N. 193 SENTENZA 21 - 31 luglio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Modifiche all'art. 4-bis, comma 1,  della
  legge n. 354 del 1975 - Inserimento del  reato  di  favoreggiamento
  dell'immigrazione clandestina nell'elenco dei reati  ostativi  alla
  sospensione dell'esecuzione della pena - Disciplina  transitoria  -
  Omessa  previsione  -  Denunciata  violazione  del   principio   di
  legalita'  e  del  principio  di  affidamento  con  riguardo   alle
  modalita' di esecuzione della pena, alla luce della  giurisprudenza
  della Corte EDU - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di  cui
  in motivazione. 
- Decreto-legge   18   febbraio   2015,   n.   7,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 17 aprile 2015, n. 43, art. 3-bis, comma
  1. 
- Costituzione, artt. 25, comma 2, e 117, comma 1; Convenzione per la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  art. 7. 
(GU n.32 del 5-8-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3-bis,
comma 1, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7 (Misure urgenti per
il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonche'
proroga  delle  missioni  internazionali  delle  Forze  armate  e  di
polizia, iniziative di  cooperazione  allo  sviluppo  e  sostegno  ai
processi di ricostruzione  e  partecipazione  alle  iniziative  delle
Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei  processi  di
pace e di  stabilizzazione),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 17 aprile 2015, n. 43, promosso dalla Corte di assise d'appello
di Brescia nel procedimento penale a carico di S. S.,  con  ordinanza
del 23 luglio 2019, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 2019  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  49,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  S.  S.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  luglio  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Marco Capra per S. S. e l'avvocato  dello  Stato
Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 luglio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  ordinanza  del  23  luglio  2019,  la  Corte  di  assise
d'appello di Brescia ha sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  25,
secondo comma, e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 3-bis del  decreto-legge  18
febbraio 2015, n. 7 (Misure urgenti per il contrasto del  terrorismo,
anche di  matrice  internazionale,  nonche'  proroga  delle  missioni
internazionali  delle  Forze  armate  e  di  polizia,  iniziative  di
cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione  e
partecipazione alle iniziative  delle  Organizzazioni  internazionali
per il consolidamento dei processi di  pace  e  di  stabilizzazione),
convertito, con modificazioni, nella legge 17  aprile  2015,  n.  43,
«nella parte in cui, inserendo all'art. 4-bis della legge  26  luglio
1975, n. 354 richiamato dall'art. 656 comma 9,  lett.  a)  c.p.p.  il
reato di cui all'art. 12, commi 1 e 3, D.lgs. 25 luglio 1998 n.  286,
non prevede una norma transitoria al fine di  evitare  l'applicazione
retroattiva del divieto di sospensione dell'esecuzione della pena». 
    1.1.- Il rimettente  e'  investito  dell'istanza  di  S.  S.,  di
sospensione - previa detrazione dalla pena da  scontare  del  periodo
trascorso in custodia cautelare -dell'ordine di esecuzione emesso  il
12 marzo 2019 dalla Procura generale presso  la  Corte  d'appello  di
Brescia, in relazione alla pena detentiva di due anni e otto mesi  di
reclusione, inflitta dalla Corte d'assise d'appello  di  Brescia  con
sentenza del 6 aprile 2018, irrevocabile dal 21 febbraio 2019, per il
reato di cui all'art. 12, comma 3, del decreto legislativo 25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggravato ai sensi del comma 3-bis, lettera c-bis), della
medesima disposizione e commesso il 10 novembre 2007. 
    1.2.- Premessa la fondatezza della domanda  di  detrazione  dalla
pena da espiare del periodo di custodia cautelare, il giudice  a  quo
osserva che, pur essendo stato S. S. condannato  per  un  reato  che,
all'epoca  della   sua   commissione,   consentiva   la   sospensione
dell'ordine di esecuzione, per effetto della modifica recata all'art.
4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n.  354,  recante  «Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della  liberta'»  (richiamato  dall'art.  656,
comma 9, lettera a, del codice di procedura penale)  dall'art.  3-bis
del d.l. n. 7 del 2015, come  convertito,  tale  sospensione  risulta
oggi preclusa dall'inclusione, ad opera di tale ultima  disposizione,
nel novero dei reati "ostativi". 
    Sarebbe d'altra parte irrilevante la circostanza che la  condotta
addebitata a S. S.  costituisse,  all'epoca  della  sua  commissione,
un'autonoma    fattispecie    "qualificata"    di     favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, laddove oggi integra  una  circostanza
aggravante  del  medesimo  delitto,  atteso  che  il  fatto  commesso
dall'interessato risulterebbe comunque  riconducibile  alla  condotta
punita dall'attuale art. 12, commi 1 e 3, t.u. immigrazione,  cui  fa
riferimento  l'art.  4-bis,  comma  1,  ordin.   penit.,   modificato
dall'art. 3-bis del d.l. n. 7 del 2015, come convertito. 
    Per effetto di quest'ultima disposizione, S. S. non  puo'  dunque
beneficiare della sospensione dell'ordine di esecuzione, laddove,  in
caso di  accoglimento  delle  questioni  prospettate,  egli  potrebbe
invece ottenerla e presentare da libero  istanza  di  concessione  di
misure  alternative  alla  detenzione.  Di  qui  la  rilevanza  delle
questioni. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente, dato
atto del consolidato orientamento giurisprudenziale  in  ordine  alla
natura processuale delle norme  di  ordinamento  penitenziario  (sono
citate Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17  luglio
2006, n. 24561 e sezione prima penale, sentenza 27  aprile  2018,  n.
18496),  che  precluderebbe   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata  della   disposizione   censurata,   volta   a   escluderne
l'applicabilita' a fatti di reato  precedenti  alla  sua  entrata  in
vigore, dubita della compatibilita' della stessa con  gli  artt.  25,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art. 7 CEDU. 
    Il divieto di retroattivita' della legge penale  sfavorevole,  di
cui all'art. 7 CEDU, abbraccerebbe infatti, secondo la giurisprudenza
della Corte EDU, «istituti pur inseriti nella  normativa  di  matrice
penitenziaria,   laddove   incidano   in   termini   di   sostanziale
modificazione quantitativa o qualitativa della pena». 
    Le misure alternative alla detenzione, secondo  quanto  affermato
da questa stessa Corte nella sentenza n. 349 del  1993,  «partecipano
alla  natura  della  pena,  proprio  per  il  loro  coefficiente   di
afflittivita'»,  sicche'  modifiche  normative  che   restringano   i
presupposti  di  accesso  alle  stesse  dovrebbero  soggiacere   alla
garanzia dell'irretroattivita', cosi'  come  ricavabile  dagli  artt.
117, primo comma, Cost. e 7 CEDU. 
    Il censurato art. 3-bis del d.l. n. 7 del 2015, come  convertito,
inserendo  il  delitto  di  cui  all'art.  12,  commi  1  e  3,  t.u.
immigrazione nel catalogo dei reati  di  cui  all'art.  4-bis  ordin.
penit., per i quali l'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc.  pen.
prevede il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione,  avrebbe
«regol[ato] in senso restrittivo l'accesso  alle  misure  alternative
alla detenzione» rispetto  a  fatti  di  reato  precedenti  alla  sua
entrata in vigore, cosi' violando l'art. 7  CEDU,  come  interpretato
dalla Corte di Strasburgo. 
    La stessa  Corte  di  cassazione,  sezione  sesta  penale,  nella
sentenza 20 marzo 2019, n. 12541, avrebbe incidentalmente rilevato la
dubbia conformita' agli artt. 117, primo comma, Cost.  e  7  CEDU  di
modifiche dell'art. 4-bis ordin. penit., non accompagnate  da  alcuna
disciplina transitoria,  che  si  riverberino  sulla  sospendibilita'
dell'ordine di esecuzione della pena  inflitta  per  fatti  di  reato
precedenti alla modifica stessa, evidenziando come il «passaggio - "a
sorpresa" e dunque non prevedibile  -  da  una  sanzione  patteggiata
"senza  assaggio  di   pena"   ad   una   sanzione   con   necessaria
incarcerazione» leda il principio dell'affidamento dei consociati  in
ordine alla prevedibilita' della legge penale, tutelato  dall'art.  7
CEDU. 
    La necessita' costituzionale  di  limitare  l'ambito  applicativo
delle modifiche all'art. 4-bis ai fatti commessi successivamente alle
modifiche stesse sarebbe infine comprovata dal rilievo che lo  stesso
legislatore, in occasione di precedenti interventi  sulla  richiamata
disposizione,  si  sarebbe  premurato  di  prevedere  una  disciplina
transitoria in tal senso. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
siano dichiarate inammissibili o infondate. 
    Le censure del giudice a quo poggerebbero su un acritico richiamo
alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Del Rio Prada
contro Spagna  -  pur  non  espressamente  citata  dall'ordinanza  di
rimessione - laddove sarebbe, invece, necessario «valutare come ed in
quale misura il prodotto dell'interpretazione della Corte europea  si
inserisca nell'ordinamento costituzionale  italiano»  (e'  citata  la
sentenza n. 311 - recte: 317 - del 2009), tenuto conto del margine di
apprezzamento di cui gode questa Corte nel valutare la giurisprudenza
europea (e' citata la sentenza n. 311 del 2009). 
    La sentenza Del Rio Prada contro Spagna non avrebbe disconosciuto
che le norme penitenziarie e  quelle  relative  all'esecuzione  delle
pene non costituiscono norme penali in senso proprio, ma  si  sarebbe
limitata ad accertare  che,  nel  caso  concreto,  un  mutamento  non
prevedibile  nell'interpretazione  giurisprudenziale  aveva  prodotto
effetti deteriori sul trattamento penitenziario della ricorrente.  Di
qui, l'inconferenza della pronuncia al caso di specie. 
    In  ogni  caso,  alla  luce  del  rango  subcostituzionale  delle
disposizioni della  CEDU,  le  stesse  non  potrebbero  integrare  il
«rinvio  mobile»  di  cui  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  ove
entrassero in conflitto con le norme della  Costituzione.  La  stessa
previsione dell'art. 7  CEDU  lascerebbe  agli  Stati  contraenti  un
margine di apprezzamento nel recepire la giurisprudenza  della  Corte
EDU, che non potrebbe comunque essere interpretata, ex art. 53  CEDU,
in senso  limitativo  rispetto  ai  diritti  assicurati  dalle  fonti
nazionali. 
    Questa Corte avrebbe poi ripetutamente  escluso  l'incidenza  del
divieto di retroattivita' della  legge  penale  sui  mutamenti  della
normativa penitenziaria (sono citate la sentenza n. 273  del  2001  e
l'ordinanza n. 28 - recte: 280 -  del  2001),  il  che  comporterebbe
l'inammissibilita'  della  questione  sollevata  dal  rimettente   in
riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. 
    La giurisprudenza di legittimita' sarebbe infine consolidata  nel
ritenere che le  disposizioni  concernenti  l'esecuzione  delle  pene
detentive e le misure alternative alla detenzione siano  soggette  al
principio tempus regit actum (sono richiamate  Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 17  luglio  2006,  n.  24561,  sezione
prima penale, sentenze 3 dicembre 2009, n. 46649 e 12 marzo 2013,  n.
11580, nonche' sezione sesta penale, sentenza 20 marzo 2019, n. 535 -
recte: 12541). 
    3.- Si e' costituita in giudizio la parte S. S., che ha insistito
per l'accoglimento delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate dalla Corte di assise d'appello  di  Brescia,  riproponendo
nella  sostanza   le   argomentazioni   offerte   dall'ordinanza   di
rimessione. 
    4.- All'udienza del 21 luglio 2020, l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha chiesto che le questioni  vengano  dichiarate  inammissibili
per sopravvenuta carenza di oggetto, essendo intervenuta la  sentenza
n. 32 del 2020, con cui questa Corte ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1,  comma  6,  lettera  b),  della  legge  9
gennaio 2019, n. 3 (Misure per  il  contrasto  dei  reati  contro  la
pubblica amministrazione, nonche'  in  materia  di  prescrizione  del
reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti  politici),
in quanto interpretato nel  senso  che  le  modificazioni  introdotte
all'art. 4-bis,  comma  1,  ordin.  penit.  si  applichino  anche  ai
condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in
vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento, tra  l'altro,  alla
disciplina del  divieto  di  sospensione  dell'ordine  di  esecuzione
previsto dall'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Corte  di  assise  d'appello  di  Brescia  dubita  -  in
riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 117, primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU) -  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
3-bis del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7 (Misure urgenti per il
contrasto del terrorismo, anche di  matrice  internazionale,  nonche'
proroga  delle  missioni  internazionali  delle  Forze  armate  e  di
polizia, iniziative di  cooperazione  allo  sviluppo  e  sostegno  ai
processi di ricostruzione  e  partecipazione  alle  iniziative  delle
Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei  processi  di
pace e di  stabilizzazione),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 17 aprile 2015, n. 43, «nella parte in cui, inserendo  all'art.
4-bis della legge 26 luglio 1975, n.  354  richiamato  dall'art.  656
comma 9, lett. a) c.p.p. il reato di cui all'art. 12, commi  1  e  3,
D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, non prevede una  norma  transitoria  al
fine di evitare l'applicazione retroattiva del divieto di sospensione
dell'esecuzione della pena». 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  l'applicazione  immediata  delle
modifiche recate all'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975,
n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure  privative  e  limitative  della  liberta')  -  che  determina
l'impossibilita' di sospendere  l'ordine  di  esecuzione  della  pena
inflitta a S. S. per fatti, relativi al  delitto  di  favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, commessi prima dell'entrata in  vigore
del censurato art. 3-bis del d.l. n. 7 del 2015 - confliggerebbe  con
la garanzia di irretroattivita' della legge  penale  sfavorevole,  di
cui agli artt. 25, secondo comma, Cost. e 7 CEDU. 
    2.- Preliminare all'esame dell'ammissibilita' e della  fondatezza
delle questioni e' la delimitazione del thema decidendum. 
    Benche'  l'ordinanza  di  rimessione   denunci   l'intero   testo
dell'art. 3-bis del d.l. n. 7 del 2015, composto dai  commi  1  e  2,
risulta evidente che le censure del rimettente si appuntano sul  solo
comma 1 della disposizione, che testualmente  prevede:  «all'articolo
4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, dopo  le  parole:
"630 del codice penale," sono inserite le seguenti: "all'articolo 12,
commi 1 e 3,  del  testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  e
successive modificazioni,"». Il comma 2 dell'art. 3-bis reca  infatti
modifiche all'art. 380 del codice di procedura penale, che disciplina
le ipotesi  di  arresto  obbligatorio  in  flagranza:  tema,  questo,
pacificamente estraneo  all'oggetto  delle  questioni  sollevate  dal
giudice a quo. 
    3.- Le questioni sono ammissibili. 
    3.1.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha  invero  eccepito
l'inammissibilita' della questione relativa alla  sospettata  lesione
del divieto di retroattivita' della legge penale sfavorevole  di  cui
all'art. 25, secondo comma, Cost., sul rilievo che  analoghe  censure
sarebbero gia' state respinte da questa Corte nella sentenza  n.  273
del 2001 e nell'ordinanza n. 28 (recte: 280) del 2001. 
    L'eccezione non puo' evidentemente essere accolta, atteso  che  -
«anche ad ammettere che vi sia perfetta coincidenza tra le  questioni
ora sollevate e altre gia' decise in passato - nulla vieta  a  questa
Corte di riconsiderare i propri stessi  orientamenti  interpretativi»
(sentenza n. 32 del 2020). 
    3.2.- Nel  corso  dell'udienza  pubblica,  l'Avvocatura  generale
dello Stato ha altresi' eccepito l'inammissibilita'  delle  questioni
per sopravvenuta carenza di oggetto, in ragione della  sopravvenienza
della sentenza n. 32 del 2020. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    Nella sentenza n. 32 del 2020, questa Corte  si  e'  espressa  in
relazione all'applicazione del divieto di retroattivita' della  legge
penale sfavorevole, di cui all'art. 25, secondo  comma,  Cost.,  alle
modifiche apportate all'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.  dall'art.
1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure  per
il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in
materia di prescrizione del reato e in  materia  di  trasparenza  dei
partiti e movimenti politici), che vi ha incluso i delitti contro  la
pubblica   amministrazione,   senza   prevedere   alcuna   disciplina
transitoria; ed ha dichiarato, nei  termini  che  saranno  illustrati
oltre   (infra,   punto   4.2.),   l'illegittimita'    costituzionale
dell'interpretazione dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge n.
3 del 2019 offerta dal diritto vivente. 
    Poiche' la sentenza n. 32 del 2020 concerne l'interpretazione  di
una disposizione (l'art. 1, comma 6, lettera b, della legge n. 3  del
2019) diversa da quella  censurata  dall'odierno  rimettente  (l'art.
3-bis, comma 1, del d.l.  n.  7  del  2015,  come  convertito),  deve
escludersi che le questioni oggi in esame possano  essere  dichiarate
inammissibili per sopravvenuta carenza di oggetto. 
    4.- La sopravvenienza della  sentenza  n.  32  del  2020  risulta
tuttavia determinante ai fini dell'esame del merito delle censure del
rimettente, determinandone la non fondatezza, nei  sensi  di  seguito
precisati. 
    4.1.- Prima di tale sentenza, l'orientamento della giurisprudenza
di legittimita' era costante nel  senso  della  non  riconducibilita'
all'alveo  dell'art.   25,   secondo   comma,   Cost.   delle   norme
sull'esecuzione  della  pena,  e  conseguentemente  nel  senso  della
pacifica applicabilita' di modifiche normative di segno  peggiorativo
anche ai condannati che avessero commesso il reato prima dell'entrata
in vigore delle modifiche stesse, secondo il principio  tempus  regit
actum (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17  luglio
2006, n. 24561, nonche', ex multis, sezione prima penale, sentenza  9
settembre 2016, n. 37578). 
    Proprio sulla  scorta  di  tale  diritto  vivente,  correttamente
ricostruito  sulla  base  dello   stato   della   giurisprudenza   di
legittimita' al momento dell'ordinanza di rimessione,  il  giudice  a
quo ritiene che l'inclusione - a opera dell'art. 3-bis, comma 1,  del
d.l. n. 7 del 2015, come convertito - del delitto di  favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, di cui all'art. 12, commi 1 e 3,  t.u.
immigrazione, nel catalogo di reati di cui all'art. 4-bis,  comma  1,
ordin. penit. determini, ai sensi dell'art. 656, comma 9, lettera a),
cod.  proc.  pen.,  l'impossibilita'  di   sospendere   l'ordine   di
esecuzione della pena inflitta al condannato nel procedimento a  quo,
benche' egli abbia commesso il reato prima dell'entrata in vigore del
citato decreto-legge. 
    4.2.- Tuttavia, nella sentenza  n.  32  del  2020  questa  Corte,
ritenendo necessario «procedere a una complessiva rimeditazione della
portata del divieto di retroattivita' sancito dall'art.  25,  secondo
comma, Cost., in  relazione  alla  disciplina  dell'esecuzione  della
pena», ha affermato che la regola secondo cui le pene  devono  essere
eseguite in base alla legge in vigore al momento  dell'esecuzione,  e
non in base a quella in vigore al tempo della commissione del  reato,
«deve [...] soffrire un'eccezione allorche' la normativa sopravvenuta
non comporti mere modifiche  delle  modalita'  esecutive  della  pena
prevista dalla legge al momento del reato, bensi' una  trasformazione
della natura  della  pena,  e  della  sua  concreta  incidenza  sulla
liberta' personale del condannato». In questa ipotesi, l'applicazione
retroattiva di una tale legge e' incompatibile con l'art. 25, secondo
comma, Cost. 
    Questa Corte ha quindi ritenuto che soggiacciano alla garanzia di
irretroattivita' le implicazioni dell'inclusione  di  un  determinato
titolo  di  reato  (in  quel  caso,  i  delitti  contro  la  pubblica
amministrazione) nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1,  ordin.
penit. sull'accesso alle misure alternative  alla  detenzione,  sulla
liberazione condizionale (artt. 176 e 177 cod. pen.) e sul divieto di
sospensione dell'ordine di esecuzione (art. 656, comma 9, lettera  a,
cod. proc. pen.). Cio' in quanto detti istituti consentono,  a  vario
titolo e in varia misura, di accedere a  un  regime  extramurario  di
espiazione  della  pena,  la  cui  preclusione  -  in   forza   della
sopravvenuta applicabilita' del regime  "ostativo"  di  cui  all'art.
4-bis, comma 1, ordin. penit. - comporta una radicale modifica  della
natura della pena inflitta. 
    Per quel che qui piu' rileva, nella citata sentenza questa Corte,
nel ritenere fondate le censure di  diversi  giudici  dell'esecuzione
che lamentavano di non poter sospendere ordini  di  esecuzione  della
pena emessi nei confronti di condannati per reati contro la  pubblica
amministrazione, commessi prima dell'entrata in vigore  dell'art.  1,
comma 6, lettera b), della legge n. 3  del  2019,  ha  osservato  che
«l'art. 656, comma 9, cod. proc. pen. - nel  vietare  la  sospensione
dell'ordine di esecuzione della pena in una serie di ipotesi, tra cui
quella, che qui viene in considerazione, relativa alla  condanna  per
un reato di cui all'art. 4-bis, ordin. penit. - produce l'effetto  di
determinare l'inizio dell'esecuzione  della  pena  stessa  in  regime
detentivo, in attesa  della  decisione  da  parte  del  tribunale  di
sorveglianza  sull'eventuale  istanza  di  ammissione  a  una  misura
alternativa; e dunque comporta che una parte almeno  della  pena  sia
effettivamente  scontata  in  carcere,  anziche'  con  le   modalita'
extramurarie che erano consentite - per l'intera  durata  della  pena
inflitta  -  sulla  base  della  legge  vigente  al   momento   della
commissione del fatto. Tanto basta per riconoscere alla  disposizione
in questione un effetto di  trasformazione  della  pena  inflitta,  e
della sua concreta incidenza sulla liberta'  personale,  rispetto  al
quadro normativo vigente al momento del fatto;  con  conseguente  sua
inapplicabilita', ai sensi dell'art. 25, secondo comma,  Cost.,  alle
condanne per reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della
novella legislativa, che ne  ha  indirettamente  modificato  l'ambito
applicativo,  tramite  l'inserimento  di  numerosi  reati  contro  la
pubblica amministrazione nell'elenco di  cui  all'art.  4-bis  ordin.
penit.». 
    Questa Corte ha peraltro rilevato che il censurato art. 1,  comma
6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, cosi'  come  formulato  dal
legislatore, nulla prevedeva in relazione alla sua  applicazione  nel
tempo; sicche' «[i]n contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost.  -
sotto i profili denunciati dalle ordinanze di  rimessione  in  questa
sede esaminate - [era] la norma risultante  dal  diritto  vivente,  a
tenore della  quale  le  modifiche  introdotte  con  la  disposizione
censurata sarebbero applicabili anche retroattivamente». 
    Al cospetto dell'univoco orientamento del diritto vivente, questa
Corte ha ritenuto - allora -  di  non  poter  adottare  una  sentenza
interpretativa di rigetto, e  ha  cosi'  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale, per contrasto con l'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,
dell'art. 1, comma 6, lettera b), della legge  n.  3  del  2019,  «in
quanto  interpretato»  nel  senso  che  le  modificazioni  introdotte
all'art. 4-bis, comma  1,  ordin.  penit.,  si  applichino  anche  ai
condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in
vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento - tra l'altro - alla
disciplina della sospensione dell'ordine  di  esecuzione  della  pena
prevista dall'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. 
    4.3.- Tale declaratoria di incostituzionalita' ha  modificato  il
principio  espresso  dal   diritto   vivente   relativo   al   regime
intertemporale delle modifiche normative che inseriscano nuovi  reati
nel catalogo dell'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. 
    Dal momento che il censurato art. 3-bis, comma 1, del d.l.  n.  7
del  2015,  come  convertito  -  che  ha  aggiunto  il   delitto   di
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di  cui  all'art.  12,
commi 1 e 3, t.u. immigrazione, al novero dei reati di  cui  all'art.
4-bis,  comma  1,  ordin.  penit.  -  nulla  dispone  circa  la   sua
applicabilita'  alle  condanne  per  reati   commessi   anteriormente
all'entrata in vigore del decreto-legge stesso,  nessun  ostacolo  si
oppone piu' a che il giudice a quo adotti,  rispetto  a  tali  reati,
l'unica interpretazione della disposizione censurata compatibile  con
il principio di legalita' della pena  di  cui  all'art.  25,  secondo
comma, Cost., cosi' come declinato da questa Corte nella sentenza  n.
32 del 2020. 
    L'art. 3-bis, comma 1, del d.l.  n.  7  del  2015  dovra'  dunque
trovare applicazione ai soli fatti di reato commessi  successivamente
alla sua entrata  in  vigore  con  riferimento  alla  disciplina  del
divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena  prevista
dall'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. 
    Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dalla Corte
di assise d'appello di Brescia devono essere dichiarate non  fondate,
potendo e dovendo la disposizione censurata  essere  interpretata  in
modo conforme a Costituzione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non  fondate,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  3-bis,  comma  1,
del decreto-legge 18 febbraio 2015,  n.  7  (Misure  urgenti  per  il
contrasto del terrorismo, anche di  matrice  internazionale,  nonche'
proroga  delle  missioni  internazionali  delle  Forze  armate  e  di
polizia, iniziative di  cooperazione  allo  sviluppo  e  sostegno  ai
processi di ricostruzione  e  partecipazione  alle  iniziative  delle
Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei  processi  di
pace e di  stabilizzazione),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 17 aprile 2015, n. 43, sollevate, in riferimento agli artt. 25,
secondo comma, e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  (CEDU),  dalla
Corte di assise d'appello di  Brescia  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 luglio 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA