N. 247 SENTENZA 5 - 25 novembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Edilizia e urbanistica  -  Norme  della  Regione  Veneto  -  Immobili
  costitutivi della memoria e  dell'identita'  storico-culturale  del
  territorio - Cambio di destinazione  d'uso  preceduto  da  varianti
  urbanistiche - Esonero dal contributo straordinario di  costruzione
  - Violazione di principi fondamentali nella materia del governo del
  territorio - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
Procedimento amministrativo - Norme della Regione Veneto -  Procedure
  relative allo sportello unico per le attivita' produttive (SUAP)  -
  Inerzia   della   pubblica   amministrazione   -   Facolta',    per
  l'interessato, di richiedere la convocazione di una  conferenza  di
  servizi finalizzata ad individuare  le  modalita'  per  l'eventuale
  prosecuzione  del  procedimento  -  Violazione   della   competenza
  esclusiva statale in materia  di  tutela  della  concorrenza  e  di
  determinazione  dei  livelli   essenziali   delle   prestazioni   -
  Illegittimita' costituzionale. 
Edilizia e urbanistica  -  Norme  della  Regione  Veneto  -  Immobili
  costitutivi della memoria e  dell'identita'  storico-culturale  del
  territorio - Cambio di destinazione d'uso senza aumento del  carico
  urbanistico - Esonero dal contributo di  costruzione  -  Denunciata
  violazione di principi fondamentali nella materia del  governo  del
  territorio - Non fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Veneto 25 luglio 2019, n. 29, artt. 11 e 20. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lettere e) ed m), e terzo. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 11  e  20
della legge della  Regione  Veneto  25  luglio  2019,  n.  29  (Legge
regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del
territorio e paesaggio, parchi, trasporto pubblico, lavori  pubblici,
ambiente, cave e miniere, turismo e servizi  all'infanzia),  promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato  il
27 settembre - 2  ottobre  2019,  depositato  in  cancelleria  il  1°
ottobre 2019 ed iscritto al  n.  102  del  registro  ricorsi  2019  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  45,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nella udienza pubblica  del  20  ottobre  2020  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi l'avvocato dello Stato Federico Basilica per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Andrea Manzi per  la  Regione
Veneto; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
iscritto al reg. ric. n. 102 del 2019, ha impugnato gli artt. 11 e 20
della legge della  Regione  Veneto  25  luglio  2019,  n.  29  (Legge
regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del
territorio e paesaggio, parchi, trasporto pubblico, lavori  pubblici,
ambiente, cave  e  miniere,  turismo  e  servizi  all'infanzia),  per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere m) ed  e),  e  terzo
comma, della Costituzione. 
    1.1.- Osserva il ricorrente che  l'impugnato  art.  11  inserisce
nella legge della Regione Veneto 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per  il
governo del territorio e in  materia  di  paesaggio),  l'art.  40-bis
(Disposizioni  relative  a  immobili  costitutivi  della  memoria   e
dell'identita' storico-culturale del territorio), il quale, al  comma
5, dispone l'esenzione dal pagamento del  contributo  di  costruzione
nell'ipotesi di cambio di destinazione d'uso di  immobili  funzionali
alla conservazione della memoria e  dell'identita'  storico-culturale
del territorio, al ricorrere delle ulteriori condizioni ivi  previste
(riconoscimento  da  parte  del  Comune  di  un  interesse  pubblico,
sussistenza di adeguate opere di urbanizzazione primarie  e  mancanza
di aumento dei carichi urbanistici). 
    E cio' in  contrasto  con  la  disciplina  statale  che,  invece,
imporrebbe, nell'ipotesi di cambio di destinazione  d'uso,  l'obbligo
di corrispondere  gli  oneri  di  urbanizzazione  in  relazione  alla
situazione   esistente   al   momento   della   presentazione   della
segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA) o del permesso di
costruire. 
    Viene ricordato dall'Avvocatura generale dello Stato che la Corte
costituzionale ha riconosciuto la natura di norme di  principio  alle
disposizioni che definiscono l'onerosita' dell'attivita' edilizia, ma
anche a  quelle  che,  incidendo  su  tale  principio,  concorrono  a
determinare l'effettiva portata e la caratterizzazione  positiva  del
principio medesimo, in quanto  ad  esso  legate  da  un  rapporto  di
coessenzialita' o di integrazione necessaria  (sentenze  n.  231  del
2016 e n. 1033 del 1988). 
    1.1.1.- Il ricorrente assume un ulteriore  profilo  di  contrasto
con la disciplina statale di  riferimento  alla  luce  del  combinato
disposto dei commi 2 (il quale prevede l'approvazione, da  parte  del
Comune, di una variante al  Piano  degli  interventi  comunali)  e  5
dell'art. 40-bis oggetto di esame. 
    Vi sarebbe, infatti, violazione,  in  particolare,  del  disposto
dell'art. 16, comma 4, lettera d-ter, del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.
380 (Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia), da considerarsi anch'esso norma di  principio,  il
quale prevede la debenza di un contributo straordinario in ipotesi di
«interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in  deroga  o
con cambio di destinazione d'uso». 
    L'Avvocatura generale dello Stato puntualizza che  le  previsioni
contenute nel medesimo art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001  (d'ora  in
avanti: TUE), ai commi 4-bis e 5 - in base alle quali  vengono  fatte
salve le diverse disposizioni delle legislazioni  regionali  e  degli
strumenti urbanistici  generali  comunali  -  si  riferirebbero  alla
disciplina del calcolo del maggior valore e  agli  obiettivi  cui  il
«contributo  straordinario»  deve  essere  vincolato  e  lascerebbero
dunque inalterato il principio  in  base  al  quale,  per  quanto  di
interesse nel caso di specie, qualora si sia in presenza di  varianti
urbanistiche  con  cambio  di  destinazione  d'uso   e'   dovuto   un
«contributo straordinario», in ragione del maggior valore generato da
interventi su aree o immobili. 
    1.1.2.- Il gravato art. 11 violerebbe, dunque, l'art. 117,  terzo
comma, Cost., in quanto si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi
fondamentali dettati in materia di governo del territorio dagli artt.
16 e 17 del TUE. 
    1.2.- Ulteriore questione ha ad oggetto l'art. 20 della  medesima
legge regionale n. 29 del 2019 che modifica la  legge  della  Regione
Veneto 31 dicembre 2012, n. 55 (Procedure  urbanistiche  semplificate
di sportello unico per le  attivita'  produttive  e  disposizioni  in
materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilita',
di noleggio con conducente e di commercio  itinerante),  introducendo
l'art. 6-bis (Disposizioni  per  l'applicazione  delle  procedure  di
sportello unico per le attivita' produttive). A parere del ricorrente
esso violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), Cost. 
    L'art. 6-bis, nell'ambito delle procedure relative allo sportello
unico per le attivita' produttive di cui al d.P.R. 7 settembre  2010,
n. 160 (Regolamento per  la  semplificazione  ed  il  riordino  della
disciplina sullo sportello unico  per  le  attivita'  produttive,  ai
sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, nella legge  6  agosto  2008,  n.
133), prevede che, decorsi inutilmente i termini fissati dall'art. 7,
commi 1 e 2, del  medesimo  d.P.R.  senza  che  il  responsabile  del
procedimento presso la struttura dello  sportello  unico  comunale  o
intercomunale abbia comunicato  il  provvedimento  conclusivo  ovvero
abbia attivato la conferenza di servizi di cui al successivo comma  3
dello stesso art. 7, il  richiedente  puo'  presentare  istanza  alla
struttura provinciale o  della  citta'  metropolitana  competente  in
materia di sportello unico per le imprese affinche',  entro  quindici
giorni  dalla  richiesta,  convochi   una   conferenza   di   servizi
finalizzata ad individuare le modalita' per l'eventuale  prosecuzione
del procedimento. 
    Tale disposizione, dunque, introdurrebbe una deroga  al  predetto
art. 7, comma 3, ai sensi del quale, scaduto il termine stabilito per
la conclusione del procedimento davanti allo sportello  unico  ovvero
in  caso  di  mancato  ricorso  alla  conferenza   di   servizi,   si
applicherebbe la regola del «silenzio assenso», in virtu' del  rinvio
all'art. 38, comma 3, lettera h), del decreto-legge 25  giugno  2008,
n.  112  (Disposizioni  urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    La  legge  regionale  in   esame   determinerebbe,   quindi,   un
aggravamento procedimentale poiche' escluderebbe l'applicazione della
regola del «silenzio assenso», che consente  la  chiusura  certa  del
procedimento, prevedendo l'attivazione di una conferenza  di  servizi
al fine  non  di  definire  il  procedimento  ma  di  individuare  le
modalita' per la sua eventuale prosecuzione. 
    La stessa Corte costituzionale - rammenta il ricorrente - con  la
sentenza n. 15 del 2010 ha riconosciuto la competenza statale per  la
disciplina in materia di sportello unico, valorizzando  «la  funzione
di coordinamento perseguita dalla normativa che disciplina compiti  e
funzionamento dello "sportello unico per le imprese",  attraverso  la
istituzione  di  un  procedimento  amministrativo  uniforme  volto  a
consentire  ai  soggetti  in  possesso  dei  requisiti  di  legge  la
intrapresa  dell'attivita'  economica.  Cio'  non  solo  al  fine  di
garantire, attraverso la uniformita' e la ragionevole  snellezza  del
procedimento, la maggiore trasparenza ed accessibilita' del  mercato,
si' da assicurare le migliori condizioni di concorrenza, ma anche  al
fine  di  dare  contenuto  al  precetto  di  cui  all'art.  41  della
Costituzione, il quale assegna, fra l'altro, alla legge  dello  Stato
il  compito  di  determinare  i  controlli  opportuni  affinche'   la
iniziativa economica, anche privata, sia coordinata a fini sociali». 
    Da quanto affermato da questa Corte si desumerebbe,  dunque,  che
le modifiche da parte della  normativa  regionale  per  le  parti  di
competenza possano essere ritenute legittime solo  se  modificano  in
melius   quella   statale   prevedendo   forme   piu'   avanzate   di
semplificazione. 
    2.- Si e' costituita la Regione Veneto, eccependo  l'infondatezza
di tutte le questioni in esame. 
    2.1.- Viene innanzitutto affermato che i  prospettati  motivi  di
incostituzionalita'  relativi  alla  disciplina  sul  contributo   di
costruzione   sarebbero   l'esito   di   un   fraintendimento   della
disposizione regionale. 
    E cio' in  quanto  l'esonero  dal  pagamento  del  contributo  di
costruzione, in caso di cambio  di  destinazione  d'uso  di  immobili
funzionali  alla  conservazione  della   memoria   e   dell'identita'
storico-culturale del  territorio,  sarebbe  subordinato  al  mancato
aumento dei carichi urbanistici.  Tale  previsione  sarebbe,  dunque,
conforme   ai    principi    consolidatisi    nella    giurisprudenza
amministrativa  per  cui   il   mutamento   di   destinazione   d'uso
giuridicamente  rilevante  e'  quello  tra  categorie  funzionalmente
autonome  dal  punto  di  vista  urbanistico  e  che  influisce   sul
cosiddetto carico urbanistico. 
    Pertanto,  l'esenzione   prevista   dall'impugnata   disposizione
regionale non determinerebbe alcuna deroga  alla  disciplina  statale
che richiede, appunto, un incremento di carico urbanistico  e,  anzi,
sarebbe subordinata alla sussistenza di ulteriori requisiti (quali la
sussistenza di uno specifico  interesse  pubblico  e  l'esistenza  di
adeguate opere di urbanizzazione primaria). 
    Tale conclusione -  prosegue  la  resistente  -  potrebbe  essere
estesa anche al cosiddetto contributo straordinario. 
    La  peculiare  funzione  che  dottrina   e   giurisprudenza   gli
attribuiscono    non    escluderebbe    e,    anzi,     richiederebbe
ineluttabilmente  la  correlazione   tra   la   modificazione   della
destinazione d'uso e l'aggravarsi del carico urbanistico, non essendo
sufficiente la  sussistenza  del  vantaggio  del  privato.  Quanto  a
quest'ultimo, poi, la resistente puntualizza  che  andrebbe  altresi'
considerato che la fattispecie  regolata  dalla  norma  regionale  in
discussione ipotizza un vantaggio pubblico dominante,  corrispondente
al valore  di  testimonianza  culturale  assicurato  dalla  vitalita'
dell'edificio garantita dal mutamento di destinazione d'uso. 
    Peraltro - prosegue  la  resistente  -  anche  a  voler  ritenere
irrilevante  l'aggravio  del  carico  urbanistico   ai   fini   della
determinazione del contributo straordinario, la finalita' di  equita'
sociale dello stesso e'  rimessa,  nel  suo  contemperamento  con  il
contrapposto interesse  di  favorire  l'efficienza  del  mercato  del
recupero   urbano   e    di    garantire    un    ordinato    assetto
urbanistico-edilizio del territorio, alla competenza  delle  Regioni,
che devono stabilire, nell'esercizio della propria  discrezionalita',
la compartecipazione tra Comune e privato al maggior valore  generato
dal cambio di destinazione d'uso dell'edificio. Il che  implicherebbe
la  facolta'  per  le  stesse  di  introdurre   ipotesi,   sia   pure
eccezionali, di quantificazione  nulla  del  contributo,  laddove  si
presentino fattispecie peculiari che giustifichino un favor  per  gli
interventi di recupero edilizio  al  fine  di  garantire  il  miglior
soddisfacimento dell'interesse generale. 
    In tale direzione si porrebbe, dunque, la disposizione  di  legge
regionale in esame, la quale, nell'escludere ogni forma di contributo
di costruzione, dunque anche straordinario, per il caso di intervento
con cambio di  destinazione  d'uso,  introdurrebbe  limiti  oggettivi
(beni  immobili  appartenenti  a  particolari   episodi   insediativi
reputati funzionali alla conservazione della memoria e dell'identita'
storico-culturale  del  territorio)  o   funzionali   (riconoscimento
comunale di un interesse pubblico, sussistenza di adeguate  opere  di
urbanizzazione primana e assenza di  carichi  urbanistici)  idonei  a
circoscrivere la  casistica  applicativa  ad  ipotesi  eccezionali  e
meritevoli di adeguato riconoscimento. 
    A parere della  Regione,  dunque,  la  gravata  disposizione  non
violerebbe  i  principi  fondamentali  in  materia  di  governo   del
territorio dettati dalla disciplina statale,  ma,  al  contrario,  ne
darebbe legittima e piena attuazione. 
    2.2.- Anche la  questione  avente  ad  oggetto  l'art.  20  della
gravata  legge  regionale  non  sarebbe   fondata,   in   quanto   la
disposizione   impugnata   non   introdurrebbe   alcun   aggravamento
procedimentale  ma  si   limiterebbe   a   introdurre   un   segmento
procedimentale  meramente  facoltativo   ed   eventuale,   attivabile
unicamente su istanza del richiedente. 
    Di  piu',  la  legge  regionale  -  sottolinea  la  resistente  -
modificherebbe in melius la normativa statale, avendo il  solo  scopo
di favorire la prosecuzione del procedimento, laddove esso non si sia
concluso mediante l'adozione di un provvedimento espresso ovvero  per
silentium ex art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241  (Nuove  norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso  ai
documenti amministrativi). 
    Non sarebbe, percio', esclusa  l'applicazione  dell'istituto  del
silenzio assenso, come paventato nel ricorso, ma, anzi, l'istituto in
parola  rappresenterebbe  un  elemento  imprescindibile  al  fine  di
delimitare  la  sfera   operativa   della   facolta'   sollecitatoria
introdotta dalla legge regionale. Essa sarebbe, infatti, utilizzabile
unicamente  ove  non  si  sia   formato   silenzio   provvedimentale,
ricorrendo, quindi, un'ipotesi di silenzio inadempimento. 
    A  conferma  di  tale  conclusione  viene  rimarcato  che  tra  i
procedimenti cui si  applica  il  d.P.R.  n.  160  del  2010  possono
ricorrere ipotesi sussumibili tra le fattispecie di esclusione di cui
al comma 4 dell'art. 20 della legge n. 241  del  1990,  a  norma  del
quale «[l]e disposizioni del presente articolo non si applicano  agli
atti  e  procedimenti   riguardanti   il   patrimonio   culturale   e
paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal  rischio  idrogeologico,  la
difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la
cittadinanza, la salute e la pubblica incolumita', ai casi in cui  la
normativa   comunitaria   impone    l'adozione    di    provvedimenti
amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio
dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonche' agli  atti  e
procedimenti individuati con uno o piu' decreti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, su proposta  del  Ministro  per  la  funzione
pubblica, di  concerto  con  i  Ministri  competenti».  Ben  potrebbe
accadere, dunque, che i procedimenti di cui al d.P.R. n. 160 del 2010
involgano alcuni degli interessi  sensibili  rispetto  ai  quali  non
trova applicazione l'istituto del silenzio  assenso;  nel  qual  caso
l'inutile decorso del termine per  la  conclusione  del  procedimento
avanti  lo  sportello  unico  andrebbe  qualificato  quale   silenzio
inadempimento e non quale silenzio assenso. Ed e' proprio  in  questa
evenienza  che  sarebbe  destinata  a   operare   l'impugnata   legge
regionale, al fine di garantire da  parte  della  Provincia  o  della
Citta' metropolitana l'avvio di un procedimento  (eventuale)  diretto
al superamento dell'inerzia. 
    Tale   disposizione   regionale,   dunque,   determinerebbe    un
innalzamento  dei  livelli  di   tutela   e   non   un   aggravamento
procedimentale. 
    Ne' a negare tale conclusione - chiarisce la Regione - gioverebbe
il richiamo, contenuto nel ricorso, all'art. 38, comma 3, lettera h),
del d.l. n. 112 del 2008, il quale consente di prescindere,  in  caso
di mancato ricorso alla  conferenza  di  servizi,  dall'avviso  delle
amministrazioni chiamate  a  pronunciarsi  sulle  questioni  di  loro
competenza, senza  che  sia  fatta  distinzione  tra  amministrazioni
preposte alla cura di interessi sensibili e non.  Infatti,  il  terzo
comma dello stesso art. 38 premette - alla enucleazione dei  principi
sulla cui base procedere alla semplificazione  e  al  riordino  della
disciplina dello sportello unico per le attivita' produttive  di  cui
al regolamento di cui al d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447  (Regolamento
recante norme di semplificazione dei procedimenti  di  autorizzazione
per  la  realizzazione,  l'ampliamento,  la  ristrutturazione  e   la
riconversione di  impianti  produttivi,  per  l'esecuzione  di  opere
interne ai fabbricati,  nonche'  per  la  determinazione  delle  aree
destinate agli insediamenti produttivi,  a  norma  dell'articolo  20,
comma 8, della L. 15 marzo 1997, n. 59), e successive modificazioni -
che deve essere garantito  «il  rispetto  di  quanto  previsto  dagli
articoli 19, comma l, e 20, comma 4, della legge 7  agosto  1990,  n.
241». Il che esclude che si possa  formare  un  silenzio  assenso  in
presenza di interessi "sensibili". 
    La disposizione di  legge  regionale  introdurrebbe,  dunque,  un
segmento procedimentale eventuale destinato a operare  su  iniziativa
del richiedente e unicamente ove  non  si  sia  formato  il  silenzio
assenso,  e  cioe'  al  solo  fine  di  porre   rimedio   all'inerzia
dell'amministrazione. In tal modo,  innalzando  e  non  riducendo  il
livello  di  semplificazione  procedimentale  e   di   tutela   della
concorrenza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  con  il  ricorso
indicato in epigrafe, ha impugnato gli artt.  11  e  20  della  legge
della Regione Veneto 25  luglio  2019,  n.  29  (Legge  regionale  di
adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del territorio e
paesaggio, parchi, trasporto  pubblico,  lavori  pubblici,  ambiente,
cave e miniere, turismo e servizi all'infanzia), i quali inseriscono,
rispettivamente, l'art. 40-bis nella legge della  Regione  Veneto  23
aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in  materia
di paesaggio) e l'art. 6-bis nella  legge  della  Regione  Veneto  31
dicembre  2012,  n.  55  (Procedure  urbanistiche   semplificate   di
sportello unico per le attivita' produttive e disposizioni in materia
urbanistica, di edilizia  residenziale  pubblica,  di  mobilita',  di
noleggio con conducente e di commercio itinerante). 
    2.- A parere del ricorrente, il comma 5 del predetto art.  40-bis
violerebbe l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto
con i  principi  fondamentali  dettati  in  materia  di  governo  del
territorio dagli artt. 16 e 17 del  d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia), in quanto  prevederebbe  un'ipotesi  di  esenzione
totale dal pagamento del contributo di costruzione al di fuori  delle
ipotesi previste dall'art. 17 del d.P.R. n. 380 del  2001  (d'ora  in
avanti: TUE). 
    Inoltre, alla luce del "combinato disposto" con  il  comma  2  (a
norma del quale il Comune, per individuare  gli  immobili  costituivi
della memoria  e  dell'identita'  storico-culturale  del  territorio,
provvede all'approvazione di una variante al Piano degli interventi),
vi sarebbe contrasto anche con il principio fondamentale  dettato  in
materia di governo del territorio  dall'art.  16,  comma  4,  lettera
d-ter, del TUE, secondo cui, qualora si sia in presenza di cambio  di
destinazione d'uso preceduto da varianti urbanistiche, e'  dovuto  un
"contributo straordinario" in ragione del maggior valore generato  da
interventi su aree o immobili. 
    3.- In relazione  alla  prima  questione,  va  ricordato  che  il
contributo  di  costruzione   e'   disciplinato   dal   Testo   unico
dell'edilizia, il quale, all'art. 16 prevede  che  «il  rilascio  del
permesso di costruire comporta la  corresponsione  di  un  contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di  urbanizzazione  nonche'  al
costo di costruzione». Il successivo art. 17 elenca, poi, i  casi  di
esenzione:  a)  interventi  da  realizzare  nelle  zone  agricole  in
funzione   della   conduzione   del   fondo    e    delle    esigenze
dell'imprenditore agricolo a  titolo  principale;  b)  interventi  di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20  per
cento di  edifici  unifamiliari;  c)  impianti,  attrezzature,  opere
pubbliche   e   di   interesse   generale   realizzate   dagli   enti
istituzionalmente  competenti  nonche'   opere   di   urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici; d)
interventi da realizzare in attuazione di norme  o  di  provvedimenti
emanati a seguito di pubbliche calamita'; e) nuovi impianti,  lavori,
opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti  rinnovabili  di
energia,  alla  conservazione,  al  risparmio  e  all'uso   razionale
dell'energia,  nel  rispetto  delle  norme  urbanistiche,  di  tutela
dell'assetto idrogeologico, artistico-storica e ambientale. 
    3.1.- Questa Corte ha espressamente  riconosciuto  la  natura  di
norme di principio  alle  disposizioni  relative  all'onerosita'  del
contributo  abilitativo,  rientranti  nella  «disciplina   un   tempo
urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti
sotto la rubrica "governo del territorio"» (sentenze n. 231 del  2016
e n. 303 del 2003), ivi incluse quelle contenenti deroghe o riduzioni
dell'importo ordinariamente previsto del contributo di costruzione in
quanto ad  esso  legate  da  un  rapporto  di  coessenzialita'  o  di
integrazione necessaria (sentenza n. 231 del 2016,  che  richiama  le
sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980). 
    3.2.-  Sulla  base  della   disciplina   statale   l'obbligo   di
corresponsione del contributo e' legato al maggior carico urbanistico
quale  effetto  dell'intervento  edilizio,  e  cio'  anche  nel  caso
particolare di cambio di destinazione d'uso. 
    3.3.- Ebbene, il comma 5 dell'art. 40-bis della  legge  regionale
in esame non  contraddice  tale  principio.  Esso  infatti  subordina
espressamente  l'esonero  del  contributo  nel  caso  di  cambio   di
destinazione d'uso al mancato aumento del carico  urbanistico  (oltre
che al riconoscimento di un interesse pubblico e alla sussistenza  di
adeguate opere di urbanizzazione primaria). 
    4.- La questione, pertanto, non e' fondata. 
    5.- Diverso esito deve avere la seconda  questione  che  investe,
insieme allo stesso comma 5, il comma 2, in base al quale  il  Comune
individua gli immobili costitutivi  della  memoria  e  dell'identita'
storico-culturale del territorio, provvedendo all'approvazione di una
variante al Piano degli interventi (PI), e  cio'  anche  al  fine  di
permettere  la  modificazione  di  destinazione  d'uso  di   cui   al
successivo comma 5. 
    5.1.- Viene in questo caso in rilievo  il  cosiddetto  contributo
straordinario che, secondo l'art. 16, comma 4, lettera d-ter del TUE,
e' dovuto in presenza di una variante  urbanistica  che  comporta  un
aumento di valore,  cui  lo  stesso  contributo  e'  commisurato.  La
lettura combinata delle disposizioni di cui ai commi 2 e 5 e' imposta
dalla stessa formulazione di quest'ultimo, che, nell'individuare  gli
immobili interessati, usa l'espressione "tali",  rinviando  cosi'  ai
commi precedenti e in  particolare  alla  previsione  della  variante
urbanistica. 
    Sennonche' lo stesso  legislatore  regionale,  nell'escludere  la
debenza del contributo in questione, non prende in considerazione  le
specifiche condizioni  che  lo  riguardano  fissate  dalla  normativa
statale  ma  si  limita  a  dettare  una  disciplina  indifferenziata
centrata sulla mancanza di un aumento del carico urbanistico (insieme
alle altre condizioni ricordate e qui non rilevanti). In  particolare
non tiene  conto  del  fatto  che  cio'  che  si  "colpisce"  con  il
contributo straordinario  e'  il  «plusvalore  di  cui  beneficia  il
privato a seguito dell'approvazione di una variante urbanistica,  che
abbia   accresciuto   le   facolta'   edificatorie    precedentemente
riconosciutegli, ovvero per effetto del rilascio di  un  permesso  in
deroga» (cosi' la Relazione governativa al  decreto-legge  16  luglio
2020, n. 76,  recante:  «Misure  urgenti  per  la  semplificazione  e
l'innovazione digitale», convertito nella legge 11 settembre 2020  n.
120, cosiddetto "decreto semplificazioni", che  ha  apportato  alcune
modificazioni  al   TUE,   anche   ai   fini   di   risolvere   dubbi
interpretativi). Ne consegue che solo la dimostrata inesistenza di un
aumento di valore puo' giustificare l'esenzione. 
    6.- La normativa  regionale  contrasta  dunque  con  i  parametri
interposti di cui alla lettera d-ter del comma 4 dell'art. 16 del TUE
e quindi viola l'art. 117, terzo comma, Cost.,  nella  parte  in  cui
esonera dal "contributo straordinario" nelle  ipotesi  di  cambio  di
destinazione d'uso con aumento di valore degli  immobili  costitutivi
della  memoria  e  dell'identita'  storico-culturale  del  territorio
disciplinati dall'art. 40-bis. 
    7.-  Su  tale  conclusione  non   incidono   le   norme   statali
sopravvenute dopo l'instaurazione del presente  giudizio,  ovverossia
il   cosiddetto   "decreto   semplificazioni",   che   ha   eliminato
l'espressione "cambio di destinazione d'uso" dalla lettera d-ter. 
    Comunque,  secondo  la  gia'  citata  Relazione  governativa,  la
novella  provvede  a  tale  eliminazione  in  quanto  il   contributo
straordinario non e' dovuto per «il  mero  cambio  d'uso  tra  quelli
considerati  ammissibili  dal   piano   urbanistico   generale»   che
prescinderebbe, quindi, dall'esistenza di una variante urbanistica. 
    8.- Quanto all'art. 20 della medesima legge regionale n.  29  del
2019, che modifica la legge della Regione  Veneto  n.  55  del  2012,
introducendo l'art. 6-bis, il Presidente del Consiglio  dei  ministri
sostiene che esso violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettere e) ed
m), Cost. 
    La norma, nell'ambito delle  procedure  relative  allo  sportello
unico per le attivita' produttive di cui al d.P.R. 7 settembre  2010,
n. 160 (Regolamento per  la  semplificazione  ed  il  riordino  della
disciplina sullo sportello unico  per  le  attivita'  produttive,  ai
sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, nella legge  6  agosto  2008,  n.
133), prevede che, decorsi inutilmente i termini fissati dall'art. 7,
commi 1 e 2, del medesimo  d.P.R.,  senza  che  il  responsabile  del
procedimento abbia  comunicato  il  provvedimento  conclusivo  ovvero
abbia attivato la conferenza di servizi di cui al successivo comma  3
dello stesso art. 7, il richiedente possa presentare istanza  per  la
convocazione di una conferenza di servizi finalizzata ad  individuare
le «modalita' per l'eventuale prosecuzione del procedimento». 
    A parere del ricorrente la disposizione introdurrebbe una  deroga
al citato art. 7, comma 3, ai sensi del  quale  si  applicherebbe  la
regola del «silenzio assenso», in  virtu'  del  rinvio  all'art.  38,
comma 3, lettera  h),  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge
6 agosto 2008, n. 133, in cui si prevede  che  «in  caso  di  mancato
ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine  previsto  per
le altre amministrazioni per pronunciarsi  sulle  questioni  di  loro
competenza, l'amministrazione procedente conclude  in  ogni  caso  il
procedimento prescindendo dal loro avviso». 
    La  norma  regionale  determinerebbe,  quindi,  un   aggravamento
ingiustificato del procedimento. 
    9.- La questione e' fondata. 
    10.- Lo Sportello unico per le  attivita'  produttive  (SUAP)  e'
stato introdotto dal  decreto  legislativo  31  marzo  1998,  n.  112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo  1997,  n.  59),  che  ha  attribuito  ai  Comuni  le  funzioni
amministrative  concernenti  la  realizzazione,   l'ampliamento,   la
cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione
di impianti produttivi (art. 23, comma 1). 
    La disciplina attuativa e' dettata  dal  regolamento  di  cui  al
d.P.R. n. 160 del 2010, adottato ai sensi dell'art. 38, comma 3,  del
d.l. n. 112 del 2008, che definisce lo Sportello come «l'unico  punto
di accesso per  il  richiedente  in  relazione  a  tutte  le  vicende
amministrative riguardanti la sua attivita' produttiva, che  fornisce
una risposta unica e  tempestiva  in  luogo  di  tutte  le  pubbliche
amministrazioni, comunque coinvolte nel procedimento» (art. 1,  comma
1, lettera m). 
    10.1.- Come chiarisce la giurisprudenza costituzionale  (sentenza
n. 15 del 2010), la finalita' perseguita e' quella della «istituzione
di un procedimento amministrativo  uniforme  volto  a  consentire  ai
soggetti  in  possesso  dei  requisiti   di   legge   la   intrapresa
dell'attivita'  economica.  Cio'  non  solo  al  fine  di  garantire,
attraverso  la   uniformita'   e   la   ragionevole   snellezza   del
procedimento, la maggiore trasparenza ed accessibilita' del  mercato,
si' da assicurare le migliori condizioni di concorrenza, ma anche  al
fine  di  dare  contenuto  al  precetto  di  cui  all'art.  41  della
Costituzione, il quale assegna, fra l'altro, alla legge  dello  Stato
il  compito  di  determinare  i  controlli  opportuni  affinche'   la
iniziativa economica, anche privata, sia coordinata a fini sociali». 
    Nella stessa sentenza si evidenzia  che  l'istituzione  del  SUAP
trova un addentellato anche in  sede  di  Unione  europea:  ai  sensi
dell'art.  6  della  direttiva  2006/123/CE   «[g]li   Stati   membri
provvedono affinche' i prestatori possano espletare le procedure e le
formalita'  seguenti,  mediante  i  punti  di   contatto   denominati
sportelli unici: a) tutte le procedure e le formalita' necessarie per
poter svolgere le  loro  attivita'  di  servizi,  in  particolare  le
dichiarazioni,   notifiche   o   istanze   necessarie   ad   ottenere
l'autorizzazione delle autorita' competenti, ivi comprese le  domande
di inserimento in registri, ruoli, banche dati, o  di  iscrizione  ad
organismi o ordini ovvero associazioni professionali; b)  le  domande
di autorizzazione necessarie all'esercizio delle  loro  attivita'  di
servizi». 
    11.- Si tratta, dunque, di un  istituto  di  particolare  rilievo
volto  a  dare  attuazione   al   principio   della   semplificazione
amministrativa  in  una  materia,  quale  quella   della   iniziativa
economica, di interesse fondamentale per lo sviluppo del Paese e  che
costituisce   uno    sforzo    significativo    sulla    strada    di
un'amministrazione piu' rapida ed efficiente, in grado di non opporre
ostacoli quanto ad adempimenti e tempi procedurali e che,  in  questa
prospettiva, esige uniformita' di trattamento su tutto il  territorio
nazionale al fine di garantire la necessaria par condicio a tutti gli
operatori economici. 
    E' evidente, allora, che  qualsiasi  intervento  del  legislatore
regionale  che  incida  in   modo   sostanziale   sul   procedimento,
aggravandolo, non puo' ritenersi compatibile con  questi  principi  e
quindi,  compromettendo  tale   finalita'   di   semplificazione   ed
efficienza, comporta la violazione delle competenze  esclusive  dello
Stato in  materia  di  concorrenza  e  di  livelli  essenziali  delle
prestazioni. 
    12.- Con riferimento  alla  concorrenza,  questa  Corte  ha  gia'
affermato che, qualora il legislatore regionale alteri «la  procedura
davanti  al  SUAP  quale  prevista  dal  legislatore  statale  -   in
particolare dall'art. 38, comma  3,  del  d.l.  n.  112  del  2008  -
aumentando le richieste poste a carico dei privati e istituendo nuovi
passaggi  procedimentali»,  determina  «un  ostacolo  effettivo  alla
libera concorrenza [...] sotto un duplice profilo,  interregionale  e
intraregionale» (sentenza n. 165 del  2014).  In  tal  modo  si  da',
cioe', luogo ad una duplice discriminazione «sia  interspaziale,  fra
operatori di Regioni diverse, sia intertemporale, fra operatori  gia'
presenti nel mercato e nuovi» (sentenza n. 165 del 2014). 
    13.-  Ancor  piu'  evidente  -  e  giustamente  valorizzata   dal
ricorrente - e' la violazione della competenza esclusiva  statale  in
materia di livelli essenziali delle prestazioni. 
    Questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato   che   le   norme   di
semplificazione  amministrativa  possono   essere   ricondotte   alla
competenza  legislativa  esclusiva  dello   Stato   in   materia   di
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i  diritti  civili  e   sociali»,   in   quanto   anche   l'attivita'
amministrativa, e, quindi, anche  i  procedimenti  amministrativi  in
genere, possono assurgere  alla  qualifica  di  "prestazione",  della
quale lo Stato e' competente a  fissare  un  "livello  essenziale"  a
fronte di una specifica  pretesa  di  individui,  imprese,  operatori
economici e, in generale, di soggetti privati (ex multis, sentenze n.
246 del 2018, n. 62 del 2013, n. 207 e n. 203 del 2012). 
    Ma si e' anche chiarito che «[q]uesto  titolo  di  legittimazione
dell'intervento statale e'  invocabile  "in  relazione  a  specifiche
prestazioni delle quali la normativa  statale  definisca  il  livello
essenziale di erogazione"» (sentenza n. 322 del  2009;  nello  stesso
senso, sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del  2005),  nonche'
«quando  la  normativa  al  riguardo  fissi,  appunto,   livelli   di
prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi» (sentenza  n.
92 del 2011), attribuendo «al  legislatore  statale  un  fondamentale
strumento per garantire il mantenimento di una  adeguata  uniformita'
di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur  in  un
sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e  locale
decisamente accresciuto (sentenze n. 8 del 2011, n. 10 del 2010 e  n.
134 del 2006)», (sentenza n. 207 del 2012). 
    14.- Ebbene, tali condizioni ricorrono nel caso in esame, in  cui
il meccanismo disciplinato dall'art. 7, comma 3, del  d.P.R.  n.  160
del 2010, evocato come parametro interposto dal ricorrente, si occupa
del  momento  particolarmente   qualificante   della   chiusura   del
procedimento: e' in questa fase,  infatti,  che  si  manifestano  con
tutta evidenza, da una parte, l'esigenza di certezza  di  modi  e  di
tempi, dall'altra, quella della uniformita' delle discipline. 
    A fronte di una regolamentazione nazionale che intende  garantire
la rapida e certa chiusura  del  procedimento,  appare  lesiva  delle
esigenze  evidenziate  la  previsione  della  legge  regionale   che,
rinviando ad una conferenza di servizi neanche decisoria, lo riapre e
lo prolunga sine die. 
    15.- Non contraddice  tale  conclusione  quanto  sostenuto  dalla
resistente  in  ordine   al   carattere   eventuale   e   facoltativo
dell'attivazione del segmento procedimentale. 
    Infatti  la  certezza  dei  tempi   e   degli   adempimenti   dei
procedimenti sono interessi perseguiti in una prospettiva che  copre,
ma al tempo stesso  trascende,  la  posizione  del  singolo  soggetto
istante, investendo i terzi oltre che le  amministrazioni  coinvolte.
Come chiarito da questa Corte, «le disposizioni statali relative alla
durata massima dei  procedimenti  rispondono  pienamente  alla  ratio
sottesa alla determinazione di livelli uniformi di tutela  (come  del
resto riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 207  del  2012),
che non possono essere derogati nemmeno quando -  come  nel  caso  in
esame - l'eventuale estensione operi a favore del privato, non solo e
non tanto per  mantenere  il  procedimento  amministrativo  entro  il
termine massimo ritenuto  ragionevole  dal  legislatore  statale,  ma
anche per tutelare eventuali  soggetti  terzi  che  potrebbero  avere
interesse a che il privato istante adotti le  prescrizioni  richieste
nei tempi fissati"» (sentenza n. 246 del 2018). 
    Pertanto   la   normativa   impugnata   prevede    un    aggravio
procedimentale, la cui portata non e' messa in discussione dalla  sua
natura eventuale e facoltativa. 
    16.- Deve,  dunque,  affermarsi  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 20 della legge della Regione Veneto n. 29 del  2019,  nella
parte in cui inserisce l'art. 6-bis della legge della Regione  Veneto
n. 55 del 2012. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  11  della
legge della Regione Veneto 25 luglio 2019, n. 29 (Legge regionale  di
adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del territorio e
paesaggio, parchi, trasporto  pubblico,  lavori  pubblici,  ambiente,
cave e miniere, turismo e servizi all'infanzia), nella parte  in  cui
inserisce l'art. 40-bis della legge della Regione  Veneto  23  aprile
2004, n. 11 (Norme per il governo del  territorio  e  in  materia  di
paesaggio), limitatamente alla previsione dell'esonero dal contributo
di costruzione di cui all'art. 16, comma 4, lettera d-ter, del d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in  materia  edilizia),  nelle  ipotesi  di  cambio  di
destinazione d'uso con aumento di valore degli  immobili  costitutivi
della  memoria  e  dell'identita'  storico-culturale  del  territorio
disciplinati dal medesimo art. 40-bis; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  20  della
legge della Regione Veneto  n.  29  del  2019,  nella  parte  in  cui
inserisce l'art. 6-bis della legge della Regione Veneto  31  dicembre
2012, n. 55 (Procedure urbanistiche semplificate di  sportello  unico
per le attivita' produttive e disposizioni in materia urbanistica, di
edilizia  residenziale  pubblica,  di  mobilita',  di  noleggio   con
conducente e di commercio itinerante); 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 11 della legge della Regione  Veneto  n.  29
del 2019, nella parte in cui  inserisce  l'art.  40-bis  della  legge
della Regione Veneto n. 11 del 2004,  limitatamente  alla  previsione
dell'esonero dal pagamento  del  contributo  di  costruzione  di  cui
all'art. 16, comma 1, del d.P.R. n. 380  del  2001,  nell'ipotesi  di
cambio di destinazione d'uso di immobili costitutivi della memoria  e
dell'identita'  storico-culturale  del   territorio,   promossa,   in
riferimento  all'art.  117,  terzo  comma,  della  Costituzione,  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE