N. 147 SENTENZA 8 giugno - 8 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Rideterminazione  della  pena  dell'ergastolo  in
  corso di esecuzione con la pena di  anni  trenta  di  reclusione  -
  Applicabilita' dell'istituto nell'ipotesi in cui sia stata avanzata
  richiesta di giudizio abbreviato in appello in un momento  che  non
  consentiva ancora l'accesso al rito, ma  era  comunque  antecedente
  all'espletamento   dell'istruttoria   dibattimentale    -    Omessa
  previsione - Denunciata disparita' di trattamento  tra  imputati  -
  Inammissibilita' della questione. 
- Decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 5 giugno 2000, n. 144, art. 4-ter. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.28 del 14-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale «dell'articolo 4  ter
l. 144/2000» (recte: art. 4-ter del decreto-legge 7 aprile  2000,  n.
82, recante «Modificazioni alla disciplina dei  termini  di  custodia
cautelare  nella  fase  del  giudizio  abbreviato»,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 5 giugno 2000,  n.  144),  promosso  dalla
Corte di assise d'appello di Reggio Calabria nel procedimento  penale
a carico di P. P., con ordinanza del 14 settembre 2020,  iscritta  al
n. 192 del  registro  ordinanze  2020  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  2,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  P.  P.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  giugno  2021  il   Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato Carmelo Malara per P.  P.,  in  collegamento  da
remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della  Corte
del 18 maggio 2021 e l'avvocato dello Stato  Maurizio  Greco  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 settembre 2020, iscritta al n.  192  del
registro ordinanze 2020, la  Corte  di  assise  d'appello  di  Reggio
Calabria  ha  sollevato  questione  di  legittimita'   costituzionale
«dell'articolo  4  ter  l.   144/2000»   (recte:   art.   4-ter   del
decreto-legge 7 aprile  2000,  n.  82,  recante  «Modificazioni  alla
disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del  giudizio
abbreviato», convertito, con  modificazioni,  nella  legge  5  giugno
2000, n. 144), «nella  parte  in  cui  non  prevede  l'applicabilita'
dell'istituto nell'ipotesi di un soggetto che  abbia  tempestivamente
avanzato richiesta di giudizio abbreviato in appello  in  un  momento
che  non  consentiva  ancora  l'accesso  al  rito,  ma  era  comunque
antecedente l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale». 
    Il rimettente sospetta  che  la  denunciata  omissione  normativa
violi l'art. 3 della Costituzione, per la disparita'  di  trattamento
in danno di colui che  «nonostante  avesse  tempestivamente  avanzato
richiesta  di   essere   giudicato   con   rito   abbreviato,   ossia
antecedentemente all'inizio  dell'istruttoria  dibattimentale,  abbia
poi visto dipendere la decisione da un'evoluzione legislativa che  lo
ha visto subire  un  trattamento  sostanziale  deteriore,  in  quanto
ancorata ad una  circostanza,  ossia  il  rapido  espletamento  della
riaperta istruttoria,  con  tutta  evidenza  sottratta  ad  ogni  sua
determinazione». 
    1.1.- Il giudice a quo espone di dover decidere sull'incidente di
esecuzione promosso da  P.  P.,  il  quale,  riportate  due  distinte
condanne all'ergastolo per delitti di omicidio unificati dal  vincolo
della continuazione, l'una  gia'  rideterminata  alla  pena  di  anni
trenta di reclusione, ha chiesto rideterminarsi anche l'altra in pena
temporanea, per aver egli richiesto, durante il relativo giudizio  di
appello, l'ammissione al rito abbreviato, con una prima  istanza  del
14 gennaio 2000, respinta appunto  perche'  il  giudizio  pendeva  in
grado di appello, e con un'ulteriore  istanza  del  12  giugno  2000,
respinta ai  sensi  della  sopravvenuta  norma  oggetto  di  censura,
essendosi nel frattempo  conclusa  la  rinnovazione  dell'istruttoria
dibattimentale, termine preclusivo fissato dalla norma stessa. 
    Sulla ragionevolezza di questo termine il rimettente  assume  che
«anche nel caso  di  istruttoria  ormai  conclusa,  ossia  quando  la
finalita' deflattiva del rito sembrerebbe oramai frustrata,  comunque
l'opzione del giudizio abbreviato  assicuri  [...]  al  processo  una
serie di benefici  di  non  poco  momento,  se  si  pone  mente  alla
sanatoria  per  accettazione  delle   nullita'   non   assolute,   il
superamento delle  questioni  di  competenza  e  l'irrilevanza  delle
questioni di inutilizzabilita' non patologica». 
    1.2.-   Il   giudice   a   quo   esclude   di    poter    operare
un'interpretazione adeguatrice, e segnatamente di poter  applicare  i
principi a tutela dell'imputato ammesso al rito abbreviato  enunciati
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, sentenza 17
settembre 2009, Scoppola contro Italia, cio' appunto perche'  P.  P.,
pur avendolo chiesto, non e' stato mai ammesso a quel rito. 
    La rilevanza della questione sarebbe assicurata dalla circostanza
che, qualora anche la seconda pena  dell'ergastolo  fosse  ridotta  a
quella di anni trenta di reclusione in virtu' dell'applicabilita' del
rito abbreviato, P. P. dovrebbe scontare due condanne entrambe a pene
temporanee, «in  relazione  alle  quali  tuttavia,  in  virtu'  della
riconosciuta continuazione fra i reati, non  opererebbe  il  criterio
previsto dall'art. 73 comma 2 cod. pen.  con  una  nuova  irrogazione
della pena dell'ergastolo, bensi' un calcolo  di  pena  che  dovrebbe
considerare una pena base di anni trenta di reclusione, da aumentarsi
di una quota di sanzione  temporanea,  cosi'  conducendo  pur  sempre
all'irrogazione di una pena contenuta entro il limite di anni trenta,
in virtu' del criterio moderatore statuito dall'art. 78 cod. pen.». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto dichiararsi la questione  inammissibile  o  non
fondata. 
    L'interveniente assume che la norma censurata  non  abbia  natura
sostanziale, bensi' processuale, e che essa non  sia  applicabile  in
fase esecutiva, ma solo nel giudizio di  cognizione;  in  ogni  caso,
poiche' le istanze di ammissione al rito abbreviato formulate  da  P.
P. erano entrambe inammissibili per tardivita'  rispetto  ai  termini
processuali vigenti ratione temporis, sarebbe infondata la  questione
inerente  alla  comparazione   della   sua   posizione   con   quella
dell'imputato che abbia goduto  della  riduzione  di  pena  per  aver
chiesto di accedere al rito speciale nell'osservanza dei  termini  di
legge. 
    3.-  Si  e'  costituito  in  giudizio  P.  P.,  che  ha   chiesto
accogliersi la questione, pur ritenendo che il giudice a quo  avrebbe
potuto   rideterminare   la    pena    mediante    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  la  quale   avesse   dato   rilevanza
all'istanza  di  ammissione  al   rito   abbreviato   formulata   sin
dall'inizio del giudizio di appello. 
    Ad avviso della  parte,  oltre  a  determinare  un'ingiustificata
disparita'  di  trattamento  lesiva  dell'art.  3   Cost.,   l'omessa
previsione nei casi di specie  di  un  meccanismo  di  rimessione  in
termini per l'accesso al rito abbreviato violerebbe anche l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7  della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, attesa l'iniquita' di
una disciplina processuale che «nel caso di rimozione di un  ostacolo
normativo all'accesso  ad  un  rito  speciale,  non  ne  consenta  la
fruizione  all'imputato  che  avesse  tempestivamente  formulato   in
precedenza la relativa richiesta, vedendola respinta proprio a  causa
dell'ostacolo normativo rimosso». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di assise d'appello di Reggio Calabria (reg. ord. n.
192 del 2020) ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale
«dell'articolo  4  ter  l.   144/2000»   (recte:   art.   4-ter   del
decreto-legge 7 aprile  2000,  n.  82,  recante  «Modificazioni  alla
disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del  giudizio
abbreviato», convertito, con  modificazioni,  nella  legge  5  giugno
2000, n. 144), «nella  parte  in  cui  non  prevede  l'applicabilita'
dell'istituto nell'ipotesi di un soggetto che  abbia  tempestivamente
avanzato richiesta di giudizio abbreviato in appello  in  un  momento
che  non  consentiva  ancora  l'accesso  al  rito,  ma  era  comunque
antecedente  l'espletamento  dell'istruttoria  dibattimentale»,   per
violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Il giudice a quo  espone  di  dover  decidere  sull'incidente  di
esecuzione promosso da  P.  P.,  il  quale,  riportate  due  distinte
condanne all'ergastolo per delitti di omicidio unificati dal  vincolo
della continuazione, l'una  gia'  rideterminata  alla  pena  di  anni
trenta di reclusione, ha chiesto rideterminarsi anche l'altra in pena
temporanea, per aver egli richiesto, durante il relativo giudizio  di
appello, l'ammissione al rito abbreviato, con una prima  istanza  del
14 gennaio 2000, respinta appunto per la  pendenza  del  giudizio  in
grado di appello, e con un'ulteriore  istanza  del  12  giugno  2000,
respinta ai  sensi  della  sopravvenuta  norma  oggetto  di  censura,
essendosi nel frattempo  conclusa  la  rinnovazione  dell'istruttoria
dibattimentale, termine preclusivo fissato dalla norma stessa. 
    Ad avviso del rimettente, l'esito  di  questa  concatenazione  di
eventi, per cui P. P. non ha potuto accedere  al  rito  abbreviato  a
motivo della casuale evenienza del rapido esaurimento dell'istruzione
dibattimentale   riaperta   in   appello,    metterebbe    in    luce
l'irragionevolezza  della  norma  censurata,  per  la  disparita'  di
trattamento che essa puo' accidentalmente determinare tra un imputato
e l'altro. 
    2.- Intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ha   chiesto
dichiararsi la questione inammissibile o non fondata. 
    La  norma  censurata   non   avrebbe   natura   sostanziale,   ma
processuale, e non sarebbe applicabile in fase esecutiva, ma solo nel
giudizio  di  cognizione;  in  ogni  caso,  poiche'  le  istanze   di
ammissione al rito abbreviato  formulate  da  P.  P.  erano  entrambe
inammissibili per tardivita' rispetto ai termini processuali  vigenti
ratione  temporis,  sarebbe  infondata  la  questione  inerente  alla
comparazione della sua posizione con quella dell'imputato  che  abbia
goduto della riduzione di pena per aver chiesto di accedere  al  rito
speciale nell'osservanza dei termini di legge. 
    3.- Costituitosi  in  giudizio,  P.  P.  ha  chiesto  dichiararsi
costituzionalmente illegittima la disposizione censurata, che, a  suo
avviso,  oltre  a   determinare   un'ingiustificata   disparita'   di
trattamento lesiva dell'art. 3 Cost., violerebbe  anche  l'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7  della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    4.- In via preliminare, deve  rilevarsi  che  il  riferimento  al
parametro convenzionale operato dalla parte non e' idoneo ad ampliare
il thema decidendum, come circoscritto  dal  rimettente  riguardo  al
solo parametro interno di cui all'art. 3 Cost. 
    Per giurisprudenza costante di questa Corte,  infatti,  l'oggetto
del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale  e'  limitato
alle  disposizioni  e  ai  parametri   indicati   nell'ordinanza   di
rimessione, non potendo  essere  presi  in  considerazione  ulteriori
questioni o profili di illegittimita'  costituzionale  dedotti  dalle
parti, sia eccepiti e non fatti propri dal giudice a quo,  sia  volti
ad ampliare o modificare successivamente il contenuto  dell'ordinanza
di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 109, n. 49 e n. 35 del  2021,
n. 186 e n. 165 del 2020, n. 78 e n. 7 del 2019, n. 194 e n. 161  del
2018). 
    5.- La questione sollevata dalla Corte  di  assise  d'appello  di
Reggio Calabria e' inammissibile, in quanto si pone  oltre  i  limiti
nei  quali  il  giudice  dell'esecuzione  penale  e'  legittimato   a
sollevare questioni di legittimita' costituzionale rispetto  a  norme
applicate dal giudice della cognizione. 
    6.-  Un  excursus  normativo  e'  indispensabile   per   l'esatta
comprensione dei termini della questione. 
    6.1.- Prima di ogni altra cosa,  e'  opportuno  chiarire  che  la
fattispecie  in  scrutinio  non  e'  interessata   ratione   temporis
dall'applicazione dell'art. 1, comma 1, lettera a),  della  legge  12
aprile 2019, n.  33  (Inapplicabilita'  del  giudizio  abbreviato  ai
delitti puniti con la pena dell'ergastolo), il  quale  ha  nuovamente
precluso l'accesso al rito abbreviato per  gli  imputati  di  delitti
puniti  con  l'ergastolo,  tramite  l'inserimento  del  comma   1-bis
dell'art. 438 del codice di procedura penale («[n]on  e'  ammesso  il
giudizio   abbreviato   per   i   delitti   puniti   con   la    pena
dell'ergastolo»). 
    Invero, come stabilisce l'art. 5, comma 1, della stessa legge  n.
33 del 2019, la nuova disposizione  si  applica  soltanto  «ai  fatti
commessi  successivamente  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
medesima legge». 
    6.2.- Secondo la disciplina originaria del codice, nella condanna
pronunciata in abbreviato «[a]lla pena dell'ergastolo  e'  sostituita
quella della reclusione di anni trenta»  (art.  442,  comma  2,  cod.
proc. pen.), disposizione che evidenziava  la  sicura  ammissibilita'
del rito speciale anche per i reati puniti con la pena perpetua. 
    Con la sentenza n. 176  del  1991,  questa  Corte  ha  dichiarato
costituzionalmente  illegittima  tale  disposizione  per  eccesso  di
delega, con l'effetto di rendere inapplicabile il giudizio abbreviato
nei processi relativi ai delitti puniti con l'ergastolo. 
    6.3.- L'art. 30, comma 1, lettera b),  della  legge  16  dicembre
1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al
tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice  di
procedura  penale.  Modifiche  al  codice  penale  e  all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile  pendente,
di indennita' spettanti al giudice  di  pace  e  di  esercizio  della
professione forense) - nota come "legge Carotti" - ha ripristinato la
formulazione originaria dell'art. 442,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
sicche' il rito abbreviato e' tornato ad essere accessibile anche per
gli imputati di reati puniti con la pena dell'ergastolo. 
    Entrata in vigore il  2  gennaio  2000,  la  "legge  Carotti"  ha
sollevato un problema intertemporale  per  coloro  i  quali,  essendo
imputati di un reato  punito  con  l'ergastolo,  non  avevano  potuto
richiedere il giudizio abbreviato in primo grado,  cio'  non  essendo
allora consentito per la sanzione applicabile ai reati contestati, ed
erano quindi decaduti dalla reintrodotta facolta'. 
    6.4.- Per far fronte a tale problema di diritto  transitorio,  in
sede di conversione del d.l. n. 82 del 2000,  la  legge  n.  144  del
2000, entrata in vigore l'8 giugno 2000, ha introdotto l'art.  4-ter,
norma oggi censurata, che ha previsto un'ampia rimessione in termini. 
    Il comma 2 del menzionato art. 4-ter  ha  stabilito  infatti  che
«[n]ei processi penali per reati puniti con la  pena  dell'ergastolo,
in corso alla data di entrata in vigore della  legge  di  conversione
del presente decreto e nei quali  prima  della  data  di  entrata  in
vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, era scaduto  il  termine
per  la  proposizione  della  richiesta   di   giudizio   abbreviato,
l'imputato, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata
in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  puo'
chiedere che il processo, ai fini di cui all'articolo 442,  comma  2,
del codice di procedura penale, sia  immediatamente  definito,  anche
sulla base degli atti contenuti nel  fascicolo  di  cui  all'articolo
416, comma 2, del medesimo codice». 
    Il comma 3 del medesimo art.  4-ter  ha  tuttavia  precisato  che
«[l]a richiesta di cui al comma 2 e' ammessa se e' presentata: a) nel
giudizio di  primo  grado  prima  della  conclusione  dell'istruzione
dibattimentale;  b)  nel  giudizio  di  appello,  qualora  sia  stata
disposta la rinnovazione dell'istruzione ai sensi  dell'articolo  603
del  codice  di  procedura  penale,  prima  della  conclusione  della
istruzione stessa;  c)  nel  giudizio  di  rinvio,  se  ricorrono  le
condizioni di cui alle lettere a) e b)». 
    6.4.1.- La rimessione in  termini  e'  stata  concessa  dall'art.
4-ter, comma 1, del d.l. n. 82 del 2000, come convertito, anche  agli
imputati di reati puniti con pena diversa dall'ergastolo, che fossero
decaduti dalla facolta' di chiedere l'abbreviato, ma  a  loro  si  e'
posto un limite  temporale  piu'  stringente,  cioe'  che  non  fosse
«ancora iniziata l'istruzione dibattimentale alla data di entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto». 
    La  diversita'  di  trattamento  e'  stata   censurata   in   via
incidentale di fronte a  questa  Corte  per  violazione  dell'art.  3
Cost., quale espressione di un  «irragionevole  privilegio»  per  gli
imputati di reati puniti con l'ergastolo, ai quali soltanto e'  stata
concessa la possibilita' di chiedere il  rito  abbreviato  nonostante
l'istruzione dibattimentale fosse gia' in corso, purche'  non  ancora
conclusa. 
    6.4.2.- La censura e' stata dichiarata  manifestamente  infondata
dall'ordinanza n. 99 del 2001 (poi confermata dall'ordinanza  n.  222
del  2002),  in  base  alla  considerazione  che  la  diversita'   di
trattamento riflette la peculiare situazione  nella  quale  versavano
gli imputati di reati puniti con l'ergastolo anteriormente alla legge
n. 479 del 1999, allorquando era loro radicalmente precluso l'accesso
al rito alternativo. 
    Nei loro confronti - afferma l'ordinanza n. 99 del 2001 - «si  e'
prevista  una   "rimessione   in   termini"   particolarmente   ampia
(consentendo la proposizione  dell'istanza,  nel  giudizio  di  primo
grado, prima della  conclusione  dell'istruzione  dibattimentale  ed,
entro tale limite, anche nel giudizio di appello, qualora  sia  stata
disposta la rinnovazione dell'istruzione); nei confronti di tutti gli
altri imputati - che avrebbero potuto formulare  la  richiesta  anche
anteriormente, sia pure con un  diverso  regime  normativo  -  si  e'
invece stabilita una semplice estensione  dell'ordinario  termine  di
proposizione,  fino  ad  uno  stadio  compatibile  con  la   funzione
alternativa   al   dibattimento   che   il   rito    abbreviato    e'
istituzionalmente  chiamato  a  svolgere  (donde  il  limite  segnato
dall'inizio dell'istruttoria dibattimentale)». 
    7.- Tenuto presente il quadro normativo e  giurisprudenziale  ora
richiamato,  e  sulla  scorta  di  quanto   espone   l'ordinanza   di
rimessione, puo' dunque intendersi la singolare  vicenda  processuale
all'origine della questione in scrutinio. 
    Prima dell'entrata  in  vigore  della  "legge  Carotti",  P.  P.,
imputato di un reato punito con l'ergastolo, non poteva  chiedere  il
rito abbreviato, per effetto della sentenza  n.  176  del  1991,  che
aveva  dichiarato  costituzionalmente   illegittima   la   previsione
codicistica della relativa facolta'. 
    Entrata in vigore quella legge il 2 gennaio 2000, egli non poteva
chiedere il rito abbreviato, poiche' il giudizio si trovava ormai  in
grado di appello, e la sua richiesta del 14  gennaio  2000  e'  stata
infatti, per questo motivo, respinta. 
    Entrato in vigore l'8 giugno 2000 l'art. 4-ter del d.l. n. 82 del
2000, come convertito, P. P.,  pur  avendo  immediatamente  reiterato
l'istanza di abbreviato, gia' in data 12 giugno  2000,  si  e'  visto
precluso l'accesso al rito speciale, in quanto,  nell'arco  temporale
tra il gennaio e il giugno 2000, non soltanto era stata disposta,  ma
si   era   finanche   conclusa   la   rinnovazione    dell'istruzione
dibattimentale ex art.  603  cod.  proc.  pen.,  col  passaggio  alla
discussione finale. 
    8.- Nell'illustrare la sequenza degli  eventi  e  la  conseguente
preclusione dell'accesso al rito abbreviato, a suo avviso rivelatrice
di una disparita' di trattamento lesiva dell'art. 3 Cost.,  la  Corte
di assise d'appello di Reggio Calabria, nella  propria  ordinanza  di
rimessione,   «non    disconosce    che    analoga    questione    di
costituzionalita' era stata gia' esaminata e  rigettata  in  sede  di
merito». 
    Non soltanto, dunque, il giudice della cognizione ha applicato la
norma  oggi  censurata  con  un  provvedimento  impugnabile  (e,   in
concreto,  impugnato)  nella  successiva   fase   del   processo   di
cognizione, ma  egli  ha  anche  delibato,  con  esito  negativo,  la
medesima questione di legittimita' costituzionale ora riproposta  dal
giudice dell'esecuzione. 
    In tal modo si e' determinata un'inammissibile sovrapposizione di
valutazioni, le quali, gia'  fisiologicamente  compiute  dal  giudice
della cognizione, sono state ripercorse dal giudice  dell'esecuzione,
in  difetto  di   un   qualunque   fatto   esterno   o   sopravvenuto
costituzionalmente  rilevante,  idoneo  a  giustificare  una   simile
reiterazione. 
    9.-  Com'e'  noto,  gli  obblighi  conformativi  dell'ordinamento
interno scaturiti dalla pronuncia della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, grande camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro
Italia, hanno portato questa Corte a statuire, nella sentenza n.  210
del 2013, che il giudice dell'esecuzione  penale  puo'  sollevare  in
riferimento al parametro convenzionale la questione  di  legittimita'
costituzionale di una norma interna gia' applicata dal giudice  della
cognizione, qualora questa si  frapponga  all'adempimento  di  simili
obblighi conformativi, quando «si debba applicare una decisione della
Corte europea in materia sostanziale, relativa ad  un  caso  che  sia
identico a quello deciso e non richieda la riapertura  del  processo,
ma possa trovare un rimedio direttamente in sede esecutiva». 
    La sentenza n. 210 del 2013 ha tuttavia escluso  che  il  giudice
dell'esecuzione sia  legittimato  a  sollevare  un'analoga  questione
sulla base del parametro interno di cui all'art. 3 Cost. 
    10.- La disposizione oggetto dell'attuale scrutinio e' gia' stata
sottoposta all'esame di questa Corte, in riferimento agli artt.  3  e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6  e  7
CEDU, nella parte in cui non ha riaperto i termini per  la  richiesta
di giudizio  abbreviato  in  favore  dell'imputato  il  cui  processo
pendesse innanzi alla Corte di cassazione. 
    Con l'ordinanza n.  235  del  2013,  tali  questioni  sono  state
dichiarate manifestamente inammissibili, quanto al parametro  interno
di cui  all'art.  3  Cost.,  perche'  esso  non  e'  pertinente  alla
necessita' di conformare  l'ordinamento  nazionale  ad  una  sentenza
della Corte europea; e quanto al parametro convenzionale, perche'  la
fattispecie oggetto del giudizio a quo era estranea alla ratio  della
sentenza Scoppola contro Italia, atteso che l'imputato non era  stato
ammesso al giudizio abbreviato in applicazione di una norma di natura
processuale,  attinente  invero  ai  termini  di  proposizione  della
relativa   istanza,   e   peraltro   giustificata   dalla    funzione
istituzionale del rito alternativo, «che  assicura  all'imputato  una
riduzione di pena, nel caso di condanna, quale "contropartita" per la
sua  rinuncia  alla  garanzia  della  formazione   della   prova   in
contraddittorio, in quanto  idonea  a  determinare  un  significativo
risparmio di energie processuali». 
    Il giudice dell'esecuzione penale - cosi' ancora  l'ordinanza  n.
235 del 2013 - non ha alcun titolo «per porre in discussione, in sede
di incidente di esecuzione, la  legittimita'  costituzionale  di  una
norma che, quale quella sottoposta a scrutinio, attiene  al  processo
di cognizione e, piu' specificamente,  al  giudizio  di  cassazione»,
nell'ambito del quale soltanto la questione  medesima  sarebbe  stata
rilevante. 
    11.-   L'inammissibilita'   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  dal  giudice  dell'esecuzione  penale   in
riferimento all'art. 3 Cost. e' stata dichiarata anche dalla sentenza
n. 57 del  2016,  nella  quale  si  rammenta  che,  ove  non  ricorra
l'eccezione   di   matrice   convenzionale,   torna   a   valere   la
considerazione di sistema  per  cui  il  procedimento  esecutivo  «e'
finalizzato all'esecuzione di  un  provvedimento  e  non  certo  alla
verifica della legittimita' costituzionale delle norme in  base  alle
quali il titolo si e' formato e rispetto  alle  quali  l'imputato  ha
gia' avuto la facolta' di eccepire l'illegittimita' nel  processo  di
cognizione». 
    In senso  analogo,  gia'  la  sentenza  n.  100  del  2015  aveva
dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione  ex  art.  3
Cost. sollevata dal giudice dell'esecuzione penale, appunto  perche',
tolta  l'eccezione  di  fonte  convenzionale,  «non   e'   consentito
sollevare nel procedimento di esecuzione un incidente di legittimita'
costituzionale  concernente  una  norma  applicata  nel  giudizio  di
cognizione (la questione avrebbe  dovuto  essere,  infatti,  proposta
nell'ambito di quest'ultimo)». 
    12.-  In  un  concorrente  ordine  di  valutazioni,  l'Avvocatura
generale insiste sulla  natura  processuale  della  norma  censurata,
qualificazione  che  non  appare  tuttavia  determinante   in   senso
assoluto, non potendosi  invero  disconoscere  i  potenziali  effetti
sostanziali  connessi  alla  riduzione  di  pena  spettante  per   la
celebrazione del rito alternativo. 
    Nella sentenza n. 32 del 2020, questa  Corte  ha  osservato,  con
particolare riferimento al  divieto  di  sospensione  dell'ordine  di
esecuzione della pena di cui all'art. 656, comma 9, lettera a),  cod.
proc. pen., che lo statuto costituzionale di garanzia  non  puo'  non
valere anche rispetto alle norme collocate nel  codice  di  procedura
penale, allorche' incidano direttamente sulla  qualita'  e  quantita'
della pena in concreto applicabile al condannato. 
    In senso analogo, con specifico riguardo al giudizio  abbreviato,
la sentenza n. 260 del 2020, a proposito dell'art. 5 della  legge  n.
33 del 2019 - il quale, in deroga al principio tempus regit actum, ha
circoscritto il nuovo divieto di rito abbreviato per i  reati  puniti
con l'ergastolo «ai  fatti  commessi  successivamente  alla  data  di
entrata in vigore della medesima legge» -, ha affermato che anche una
disciplina limitativa dell'accesso al rito alternativo, pur incidendo
direttamente su regole processuali, puo' avere un'immediata  ricaduta
sulla pena applicabile in caso di condanna, dovendo allora soggiacere
ai  principi  di  garanzia  vigenti  in  materia  di  diritto  penale
sostanziale. 
    12.1.-  Piu'  ancora  che  la  natura  processuale  della   norma
censurata,  quindi,  ai  fini  del   giudizio   di   inammissibilita'
dell'odierna questione e' determinante la considerazione che la norma
stessa  abbia  trovato  puntuale   applicazione   nel   giudizio   di
cognizione,  con   provvedimento   ordinariamente   impugnabile,   ed
effettivamente impugnato, e che nel medesimo giudizio  di  cognizione
sia  stata  gia'  sollevata,  e  negativamente  delibata,  la  stessa
questione   di   legittimita'   costituzionale   che    il    giudice
dell'esecuzione ripropone adesso, senza che alcun fatto esterno,  ne'
sopravvenienza rilevante, possano giustificare la reiterazione. 
    13.- Come questa Corte ha avuto modo di ribadire  nella  sentenza
n. 68 del 2021 -la quale, in accoglimento delle  questioni  sollevate
nel  corso   di   un   incidente   di   esecuzione,   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale, per violazione  dell'art.  3  Cost.,
dell'art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
in quanto interpretato nel senso che la disposizione non  si  applica
in relazione alla sanzione  amministrativa  accessoria  della  revoca
della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile  ai  sensi
dell'art. 222, comma 2, del decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.
285  (Nuovo  codice  della  strada)  -  il  principio  di   legalita'
costituzionale  della   pena   (e   delle   sanzioni   amministrative
"convenzionalmente penali") prevale  sulle  esigenze  di  certezza  e
stabilita' dei rapporti giuridici, a presidio delle  quali  e'  posto
l'istituto del giudicato. 
    Se,  quindi,  in  linea   generale   e'   precluso   al   giudice
dell'esecuzione   penale   sollevare   questioni   di    legittimita'
costituzionale delle norme applicate dal  giudice  della  cognizione,
tuttavia  cio'  e'  possibile  per  effetto  di  una   sopravvenienza
costituzionalmente rilevante - qual  e'  in  modo  paradigmatico  una
sentenza che attivi l'obbligo conformativo di cui all'art. 46 CEDU  -
che abbia determinato un'alterazione della sequenza tra cognizione ed
esecuzione, in difetto  della  quale  l'intervento  "a  ritroso"  del
giudice dell'esecuzione non avrebbe giustificazione alcuna. 
    Nel caso che ha dato luogo alla  sentenza  n.  68  del  2021,  in
particolare, la legittimazione del giudice dell'esecuzione  e'  stata
determinata dalla sopravvenienza della sentenza n. 88 del  2019,  con
la quale questa Corte ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
del   meccanismo   di   applicazione   automatica   della    sanzione
amministrativa accessoria della revoca della patente  di  guida,  nei
casi di condanna o di  patteggiamento  della  pena  per  i  reati  di
omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime. 
    14.-  In  conclusione,  la  questione  deve   essere   dichiarata
inammissibile perche' il giudice dell'esecuzione non era  legittimato
a sollevarla in  una  fattispecie  che  egli  stesso  afferma  essere
diversa da quelle di cui alla richiamata decisione della Corte EDU  e
alla sentenza di questa Corte n. 210 del 2013, e rispetto alla  quale
egli neppure prospetta  sopravvenienze  costituzionalmente  rilevanti
idonee ad incidere sulla legalita' della pena in corso di esecuzione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 4-ter del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82
(Modificazioni alla disciplina  dei  termini  di  custodia  cautelare
nella fase del giudizio abbreviato), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 5 giugno 2000, n. 144, sollevata dalla  Corte  di  assise
d'appello  di  Reggio  Calabria,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA