N. 149 SENTENZA 8 giugno - 9 luglio 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Banche e istituti di  credito  -  Riforma  delle  banche  di  credito
  cooperativo (BCC) - Possibilita', per le BCC con  patrimonio  netto
  superiore a  duecento  milioni  di  euro,  di  conferire  l'azienda
  bancaria  a  una  spa  autorizzata   all'esercizio   dell'attivita'
  bancaria,  anziche'  aderire  a  un  gruppo  bancario   cooperativo
  (opzione way out) - Versamento al bilancio  dello  Stato,  all'atto
  del conferimento, di un importo pari al 20 per cento del patrimonio
  netto della  BCC  -  Devoluzione,  in  caso  di  inosservanza,  del
  patrimonio della BCC ai fondi mutualistici per la promozione  e  lo
  sviluppo  della   cooperazione   -   Denunciata   irragionevolezza,
  violazione  dei   principi   di   capacita'   contributiva,   della
  concorrenza e della tutela del risparmio in  tutte  le  sue  forme,
  nonche' della funzione sociale della cooperazione  a  carattere  di
  mutualita' - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge  14   febbraio   2016,   n.   18,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 8 aprile 2016,  n.  49,  art.  2,  commi
  3-ter e 3-quater, primo e terzo periodo. 
- Costituzione, artt. 3, 41, 45, 47 e 53. 
(GU n.28 del 14-7-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  commi
3-ter e 3-quater, quest'ultimo limitatamente alle  parole  «al  netto
del versamento di cui al comma 3-ter», di cui  al  primo  periodo,  e
alle parole «e 3-ter» di cui al terzo periodo, del  decreto-legge  14
febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti  concernenti  la  riforma  delle
banche di credito cooperativo, la  garanzia  sulla  cartolarizzazione
delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di  crisi
e   la   gestione   collettiva   del   risparmio),   convertito   con
modificazioni, nella legge 8 aprile 2016, n. 49, promosso dalla Corte
di cassazione, sezione tributaria civile, nel  procedimento  vertente
tra l'Ente Cambiano, societa' cooperativa per azioni, gia'  Banca  di
credito cooperativo di Cambiano societa'  cooperativa  per  azioni  e
l'Agenzia delle entrate, con ordinanza del 2 luglio 2020, iscritta al
n. 183 del  registro  ordinanze  2020  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 53,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2020. 
    Visti  l'atto  di  costituzione   dell'Ente   Cambiano   societa'
cooperativa per azioni, gia' Banca di credito cooperativo di Cambiano
societa' cooperativa per azioni, nonche'  l'atto  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita  nell'udienza  pubblica  dell'8  giugno  2021  la   Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Stefano Grassi e Marco  Miccinesi  per  l'Ente
Cambiano societa' cooperativa  per  azioni,  gia'  Banca  di  credito
cooperativo di Cambiano societa' cooperativa per azioni e  l'avvocato
dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 2 luglio  2020,  iscritta  al  n.  183  del
registro ordinanze 2020, la Corte di cassazione,  sezione  tributaria
civile,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, commi 3-ter e 3-quater, quest'ultimo limitatamente  alle
parole «al netto del versamento di cui al comma  3-ter»,  di  cui  al
primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui al terzo  periodo,  del
decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti  la
riforma delle  banche  di  credito  cooperativo,  la  garanzia  sulla
cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale  relativo  alle
procedure  di  crisi  e  la  gestione  collettiva   del   risparmio),
convertito, con modificazioni, nella legge 8 aprile 2016, n.  49,  in
riferimento agli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 della Costituzione. 
    In base alle norme censurate, la  banca  di  credito  cooperativo
(BCC) con patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro al 31
dicembre 2015, qualora opti per il conferimento dell'azienda bancaria
a una societa' per azioni  autorizzata  all'esercizio  dell'attivita'
bancaria in luogo dell'adesione  a  un  gruppo  bancario  cooperativo
(cosiddetta way out, disciplinata all'art. 2, comma 3-bis,  del  d.l.
n. 18 del 2016, come convertito),  deve  versare  al  bilancio  dello
Stato, all'atto del conferimento, un importo pari al venti per  cento
di tale patrimonio netto; in  caso  di  inosservanza,  il  patrimonio
stesso e' devoluto ai fondi  mutualistici  per  la  promozione  e  lo
sviluppo della cooperazione. 
    1.1.- Le questioni sono  sorte  nel  corso  di  una  controversia
tributaria  promossa  dall'Ente  Cambiano  societa'  cooperativa  per
azioni (di seguito: Ente Cambiano) - gia' BCC  di  Cambiano  societa'
cooperativa per azioni (di seguito: BCC di Cambiano) - nei  confronti
dell'Agenzia delle entrate. 
    Il giudice a quo riferisce che la  BCC  di  Cambiano  ha  versato
all'erario la somma di 54.208.740,00 euro, pari al  venti  per  cento
del suo patrimonio netto al 31 dicembre  2015,  avendo  conferito  la
propria azienda bancaria a una spa ai sensi del citato comma 3-bis  e
modificato lo statuto ai sensi del successivo  comma  3-quater  dello
stesso art. 2,  in  modo  da  escludere  l'attivita'  bancaria  e  da
mantenere le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514  del  codice
civile  al  fine  di  assicurare  ai  soci  servizi   funzionali   al
mantenimento  del  rapporto  con  la  spa  conferitaria,  servizi  di
formazione e di informazione sui temi del risparmio, nonche'  servizi
di promozione di programmi di assistenza. 
    Il giudice a  quo  riferisce  altresi'  che  l'Ente  Cambiano  ha
presentato all'Agenzia delle entrate istanza di rimborso dell'importo
versato e  ha  successivamente  impugnato  davanti  alla  Commissione
tributaria  provinciale  di  Firenze  il  silenzio-rifiuto  formatosi
sull'istanza di rimborso. Il gravame e' stato respinto  con  sentenza
poi confermata dalla Commissione tributaria regionale della  Toscana,
la cui pronuncia e' stata a sua volta  impugnata  dallo  stesso  Ente
Cambiano con ricorso per cassazione. 
    1.1.1.- Dopo avere esposto i motivi del  ricorso,  il  rimettente
afferma  «di  dover  accogliere  in  primis  alcuni  dei   dubbi   di
legittimita'  costituzionale  sollevati»  in  relazione  alle   norme
richiamate «in quanto direttamente collidenti  con  alcuni  parametri
costituzionali»,  considerato  che  «il  contrasto  con  il   diritto
dell'Unione europea» prospettato con altri motivi  «viene  ipotizzato
rispetto a principi o disposizioni di carattere generale, ma non  con
norme europee dotate di effetto diretto sulla fattispecie» (e' citata
la sentenza di questa Corte n. 269 del 2017). 
    L'ordinanza prosegue individuando la ratio sottesa  alla  riforma
delle BCC introdotta dal d.l. n. 18 del 2016,  come  convertito,  nel
«superamento delle criticita' proprie della previgente disciplina  di
settore»,  concernenti  le  debolezze  strutturali  del  settore  del
credito cooperativo. A queste debolezze il legislatore avrebbe inteso
ovviare adottando  come  strumento  principale  -  configurato  quale
«opzione privilegiata» - l'adesione delle BCC a  un  gruppo  bancario
cooperativo con al vertice una capogruppo in forma di spa  avente  un
patrimonio netto  minimo  di  un  miliardo  di  euro,  partecipata  a
maggioranza dalle BCC «affiliate» e dotata di poteri di  direzione  e
coordinamento delle stesse, le quali continuano a operare secondo  il
proprio regime senza alcuna conseguenza sul patrimonio (artt.  37-bis
e 37-ter del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.  385,  recante
«Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia»,  inseriti
dall'art. 1, comma 5, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito). 
    Si  osserva  poi  che  per  le  BCC   autorizzate   all'esercizio
dell'attivita'  bancaria  alla  data  di  entrata  in  vigore   delle
disposizioni  esecutive  emanate  ai  sensi  dell'art.  37-bis   t.u.
bancario, ma non  aderenti  a  un  gruppo  bancario  cooperativo,  la
riforma prevede come prima scelta alternativa  la  trasformazione  in
spa  o,  in  difetto,  la  liquidazione,  in  entrambi  i  casi   con
devoluzione del patrimonio  sociale  ai  fondi  mutualistici  per  la
promozione e lo sviluppo della cooperazione ex art. 2, comma  3,  del
d.l. n. 18 del 2016, come convertito, alla cui stregua «[r]esta fermo
quanto  previsto  dall'articolo  150-bis,  comma   5,   del   decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385 [...]». 
    Secondo il rimettente, il richiamato art. 150-bis, comma 5,  t.u.
bancario, gia' sostituito dall'art. 1, comma 6, lettera b), del  d.l.
n. 18 del 2016 nel testo  originario,  avrebbe  inciso  profondamente
«sulle modalita' di esercizio di quella che e' venuta a  configurarsi
come un'ulteriore scelta, ridisegnando i termini della c.d. way out»,
per effetto delle rilevanti modifiche che vi ha apportato la legge di
conversione. 
    Il giudice a quo osserva  che  prima  di  tali  modifiche  l'art.
150-bis, comma 5, t.u. bancario, come modificato dal d.l. n.  18  del
2016, manteneva si' fermi gli effetti devolutivi del patrimonio delle
cooperative «stabiliti dall'articolo 17 della legge 23 dicembre 2000,
n. 388» nei casi «di fusione e  trasformazione  [delle  BCC  in  spa]
previsti dall'articolo 36 [t.u. bancario],  nonche'  di  cessione  di
rapporti giuridici in blocco e scissione da  cui  risulti  una  banca
costituita in forma di societa' per azioni» (primo periodo), tuttavia
in  tale  caso  la  devoluzione  non  si  produceva,  pur   essendosi
realizzate le operazioni trasformanti previste al periodo precedente,
nei riguardi delle BCC con «un patrimonio netto superiore a  duecento
milioni di euro» (secondo periodo), poiche'  in  questa  ipotesi  «le
riserve  [erano]  affrancate  corrispondendo  all'erario   un'imposta
straordinaria pari al venti per cento della loro consistenza»  (terzo
periodo). 
    Il rimettente ricorda che la disposizione aveva suscitato  timori
«sui rischi di demutualizzazione del settore» (e' citata  l'audizione
del Capo del Dipartimento di vigilanza bancaria e  finanziaria  della
Banca d'Italia durante i lavori parlamentari di conversione del  d.l.
n. 18 del 2016), soprattutto per la mancata previsione di un  termine
per l'esercizio della  scelta  e  di  un  riferimento  temporale  cui
collegare la valutazione del patrimonio netto. Inoltre, la previsione
dell'affrancamento  delle  riserve  dietro  versamento  dell'imposta,
senza devoluzione  del  patrimonio  ai  fondi  mutualistici,  avrebbe
inciso su un assetto normativo che ammetteva le trasformazioni  delle
BCC in spa solo eccezionalmente - a seguito di fusioni con banche  di
altra  natura  nell'interesse  dei  creditori  e   per   ragioni   di
stabilita', previa autorizzazione della Banca d'Italia: art. 36  t.u.
bancario -  e  mai  su  base  meramente  volontaria,  fermo  restando
l'obbligo di devolvere l'intero patrimonio ai fondi  mutualistici  in
tutte le operazioni trasformanti, ex art. 17 della legge 23  dicembre
2000, n. 388, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria  2001)»  (e'
citata al riguardo la sentenza di  questa  Corte  n.  170  del  2008,
secondo cui la ratio di tale obbligo e' quella «di  garantire  che  i
benefici conseguiti grazie alle agevolazioni previste per incentivare
lo  scopo  mutualistico  non  siano  destinati  allo  svolgimento  di
un'attivita' priva di tale carattere e,  comunque,  non  siano  fatti
propri da coloro che ne hanno fruito»). 
    Ulteriori dubbi erano poi  stati  espressi  sulla  ragionevolezza
dell'entita' del previsto prelievo, «se rapportato all'incidenza  del
complesso delle agevolazioni fiscali [...]  che  avevano  contribuito
alla  formazione  del  patrimonio»   della   BCC   optante   per   la
trasformazione in spa. 
    1.1.2.- Ricostruendo il quadro normativo risultante  dalla  legge
di conversione, il  rimettente  espone  che  le  modifiche  con  essa
introdotte al  testo  originario  hanno  riguardato,  per  quanto  di
interesse, la soppressione del secondo e del terzo periodo del  comma
5  dell'art.  150-bis  t.u.  bancario,  esaminati  in  precedenza,  e
l'inserimento nell'art. 2 dello stesso decreto-legge dei nuovi  commi
3-bis, 3-ter e 3-quater. 
    Queste ultime disposizioni avrebbero  affiancato  all'alternativa
della trasformazione delle BCC in spa,  con  conseguente  devoluzione
del patrimonio ai fondi mutualistici, un'altra scelta riservata  alle
BCC in possesso al 31 dicembre 2015 di un patrimonio netto  superiore
a duecento milioni di euro (come risultante dal bilancio  riferito  a
tale data  e  sottoposto  al  giudizio  senza  rilievi  del  revisore
contabile). 
    Per tali BCC - in dichiarata deroga a quanto previsto dal  citato
art. 150-bis, comma 5, t.u.  bancario,  nel  testo  risultante  dalla
legge di conversione - la devoluzione patrimoniale non si produce  se
entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge di conversione esse presentano  alla  Banca  d'Italia  istanza,
anche congiunta con  altre  BCC,  di  conferimento  delle  rispettive
aziende bancarie a una medesima spa,  anche  di  nuova  costituzione,
autorizzata all'esercizio dell'attivita' bancaria (comma 3-bis). Come
visto (al punto 1), all'atto del conferimento  dell'azienda  bancaria
la BCC conferente deve versare al bilancio  dello  Stato  un  importo
pari al venti per cento del patrimonio netto nell'ammontare esistente
alla stessa data del 31 dicembre 2015 (comma 3-ter). Al contempo essa
e' tenuta a modificare l'oggetto sociale  per  escludere  l'esercizio
dell'attivita'  bancaria,  obbligandosi  a  mantenere   le   clausole
mutualistiche di cui all'art. 2514 cod. civ. nonche' ad assicurare ai
soci servizi funzionali al  mantenimento  del  rapporto  con  la  spa
conferitaria, di formazione e informazione sui temi del  risparmio  e
di promozione di programmi di  assistenza  (comma  3-quater,  ove  si
prevede altresi', rispettivamente al primo e al terzo periodo, che la
conferente «mantiene le riserve indivisibili al netto del  versamento
di cui al comma 3-ter» e che in caso di «inosservanza degli  obblighi
previsti dal presente comma e dai commi 3-bis e 3-ter, il  patrimonio
della conferente o, a  seconda  dei  casi,  della  banca  di  credito
cooperativo e' devoluto ai sensi  dell'articolo  17  della  legge  23
dicembre 2000, n. 388»). 
    1.2.-  Passando  a  esaminare  le  eccezioni  di   illegittimita'
costituzionale proposte dalla ricorrente nel processo principale,  il
giudice a quo respinge quelle riferite alla violazione degli artt. 77
e 42 Cost. (quest'ultimo  «anche  con  riferimento»  all'art.  1  del
Protocollo addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmato a Parigi  il
20 marzo 1952) e considera invece non manifestamente  infondate,  nei
termini di seguito esposti, le questioni ex artt. 3, 53, 41, 45 e  47
Cost. 
    1.2.1.- Con la prima questione e' lamentata la  violazione  degli
artt. 3 e 53 Cost. 
    Secondo il rimettente, il previsto  prelievo  avrebbe  natura  di
imposta  sul  patrimonio  netto  dell'impresa  e  non  colpirebbe  il
conferimento dell'azienda bancaria, soggetto  in  quanto  tale  a  un
regime di neutralita' fiscale ex art. 176, comma  1,  del  d.P.R.  22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi). Deporrebbe in questo  senso  anche  l'individuazione  della
base imponibile, rappresentata  da  una  percentuale  del  patrimonio
netto a una specifica data (31 dicembre 2015),  e  dunque  del  tutto
«sganciata» dal valore del conferimento dell'azienda bancaria. 
    L'imposta stessa, tuttavia, non potrebbe trovare ragione  -  come
sostenuto dalla difesa erariale nel giudizio a  quo  -  nella  scelta
della BCC  di  conferire  l'azienda  bancaria  nella  spa  «di  nuova
costituzione»,  sul  presupposto  che  l'imposta   medesima   sarebbe
«bilanciata perche' calibrata sulla detassazione degli utili  di  cui
ha fruito la [BCC]», con la conseguenza che  essa  graverebbe  dunque
sul patrimonio  netto,  costituente  specifico  indice  di  capacita'
contributiva,  in  quanto  formato  anche  grazie  alle  agevolazioni
fiscali di settore. 
    Questa  ricostruzione  -  ad  avviso  del  rimettente  -  sarebbe
coerente con l'originaria configurazione del prelievo,  in  cui  esso
fungeva  da  strumento  per  affrancare  le  riserve  ed  evitare  la
devoluzione  ai  fondi  mutualistici   del   patrimonio   della   BCC
trasformatasi in spa, nonostante  il  venir  meno  del  perseguimento
dello scopo di mutualita' prevalente. 
    Nell'assetto definitivo della riforma, la ricostruzione  dovrebbe
essere  rovesciata,  in  quanto  l'esercizio  della  «terza  opzione»
riservata alle BCC di grande rilevanza patrimoniale fa si' che l'ente
cooperativo persista e persegua lo scopo mutualistico  attraverso  il
pacchetto  azionario  ottenuto  con  il   conferimento   dell'azienda
bancaria nella  spa,  «secondo  un  modus  operandi  gia'  conosciuto
dall'ordinamento». 
    Le norme censurate sarebbero pertanto viziate da irragionevolezza
ex artt. 3 e 53  Cost.,  con  riferimento  alla  stessa  ratio  della
riforma.  L'imposta   straordinaria   introdotta   dalla   legge   di
conversione del d.l. n. 18 del 2016 colpisce  infatti  il  patrimonio
netto di una societa'  che  continua  a  operare  nel  settore  della
mutualita' prevalente, una volta conferita l'azienda bancaria in  una
spa e modificato l'oggetto sociale escludendo  l'attivita'  bancaria.
Difetterebbe quindi uno specifico indice  di  capacita'  contributiva
che giustifichi  l'imposizione  e  la  conseguente  destinazione  del
prelievo alla fiscalita' generale, mentre, secondo la  giurisprudenza
costituzionale, «la possibilita' di  imposizioni  differenziate  deve
pur sempre ancorarsi a una  adeguata  giustificazione  obiettiva,  la
quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e  ragionevolmente
tradotta nella struttura dell'imposta»  (e'  citata  la  sentenza  di
questa Corte n. 10 del 2015). 
    Nemmeno  il  carattere  straordinario   dell'imposta,   istituita
nell'ambito di una  disciplina  transitoria,  sarebbe  sufficiente  a
rendere ragionevole la scelta  del  legislatore,  ponendosi  essa  in
oggettivo contrasto con l'esigenza di consolidamento della  struttura
del credito cooperativo e con il generale  riconoscimento,  anche  in
sede  europea  (e'  citata  la  sentenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea 8  settembre  2011,  in  cause  riunite  C-78/08,
C-79/08 e C-80/08, Paint Graphos e altri),  della  ridotta  capacita'
contributiva delle cooperative a mutualita' prevalente. 
    1.2.2.- Con la seconda questione e' lamentata la violazione degli
artt. 41 e 45 Cost. 
    Il rimettente premette che l'art.  41  Cost.,  nel  garantire  la
liberta' di iniziativa economica privata,  ha  assunto  il  ruolo  di
fondamento costituzionale del principio di tutela della  concorrenza,
in linea con l'evoluzione del diritto dell'Unione europea, e  osserva
che la riforma delle BCC persegue il fine di «assicurare  l'effettivo
sviluppo della concorrenza  sul  mercato  unico  europeo  nel  quadro
comunque  del  consolidamento  dell'intera  struttura   del   credito
cooperativo». La «funzione sociale della cooperazione a carattere  di
mutualita'  e  senza  fini  di  speculazione  privata»,  riconosciuta
dall'art. 45, primo comma, Cost.,  fungerebbe  dunque  da  limite  al
principio di tutela della concorrenza,  nell'ambito  della  «clausola
generale» dell'utilita' sociale ex art. 41, secondo  comma,  Cost.  e
nel quadro di un  necessario  bilanciamento  tra  diversi  valori  di
rilievo costituzionale. 
    Date queste premesse, il giudice a quo reputa  che  l'imposizione
tributaria  contrasti   con   l'indicata   funzione   sociale   della
cooperazione, sulla base delle seguenti ragioni: 
    a) la societa' conferente continua a operare  nel  settore  della
cooperazione  a  mutualita'  prevalente  anche  dopo  aver  conferito
l'azienda bancaria nella spa e adottato le modifiche statutarie; 
    b) l'imposta colpisce proprio le banche  di  credito  cooperativo
piu'  in  grado,  per  consistenza  patrimoniale,  di  assicurare  la
capacita' competitiva nel mercato e mantenere il collegamento con  il
territorio, anche senza aderire a un gruppo bancario cooperativo; 
    c) infine, restando indivisibili le riserve  della  conferente  -
diversamente da come  era  stato  previsto  nel  testo  originario  -
sarebbe  pregiudicata  la  capacita'  di  erogare  credito  da  parte
«dell'azienda di nuova formazione». 
    Il fatto che l'assoggettamento all'imposta  straordinaria  derivi
dalla scelta volontaria della  BCC  di  non  aderire  al  gruppo  non
varrebbe  a  rendere  insindacabili  -  come  ritenuto  dal   giudice
tributario d'appello nel processo principale - le ricadute economiche
dell'imposta.  Non  si  tratterebbe  infatti  di  un'opzione  fiscale
equiparabile  a  quella  -  di  natura  negoziale  -  tra  un'imposta
sostitutiva e  una  (inesistente)  imposta  ordinaria,  bensi'  della
scelta di un modulo organizzativo tramite il  quale  la  liberta'  di
iniziativa  economica  privata  si  svolge  non  in   contrasto   con
l'utilita' sociale, nel rispetto dell'art. 41 Cost.,  e  che  esprime
inoltre  la  funzione  sociale  della  cooperazione  a  carattere  di
mutualita' e senza fini di lucro, riconosciuta dall'art. 45 Cost. 
    1.2.3.- In terzo luogo e' lamentata la  violazione  dell'art.  47
Cost., nella  parte  in  cui,  al  primo  comma,  prevede  che  «[l]a
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme». 
    Secondo il rimettente, la scelta legislativa di  assoggettare  al
tributo l'adesione a un modulo imprenditoriale  piuttosto  che  a  un
altro «nel quadro del medesimo settore del credito  cooperativo»,  si
porrebbe  in  contraddizione  con  il  principio  della  tutela   del
risparmio.  Nel  contesto  della  censura  si  osserva  poi  che   il
menzionato  settore  e'  interessato  da  esigenze  di  rafforzamento
patrimoniale e di capitalizzazione analoghe a quelle perseguite dalla
riforma delle banche popolari,  con  riferimento  alle  quali  questa
Corte,  con  la  sentenza  n.  99  del  2018,  ha   riconosciuto   la
legittimita' dell'art. 1 del decreto-legge  24  gennaio  2015,  n.  3
(Misure  urgenti  per  il  sistema  bancario  e  gli   investimenti),
convertito con modificazioni, nella legge 24 marzo 2015,  n.  33,  in
tema di limiti al rimborso delle azioni in caso di recesso del  socio
di una banca popolare. 
    1.3.- La rilevanza delle questioni sarebbe in re ipsa, in  quanto
il loro eventuale  accoglimento  comporterebbe,  con  la  caducazione
dell'imposta, il riconoscimento della  fondatezza  della  domanda  di
rimborso  della  somma  versata   dalla   ricorrente   nel   processo
principale.   Inoltre,   non   sarebbe    possibile    una    diversa
interpretazione    delle    disposizioni    censurate    in     senso
costituzionalmente orientato, stante la chiarezza del dato letterale. 
    2.- Con atto depositato il 19 gennaio 2021 si e'  costituito  nel
giudizio costituzionale  l'Ente  Cambiano,  ricorrente  nel  processo
principale, che ha concluso per l'accoglimento delle questioni. 
    2.1.- Anche la parte ricostruisce in premessa il quadro normativo
della riforma delle BCC, e in tale contesto osserva che le  procedure
di  riassetto  organizzativo  del   credito   cooperativo   sarebbero
riconducibili a  due  categorie,  distinte  per  il  diverso  impatto
prodotto sulle finalita' mutualistiche proprie delle BCC. 
    Alla prima categoria di  procedure,  comportanti  la  fuoriuscita
dall'attivita' mutualistica e la devoluzione del patrimonio ai  fondi
mutualistici, apparterrebbero la trasformazione della BCC in una  spa
bancaria e, in alternativa, la sua messa  in  liquidazione  (art.  2,
comma 3, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito). 
    Nella seconda categoria, comportante per  l'ente  cooperativo  il
mantenimento dell'oggetto mutualistico  e  l'esclusione  dell'effetto
devolutivo, rientrerebbero, da un lato, l'adesione al gruppo bancario
cooperativo diretto e coordinato da una spa capogruppo partecipata in
misura maggioritaria dalle stesse BCC aderenti (artt. 1 e 2 del  d.l.
n. 18 del 2016, come convertito);  dall'altro  lato  il  conferimento
dell'azienda bancaria a una spa,  anche  di  nuova  costituzione,  da
parte delle BCC dotate di un patrimonio netto  superiore  a  duecento
milioni di euro alla data del 31 dicembre 2015, con l'obbligo per  la
conferente  di  espungere   dall'oggetto   sociale   lo   svolgimento
dell'attivita' bancaria e di  mantenere  nello  statuto  le  clausole
mutualistiche, assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento
del rapporto con la spa conferitaria, di formazione e di informazione
sui temi del risparmio e di promozione  di  programmi  di  assistenza
(art. 2, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater, del d.l. n. 18 del 2016, come
convertito). 
    Le  due  fattispecie  della  seconda  categoria   presenterebbero
numerosi elementi comuni - sopravvivenza della  societa'  cooperativa
con il suo patrimonio e gli scopi mutualistici, modifica dell'oggetto
sociale, conferimento di parte dell'attivita' a una  spa  (capogruppo
da  un  lato,   conferitaria   dall'altro)   operante   senza   scopo
mutualistico - giacche' anche nella formazione  del  gruppo  bancario
cooperativo si determinerebbe, in ragione  dei  pervasivi  poteri  di
direzione, coordinamento e controllo della capogruppo, avente  natura
di societa'  lucrativa,  uno  «svuotamento  dall'interno»  delle  BCC
aderenti non meno rilevante di  quello  conseguente  al  conferimento
dell'azienda bancaria a una spa.  La  differenza  starebbe  solo  nel
carattere aggregato della  formazione  del  gruppo  e  nel  carattere
invece "atomistico" del conferimento d'azienda. 
    Entrambi i modelli organizzativi perseguirebbero  in  conclusione
la medesima finalita' di «separare o distinguere attivita' di impresa
di  diritto  comune  e  scopi  mutualistici  o  sociali,   e   quindi
fiscalmente  agevolati»,  finalita'  per   cui   la   soluzione   del
conferimento d'azienda risulterebbe ancora piu' coerente. 
    Nonostante tale comunanza di tratti  e  di  finalita',  alle  due
procedure sarebbe riservato un diverso trattamento  fiscale,  con  la
previsione solo per il secondo caso  di  un  rilevante  prelievo  sul
patrimonio netto della conferente. 
    2.1.1.-  L'Ente  Cambiano   descrive   poi   l'evoluzione   della
disciplina del prelievo dalla versione originaria del d.l. n. 18  del
2016 a quella definitiva risultante dalla  legge  di  conversione,  e
osserva che l'irrazionalita' delle disposizioni censurate deriverebbe
dal  fatto  che  l'imposta  straordinaria  e'  stata  conservata  per
l'ipotesi - diversa da quella della trasformazione della BCC  in  una
spa - del conferimento dell'azienda bancaria a una  spa,  ipotesi  in
cui non e' piu' prevista la  possibilita'  di  «affrancazione»  delle
riserve indivisibili,  mentre  la  cooperativa  dismette  l'esercizio
dell'attivita'   creditizia   e   conserva   l'originaria   finalita'
mutualistica. 
    L'irrazionalita' sarebbe ancora piu' evidente in quanto l'imposta
una tantum ha per oggetto il conferimento d'azienda, che godrebbe  di
un regime di neutralita' fiscale ex art. 179 del d.P.R.  n.  917  del
1986. Colpendo inoltre la sola BCC di Cambiano -  unica  tra  le  BCC
dotate delle dimensioni richieste  ad  avvalersi  della  facolta'  di
conferire la propria azienda bancaria a una spa  (la  Banca  Cambiano
1884 spa) e a versare al bilancio dello Stato l'importo pari al venti
per cento del patrimonio netto, pagando la  «ingentissima»  somma  di
54.208.740,00 euro - finisce per imporre irrazionalmente  il  pesante
prelievo all'unica banca di credito cooperativo che ha effettivamente
attuato le finalita' di «separazione» proprie della riforma. 
    2.2.- Sulla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., la parte osserva
che la previsione del tributo risulterebbe irragionevole,  oltre  che
contraria ai principi sull'imposizione tributaria, in quanto non solo
contrasterebbe  con  le   finalita'   della   riforma   del   credito
cooperativo, ma individuerebbe altresi' il presupposto del tributo in
un fatto (il conferimento d'azienda) privo  di  rilievo  economico  e
dunque inidoneo a esprimere la capacita'  contributiva  del  soggetto
passivo.   Essa   fisserebbe   inoltre   un'aliquota   di   ammontare
esageratamente elevato rispetto al presunto vantaggio  economico  che
il conferimento d'azienda produrrebbe per l'ente cooperativo. 
    La  norma  impositiva  non  si  potrebbe   giustificare   nemmeno
qualificando l'imposizione come «prelievo straordinario  in  funzione
solidaristica»,  posto  che  mancherebbero  a   sua   giustificazione
esigenze solidaristiche o contingenti necessita'  di  sostegno  della
finanza pubblica; ne' come «norma  fiscale  di  favore»  per  le  BCC
aderenti al gruppo bancario cooperativo, posto  che,  in  tale  caso,
essa  avrebbe  introdotto  un'illegittima  discriminazione  tra  casi
analoghi (l'adesione al gruppo bancario cooperativo e il conferimento
dell'azienda bancaria in spa), connotati dai tratti comuni gia' messi
in evidenza e diretti  a  realizzare,  come  osservato,  la  medesima
finalita' di separazione tra lo svolgimento di una  comune  attivita'
d'impresa e il perseguimento dei fini mutualistici. 
    Sussisterebbe  anche  l'autonoma  violazione  del  principio   di
uguaglianza, per la disparita' di trattamento sia sul  piano  interno
al d.l. n. 18 del 2016 - tra le due fattispecie appena  richiamate  -
sia  sul  piano  esterno,  a  fronte   della   previsione   dell'art.
27-quinquies del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato
14 dicembre  1947,  n.  1577  (Provvedimenti  per  la  cooperazione),
ratificato, con modificazioni, dalla legge  2  aprile  1951,  n.  302
(cosiddetta "legge Basevi"), che consente alle societa' cooperative e
loro consorzi di costituire spa o srl e di esserne soci, senza  oneri
fiscali aggiunti. 
    2.3.- Quanto alla violazione degli  artt.  41,  45  e  47  Cost.,
l'Ente  Cambiano  osserva  che  la  previsione  del  gravoso  tributo
porrebbe le cooperative che hanno scelto  di  adottare  tale  assetto
organizzativo in una condizione di  indebito  svantaggio  competitivo
nei riguardi  degli  altri  soggetti  interessati  dalla  riforma  e,
comunque, nei confronti di  ogni  altro  operatore  del  mercato  del
reddito, cio' che comporterebbe la lesione del principio della libera
concorrenza ex art. 41 Cost., nonche' - con  particolare  riferimento
al settore cooperativo - dell'art. 45 Cost. 
    La norma istitutiva del tributo violerebbe l'art. 45 Cost.  anche
perche'  sarebbe  ispirata  a  una  logica  opposta  a  quella  della
promozione  della  cooperazione.  Il   prelievo   colpirebbe   l'ente
cooperativo  proprio   perche'   sceglie   di   mantenere   finalita'
mutualistiche, e pregiudicherebbe cosi' non solo  l'ente  stesso,  ma
l'intero sistema cooperativo, perche' le riserve indivisibili ridotte
dall'imposta non sarebbero piu' devolute  ai  fondi  mutualistici  in
caso di soppressione delle clausole mutualistiche, di scioglimento  e
liquidazione  della  societa'  cooperativa  o  di  altre   operazioni
trasformanti in societa' lucrative. 
    Infine, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto  con  il
principio della tutela del  risparmio  sancito  dall'art.  41  Cost.,
finendo per indebolire le garanzie offerte ai risparmiatori  a  causa
della  decurtazione  delle  riserve  indivisibili  della  cooperativa
conferente. Cio' sarebbe anche in contraddizione con il fine, proprio
della riforma, di rafforzare il sistema del credito cooperativo. 
    L'imposizione ridurrebbe infatti significativamente la  capacita'
dell'Ente conferente di dotare la banca spa  controllata  di  risorse
finanziarie  in  anni  di  difficile   accesso   delle   imprese   ai
finanziamenti (e' richiamata al riguardo  una  relazione  predisposta
dalla Banca Cambiano 1884 spa e  depositata  nel  giudizio  d'appello
della controversia tributaria, attestante che  la  ridotta  capacita'
della controllante di apportare capitale  nella  controllata  avrebbe
precluso a quest'ultima la  possibilita'  di  erogare  credito  nella
misura del 57,28 per cento). 
    3.- Con atto depositato il 19 gennaio  2021  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che   ha   concluso
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
manifestamente infondate, o comunque non fondate. 
    3.1.- Anche  l'interveniente  ricostruisce  il  quadro  normativo
della materia, soffermandosi sulle agevolazioni fiscali riservate  al
fenomeno della cooperazione, di cui fornisce un excursus storico  che
muove  dall'art.  12  della  legge   16   dicembre   1977,   n.   904
(Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
giuridiche e al regime tributario dei dividendi e  degli  aumenti  di
capitale, adeguamento del capitale  minimo  delle  societa'  e  altre
norme in materia fiscale e societaria), a tenore del quale  le  somme
destinate alle riserve indivisibili  non  concorrono  in  assoluto  a
formare il reddito imponibile delle societa' cooperative e  dei  loro
consorzi, fino all'attuale  regime  di  parziale  detassazione  degli
utili delle cooperative a mutualita'  prevalente,  nella  misura  del
cinquantatre' per cento, previsto dal decreto-legge 13  agosto  2011,
n. 138, recante «Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria  e  per  lo   sviluppo»   (cosiddetta   "Manovra   bis"),
convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Tali agevolazioni avrebbero consentito  alle  cooperative,  e  in
particolare alle  BCC,  di  formare  e  incrementare  il  patrimonio,
segnatamente le riserve indivisibili, con il  fine  di  proteggere  e
promuovere i valori della cooperazione e fini mutualistici. 
    La stretta connessione tra le agevolazioni fiscali e le  indicate
finalita' giustifica le disposizioni dirette a bilanciare, sul  piano
patrimoniale,   i   mutamenti   o   le    trasformazioni    incidenti
sull'attivita' mutualistica, prima fra tutte il citato art. 17  della
legge n. 388 del 2000, di interpretazione autentica delle norme sulla
devoluzione del patrimonio delle cooperative ai  fondi  mutualistici,
la cui ampia portata applicativa consentirebbe di affermare  che  «il
patrimonio che ha  fruito  delle  agevolazioni  in  capo  a  societa'
cooperative non puo' essere trasferito ad un soggetto  non  agevolato
ma deve essere devoluto ai fondi mutualistici». 
    3.1.1.- L'interveniente ricostruisce poi le ragioni poste a  base
della riforma delle  BCC  collocandola  nel  quadro  della  normativa
europea di rafforzamento dei requisiti prudenziali delle banche e  in
rapporto con la riforma delle banche popolari - di poco  anteriore  -
introdotta dal d.l. n. 3 del 2015, come convertito, anch'essa diretta
all'identico fine di rafforzare la stabilita'  del  sistema  bancario
nazionale e globale. 
    La disciplina dettata dal d.l. n. 18 del 2016,  come  convertito,
sarebbe incentrata su tre opzioni, tutte rimesse  alla  scelta  delle
BCC. La soluzione "favorita",  consistente  nell'adesione  al  gruppo
bancario cooperativo, realizzerebbe un equilibrato bilanciamento  tra
la necessita'  di  preporre  al  gruppo  una  holding  dotata  di  un
effettivo potere direttivo e  la  garanzia  di  autonomia  delle  BCC
affiliate. La seconda comporta la trasformazione della BCC in spa con
obbligo di integrale devoluzione patrimoniale ai fondi  mutualistici.
La terza (way out), riservata alle  BCC  "piu'  grandi",  prevede  il
conferimento dell'azienda bancaria a una spa. Da  essa  non  consegue
l'effetto di devoluzione patrimoniale a condizione che la BCC assolva
a due oneri, l'uno di carattere fiscale, che viene qui in rilievo,  e
l'altro di carattere statutario. 
    Nella formula way out, dunque, il patrimonio della banca, formato
grazie alle agevolazioni fiscali di cui la  BCC  ha  fruito,  sarebbe
totalmente sottratto alla regola della  devoluzione,  in  quanto  «le
riserve obbligatorie rimangono  in  capo  all'ente  conferente  (gia'
BCC), mentre la restante parte di patrimonio  viene  trasferita  alla
banca  commerciale  di  nuova  costituzione,   nella   quale   l'ente
conferente mantiene le partecipazioni». 
    L'imposta   straordinaria,   commisurata   in   percentuale   sul
patrimonio  netto,  avrebbe  percio'  la  funzione   di   «bilanciare
l'immissione  sul  mercato  commerciale  di   un   patrimonio   [...]
rappresentato dall'azienda bancaria». L'entita' dell'azienda bancaria
conferita sarebbe "ridotta" per effetto  dell'imposta  straordinaria,
sicche' «il valore  dei  beni  conferiti  non  sara'  pari  a  quello
realizzato nel tempo dalla BCC [...], ma [...] quello risultante dopo
l'applicazione» del prelievo. 
    La ratio giustificativa delle modifiche apportate dalla legge  di
conversione al testo originario sarebbe da individuare, come si  puo'
desumere dalle osservazioni raccolte durante  le  indicate  audizioni
parlamentari,  nella  volonta'  del  legislatore  di   «evitare   che
(tassando le sole riserve indivisibili) confluisse nel mercato  delle
societa' "lucrative" un patrimonio formato grazie alle  agevolazioni»
concesse dallo Stato, con il forte rischio di  una  contestazione  in
sede europea per violazione della disciplina sugli aiuti di  Stato  e
in  contrasto  con  la  finalita'  perseguita   dalla   norme   sulla
devoluzione del patrimonio delle cooperative ai  fondi  mutualistici,
che questa Corte identifica nell'esigenza che i  benefici  conseguiti
con le indicate agevolazioni non siano destinati allo svolgimento  di
un'attivita' priva di tale carattere e,  comunque,  non  siano  fatti
propri  da  coloro   che   ne   hanno   fruito   (e'   citata   anche
dall'interveniente la sentenza n. 170 del 2008). 
    3.2.- Quanto ai dubbi di violazione del  principio  di  capacita'
contributiva, l'Avvocatura osserva che, a  seguito  del  conferimento
d'azienda e delle modifiche  statutarie,  l'ente  non  si  priva  del
proprio patrimonio ma lo  conserva  previa  detrazione  dell'imposta.
Infatti,  «l'[e]nte  manterra'  direttamente  la  titolarita'   delle
riserve   indivisibili   (destinate   a   garantire   il    prosieguo
dell'attivita' cooperativa in settori diversi da quello  bancario)  e
indirettamente,  nella  misura  della  propria  partecipazione  nella
societa' conferitaria [non soggetta ai vincoli operativi che limitano
le societa' cooperative], continuera' altresi' a detenere,  in  forma
di azioni, anche i beni entrati a far parte del capitale dell'azienda
bancaria conferita (nella  quale  e'  incluso  anche  l'avviamento)»,
ponendo cosi' in essere una situazione non irrilevante ai fini  della
valutazione del presupposto impositivo. 
    Nel negare l'esistenza  di  uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva, il rimettente avrebbe ignorato che il patrimonio  delle
BCC si e' formato con il sostanziale concorso dello Stato.  L'imposta
consentirebbe inoltre  di  evitare  l'addebito  di  violazione  della
disciplina sugli aiuti di Stato, nel momento  in  cui  il  patrimonio
conferito «entra nel libero mercato dei capitali». 
    Infine, nell'affermare che la  tassazione  del  patrimonio  netto
sarebbe in evidente contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.,  in  quanto
l'ente continua a operare nel settore della mutualita' prevalente, il
giudice a quo non avrebbe considerato che, da un lato, la  conferente
mantiene la partecipazione  nella  banca  lucrativa  conferitaria  e,
dall'altro, nessun principio costituzionale impedisce al  legislatore
di adottare misure fiscali allorche' si proceda a  «una  modifica  di
forma giuridica cosi' eclatante come  quella  che  ha  riguardato  la
riforma delle banche cooperative». 
    3.3.- Quanto alla violazione degli  artt.  41,  45  e  47  Cost.,
l'interveniente, rimettendosi alla valutazione di questa Corte  sulla
sufficienza della motivazione offerta dal rimettente, osserva in  via
preliminare  che  le  censure,   non   chiaramente   formulate,   non
lascerebbero intendere in che modo, al di la' delle  affermazioni  di
carattere generale,  le  disposizioni  denunciate  inciderebbero  sui
principi di liberta' di iniziativa economica privata e di tutela  del
risparmio, e in cosa consisterebbe il vulnus a essi inferto. 
    Nel merito, le censure ex artt.  41  e  47  Cost.  non  sarebbero
fondate, sia perche' le BCC erano libere di adottare  una  delle  tre
opzioni apprestate dalla riforma, sia perche' il risparmio di «quanti
avevano a suo tempo aderito alla BCC» sarebbe tutelato per  il  fatto
che «la quota di patrimonio non conferita alla societa'  commerciale,
costituita dalle riserve indivisibili, e' rimasta  nella  titolarita'
dell'ente». 
    Nemmeno la censura ex art. 45 Cost. sarebbe fondata. 
    Dalla  norma  costituzionale   non   deriverebbe,   infatti,   la
necessita' di un'esenzione  assoluta  o  perpetua  delle  cooperative
dalla   tassazione,   restando   salva    l'ampia    discrezionalita'
riconosciuta al legislatore in  materia  di  agevolazioni  fiscali  o
benefici tributari,  censurabile  solo  per  palese  arbitrarieta'  o
irrazionalita' (e' citata la sentenza  di  questa  Corte  n.  17  del
2018). 
    La soluzione scelta dal legislatore con le disposizioni censurate
non sarebbe irragionevole, collocandosi in un quadro  giuridico  che,
incidendo sulla forma giuridica e sulla consistenza  economica  delle
"vecchie" BCC, darebbe vita a un «soggetto affatto  peculiare»,  che,
pur conservando la forma cooperativa,  mantiene  nondimeno  un  forte
legame  con  la  nuova  banca  commerciale,  detenendo  in  essa  una
partecipazione azionaria. 
    4.- L'Ente Cambiano ha  depositato  una  memoria  in  prossimita'
dell'udienza, in cui ha  replicato  alle  difese  dell'interveniente,
insistendo per l'accoglimento delle questioni. 
    4.1.- La parte contesta l'assunto dell'Avvocatura secondo cui  il
patrimonio delle societa' cooperative non potrebbe essere  trasferito
a un soggetto fiscalmente non agevolato ma dovrebbe  essere  devoluto
ai fondi mutualistici, non  essendovi  contraddizione  tra  lo  scopo
mutualistico perseguito  dalla  cooperativa  e  il  conseguimento  di
un'utile d'impresa. 
    Inoltre, la cessione di  rapporti  giuridici  in  blocco  tramite
conferimento d'azienda non costituirebbe devoluzione patrimoniale. Si
tratterebbe infatti di un atto a titolo oneroso che,  continuando  la
cooperativa conferente a perseguire  lo  scopo  mutualistico,  lascia
invariata la consistenza complessiva  del  patrimonio,  espressa  non
piu' in numerario  ma  dal  valore  della  partecipazione  societaria
acquisita. 
    4.2.-  Non  sarebbe  condivisibile  nemmeno   la   lettura   data
dall'interveniente ai lavori preparatori della legge  di  conversione
del d.l. n. 18 del 2016, in  quanto  la  riforma  delle  BCC  avrebbe
affrontato le criticita' del settore in modo  diverso  dalla  riforma
delle banche  popolari,  formulando  tre  alternative  aventi  uguale
coerenza con gli  obiettivi  perseguiti,  diretti  ad  assicurare  la
stabilita' delle banche. 
    4.3.- La penalizzazione fiscale non si  potrebbe  fondare  su  un
preteso «favore del  legislatore  per  la  soluzione  costituita  dal
Gruppo Cooperativo»,  in  primo  luogo  perche'  l'intera  disciplina
dell'Unione  europea  sarebbe  costruita  sul  paradigma  della  spa,
considerata la forma organizzativa piu' adatta per le grandi  imprese
in generale e per le  banche  in  particolare,  e  in  secondo  luogo
perche'  l'obbligo  generalizzato  di  adesione  al  gruppo  bancario
cooperativo, trasformando  le  BCC  aderenti  in  parti  di  un'unica
impresa soggetta a una gestione unitaria, realizzerebbe un  obiettivo
di rafforzamento patrimoniale non perseguibile in danno  delle  altre
banche rimaste concorrenti, pena  una  limitazione  intollerabile  al
principio di concorrenza, sia sul piano costituzionale che su  quello
europeo. 
    4.4.- L'Ente Cambiano  contesta,  altresi',  che  il  legislatore
avrebbe "sciolto" il  patrimonio  della  conferente  dal  vincolo  di
destinazione, che impone "per  regola  generale"  la  devoluzione  ai
fondi mutualistici. Una simile  regola  generale  non  sussisterebbe,
infatti, in caso di conferimento dell'azienda bancaria. 
    L'art. 150-bis, comma 5, t.u. bancario, come modificato dal  d.l.
n.  18  del  2016,  avrebbe  esteso  l'effetto  devolutivo,  con  una
«artificiosa  costruzione»,  al  caso  della  «cessione  di  rapporti
giuridici in blocco», e dunque anche al conferimento d'azienda:  cio'
che, insieme alla previsione del versamento al bilancio dello  Stato,
«si  risolve  soltanto  nella  creazione   di   un   ostacolo   grave
all'esercizio  dell'autonomia  organizzativa  dell'impresa,  volto  a
rendere piu' gravosa la scelta  di  mantenere  la  propria  autonomia
rispetto al Gruppo cooperativo». 
    Il prelievo, pertanto, dirotterebbe a favore dell'erario  risorse
riservate alla cooperazione, in assenza delle ragioni che determinano
la devoluzione secondo la «legislazione cooperativa». 
    4.5.-  Sarebbe  erronea  anche   l'affermazione   dell'Avvocatura
secondo cui l'imposta bilancerebbe la circostanza che  il  patrimonio
della  BCC  conferente  e'  immesso  nel  mercato  commerciale,   pur
essendosi formato grazie alle agevolazioni  fiscali  di  settore,  in
quanto le riserve  indivisibili,  alimentate  da  tali  agevolazioni,
rimangono nella titolarita'  della  conferente  e  non  costituiscono
oggetto del conferimento. 
    4.6.-  Il  prelievo  non  sarebbe  giustificato   nemmeno   dalla
detenzione della partecipazione nella spa conferitaria, in quanto  il
conferimento d'azienda non costituirebbe presupposto  di  un  tributo
sul reddito della conferente o sul suo patrimonio. 
    4.7.-  Quanto  alla  violazione  del  principio  di  liberta'  di
concorrenza,  la  censura  del  giudice  a  quo  avrebbe  nitidamente
evidenziato l'ingiustificata discriminazione introdotta  dall'imposta
a  sfavore  della  cooperativa  conferente,  nonche'  il  pregiudizio
arrecato alla capacita' della nuova  societa'  lucrativa  di  erogare
credito. 
    Inoltre, la BCC di Cambiano non sarebbe stata libera di scegliere
una delle modalita' previste dal legislatore, stante la  presenza  di
un prelievo  fiscale  cosi'  oneroso,  ne'  il  risparmio  rimarrebbe
tutelato  dalla  titolarita'  delle  riserve  indivisibili  in   capo
all'Ente   Cambiano,    in    quanto    il    tributo    decurterebbe
significativamente proprio tali riserve. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione,  sezione  tributaria  civile,  dubita
della  legittimita'  costituzionale  di   alcune   disposizioni   del
decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti  la
riforma delle  banche  di  credito  cooperativo,  la  garanzia  sulla
cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale  relativo  alle
procedure  di  crisi  e  la  gestione  collettiva   del   risparmio),
convertito, con modificazioni, nella legge 8 aprile 2016, n.  49.  Il
dubbio investe in particolare la parte del d.l. n. 18 del 2016,  come
convertito, che ha introdotto la  riforma  delle  banche  di  credito
cooperativo (BCC), a cui sono dedicati gli artt. 1, 2  e  2-bis,  nel
testo risultante dalla legge di conversione. 
    Nel dispositivo dell'ordinanza  di  rimessione  e'  letteralmente
indicato, quale oggetto delle questioni,  l'art.  2,  commi  3-bis  e
3-ter, del d.l., ma l'oggetto va piu' precisamente individuato - come
si vedra' al  successivo  punto  3  -  nell'art.  2,  commi  3-ter  e
3-quater,  quest'ultimo  limitatamente  alle  parole  «al  netto  del
versamento di cui al comma 3-ter», di cui al primo  periodo,  e  alle
parole «e 3-ter» di cui al terzo periodo. 
    In base  alle  norme  censurate,  la  BCC  con  patrimonio  netto
superiore a duecento milioni di euro al  31  dicembre  2015,  qualora
opti per conferire l'azienda  bancaria  a  una  societa'  per  azioni
autorizzata all'esercizio dell'attivita' bancaria anziche' aderire  a
un gruppo bancario  cooperativo  (cosiddetta  way  out,  disciplinata
all'art. 2, comma 3-bis, del d.l. n. 18 del 2016,  come  convertito),
deve versare al bilancio dello Stato, all'atto del  conferimento,  un
importo pari al venti per cento del suo patrimonio netto. In caso  di
inosservanza e' previsto che il patrimonio  stesso  sia  devoluto  ai
fondi  mutualistici  per  la   promozione   e   lo   sviluppo   della
cooperazione, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 dicembre 2000,  n.
388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)». 
    Le questioni, sollevate in riferimento agli artt. 3, 41, 45, 47 e
53 della Costituzione, sono  sorte  nel  corso  di  una  controversia
tributaria  promossa  dall'Ente  Cambiano  societa'  cooperativa  per
azioni (Ente Cambiano) - gia' BCC di  Cambiano  societa'  cooperativa
per azioni (BCC di  Cambiano)  -  nei  confronti  dell'Agenzia  delle
entrate. 
    Il giudice a quo riferisce che la  BCC  di  Cambiano  ha  versato
all'erario la somma di 54.208.740,00 euro, pari al  venti  per  cento
del suo patrimonio netto al 31 dicembre  2015,  avendo  conferito  la
propria azienda bancaria a una spa ai sensi del citato comma 3-bis  e
modificato lo statuto ai sensi del successivo  comma  3-quater  dello
stesso art. 2,  in  modo  da  escludere  l'attivita'  bancaria  e  da
mantenere le clausole mutualistiche di cui all'art.  2514  cod.  civ.
Resterebbero  cosi'  assicurati  ai  soci   servizi   funzionali   al
mantenimento  del  rapporto  con  la  spa  conferitaria,  servizi  di
formazione e di informazione sui temi del risparmio, nonche'  servizi
di promozione di programmi di assistenza. 
    Il  rimettente  riferisce  altresi'  che   l'Ente   Cambiano   ha
presentato all'Agenzia delle entrate istanza di rimborso dell'importo
versato e ha successivamente impugnato il silenzio-rifiuto  formatosi
sulla sua istanza davanti alla Commissione tributaria provinciale  di
Firenze. Quest'ultima ha respinto la domanda con sentenza  confermata
dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, la cui sentenza
e' stata a sua volta impugnata dallo stesso Ente Cambiano con ricorso
per cassazione. 
    2.- Ad avviso  del  rimettente  Corte  di  cassazione,  le  norme
censurate sarebbero viziate da irragionevolezza  e  violerebbero  gli
artt. 3 e 53 Cost.,  in  quanto  l'imposta  straordinaria  introdotta
dalla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2016, a  differenza  di
quella prevista in origine dallo stesso  decreto-legge,  colpisce  il
patrimonio netto di una societa' che, una volta  conferita  l'azienda
bancaria  in  una  spa  e  modificato  l'oggetto  sociale  escludendo
l'attivita' bancaria, continua a operare nel settore della mutualita'
prevalente. Difetterebbe dunque uno  specifico  indice  di  capacita'
contributiva idoneo a giustificare l'imposizione  e  la  destinazione
del prelievo alla fiscalita' generale. 
    Sarebbero violati anche gli artt. 41 e 45  Cost.,  in  quanto  il
prelievo del venti per cento del  patrimonio  netto  si  porrebbe  in
contrasto con la funzione sociale della cooperazione a  carattere  di
mutualita' e senza fini di speculazione privata, operante come limite
di utilita' sociale al principio di concorrenza. Verrebbe in  rilievo
il fatto che la societa' conferente continua a  operare  nel  settore
della cooperazione a mutualita' prevalente, che il prelievo  colpisce
le BCC in grado di assicurare la capacita'  competitiva  nel  mercato
insieme  al  collegamento  con  il  territorio  e  che  la  riduzione
patrimoniale, restando  indivisibili  le  riserve  della  conferente,
pregiudicherebbe  la  capacita'   di   erogare   credito   da   parte
«dell'azienda di nuova formazione». 
    Le norme censurate violerebbero,  infine,  l'art.  47  Cost.,  in
quanto la scelta legislativa di assoggettare a tributo  l'adesione  a
un modulo imprenditoriale piuttosto che  a  un  altro,  nel  medesimo
settore del credito cooperativo, si porrebbe in contraddizione con il
principio della tutela del risparmio. 
    3.- Prima di esaminare le singole questioni  occorre  individuare
esattamente le disposizioni oggetto delle censure. 
    Nell'ordinanza di rimessione si riscontra, infatti, una  parziale
difformita' tra le disposizioni indicate nel dispositivo  («artt.  2,
commi 3-bis e 3-ter, del  d.l.  n.  18/2016,  quale  convertito,  con
modificazioni,   dalla   l.   n.   49/2016»)   e   quelle    indicate
nell'esposizione  delle  censure  («art.  2,  comma  3-ter»  e  «art.
2-quater primo periodo,  limitatamente  alle  parole  "al  netto  del
versamento di cui  al  comma  3-ter"»,  nonche'  «terzo  periodo  del
medesimo comma, limitatamente alle parole "e 3-ter"»). 
    Nondimeno, il contenuto  delle  censure  -  che  non  toccano  la
previsione del comma 3-bis sulla possibilita' per le  BCC  di  optare
per la way out  mediante  il  conferimento  d'azienda  -  non  sembra
lasciare dubbi sul fatto che  le  disposizioni  da  scrutinare  siano
quelle meglio indicate in parte motiva,  e  quindi  l'art.  2,  comma
3-ter, del d.l. n. 16 del 2018, come convertito, che impone l'obbligo
di versamento all'atto del conferimento dell'azienda  bancaria  e  ne
determina l'entita', e il comma 3-quater dello stesso art.  2  (cosi'
dovendosi  correggere  l'evidente  refuso  in  cui  e'   incorso   il
rimettente nel riferirsi a un inesistente «art. 2-quater» del d.l. n.
18 del 2016), quest'ultimo nelle parti che menzionano  tale  obbligo,
dunque limitatamente alle parole «al netto del versamento di  cui  al
comma 3-ter», di cui al primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui
al terzo periodo. 
    Della correttezza della  descritta  prospettazione  si  trova  un
riscontro letterale nel contesto dell'ordinanza  di  rimessione,  la'
dove il giudice a quo, iniziando a esaminare le censure proposte  nel
ricorso,  premette  di  dover  «verificare  entro  quali  limiti   le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  3-ter  e
3-quater,  quest'ultimo  limitatamente  all'inciso  "al   netto   del
versamento  di  cui  al  comma  3-ter["],   nonche'   al   successivo
riferimento  al  predetto  "3-ter",  sollevate  dalla  ricorrente  in
relazione ai parametri invocati, siano non manifestamente infondate e
rilevanti ai fini della decisione». 
    4.-  Passando  al  merito,  conviene  muovere  dall'esame   della
questione concernente la violazione degli artt. 41 e 45 Cost., per la
centralita', nella stessa prospettazione del rimettente, del problema
della  coerenza  della  previsione   contestata   con   la   garanzia
costituzionale della cooperazione a carattere di mutualita'  e  senza
fini di speculazione privata. 
    La questione non e' fondata. 
    Va premesso che, ai  fini  della  verifica  della  compatibilita'
della  contestata  disciplina  con  la  tutela  costituzionale  della
cooperazione  a  carattere  di  mutualita'  e  con  il  principio  di
concorrenza, e' irrilevante  stabilire  se  la  prestazione  in  essa
prevista abbia o meno natura tributaria, sicche'  non  e'  necessario
qui - a differenza di  quanto  si  vedra'  trattando  della  presunta
violazione degli artt. 3 e 53 Cost. - verificare la correttezza della
qualificazione del prelievo come tributo,  da  cui  prende  le  mosse
l'ordinanza di rimessione. 
    Il giudice a quo si duole in  sostanza  del  bilanciamento  degli
interessi operato dal legislatore  con  l'adozione  della  misura  in
esame. Il previsto prelievo  colpirebbe  una  scelta  imprenditoriale
che, pur essendo alternativa a quella considerata dalla riforma  come
la piu' idonea a rafforzare la capacita' competitiva e la  stabilita'
patrimoniale del settore del credito cooperativo nel suo complesso  -
ossia l'adesione a un gruppo -, e' comunque orientata a realizzare la
funzione sociale riconosciuta dalla Costituzione  alla  cooperazione,
funzione che verrebbe cosi' irragionevolmente sacrificata. 
    E'  dunque  necessario  soffermarsi  sulla  ratio  sottesa   alla
disciplina censurata  nel  quadro  della  riforma  delle  BCC,  e  in
particolare sull'assetto offerto agli interessi che vengono in  gioco
nella fase transitoria della riforma stessa. 
    In questo  contesto  assume  evidenza  il  ruolo  fondamentale  -
nell'impianto riformatore del d.l. n. 18 del 2016, come convertito  -
del modello del gruppo bancario cooperativo, considerato  la  formula
strutturale idonea, sia a ridurre il frazionamento del settore e, con
esso, il deficit competitivo e patrimoniale delle BCC, sia a superare
le criticita' del  governo  societario  cooperativo,  in  particolare
attraverso  la  previsione  di  pervasivi  poteri   di   nomina,   di
opposizione alla nomina e di revoca degli organi amministrativi e  di
controllo delle societa'  aderenti,  riconosciuti  dal  contratto  di
coesione con la capogruppo (art. 37-bis, comma 3, lettera  b,  numero
2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante  «Testo
unico  delle  leggi  in  materia  bancaria  e  creditizia»,  inserito
dall'art. 1, comma 5, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito). 
    Il favore per il  modello  del  gruppo,  che  il  legislatore  ha
adottato per ridisegnare l'intero sistema delle BCC, e' reso evidente
dalle previsioni che,  a  regime,  configurano  come  sostanzialmente
obbligatoria  l'adesione  ad  esso  (obbligatorieta'   che   vale   a
prescindere dalla consistenza patrimoniale, in ipotesi anche elevata,
delle aderenti), subordinando a tale adesione l'autorizzazione  della
Banca d'Italia all'esercizio dell'attivita' bancaria in forma di  BCC
(art. 33, comma 1-bis, t.u. bancario, inserito dall'art. 1, comma  1,
lettera a,  del  d.l.  n.  18  del  2016,  come  convertito),  e  che
circondano di particolari  cautele  l'esclusione  o  il  recesso  dal
gruppo,  imponendo  alla  BCC  esclusa  o  receduta  la   devoluzione
integrale del patrimonio ai fondi mutualistici per la promozione e lo
sviluppo della cooperazione qualunque sia l'esito  finale  della  sua
fuoriuscita (trasformazione in banca spa  o  liquidazione:  art.  36,
comma 1-bis, t.u. bancario, inserito dall'art. 1, comma 4, lettera c,
del d.l. n. 18 del 2016, come convertito). 
    Nell'esercizio della  sua  discrezionalita',  il  legislatore  ha
nondimeno ritenuto di escludere eccezionalmente da tale  adempimento,
in sede di prima applicazione della riforma, le BCC gia' operanti nel
settore con patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro  al
31 dicembre 2015. A queste e' offerta la scelta di uscire dal settore
del credito cooperativo (diversa dalle ipotesi previste  all'art.  2,
comma 3, del d.l. n. 18 del 2016,  come  convertito,  che  comportano
l'integrale devoluzione del patrimonio ai citati fondi mutualistici),
esercitabile nel termine di sessanta giorni  dall'entrata  in  vigore
della legge di conversione. 
    L'obbligo, che testualmente accompagna la possibilita' di scelta,
di versare al bilancio dello Stato un importo pari al venti per cento
del patrimonio netto della banca - versamento  la  cui  omissione  fa
scattare la devoluzione ex art. 2, comma 3-quater, terzo periodo, del
d.l. n.  18  del  2016,  come  convertito  -  si  giustifica  con  la
preoccupazione del legislatore di preservare comunque la  centralita'
strategica dell'adesione al gruppo bancario cooperativo  (soprattutto
nella  fase  transitoria)  e   di   circoscrivere   il   rischio   di
depotenziamento della riforma. 
    Occorre ricordare che, nella versione  originaria  precedente  la
sua conversione in legge, il d.l. n. 18 del 2016 aveva delineato, per
la fase transitoria di prima applicazione della riforma, una  diversa
soluzione alternativa all'adesione a un gruppo bancario  cooperativo.
Tale soluzione implicava l'applicazione dell'art. 150-bis,  comma  5,
t.u. bancario (come sostituito dall'art. 1, comma 6, lettera  b,  del
d.l. n. 18 del 2016, nel testo anteriore  alle  modifiche  introdotte
dalla legge di conversione). In base a tale  ultima  disposizione  la
BCC con patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro  poteva
effettuare  le  operazioni,  previste  dal  novellato  art.  36  t.u.
bancario, di trasformazione in spa o di  fusione  eterogenea  da  cui
risulti una spa, evitando tuttavia la devoluzione del  patrimonio  ai
fondi mutualistici. In questo caso, infatti, le riserve  patrimoniali
della BCC venivano «affrancate», e potevano quindi  essere  destinate
allo  svolgimento  di   un'attivita'   bancaria   lucrativa,   dietro
versamento all'erario di una «imposta straordinaria pari al venti per
cento della loro consistenza». 
    La previsione aveva suscitato  preoccupazioni  -  espresse  anche
dalla Banca d'Italia durante l'iter di conversione del d.l. n. 18 del
2016 - di una demutualizzazione de  facto  del  settore  del  credito
cooperativo, nel caso in  cui  le  BCC  piu'  significative  avessero
deciso di utilizzare l'opzione senza limiti - nemmeno temporali, cio'
che  avrebbe  fra  l'altro  consentito  alle  banche  interessate  di
riunirsi per raggiungere  i  requisiti  dimensionali  richiesti  -  e
uscire cosi' dal mercato di riferimento. 
    Anche tenuto conto di tali timori, in sede di conversione il d.l.
n. 18 del 2016 e' stato profondamente innovato  nella  parte  in  cui
offre una diversa soluzione alternativa per  le  BCC  con  patrimonio
netto superiore a duecento milioni di euro al 31  dicembre  2015.  In
base  a  quanto  previsto  dall'art.  2,  comma  3-bis,   invece   di
trasformarsi in banca lucrativa, perdendo  le  caratteristiche  della
mutualita' prevalente, la  cooperativa  sopravvive  conservando  tali
caratteristiche,  ma  conferisce  l'azienda  bancaria,  da   sola   o
congiuntamente ad altre BCC, in  una  spa  preesistente  o  di  nuova
costituzione, munita dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita'
bancaria. E' poi stabilito che «[a]ll'atto del conferimento»  la  BCC
conferente «versa al bilancio dello Stato un importo pari al  20  per
cento del patrimonio netto» (art. 2, comma 3-ter). 
    In questa diversa logica, il versamento al bilancio  dello  Stato
si configura, per le BCC con patrimonio netto sopra soglia,  come  il
"prezzo"  da   pagare   per   avvalersi   dell'opportunita'   offerta
dall'ordinamento di non aderire  a  un  gruppo  bancario  cooperativo
senza per questo dover devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici,
e per poter acquisire invece  esse  stesse  il  controllo  della  spa
bancaria  conferitaria,  com'e'  avvenuto  nel  caso  della  BCC   di
Cambiano. 
    Nello stesso tempo, nella complessa operazione  di  bilanciamento
di  interessi  realizzata  dal  legislatore  in  vista  della   prima
applicazione della riforma,  l'obbligo  di  versamento  dell'indicato
importo assolve nella nuova previsione, e in una logica completamente
diversa da  quella  che  ispirava  la  sua  versione  iniziale,  alla
funzione  di  disincentivo  della  -  pur  ancora  offerta  -  scelta
alternativa all'adesione al  gruppo  bancario,  assicurando  cosi'  a
quest'ultima la veste di scelta legislativamente  privilegiata  anche
per  le  BCC  meglio  dotate  patrimonialmente,  onde   favorire   la
permanenza nel settore degli  intermediari  dotati  di  margini  piu`
elevati rispetto ai coefficienti patrimoniali obbligatori,  in  forma
aggregata con quelli piu' fragili. 
    La circostanza che la conferente continui a perseguire uno  scopo
mutualistico  -  cio'  che  giustifica   fra   l'altro   l'esclusione
dell'obbligo  di  devoluzione   dell'intero   patrimonio   ai   fondi
mutualistici - non comporta affatto che il prelievo  disposto  a  suo
carico  sia  di  per  se'  lesivo  della   funzione   sociale   della
cooperazione,  essendo  invece   diretto,   per   le   finalita'   di
disincentivo  che  persegue  a  garanzia  della  realizzazione  della
riforma disegnata dal legislatore, a tutelare  gli  interessi  di  un
settore chiave della stessa produzione cooperativistica, qual  e'  il
settore delle banche cooperative a mutualita' prevalente. 
    Lungi dal sacrificare irragionevolmente la funzione sociale della
cooperazione, come lamentato dal rimettente, la disciplina  censurata
si colloca infatti essa stessa nel solco della scelta legislativa  di
salvaguardia e promozione del credito cooperativo,  contribuendo  per
la sua parte - attraverso la forza  disincentivante  dell'obbligo  di
versamento - alla realizzazione dell'obiettivo generale di  garantire
la solidita'  patrimoniale  delle  BCC  e  di  superarne  il  deficit
competitivo,  mediante  la  loro  aggregazione  nei  gruppi   bancari
cooperativi,  senza  impedire   a   quelle   con   maggiori   livelli
patrimoniali, e quindi piu' in grado di  operare  con  autonomia  nel
mercato,  di  scegliere,  nella   fase   transitoria,   una   formula
alternativa che  consenta  comunque  la  prosecuzione  dell'attivita'
bancaria. 
    Sul punto va ribadito in particolare che qualora, in  assenza  di
disincentivi, le BCC di maggiore consistenza patrimoniale avessero in
larga parte aderito alla soluzione alternativa, la  loro  fuoriuscita
avrebbe negativamente  inciso  sulla  funzione  sociale  del  credito
cooperativo nel suo complesso.  Funzione  sociale  che,  invece,  non
risulta di per se' compromessa dall'adesione  delle  BCC  al  gruppo,
giacche' la pur rilevante riduzione  della  sfera  d'autonomia  delle
singole BCC a favore della spa capogruppo e' compensata  dal  vincolo
di quest'ultima al  rispetto  delle  finalita'  mutualistiche  e  del
carattere localistico nell'esercizio dei suoi poteri,  come  indicato
nel contratto di coesione (art. 37-bis,  comma  3,  lettera  b,  t.u.
bancario, come modificato dall' art. 11,  comma  2,  lettera  c,  del
decreto-legge 25 luglio 2018, n.  91,  recante  «Proroga  di  termini
previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni,
nella legge 21 settembre 2018, n. 108). E ancora va sottolineato come
la scelta della BCC per la way out faccia venir meno il  suo  obbligo
di esercitare il credito prevalentemente a favore dei soci (art.  35,
comma 1, t.u. bancario), senza che l'obbligo  stesso  si  trasferisca
sulla conferitaria, che in quanto spa non vi e' soggetta, e senza che
il ben diverso obbligo della conferente di assicurare ai propri  soci
i «servizi funzionali al mantenimento del rapporto  con  la  societa'
per azioni conferitaria» (art. 2, comma 3-quater, primo periodo,  del
d.l. n. 18 del 2016, come convertito) garantisca agli stessi  soci  i
medesimi vantaggi cooperativi. 
    4.1.- Nell'ambito della stessa questione, il rimettente prospetta
«un vulnus al principio della concorrenza in relazione alla capacita'
di erogare credito» da parte della spa  conferitaria,  per  il  fatto
che, pur a fronte del versamento richiesto, le  riserve  resterebbero
indivisibili, secondo quanto disposto dall'art. 2545-ter  del  codice
civile,  a  differenza  di  quanto  prevedeva   invece   l'originaria
formulazione della norma per il caso di trasformazione della  BCC  in
spa. 
    Nemmeno questo profilo della censura e' fondato. 
    Il giudice a quo lamenta, in sostanza, che il prelievo, non  piu'
giustificato dall'affrancamento delle riserve  -  che  restano  nella
titolarita' della conferente  e  non  sono  liberamente  utilizzabili
dalla conferitaria -, pregiudicherebbe la capacita' della nuova banca
spa di fare credito, riducendone la capacita'  finanziaria.  Si  deve
tuttavia osservare che il paventato pregiudizio - a prescindere dalla
sua sussistenza - non  deriva  dall'applicazione  delle  disposizioni
censurate e quindi dall'obbligo della BCC conferente di  versare  una
percentuale del suo patrimonio al bilancio dello Stato, ma  dall'art.
2, comma 3-quater, del  d.l.  n.  18  del  2016,  come  convertito  -
previsione questa non contestata dal  rimettente  -  secondo  cui  la
stessa conferente «mantiene le riserve  indivisibili»,  sia  pure  al
netto  del  versamento  e  continua  a  operare  come  cooperativa  a
mutualita' prevalente escludendo dal suo oggetto sociale  l'attivita'
bancaria, come si chiarira' ulteriormente in seguito (punto 5.3.). 
    5.- Il rimettente, come visto, prospetta altresi'  la  violazione
degli artt. 3 e 53 Cost. 
    5.1.- Preliminarmente, va precisato  che  le  censure  riguardano
esclusivamente l'irragionevolezza delle disposizioni  denunciate  per
difetto, nella previsione del versamento al bilancio dello Stato,  di
uno specifico indice di capacita' contributiva.  Nel  contesto  della
motivazione, il giudice a quo richiama il passaggio della sentenza di
questa  Corte  n.  10  del  2015  secondo  cui  «la  possibilita'  di
imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi  a  una  adeguata
giustificazione  obiettiva,  la  quale  deve  essere   coerentemente,
proporzionalmente  e   ragionevolmente   tradotta   nella   struttura
dell'imposta», e lamenta che, nella fattispecie impositiva in  esame,
una tale giustificazione mancherebbe. Siffatto  rilievo  si  risolve,
pero',   in   un   argomento   rafforzativo    della    censura    di
irragionevolezza, e ad esso non si accompagna un'autonoma censura  di
disparita' di trattamento in materia tributaria, come  del  resto  e'
confermato, oltre che dal contesto in cui la citazione  e'  inserita,
dall'assenza di indicazioni su un tertium comparationis  da  porre  a
confronto con la situazione incisa dalle norme censurate. 
    Si deve dunque  ritenere  inammissibile  l'estensione  del  thema
decidendum  operata   dall'Ente   Cambiano,   che,   lamentando   una
irragionevole  disparita'  di  trattamento,   indica   come   tertium
comparationis la fattispecie di cui all'art. 27-quinques del  decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato  14  dicembre  1947,  n.
1577   (Provvedimenti   per   la   cooperazione),   ratificato,   con
modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, in base al quale le
cooperative e i loro consorzi possono costituire (ed essere soci  di)
spa e societa' a responsabilita' limitata, senza soggiacere ad  alcun
regime fiscale penalizzante. Secondo la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, infatti, nei giudizi in  via  incidentale  non  possono
essere  prese  in  considerazione,  oltre  i  limiti  fissati   nelle
ordinanze di rimessione,  ulteriori  questioni  di  costituzionalita'
dedotte dalle parti, ma non fatte  proprie  dal  giudice  a  quo  (ex
plurimis, sentenze n. 35 del 2021, n. 35 del 2017 e n. 203 del 2016). 
    5.2.- Nel merito, nemmeno tale questione e' fondata. 
    Poiche' con essa il rimettente  contesta  in  buona  sostanza  il
difetto  di  uno  specifico  indice  di  capacita'  contributiva  che
giustifichi l'imposizione e quindi la compatibilita' dell'imposta con
i parametri costituzionali degli artt. 3 e 53 Cost.,  ai  fini  della
sua decisione si pone, in via logicamente prioritaria, il tema  della
natura del versamento previsto dall'art. 2, comma 3-ter, del d.l.  n.
18 del 2016, come convertito. 
    Si e' detto che, prima della sua conversione in legge, il d.l. n.
18 del 2016 aveva delineato una possibile scelta alternativa a quella
dell'adesione  a  un  gruppo  bancario  cooperativo,  che   implicava
l'applicazione  dell'art.  150-bis,  comma  5,  t.u.  bancario  (come
sostituito dall'art. 1, comma 6, lettera b, del d.l. n. 18 del  2016,
nel  testo  anteriore  alle  modifiche  introdotte  dalla  legge   di
conversione). In essa, le riserve  patrimoniali  della  BCC  venivano
«affrancate» - potendo quindi essere destinate all'attivita' bancaria
lucrativa  -   dietro   versamento   all'erario   di   una   «imposta
straordinaria pari al venti per cento della loro consistenza». 
    Nella diversa  soluzione  alternativa  configurata  dopo  la  sua
conversione, il d.l. n. 18 del 2016 prevede  invece  che  «[a]ll'atto
del conferimento» la BCC conferente «versa al bilancio dello Stato un
importo pari al 20 per cento del patrimonio  netto»  (art.  2,  comma
3-ter),  e  non  qualifica   piu'   il   versamento   come   «imposta
straordinaria». 
    Benche' la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  consideri
irrilevante  il  nomen  iuris  usato  dal  legislatore,   «occorrendo
riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di
un tributo» (ex plurimis, sentenze n. 58 del 2015, n. 141  del  2009,
n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005), l'indizio testuale - offerto dalla
nuova versione della disposizione - nel  senso  dell'estraneita'  del
versamento all'ambito dei tributi trova conferma nell'indagine  sulla
sua natura sostanziale. 
    Sempre secondo il  costante  orientamento  di  questa  Corte  (ex
plurimis, sentenze n. 263 del 2020, n. 240 del 2019, n. 89 del  2018,
n. 269 del 2017, n. 70 del 2015, n. 219  e  n.  154  del  2014),  gli
elementi   indefettibili   della    fattispecie    tributaria    sono
individuabili in una disciplina legale diretta, in via prevalente,  a
determinare una definitiva decurtazione  patrimoniale  a  carico  del
soggetto passivo,  che  non  integri  una  modifica  di  un  rapporto
sinallagmatico, e nella destinazione delle  risorse,  connesse  a  un
presupposto  economicamente  rilevante  e  derivanti  dalla  suddetta
decurtazione, a sovvenire a pubbliche spese. 
    Si deve comunque trattare di un prelievo coattivo, finalizzato al
concorso alle pubbliche spese e posto a carico di un soggetto passivo
in base ad uno specifico indice di capacita'  contributiva  (sentenza
n. 102 del 2008). Tale indice, inoltre, «deve  esprimere  l'idoneita'
di  ciascun  soggetto  all'obbligazione  tributaria  (fra  le  prime,
sentenze n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966,  n.  16  del
1965 e n. 45 del 1964)» (sentenza n. 70 del 2015). 
    5.2.1.- Prendendo le mosse  dal  presupposto  che  il  versamento
introdotto all'art. 2, comma 3-ter, del d.l. n.  18  del  2016,  come
convertito, abbia natura tributaria, la censura si dipana mettendo  a
confronto la nuova fattispecie impositiva  con  quella  prevista  dal
d.l.  n.  18  del  2016  prima  della  conversione.   Dal   confronto
emergerebbe l'irragionevolezza della scelta operata  dal  legislatore
in sede di conversione, poiche',  mentre  nella  versione  originaria
della  norma  l'indice  rivelatore   della   capacita'   contributiva
consisteva nell'affrancamento delle riserve patrimoniali da destinare
all'attivita'  bancaria  lucrativa,  cosi'  non  e'  nella   versione
definitiva, in cui tali cespiti restano  nella  disponibilita'  della
conferente, vincolati alla realizzazione della causa mutualistica. 
    E' evidente, nel percorso argomentativo del rimettente, che anche
la ricostruzione in termini di tributo del versamento da operare  per
realizzare il conferimento dell'attivita'  bancaria  in  una  spa  e'
condizionata - cosi' come lo sono, del  resto,  pressoche'  tutte  le
dedotte censure di illegittimita' costituzionale -  dalla  precedente
formulazione del testo  normativo.  La  sua  ricostruzione  si  muove
invero in una sorta di logica storica  per  cui  il  contenuto  della
norma risultante dalla legge di conversione dovrebbe essere  letto  e
valutato alla luce del testo originario. La  nuova  disciplina  della
soluzione  alternativa  all'adesione   al   gruppo,   tuttavia,   non
costituisce affatto un'evoluzione della precedente, ma sostituisce in
radice  quest'ultima,  ponendosi  in  una  prospettiva  completamente
diversa. Mentre infatti, in origine, era la stessa banca  di  credito
cooperativo  a  trasformarsi  in  spa,   abbandonando   la   funzione
mutualistica e affrancando le proprie riserve attraverso il pagamento
di un'imposta, non a caso commisurata al valore delle riserve  stesse
e qualificata  come  tale,  nella  versione  oggetto  della  presente
questione di legittimita' costituzionale la  conferente  mantiene  la
propria natura di ente mutualistico - e con esso le riserve vincolate
- ma esternalizza l'attivita' creditizia, trasferendola ad una spa di
nuova istituzione o gia' esistente, destinata normalmente  a  operare
sotto il suo controllo, e il  pagamento  dovuto  per  l'operazione  -
rapportato al patrimonio netto della conferente - si configura,  come
si  vedra',  quale  onere  condizionale   cui   e'   subordinata   la
realizzazione dell'interesse della conferente. Una prospettiva dunque
tutt'affatto diversa, nella quale e' diversa anche  la  funzione  del
versamento. 
    Nel  senso  della  natura  non  tributaria  dell'onere   presenta
decisivo  rilievo  la  previsione  (qui  censurata  per  un   singolo
frammento) secondo cui «[i]n  caso  di  inosservanza  degli  obblighi
previsti dal presente comma e dai commi 3-bis e 3-ter, il  patrimonio
della conferente [...] e' devoluto ai sensi  dell'articolo  17  della
legge 23 dicembre 2000,  n.  388»  (art.  2,  comma  3-quater,  terzo
periodo, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito). 
    L'omesso versamento all'atto del conferimento d'azienda,  dunque,
non legittima il fisco alla riscossione coattiva della somma  dovuta,
in esecuzione di un atto  autoritativo  di  carattere  ablatorio,  ma
comporta la definitiva soggezione della conferente, ex art. 17  della
legge n. 388 del 2000, all'obbligo - non finalizzato  a  sovvenire  a
pubbliche spese - di devolvere il suo patrimonio effettivo  ai  fondi
per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, secondo la regola
generale operante nel caso di mancata adesione della BCC al gruppo. 
    In altri termini, la tempestiva presentazione alla Banca d'Italia
dell'istanza di autorizzazione al  conferimento  d'azienda  impedisce
si' la devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici (che «non  si
produce» per le BCC presentatrici: art. 2, comma 3-bis, del  d.l.  n.
18 del 2016, come convertito), ma tale effetto puo' venire meno anche
successivamente  al  rilascio   dell'autorizzazione,   in   caso   di
inosservanza degli ulteriori adempimenti previsti ai  commi  3-ter  e
3-quater dello stesso  art.  2  e  in  particolare,  per  quanto  qui
interessa, se l'importo prescritto non viene versato. 
    Insieme al versamento concorrono a determinare l'indicato effetto
la conservazione delle clausole mutualistiche e l'introduzione  delle
modifiche statutarie, che completano la scelta di  uscita  della  BCC
dal settore del credito cooperativo, ma  non  dalla  categoria  delle
cooperative a mutualita' prevalente. 
    Tutti questi comportamenti, che  il  legislatore  definisce  come
«obblighi» da osservare ai sensi dei citati commi 3-ter  e  3-quater,
si configurano come oneri collegati all'esercizio di una  determinata
opzione  (in  questo  senso,  sentenza  n.  500  del  1993),  che  la
conferente e' tenuta ex lege ad assolvere, ove intenda realizzare  il
suo interesse  a  non  aderire  a  un  gruppo  bancario  cooperativo,
evitando, al contempo, di  trasformarsi  essa  stessa  in  spa  e  di
devolvere   conseguentemente   il   proprio   patrimonio   ai   fondi
mutualistici. Il vantaggio per essa dell'operazione,  del  resto,  e'
evidente: la conferente  resta  in  vita  come  ente  mutualistico  e
conserva  una  relazione  qualificata  con   l'attivita'   creditizia
attraverso  la   partecipazione   -   normalmente,   anche   se   non
necessariamente - di controllo nel capitale di una  spa  bancaria  di
nuova costituzione o gia' costituita, senza  dover  confluire  in  un
gruppo e  doversi  quindi  assoggettare  ai  poteri  di  direzione  e
coordinamento di una capogruppo. 
    Alla  luce  della  ratio  della  disciplina  censurata  e   della
descritta finalita' del prelievo, alla prestazione in esame va negata
la qualifica di tributo. Manca in essa, in particolare, il  requisito
della natura coattiva del prelievo, che si esprime in primo luogo nel
diritto alla sua riscossione forzosa. La decurtazione patrimoniale e'
definitivamente provocata,  in  questo  caso,  solo  dallo  spontaneo
versamento dell'importo, eseguito dalla  conferente  per  ottenere  i
vantaggi perseguiti, mentre la sua omissione non  fa  sorgere  alcuna
pretesa  impositiva,   semplicemente   impedendo   la   realizzazione
dell'interesse della conferente stessa. 
    Ne' a diverse  conclusioni  si  puo'  pervenire  configurando  la
devoluzione patrimoniale come una sorta di sanzione  per  il  mancato
versamento di un'imposta, cio' che non farebbe venir  meno  l'obbligo
di pagare la somma dovuta (e quindi la possibilita' del suo  recupero
coattivo). In  nessun  caso  infatti  alla  devoluzione  puo'  essere
riconosciuta natura sanzionatoria, stante che  l'effetto  devolutivo,
che si produce in tutte le ipotesi di inosservanza  degli  «obblighi»
indicati al citato comma 3-quater, altro non e'  che  la  conseguenza
della riespansione della regola generale dettata  dall'art.  150-bis,
comma 5, t.u. bancario. 
    5.2.2.- Prima  di  proseguire  nell'esame  del  merito,  si  deve
escludere che la  qualificazione  del  versamento  nei  sensi  appena
esposti  abbia  conseguenze  in  termini  di  inammissibilita'  delle
questioni per difetto di giurisdizione dell'adito giudice  tributario
su una controversia non rientrante tra quelle indicate all'art. 2 del
decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413). 
    In mancanza di impugnazione sul punto, infatti, si deve  ritenere
che nel giudizio a  quo  si  fosse  gia'  implicitamente  formato  il
giudicato  interno  sulla  questione,  con  la  conseguenza  che   la
giurisdizione del giudice tributario -  e,  con  essa,  la  rilevanza
delle questioni  -  non  poteva  piu'  essere  posta  in  discussione
(sentenza n. 46  del  2021,  con  riguardo  all'analogo  profilo  del
giudicato   interno    implicitamente    formatosi    nel    processo
amministrativo). 
    5.2.3.- Passando al merito, e' sufficiente osservare che, secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, un prelievo  come  quello
in esame, del  quale  si  e'  esclusa  la  natura  tributaria,  resta
sottratto  al  principio  di  capacita'  contributiva  (ex  plurimis,
sentenze n. 263 e n. 234 del 2020 e n. 173 del 2016, ordinanza n.  22
del 2003), «con  la  conseguenza  che  l'invocato  parametro  di  cui
all'art. 53 Cost. deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la
materia della imposizione tributaria in senso stretto» (ordinanza  n.
22 del 2003). 
    La pronuncia  di  non  fondatezza  investe  la  censura  nel  suo
complesso, non residuando profili di irragionevolezza  diversi  dalla
lamentata lesione della capacita' contributiva.  In  particolare  non
sono individuabili aspetti  della  questione  riferiti  autonomamente
all'art. 3 Cost., che si deve dunque ritenere evocato dal  rimettente
insieme all'art. 53  Cost.  solo  perche'  quest'ultimo  costituisce,
secondo  la  costante  giurisprudenza   costituzionale,   espressione
specifica in materia tributaria del principio  di  uguaglianza  e  di
ragionevolezza (ex plurimis, sentenze n. 142 del  2014,  n.  116  del
2013 e n. 111 del 1997; ordinanza n. 341 del 2000). 
    5.3.- Non e' fondata  infine  nemmeno  la  terza  -  e  ultima  -
questione, con la quale  e'  lamentata  la  violazione  dell'art.  47
Cost., poiche'  la  scelta  legislativa  contestata  si  porrebbe  in
contrasto con il principio di tutela del risparmio. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che l'art. 47  Cost.
enuncia «un principio programmatico» (sentenza n. 143 del  1995),  al
quale «il legislatore ordinario deve ispirarsi, bilanciandolo con gli
altri interessi costituzionalmente rilevanti,  nell'esercizio  di  un
potere  discrezionale  che  incontra  il  solo  limite  [...]   della
contraddizione del principio stesso (sentenze n. 143 del 1995 e n. 19
del 1994)» (sentenza n. 29 del 2002). 
    Nel caso di  specie,  si  deve  escludere  che  il  bilanciamento
operato dal legislatore si ponga in contraddizione con  il  principio
della tutela del risparmio. L'assunto per cui il prelievo  graverebbe
sulla scelta fra due moduli equiparati non tiene conto del fatto  che
invece  la  soluzione  scoraggiata  comporta  l'uscita   dell'impresa
bancaria da tale settore e la sua continuazione in forma di spa. 
    Non e' poi conferente il richiamo  operato  dal  rimettente,  nel
contesto della censura, alla sentenza n.  99  del  2018  in  tema  di
banche popolari. Con  essa  questa  Corte  si  e'  pronunciata  sulla
legittimita' di una norma affatto diversa per contenuto e  finalita',
diretta ad assicurare - attraverso  la  limitazione  del  diritto  al
rimborso delle azioni dei soci recedenti a seguito di  trasformazione
di una banca popolare in spa - il rispetto dei requisiti  prudenziali
delle banche stabiliti dalla disciplina dell'Unione europea. 
    Ne' infine puo' essere considerato decisivo  l'argomento  offerto
dalla parte, secondo cui l'ingente prelievo,  diminuendo  le  riserve
indivisibili,  ridurrebbe  significativamente  la   capacita'   della
conferente di dotare di risorse  finanziarie  la  banca  partecipata,
comprimendone  la  solidita'.  La  previsione  del   versamento   non
interferisce con il possesso in  capo  alla  banca  spa  conferitaria
degli  inderogabili  requisiti  patrimoniali   per   lo   svolgimento
dell'attivita' bancaria, pena il mancato rilascio dell'autorizzazione
al conferimento d'azienda da parte della Banca d'Italia. La solidita'
dell'impresa bancaria non puo', quindi, comunque mai essere messa  in
discussione, con la conseguenza che anche la scelta che  comporta  il
prelievo non puo' comprimerla fino al punto di pregiudicare la tutela
del risparmio. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, commi 3-ter e 3-quater, quest'ultimo limitatamente  alle
parole «al netto del versamento di cui al comma  3-ter»,  di  cui  al
primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui al terzo  periodo,  del
decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti  la
riforma delle  banche  di  credito  cooperativo,  la  garanzia  sulla
cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale  relativo  alle
procedure  di  crisi  e  la  gestione  collettiva   del   risparmio),
convertito, con modificazioni, nella legge  8  aprile  2016,  n.  49,
promosse dalla Corte di cassazione,  sezione  tributaria  civile,  in
riferimento agli artt. 3, 41, 45, 47 e  53  della  Costituzione,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA