tutela della
famiglia e, in particolare, delle situazioni di potenziale fragilita'
in essa ravvisabili» (sentenza n. 54 del 2020). 
    4.4.-  L'agevolazione  disposta  dalla  norma  in  esame   eccede
altresi', per come strutturata, l'ambito di operativita' dell'art. 41
Cost., che costituisce l'altro riferimento costituzionale a cui  essa
potrebbe essere astrattamente riferibile e che quindi, a  prescindere
dalle  censure  del  remittente,  deve  comunque  essere   preso   in
considerazione da questa Corte per poter  debitamente  inquadrare  la
natura della esenzione in oggetto. 
    Del resto, spesso le agevolazioni fiscali costituiscono un tipico
ed  efficace  strumento   di   politica   economica   finalizzato   a
incentivare, orientare o  rilanciare  il  sistema  produttivo:  esse,
pertanto, ben possono risultare riconducibili, in varie forme e modi,
proprio all'ambito dell'art. 41 Cost. 
    L'agevolazione in esame, tuttavia, non e' destinata  direttamente
all'impresa ma ad agevolarne la continuita' a favore dei  discendenti
nel momento del passaggio generazionale. 
    Da questo punto di vista va allora considerato che, in  via  piu'
generale, l'esigenza di  garantire  la  continuita'  aziendale  nella
giurisprudenza di questa Corte e' stata valorizzata in particolare in
quanto preordinata alla garanzia del diritto al  lavoro,  laddove  il
legislatore ha «inteso realizzare un intervento diretto a  garantirne
la continuita' ed a permettere la conservazione del rilevante  valore
dell'azienda (costituita da una pluralita' di  beni  e  rapporti,  di
varia natura), al fine di scongiurare, in tal modo, anche  una  grave
crisi occupazionale» (sentenza n. 270 del 2010); in nome quindi,  tra
l'altro, dell'«interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento
dei livelli occupazionali e [del] dovere delle istituzioni  pubbliche
di spiegare ogni sforzo in tal senso» (sentenza n. 85 del 2013). 
    In astratto, anche la finalita' perseguita  dall'agevolazione  in
oggetto,  con  riguardo  all'aspetto  inerente   alla   continuazione
dell'attivita'  produttiva,  potrebbe  rispondere   all'esigenza   di
evitare che il peso delle imposte nel momento della successione possa
generare difficolta' finanziarie  tali  da  mettere  in  pericolo  la
sopravvivenza dell'impresa, con una conseguente perdita dei posti  di
lavoro e ulteriori ripercussioni sul  tessuto  economico:  del  resto
anche  in  altri  ordinamenti  sono  previste   forme   analoghe   di
agevolazione, che peraltro raramente dispongono una esenzione totale,
le quali si raccordano pero' a ben piu' gravosi carichi fiscali sulle
successioni. 
    In concreto, tuttavia,  l'esenzione  di  cui  all'art.  3,  comma
4-ter, del d.lgs. n. 346 del 1990  viene  accordata  prescindendo  da
qualsiasi   considerazione   delle   dimensioni   dell'impresa,    di
particolari congiunture economiche sfavorevoli o di indici dai  quali
sia  desumibile  la  difficolta'  dei  successori  nel  corrispondere
l'imposta e si  inserisce  in  un  sistema  impositivo,  come  quello
attualmente vigente in Italia, caratterizzato (quanto ai  discendenti
e al coniuge che qui rilevano) da un'aliquota pari al 4 per  cento  e
da franchigie consistenti. 
    Sebbene si sia in presenza di un'imposizione (in senso  lato)  di
tipo patrimoniale, non risulta immediato ipotizzare che i problemi di
liquidita' derivanti dagli oneri conseguenti alla vigente imposta  di
successione possano, nella normalita' dei casi, mettere  in  pericolo
la sopravvivenza dell'impresa. 
    Si tratta, in ogni  caso,  di  un  rischio  realisticamente  piu'
riferibile e ragionevolmente piu' giustificabile  con  riguardo  alle
piccole e medie imprese piuttosto che alle  grandi:  l'oggetto  della
citata Raccomandazione della Commissione europea  era,  non  a  caso,
limitato alle prime. 
    Pertanto risulta in concreto eccessivo che anche trasferimenti di
grandi aziende, di rami di esse o di quote di societa',  che  possono
valere centinaia di milioni o addirittura diversi miliardi  di  euro,
vengano interamente esentati dall'imposta, anche quando i beneficiari
sarebbero pienamente in grado di assolvere l'onere fiscale. 
    Cio' rende l'esenzione in  discorso,  per  come  strutturata,  in
parte  disallineata  rispetto  alla  finalita',  in  se'   certamente
meritevole di tutela, di garantire la  sopravvivenza  dell'impresa  e
quindi di evitare la dissipazione dell'universo dei valori sociali ad
essa indubbiamente riferibili, che derivano dalla sua  capacita',  in
varie forme e modi, di promuovere l'utilita' sociale. 
    Inoltre, per effetto congiunto  del  comma  1  dell'art.  58  del
decreto del Presidente della Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e dell'art.
8, comma 1-bis, del d.lgs. n. 346 del 1990, a  differenza  di  quanto
avviene nel caso di vendita dell'azienda, il trasferimento per  causa
di morte o atto gratuito  non  costituisce  realizzo  di  plusvalenze
dell'azienda  stessa  e  il  relativo  avviamento  e'  escluso  dalla
determinazione della base imponibile del tributo sulle successioni  e
donazioni. Pertanto, l'esenzione in oggetto, azzerando  completamente
il carico fiscale, potrebbe anche  costituire  un  disincentivo  alla
vendita,  favorendo  si',  anche  da  questo  punto  di   vista,   la
continuita'  della  proprieta'  dell'impresa,  ma  all'interno  della
stessa  comunita'  familiare:  cio',  tuttavia,  non  e'  detto   che
assicuri,   direttamente   o   indirettamente,   un'idonea   qualita'
manageriale (problema  tanto  piu'  grave  quanto  maggiori  sono  le
dimensioni dell'impresa). 
    Infine, sempre riguardo alle finalita'  sociali,  va  notato  che
l'agevolazione in oggetto  puo'  anche  favorire  una  concentrazione
della ricchezza che prescinde da una ragionevole  approssimazione  al
merito e alle capacita' individuali, ostacolando cosi'  la  mobilita'
socio-economica e l'uguaglianza delle opportunita' di  partecipazione
sociale. 
    Tali elementi portano quindi a concludere che la norma in parola,
data la sua attuale struttura, non solo non coincide con un interesse
sempre  riconducibile  all'art.  41  Cost.,  ma  puo'  condurre,  con
riguardo all'applicazione alle grandi imprese, anche ad  esiti,  come
detto, eccedenti rispetto allo scopo, dal  momento  che  quanto  piu'
ampie sono le esenzioni fiscali, tanto  piu'  impegnativi  dovrebbero
essere i requisiti idonei a giustificarle. 
    Peraltro, va oltretutto considerato che la suddetta esenzione  si
applica anche ai trasferimenti, mortis causa o  per  liberalita',  di
quote sociali e azioni  di  societa'  non  residenti  nel  territorio
nazionale (anche se sempre limitatamente a quelle partecipazioni  che
consentano di acquisire o integrare il controllo ai  sensi  dell'art.
2359, primo comma, numero 1, cod. civ.).  Tale  esenzione,  pertanto,
difetta strutturalmente della possibilita'  di  trovare  un'ipotetica
giustificazione quale disincentivo rispetto  al  fenomeno,  altamente
pregiudizievole per la Repubblica italiana  -  data  la  conseguente,
rilevante, perdita di gettito - delle  migrazioni,  rese  convenienti
anche a causa della mancanza di un'armonizzazione  comunitaria  delle
imposte dirette, delle sedi legali delle imprese in Paesi che possono
sostenere regimi fiscali ben piu' competitivi di quello nazionale. 
    E' significativo, da ultimo, ricordare che, con sentenza  del  17
dicembre 2014, il Tribunale costituzionale tedesco,  investito  della
questione su rinvio della Corte federale delle finanze, ha dichiarato
incompatibile con il principio di eguaglianza - assegnando un congruo
termine al  legislatore  per  intervenire  -  l'agevolazione  fiscale
(analoga a quella oggetto dell'odierno scrutinio, ma meno ampia, piu'
rigorosa con riferimento alla conservazione dei  posti  di  lavoro  e
soprattutto  inserita  in  un  contesto  in  cui   l'imposizione   e'
nettamente piu' elevata) prevista dalla normativa tedesca in tema  di
imposte  sulle  successioni  e  sulle  donazioni  in  occasione   del
passaggio del patrimonio  aziendale  per  successione  mortis  causa,
ritenendola sproporzionata nella parte  in  cui,  estendendosi  oltre
l'ambito delle piccole e medie imprese, prescinde  da  ogni  verifica
delle effettive esigenze delle imprese agevolate. 
    5. - Cosi' chiarita, nei termini sopra descritti, la natura della
misura agevolativa introdotta dal legislatore, e'  da  escludere  che
l'omessa  estensione  al  coniuge  dell'agevolazione  tributaria   in
discorso sia censurabile sotto i profili evidenziati dal rimettente. 
    5.1.- Innanzitutto, non  e'  fondata  la  censura  inerente  alla
lesione dell'art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza. 
    Quando,  infatti,   viene   in   considerazione   un   intervento
agevolativo come quello qui descritto, si impone (come si e' chiarito
supra, punto 4.1) uno scrutinio particolarmente  rigoroso  in  ordine
alla sussistenza di una eadem ratio che possa condurre  al  riscontro
di una violazione del principio di eguaglianza. 
    Nello specifico, lo scopo  della  norma  denunciata,  come  sopra
visto, e'  quello  di  incentivare  la  continuita'  di  un'attivita'
d'impresa da parte dei discendenti  all'interno  della  famiglia  del
dante causa in occasione della  successione  mortis  causa,  rispetto
alla quale, come pure si e' detto,  il  trasferimento  a  seguito  di
donazione rappresenta  una  vicenda  sostanzialmente,  anche  se  non
necessariamente, anticipatoria. 
    Tale ratio non e' identicamente riferibile tanto al caso  in  cui
la trasmissione avvenga a favore  dei  discendenti  stessi  quanto  a
quello in cui il trasferimento sia effettuato a favore del coniuge. 
    E' vero, infatti, che vi  e'  un  elemento  oggettivo  comune  ad
entrambe  le  fattispecie  poste  a  confronto,  giacche'  anche   il
trasferimento  al   coniuge   puo'   realizzare   l'obiettivo   della
continuita' dell'impresa. 
    Tuttavia, un primo dato differenziale  deriva  dalla  circostanza
che l'esenzione in parola si pone, anche diacronicamente, in linea di
continuita' con la previsione normativa che  solo  poco  tempo  prima
aveva introdotto nel codice civile il patto di famiglia (art. 768-bis
cod. civ.); un nuovo contratto tipico che, ponendosi espressamente in
deroga al generale divieto dei patti successori di cui  all'art.  458
cod. civ. e prevedendo la necessaria partecipazione del coniuge e  di
tutti  i  legittimari,  consente   all'imprenditore   di   trasferire
l'azienda o le partecipazioni societarie esclusivamente in favore dei
discendenti e non anche del coniuge, il quale, al  pari  degli  altri
soggetti che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse  la
successione dell'imprenditore stesso, sara' soddisfatto, qualora  non
vi rinunzi, con il pagamento di una somma  corrispondente  al  valore
della quota a questo spettante ai sensi degli artt.  536  e  seguenti
cod. civ. 
    Il legislatore, quindi, da un  lato  ha  previsto  uno  specifico
strumento contrattuale volto  a  facilitare  la  successione  in  una
particolare tipologia di beni unicamente a  favore  dei  discendenti;
dall'altro, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ha  limitato
a tali soggetti  anche  il  beneficio  fiscale  oggetto  dell'odierno
scrutinio. 
    Un ulteriore elemento differenziale deriva  dalla  considerazione
per cui i discendenti - essendo generalmente piu' giovani del coniuge
del dante causa - rappresentano, secondo l'id quod plerumque accidit,
coloro  che  piu'   sono   in   grado   di   proiettare   l'esercizio
dell'attivita' produttiva  in  un  orizzonte  temporale  maggiormente
esteso  o  quanto  meno  nel  limite  minimo  di  cinque   anni   dal
trasferimento imposto dal legislatore. 
    La scelta legislativa di circoscrivere  il  beneficio  alla  sola
ipotesi del passaggio intergenerazionale  a  favore  dei  discendenti
appare quindi non arbitraria, essendo giustificata in una prospettiva
di "maggiore durata" della continuita' dell'attivita'  economica:  il
trasferimento al coniuge non e', pertanto, pienamente assimilabile  a
quello a favore del discendente. 
    Sulla scorta delle considerazioni svolte, non risulta dunque  una
piena omogeneita' tra le situazioni messe a confronto,  tale  da  far
ritenere   che   il   legislatore   sia   incorso   nella   manifesta
arbitrarieta'. 
    Ne'  e'  di  ostacolo  a  tale  conclusione  la  circostanza  che
l'esenzione sia stata in seguito estesa al  coniuge  dalla  legge  24
dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)»:
la non manifesta irragionevolezza della limitazione del beneficio non
comporta difatti, di per se', la preclusione  della  possibilita'  di
ampliarne in seguito la concreta fruibilita'. Rientra  infatti  nella
discrezionalita'  del  legislatore,  ovviamente  nel   limite   della
ragionevolezza, valutare la "misura" della continuita' che  si  vuole
garantire con l'agevolazione. 
    Nemmeno  conducono  a   diversa   conclusione   le   disposizioni
menzionate dal rimettente quali «esempi» di estensione,  in  caso  di
successione, di agevolazioni fiscali «senza distinzione ai componenti
del nucleo familiare superstite». 
    E' infatti vero che l'art. 25 del d.lgs. n. 346 del 1990  prevede
una riduzione dell'imposta di successione e donazione  con  riguardo:
a) ai fondi rustici compresi nell'attivo ereditario, ove devoluti  al
coniuge o ai parenti in linea retta nonche' a fratelli o sorelle  del
defunto, sempre che tali soggetti siano coltivatori diretti e che  la
devoluzione avvenga nell'ambito di una famiglia diretto-coltivatrice,
per  tale  intendendosi  quella  che  «si   dedica   direttamente   e
abitualmente alla coltivazione dei fondi e all'allevamento e  governo
del bestiame [...]» (comma 3); b) agli immobili compresi  nell'attivo
ereditario  adibiti  all'esercizio  dell'impresa,  ove  devoluti   al
coniuge o a parenti in linea retta  entro  il  terzo  grado  defunto,
purche' cio' avvenga «nell'ambito di una impresa artigiana familiare,
come definita della legge 8 agosto 1985, n. 443, e dell'art.  230-bis
del codice civile» (comma 4); c) se ubicati in comuni  montani  o  in
frazioni di essi di  piccole  dimensioni,  alle  «aziende,  quote  di
societa' di persone o beni strumentali» trasferiti al  coniuge  o  al
parente entro il terzo grado del defunto, a condizione che gli aventi
causa proseguano l'attivita' imprenditoriale per cinque  anni  (comma
4-bis). 
    Nondimeno, e' palese che si tratti di previsioni normative  volte
ad incentivare  -  ma,  a  differenza  dell'agevolazione  denunciata,
attraverso una riduzione e non per  mezzo  della  completa  esenzione
dall'imposta   -   specifici   settori   produttivi   (come    quello
dell'attivita' agricola svolta da una famiglia diretto-coltivatrice o
quello dell'impresa familiare artigiana) o a incoraggiare l'esercizio
dell'attivita'  imprenditoriale  ove  questa,  tenendo  conto   della
peculiare situazione ambientale e,  quindi,  di  mercato  in  cui  si
svolge, potrebbe rivelarsi di scarsa o comunque  minore  redditivita'
rispetto ad altri contesti territoriali. 
    Si e', in definitiva, al cospetto di  fattispecie  rispetto  alle
quali il legislatore ha discrezionalmente individuato la  platea  dei
soggetti beneficiari della riduzione dell'imposta  in  considerazione
delle specifiche peculiarita' che le caratterizzano. 
    5.2.- Per le ragioni sopra esposte  (supra,  punto  4.3)  nemmeno
fondata e' la censura afferente alla lesione dell'art. 29  Cost.  che
il rimettente argomenta sulla  scorta  di  deduzioni  sostanzialmente
sovrapponibili  a  quelle  poste  a  sostegno  della  violazione  del
principio di eguaglianza. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, comma 4-ter, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.
346 (Approvazione del  testo  unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta sulle successioni e donazioni), come  introdotto  dall'art.
1, comma 78, lettera a),  della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato  (legge  finanziaria  2007)»,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 29 della Costituzione, dalla
Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA