N. 183 ORDINANZA 21 - 30 luglio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Inserimento del delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nell'elenco dei reati ostativi alla concessione del permesso premio, in assenza di collaborazione con la giustizia - Disciplina transitoria che limiti l'applicabilita' della novella ai fatti successivi alla sua entrata in vigore - Omessa previsione - Denunciata irragionevolezza, violazione della finalita' rieducativa della pena e del principio, anche convenzionale, di irretroattivita' della legge penale sfavorevole - Sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale - Restituzione degli atti al giudice rimettente. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, comma 1. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 27, primo e terzo comma, 25, secondo comma, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 7.(GU n.32 del 5-8-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Mario Rosario MORELLI; Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Lecce nel procedimento di sorveglianza nei confronti di A. S., con ordinanza del 5 aprile 2019, iscritta al n. 200 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2019. Visto l'atto di costituzione di A. S., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 21 luglio 2020 il giudice relatore Francesco Vigano'; uditi gli avvocati Ladislao Massari e Gianfrancesco Castrignano' per A. S. e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 21 luglio 2020. Ritenuto che, con ordinanza del 5 aprile 2019, il Magistrato di sorveglianza di Lecce ha sollevato - in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), «cosi' come interpretato nel "diritto vivente"», nella parte in cui esclude che il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), commesso e giudicato prima dell'entrata in vigore della legge 17 aprile 2015, n. 43 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonche' proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione), possa fruire del beneficio del permesso premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; che il giudice a quo ha altresi' sollevato - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., nella parte in cui impone ai condannati per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione il divieto di fruire del beneficio del permesso premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; che il rimettente e' chiamato a delibare l'istanza di concessione di permesso premio, ex art. 30-ter ordin. penit., avanzata da A. S., detenuto dal 22 giugno 2017 in espiazione della pena di tre anni, nove mesi e diciotto giorni di reclusione, risultante dal cumulo - previa applicazione di tre anni di condono e detrazione di sette mesi e diciotto giorni di custodia cautelare - di tre condanne per il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina; che, in punto di rilevanza, il Magistrato di sorveglianza osserva che, ove fosse applicabile la disciplina penitenziaria vigente al momento della commissione dei fatti di reato, A. S. potrebbe fruire del permesso premio, avendo gia' scontato (tenuto conto della custodia cautelare gia' subita e della liberazione anticipata maturata) assai piu' del limite minimo di un quarto della pena richiesto dall'art. 30-ter, comma 4, lettera b), ordin. penit., e soddisfacendo gli ulteriori requisiti della regolare condotta e dell'assenza di pericolosita' sociale; che tuttavia, per effetto dell'entrata in vigore della legge n. 43 del 2015, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. n. 7 del 2015, il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di cui all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione e' stato incluso nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., sicche' la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione e' ora subordinata alla collaborazione del condannato con la giustizia, ai sensi dell'art. 58-ter ordin. penit.; requisito, quest'ultimo, che non puo' dirsi realizzato in capo ad A. S.; che, in ordine alla non manifesta infondatezza della prima questione sollevata, il giudice a quo rammenta che, secondo il diritto vivente, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione soggiacciono al principio tempus regit actum, con conseguente immediata applicabilita', a tutti i rapporti esecutivi non ancora esauriti, di eventuali modifiche normative di segno peggiorativo (sono citate Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17 luglio 2006, n. 24561; sezione prima penale, sentenza 9 dicembre 2009, n. 46924); che, nel caso di specie, l'art. 3-bis del d.l. n. 7 del 2015, come convertito - che ha incluso il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nell'elenco di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. - non reca alcuna disciplina transitoria, volta a limitare l'applicabilita' della modifica normativa ai fatti di reato commessi successivamente alla sua entrata in vigore; che nemmeno potrebbe evocarsi il principio di matrice costituzionale che, a fronte di sopravvenute modifiche di segno restrittivo dei presupposti per la concessione dei benefici penitenziari, salvaguarda la gia' realizzata progressione trattamentale del condannato, vietando l'immotivata regressione nella fruizione dei benefici stessi (sentenze n. 137 del 1999, n. 445 del 1997, n. 504 del 1995 e n. 306 del 1993), poiche' nel caso di specie, alla data dell'entrata in vigore della legge n. 43 del 2015, A. S. non aveva nemmeno iniziato ad espiare la pena; che, tuttavia, l'affermata natura processuale dell'art. 4-bis ordin. penit. - cui consegue l'applicazione retroattiva dell'ampliamento del catalogo dei reati "ostativi" ivi contemplati - si porrebbe in contrasto con la garanzia di irretroattivita' della legge penale sfavorevole di cui all'art. 7 CEDU; garanzia che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, abbraccerebbe anche la fase di esecuzione delle sanzioni penali (e' citata la sentenza 21 ottobre 2013, Del Rio Prada contro Spagna); che le modifiche ampliative al catalogo dei reati di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. «decidono i margini di compressione della liberta' personale, frustrando la possibilita' di conoscere e calcolare, prima di agire, le conseguenze della propria condotta», sicche' «[r]iconoscere [all'art. 4-bis] natura processuale, cosi' precludendo l'applicazione del principio di irretroattivita' della legge penale, appare contrario al principio di ragionevolezza»; che, quanto alla non manifesta infondatezza della seconda questione sollevata - attinente alla prospettata contrarieta' agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. dell'inserimento, nell'art. 4-bis ordin. penit., del riferimento al delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - il giudice a quo osserva che la sottoposizione a un regime penitenziario di particolare rigore si giustifica per i condannati per reati di matrice associativa, per i quali la collaborazione con la giustizia «e' certamente indice di rescissione del legame con gli altri appartenenti al sodalizio»; che invece, per gli autori di reati di tipo non associativo, «il recupero sociale non deve passare attraverso una rescissione drastica di alcun vincolo», sicche' sarebbe irragionevole sottoporre al medesimo regime ostativo delineato dall'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. condotte delittuose tanto diverse tra loro, «precludendo ad una categoria cosi' ampia e diversificata di condannati il diritto di ricevere un trattamento penitenziario rivolto alla risocializzazione, senza che sia data al giudice la possibilita' di verificare in concreto la permanenza o meno di condizioni di pericolosita' social[e] tali da giustificare percorsi penitenziari non aperti alla realta' esterna»; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili o infondate; che, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, il rimettente avrebbe erroneamente censurato l'art. 4-bis ordin. penit., in luogo dell'art. 30-ter della medesima legge, che delinea condizioni piu' rigorose per la concessione di permessi premio ai condannati per uno dei reati ostativi contemplati nella prima disposizione, di talche' le questioni sarebbero inammissibili; che, sempre secondo l'Avvocatura generale dello Stato, le questioni sarebbero in ogni caso infondate, poiche' la selezione dei reati da includere nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. rientrerebbe nell'insindacabile discrezionalita' del legislatore; che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sono citate la sentenza n. 273 del 2001 e l'ordinanza n. 280 del 2001), la collaborazione con la giustizia, quale presupposto per la concessione dei benefici penitenziari, sarebbe «estranea alla sfera di operativita' del principio di irretroattivita' della legge penale, di cui all'art. 25, secondo comma, Costituzione»; che si e' costituito in giudizio A. S., richiamando le argomentazioni esposte nell'ordinanza di rimessione e chiedendo l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Lecce; che, nella memoria illustrativa depositata il 22 giugno 2020, A. S., alla luce dell'intervenuta sentenza n. 32 del 2020 - ove questa Corte ha ritenuto sottratti alla garanzia di irretroattivita' dell'art. 25, secondo comma, Cost. i riverberi sulla concedibilita' del permesso premio derivanti dall'inclusione di nuovi titoli di reato nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. - ha insistito per l'accoglimento della sola questione relativa alla contrarieta' agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. dell'inserimento del delitto di cui agli artt. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione nel catalogo di cui all'art. 4-bis ordin. penit.; che, con riferimento a tale questione, A. S. richiama la sentenza n. 253 del 2019, ove questa Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la presunzione assoluta di perdurante pericolosita' sociale collegata dall'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. alla mancata collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter della medesima legge, cosi' consentendo la concessione del permesso premio ai condannati per i reati contemplati da detta disposizione anche in assenza di collaborazione, allorche' siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; che detta pronuncia - ad avviso della parte - non sarebbe dirimente per la soluzione della questione in esame, atteso che «sarebbe [...] del tutto estemporaneo - a fronte di un condannato per il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - l'accertamento in ordine alla sussistenza di "elementi tali da escludere, sia l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti"»; che la questione dovrebbe invece essere esaminata nel merito e accolta, alla luce dei rilievi svolti da questa Corte nella sentenza n. 331 del 2011, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 4-bis, t.u. immigrazione, nella parte in cui stabiliva una presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti previsti dal comma 3 del medesimo articolo, osservando che i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina non presuppongono il necessario collegamento dell'agente con una struttura associativa permanente, tantomeno di tipo mafioso; che nella memoria illustrativa depositata il 26 giugno 2020 l'Avvocatura generale dello Stato, alla luce della sentenza n. 253 del 2019, ha chiesto la declaratoria di manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale per sopravvenuta carenza di oggetto (sono richiamate le ordinanze n. 321 e n. 177 del 2013, n. 315 e n. 182 del 2012), sul rilievo che «[p]er effetto di tale pronuncia e' venuta meno la preclusione alla fruizione dei permessi premio anche per i soggetti condannati per il delitto di cui all'art. 12, comma 1, del d.lvo. n. 286/1998, in assenza della prova di collaborazione con la giustizia, disposta dalla norma giuridica che costituisce l'oggetto della presente questione di legittimita' costituzionale». Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Lecce ha sollevato - in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), «cosi' come interpretato nel "diritto vivente"», nella parte in cui esclude che il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), commesso e giudicato prima dell'entrata in vigore della legge 17 aprile 2015, n. 43 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonche' proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione), possa fruire del beneficio del permesso premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; che il giudice a quo ha altresi' sollevato - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., nella parte in cui impone ai condannati per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione il divieto di fruire del beneficio del permesso premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; che e' infondata l'eccezione dell'Avvocatura generale dello Stato di inammissibilita' delle questioni per erronea individuazione della norma censurata; che, infatti, le censure del giudice a quo non si appuntano sulla previsione di un periodo di espiazione di pena piu' lungo di quello ordinariamente necessario per la concessione del permesso premio ai condannati per i delitti indicati dai commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis ordin. penit. (art. 30-ter, comma 4, lettera c, ordin. penit.), bensi' sull'inclusione del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nel catalogo dell'art. 4-bis, comma 1, sicche' correttamente sono state sollevate questioni di legittimita' costituzionale di quest'ultima disposizione; che va altresi' disattesa l'eccezione dell'Avvocatura generale dello Stato di inammissibilita' delle questioni per sopravvenuta carenza dell'oggetto, in ragione dell'intervenuta pronuncia della sentenza n. 253 del 2019; che, per effetto di detta pronuncia, l'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. e' stato caducato nella parte in cui non prevedeva che, ai detenuti per i delitti ivi previsti, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorche' siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; che, dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione in esame, emerge che il giudice a quo non ha inteso censurare in se' la rigidita' del meccanismo di collaborazione con la giustizia previsto dall'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. (nella formulazione antecedente alla sentenza n. 253 del 2019) per la fruizione del permesso premio, ma ha appuntato i propri dubbi di legittimita' costituzionale sull'inclusione nell'elenco delle fattispecie "ostative", contemplate da tale disposizione, del delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di cui all'art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione; che, dunque, il frammento normativo dell'art. 4-bis, censurato dall'ordinanza di rimessione, e' diverso da quello colpito dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale della sentenza n. 253 del 2019, sicche' le odierne questioni non possono ritenersi inammissibili per sopravvenuta carenza dell'oggetto; che e' peraltro innegabile che le censure del rimettente - e, in particolare, la doglianza relativa all'irragionevolezza e contrarieta' alla funzione rieducativa della pena dell'inserzione del delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., che e' opportuno esaminare per prima - muovano dal presupposto interpretativo dell'imprescindibilita' della collaborazione con la giustizia per l'ottenimento del permesso premio; che il rimettente osserva come l'indefettibile necessita' della collaborazione si giustifichi con riguardo ai condannati per reati di matrice associativa, per i quali sarebbe «certamente indice di rescissione del legame con gli altri appartenenti al sodalizio», ma risulti contraria agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e secondo comma, Cost. in relazione ai condannati per reati non necessariamente rivelatori di legami con forme di criminalita' organizzata, per i quali «il recupero sociale non deve passare attraverso una rescissione drastica di alcun vincolo»; che da tale incedere argomentativo risulta evidente che le censure sono strettamente intrecciate con il tema dell'assolutezza della presunzione di perdurante pericolosita' sociale del condannato, che l'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. riconnetteva alla mancata collaborazione con la giustizia; che, tuttavia, il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente risulta profondamente modificato dalla sopravvenuta sentenza n. 253 del 2019, che ha dichiarato parzialmente incostituzionale l'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. proprio per quel che attiene all'assolutezza di tale presunzione, cosi' consentendo la concessione del permesso premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a norma dell'art. 58-ter ordin. penit., allorche' siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino degli stessi; che, «secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, a fronte del sopraggiungere di pronunce di illegittimita' costituzionale (ordinanza n. 26 del 2009) spetta al giudice rimettente valutare in concreto l'incidenza delle sopravvenute modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018)» (ordinanza n. 49 del 2020); che tale verifica assume rilievo pregiudiziale rispetto all'esame dell'ulteriore vizio di legittimita' costituzionale dedotto nell'ordinanza di rimessione e relativo alla mancata previsione di una disciplina transitoria volta a limitare l'applicabilita' del disposto dell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., modificato dall'art. 3-bis, comma 1, del d.l. n. 7 del 2015, come convertito, ai fatti di reato successivi alla modifica stessa, posto che anche questa seconda censura muove dal presupposto che sarebbe costituzionalmente illegittima l'applicazione retroattiva della «presunzione assoluta di pericolosita' [...] inserita nell'art. 4-bis ord. pen.»; che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al rimettente per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni, alla luce del mutato contesto normativo.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 luglio 2020. F.to: Mario Rosario MORELLI, Presidente Francesco VIGANO', Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2020. Il Cancelliere F.to: Roberto MILANA