N. 12 SENTENZA 30 novembre 2021- 20 gennaio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse - Imposta regionale sulle attivita' produttive (IRAP)
  - Determinazione della base  imponibile  -  Criteri  di  calcolo  -
  Denunciata  violazione  del   principio   di   proporzionalita'   e
  ragionevolezza - Non fondatezza della questione. 
- Decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446,  art.  6,  comma  1,
  lettera a). 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.4 del 26-1-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1,
lettera  a),  del  decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446
(Istituzione  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'   produttive,
revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e   delle   detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche' riordino della disciplina dei tributi locali), promosso dalla
Commissione tributaria provinciale  di  Reggio  Emilia  nel  giudizio
vertente tra il  Credito  Emiliano  Holding  spa  e  l'Agenzia  delle
entrate - Direzione provinciale di Reggio Emilia, con  ordinanza  del
18 dicembre 2020, iscritta al n. 52 del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  17,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di costituzione di  Credito  Emiliano  Holding  spa,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2021  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi l'avvocato Cristiano Caumont Caimi per la Credito  Emiliano
Holding spa e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il  Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 30 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale (CTP) di Reggio Emilia,
con ordinanza del  18  dicembre  2020  (r.o.  n.  52  del  2021),  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 6, comma 1, lettera a),  del
decreto  legislativo  15   dicembre   1997,   n.   446   (Istituzione
dell'imposta regionale sulle attivita'  produttive,  revisione  degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione
di una addizionale regionale a tale imposta, nonche'  riordino  della
disciplina dei tributi locali), nella parte in cui prevede (nel testo
applicabile ratione temporis) che «[p]er le banche e gli altri enti e
societa' finanziari [...] la base  imponibile  e'  determinata  dalla
somma algebrica delle seguenti voci del  conto  economico:  [...]  a)
margine d'intermediazione ridotto del 50 per  cento  dei  dividendi»,
anziche'  prevedere,  nella  stessa  lettera  a),  che   il   margine
d'intermediazione sia computato per intero, ma con  riguardo,  tra  i
dividendi  che  entrano  a  far  parte  della   sua   determinazione,
esclusivamente  a  quelli  derivanti  dalle   attivita'   finanziarie
detenute per la negoziazione, per  come  indicati  nella  lettera  A)
della nota integrativa alla voce 70 del conto economico del  bilancio
bancario. 
    1.1.- Il rimettente riferisce che la questione e' sorta nel corso
di un giudizio promosso dalla  Credito  Emiliano  Holding  spa  (CEH)
avverso il silenzio rifiuto dell'Agenzia delle  entrate  -  Direzione
provinciale di Reggio  Emilia,  formatosi  sull'istanza  di  rimborso
della quota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive  (IRAP)
(pari a euro 3.842.800,91) versata,  nei  periodi  di  imposta  2013,
2014, 2015 e  2016,  in  ragione  del  50  per  cento  dei  dividendi
conseguiti dalla propria controllata Credito Emiliano spa,  ovverosia
da partecipazioni non detenute per  la  negoziazione  (nell'ordinanza
definiti «dividendi interni»). Il  giudice  a  quo  precisa  che  non
costituisce invece oggetto  della  richiesta  di  rimborso  la  quota
dell'IRAP corrispondente al 50 per cento dei restanti dividendi (pari
a euro 45,15) percepiti dalla societa' in ragione  di  partecipazioni
detenute per la negoziazione e iscritti alla lettera  A)  della  nota
integrativa alla voce  70  (voce  denominata  «Dividendi  e  proventi
simili») del conto economico del  bilancio  bancario  (nell'ordinanza
definiti «dividendi da trading»). 
    In particolare il rimettente ricorda che la richiesta di rimborso
si basava sulla censura del citato art. 6, comma 1, lettera  a),  del
d.lgs.  n.  446  del  1997  dedotta:  a)  in  via   principale,   per
incompatibilita' con l'art. 4,  paragrafi  1  e  3,  della  direttiva
2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime
fiscale comune applicabile alle societa'  madri  e  figlie  di  Stati
membri diversi (cosiddetta direttiva  "Madre-Figlia"),  assunta  come
direttamente   applicabile   al   diritto    interno    sulla    base
dell'interpretazione della Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea
(CGUE sentenza 17 maggio 2017,  in  causa  C-365/16,  AFEP  e  altri;
sentenza 17 maggio 2017, in causa C-68/15, X); b) e,  per  l'effetto,
«in  via  subordinata»,  per  incompatibilita'  con  il  diritto   di
stabilimento di cui agli  articoli  da  49  a  55  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130, del principio di libera  circolazione  di  cui
all'art. 63 TFUE e di capacita' contributiva di cui agli artt. 3 e 53
Cost. in quanto si verrebbe a configurare «un regime  di  imposizione
piu' oneroso dei dividendi interni» rispetto a quello dei  «dividendi
europei» (cosiddetta discriminazione "alla  rovescia");  c)  «in  via
ulteriormente subordinata», per violazione dell'art. 3 Cost.,  quanto
al «principio di proporzionalita' del mezzo rispetto al fine» poiche'
prevede  l'assoggettamento  a  IRAP  di  un  importo  forfetario  dei
dividendi, includendo anche quelli non detenuti per la  negoziazione,
i quali, non essendo percepiti dalla banca nell'esercizio  della  sua
attivita' caratteristica, non dovrebbero scontare l'IRAP. 
    La CTP rimettente, disattesi i motivi di doglianza sub a)  e  sub
b), ritenendo non applicabile la direttiva  "Madre-Figlia"  all'IRAP,
trattandosi a suo  avviso  di  un  prelievo  non  qualificabile  come
«imposta sulle societa'  in  Italia»,  considera  non  manifestamente
infondata la questione di illegittimita' costituzionale sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost. 
    1.2.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
premette  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa   Corte,   il
legislatore sarebbe «libero di scegliere le finalita', il programma e
il principio da sviluppare con le  proprie  disposizioni»;  tuttavia,
«una  volta  scelto  il  principio,  lo  d[ovrebbe]  sviluppare   con
coerenza,  senza  escludere  dalla  fattispecie  situazioni  in  essa
ragionevolmente  sussumibili  [...]  e  senza  includervi  situazioni
ragionevolmente distinguibili», pena  la  violazione  del  menzionato
art. 3 Cost. 
    Nella specie, l'irragionevolezza del censurato art. 6,  comma  1,
lettera a), del  d.lgs.  n.  446  del  1997,  deriverebbe  dall'avere
disposto una forfetizzazione diretta a quantificare i  «dividendi  da
trading» in misura pari al 50 per cento  di  quelli  complessivamente
rilevati nella Voce 70 del conto economico del bilancio bancario, pur
in presenza delle  condizioni  per  procedere  a  una  determinazione
analitica e integrale degli stessi «dividendi da trading», gli  unici
ad essere ritenuti imponibili dal rimettente. Essi sarebbero  infatti
«separatamente  e  precisamente»  iscritti  alla  lettera  A)   della
predetta voce 70 e, «quindi, identificabili con assoluta precisione».
Tale  meccanismo  forfetario  risulterebbe  pertanto   sproporzionato
rispetto alla ratio  della  norma  che,  ad  avviso  del  rimettente,
sarebbe quella di «intercettare» integralmente, ai fini dell'IRAP,  i
soli «dividendi da trading». 
    Piu' precisamente, la  CTP  muove  tale  doglianza  dai  seguenti
assunti: a)  l'IRAP  avrebbe  a  oggetto  il  valore  prodotto  dalla
"attivita'  caratteristica"  dell'impresa;  b)  tra   le   "attivita'
caratteristiche"  delle  banche  e  degli  altri  enti   e   societa'
finanziarie rientrerebbe quella di negoziazione  titoli  e  non  gia'
quelle afferenti  alla  gestione  di  partecipazioni,  specie  se  di
controllo. 
    1.3.- In punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo  osserva  che
l'accoglimento della questione comporterebbe la debenza  del  tributo
solo in relazione ai «dividendi da trading» e,  conseguentemente,  il
diritto al rimborso dell'IRAP -  oltre  a  interessi  -  nei  termini
richiesti dalla ricorrente. 
    2.- Con atto depositato il 14 maggio 2021  si  e'  costituita  in
giudizio  la  CEH,  chiedendo  l'accoglimento  della   questione   in
sostanziale adesione alle motivazioni del rimettente. 
    La societa'  afferma  infatti  che  la  norma  censurata  sarebbe
irragionevole e sproporzionata rispetto alla ratio,  che  sarebbe  ad
essa sottesa,  di  tassare  i  soli  dividendi  derivanti  da  azioni
acquisite nell'ambito di attivita' di negoziazione svolte da  banche,
da altri enti e societa' finanziarie,  in  coerenza  con  l'affermata
funzione  dell'IRAP  di  assoggettare  a  imposizione  esclusivamente
l'"attivita' caratteristica" dell'impresa. 
    2.1.- A sostegno di tale interpretazione la difesa della societa'
illustra i tratti essenziali della disciplina della  base  imponibile
dell'IRAP,  distinguendo  le  regole  generali,  prescritte  per   le
societa'  e  gli  enti  commerciali  che  non  esercitano   attivita'
finanziaria e assicurativa (art. 5 del d.lgs. n. 446  del  1997),  da
quelle specifiche, stabilite proprio per le banche e  per  gli  altri
enti  e  societa'  finanziarie   (art.   6   del   medesimo   decreto
legislativo). 
    In particolare, per questi ultimi il legislatore avrebbe previsto
che il valore aggiunto oggetto dell'imposizione ai fini IRAP  sarebbe
il risultato della somma algebrica di alcune voci del conto economico
del bilancio redatto secondo i principi  contabili  internazionali  e
secondo gli schemi risultanti dai provvedimenti della Banca d'Italia;
ovvero segnatamente: il margine d'intermediazione ridotto del 50  per
cento  dei  dividendi;  gli  ammortamenti  dei   beni   materiali   e
immateriali ad uso funzionale per un importo pari al 90 per cento; le
altre spese amministrative per un importo pari al 90  per  cento;  le
rettifiche e riprese di valore nette per deterioramento dei  crediti,
limitatamente a quelle riconducibili ai crediti  verso  la  clientela
iscritti in bilancio a tale titolo. Nella prospettazione  della  CEH,
tale elencazione, volutamente  articolata  e  frutto  dell'evoluzione
normativa,  confermerebbe  la  rilevanza  dei  soli  risultati  della
gestione  ordinaria  caratteristica  dell'impresa  (al  netto   della
forfetizzazione prevista dalla  norma  censurata  per  i  dividendi),
«come  tale,  comprensiva  sia  delle  attivita'  compiute   in   via
continuativa  e  che  esprimono  la  parte  peculiare  e   distintiva
dell'attivita' a cui l'organizzazione e' finalizzata, sia di tutte le
altre attivita' aventi carattere "normale" (recte: non estranee  alla
gestione tipica e accessoria) e ricorrente per l'impresa». 
    2.2.- Cio' premesso, la societa' ripercorre la giurisprudenza  di
questa Corte che  considera  insindacabile  la  discrezionalita'  del
legislatore,   salvo   il   solo   limite   della    non    manifesta
irragionevolezza (sono citate le sentenze n. 212 e n. 115  del  2019;
n. 147 del 2017), che dovrebbe comunque essere verificata  alla  luce
della coerenza  interna  della  struttura  dell'imposta  con  il  suo
presupposto economico, come pure della non arbitrarieta' dell'entita'
dell'imposizione. Cio' anche in accordo con la  giurisprudenza  della
Corte   di   giustizia   dell'Unione   europea   sul   principio   di
proporzionalita' (sono citate le sentenze 8  aprile  2014,  in  cause
riunite C-293/12 e  C-594/12,  Digital  Rights  Ireland  ltd.,  e  10
dicembre 2002, in causa C-491/01, British  American  Tobacco  ltd.  e
altri). 
    Ad  avviso  della  societa',  tale  indirizzo  giurisprudenziale,
ulteriormente ribadito dalla sentenza n. 262 del 2020,  confermerebbe
la fondatezza della questione. E infatti, il denunciato art. 6, comma
1, lettera a), avrebbe previsto «in modo arbitrario e indiscriminato»
il  parziale  assoggettamento  a  tassazione  di  tutti  i  dividendi
rilevati nella voce 70 del conto  economico  del  bilancio  bancario,
«assumendo presuntivamente che una  parte  di  essi,  forfetariamente
determinata in misura pari al 50 per cento, derivi dall'attivita'  di
"trading", in luogo di una determinazione  analitica  degli  stessi»,
atteso che la loro contabilizzazione sarebbe normativamente separata.
Cio', nonostante  che  l'iper-regolazione  e  vigilanza  del  settore
garantisca la massima analiticita' dei dati richiesti e forniti dalle
banche a livello finanziario, contabile e fiscale. 
    2.2.1- Secondo la difesa della societa' a tali considerazioni non
sarebbe possibile contrapporre  ragioni  di  semplificazione  perche'
«l'intercettazione  dei  dividendi  da  "trading"  puo'   agevolmente
compiersi in ragione della struttura del bilancio bancario». 
    2.2.2.- In conclusione, ad avviso  della  parte,  l'utilizzo  del
meccanismo forfetario di cui all'art. 6, comma  1,  lettera  a),  del
d.lgs. n. 446 del 1997 sarebbe  «distonico  e  lesivo  dei  principi»
sopra enunciati: a) perche' l'asserito obiettivo della tassazione dei
soli dividendi da trading si sarebbe potuto realizzare  mediante  una
specifica  previsione  di  imponibilita'  solo  di  questi,  laddove,
invece,  l'inclusione  nella  determinazione  della  base  imponibile
dell'IRAP dei  dividendi  da  partecipazione  «che  sarebbero  dovuti
rimanere fuori, per ragioni di tipo "qualitativo"»,  comprometterebbe
«il vincolo di coerenza con l'assetto dell'imposta»;  b)  perche'  le
ragioni di semplificazione del calcolo del tributo  «che  sottostanno
al  meccanismo  della  forfetizzazione»  non   sarebbero   idonee   a
giustificare il concorso di tutti i dividendi alla  formazione  della
base imponibile, sotto il profilo dell'adeguatezza  e  ragionevolezza
delle scelte legislative, stante lo  schema  dei  bilancio  di  Banca
d'Italia e la  costante  vigilanza,  che  non  giustificherebbero  la
predetta   forfetizzazione    «non    essendo    ravvisabile    alcun
ostacolo/impedimento all'attivita' di verifica e accertamento». 
    2.2.3.- Osserva poi la  CEH  che  la  norma  censurata,  nel  far
concorrere a tassazione tutti i  dividendi  percepiti  dalle  banche,
determinerebbe  in  termini  di  gettito  «un  risultato  del   tutto
"erratico"» di maggiore  o  minore  prelievo  dell'IRAP,  «senza  che
questo risultato sia minimamente ancorato alle  logiche  dell'imposta
in esame», che sarebbero invece improntate al principio del  concorso
delle sole voci della gestione caratteristica dell'impresa. 
    3.-  Con  atto  depositato  il  17  maggio  2021,  l'Associazione
nazionale tributaristi italiani, sezione Lombardia  (ANTI  Lombardia)
ha presentato un'opinione scritta in qualita' di  amicus  curiae,  ai
sensi dell'art. 4-ter delle Norme integrative per i  giudizi  davanti
alla  Corte  costituzionale,  a  sostegno  della   fondatezza   della
questione. 
    Il Presidente della Corte costituzionale, rilevata la conformita'
dell'opinione ai criteri previsti dal citato art. 4-ter, l'ha ammessa
con decreto del 7 settembre 2021. 
    In  particolare,  l'ANTI  Lombardia   -   sulla   base   di   una
ricostruzione normativa fondata essenzialmente sugli artt. 10  e  160
del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico  delle
leggi in materia bancaria e creditizia) e  sull'art.  1,  commi  5  e
5-bis, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58  (Testo  unico
delle disposizioni in  materia  di  intermediazione  finanziaria,  ai
sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52)  -
ritiene i «dividendi da trading»  gli  unici  proventi  derivanti  da
strumenti finanziari riconducibili  alla  "attivita'  caratteristica"
delle banche e degli  enti  e  societa'  finanziarie,  come  tali  da
considerare rilevanti ai fini della tassazione dell'IRAP. Cio'  -  si
sostiene - troverebbe conferma, anche in chiave retrospettiva,  nella
previgente formulazione dell'art. 6 del d.lgs. n. 446 del 1997. 
    All'irragionevolezza  della  norma   censurata   concorrerebbero,
secondo  la  ricostruzione  dell'ANTI,   sia   la   possibilita'   di
individuare analiticamente i  «dividendi  da  trading»,  mediante  il
riferimento alla lettera A) della voce 70  del  conto  economico  del
bilancio  bancario;  sia  la  contraddizione  rispetto   all'asserito
intento della novella apportata dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge  finanziaria  2008)»,  di  «correggere
evidenti incongruenze  presenti  nelle  allora  vigenti  disposizioni
normative, le quali, proprio al fine della determinazione della  base
imponibile del tributo, racchiudevano tra l'altro componenti o valori
non pertinenti alla gestione caratteristica della specifica attivita'
considerata». 
    4.- Con atto depositato il 18  maggio  2021,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata. 
    4.1.- A sostegno dell'inammissibilita',  la  difesa  dello  Stato
evidenzia, innanzitutto, che l'accoglimento del  petitum,  inteso  in
senso ablativo, comporterebbe l'eliminazione dall'art.  6,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 446 del 1997 «anche» della disposizione che
stabilisce   la   dimidiazione   dei   dividendi,   cosicche'    essi
concorrerebbero interamente alla determinazione della base imponibile
dell'IRAP nel loro effettivo ammontare, «con  conseguente  incremento
dell'imposta   dovuta».   Per    l'effetto,    al    termine    della
rideterminazione dell'IRAP da parte dell'ente impositore, la societa'
potrebbe addirittura essere tenuta a corrispondere un'ulteriore quota
di imposta rispetto a quanto gia' versato. 
    L'Avvocatura  generale  eccepisce  poi  l'inammissibilita'  della
questione perche' non sarebbe dimostrabile  che  la  soluzione  della
integrale deducibilita' dei soli dividendi relativi ad attivita'  non
detenute per la negoziazione sia «costituzionalmente obbligata»,  ne'
il rimettente lo avrebbe dimostrato. 
    In ogni caso, conclude la difesa statale, anche  a  intendere  il
petitum in tal senso, la questione sarebbe  inammissibile  in  quanto
«manipolativa e additiva della disposizione di legge». 
    4.2.-  Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  contesta  la   ratio
interpretativa individuata dal rimettente a sostegno della censura  e
illustra  un  diverso  percorso  ermeneutico  a  conforto  della  non
fondatezza della questione. 
    In particolare, la difesa dello Stato precisa che l'art. 6, comma
1, lettera a), oggetto dell'incidente di costituzionalita', e'  stato
introdotto dall'art. 1, comma 50, lettera c), della legge n. 244  del
2007 al dichiarato fine di «semplificare le regole di  determinazione
della base imponibile dell'IRAP». Nel  previgente  quadro  normativo,
infatti, la base imponibile dell'IRAP sarebbe stata  «percepita  come
una sorta di "duplicazione"» di quella dell'imposta sui redditi delle
societa'  (IRES),  da  qui  la  necessita'   di   procedere   a   uno
«sganciamento» dei due tributi anche al fine di adeguare l'IRAP  alla
propria natura di imposta reale (e'  citata  la  sentenza  di  questa
Corte n. 156 del 2001). Cio' sarebbe stato perseguito  eliminando  ai
fini dell'IRAP le  variazioni  fiscali  in  materia  di  imposte  sul
reddito e modificando  la  disciplina  del  tributo  per  avvicinarla
maggiormente ai criteri adottati in  contabilita'  nazionale  per  il
calcolo del valore della produzione netta nei vari settori economici.
Per  ragioni  di  coerenza  sistematica  tale   innovazione   avrebbe
coinvolto le banche e gli altri enti e societa' finanziarie  che  per
scelta o per obbligo adottano i  principi  contabili  internazionali,
dai  quali  discenderebbe,  tra  l'altro,  la   classificazione   dei
dividendi «in dividendi da attivita' detenute per la  negoziazione  e
dividendi da attivita' finanziarie non detenute per la negoziazione». 
    In ragione di quanto sopra  osservato,  anche  sulla  base  della
relazione  illustrativa  della  riforma,  ad  avviso  dell'Avvocatura
generale, «non [risulterebbe] che  la  finalita'  della  nuova  norma
[sarebbe]   quella   individuata   nell'ordinanza   di    rimessione»
dell'assoggettamento a tassazione dei  soli  dividendi  da  attivita'
finanziarie detenute per la negoziazione. 
    Alla luce del  quadro  normativo  delineato  dalla  difesa  dello
Stato, la prescritta derivazione della base imponibile IRAP dal conto
economico del bilancio bancario e lo specifico rilievo attribuito  al
margine  di  intermediazione,   quale   voce   del   medesimo   conto
rappresentativa del «valore che una banca  e'  riuscita  ad  ottenere
dalla sua attivita' principale, quella  legata  alla  mediazione  tra
domanda  e   offerta   di   credito»,   renderebbero   «perfettamente
ragionevole» l'inclusione in esso di tutti i dividendi. 
    4.2.1.- In tale prospettiva, osserva  l'Avvocatura,  l'esclusione
del 50 per cento dei dividendi sarebbe una misura di favore, tesa sia
a  «riconoscere  una  forma  di  deduzione  del   costo   finanziario
rappresentato   dalla   detenzione   delle   attivita'    finanziarie
nell'esercizio (il "magazzino titoli")», sia a fungere  da  incentivo
alla stessa «detenzione in patrimonio dei titoli, favorendo  il  loro
impiego  per  finalita'  di  rendimento  (con  il  conseguimento  dei
dividendi), anziche' per mera finalita' di "trading" a breve». 
    Cio' confermerebbe la non fondatezza della questione, poiche'  la
norma  censurata  sarebbe  espressione  della  discrezionalita'   del
legislatore  nel  conformare  la  disciplina  della  base  imponibile
dell'IRAP, avuto riguardo alla specificita' del comparto bancario, in
senso  «aderente  alla  realta'  finanziaria  e  patrimoniale   delle
banche». 
    5.- In data  8  novembre  2021,  la  CEH  ha  depositato  memoria
replicando alle argomentazioni dell'Avvocatura generale  e  ribadendo
le ragioni gia' spese nell'atto  di  costituzione  a  sostegno  della
fondatezza della questione. 
    5.1.- In particolare, quanto  alle  ragioni  di  inammissibilita'
addotte  dall'interveniente,  la   societa'   innanzitutto   contesta
l'affermazione secondo cui un eventuale  accoglimento  della  censura
«consentirebbe all'interprete di determinare la base imponibile  IRAP
assoggettando a tassazione integrale tutti i dividendi, e non solo  i
dividendi da  trading»,  atteso  che  la  base  imponibile  dell'IRAP
sarebbe   data   dai    risultati    dell'attivita'    caratteristica
dell'impresa, tra cui rientrerebbero i soli «dividendi  da  trading»,
«e non invece i dividendi che derivano dalla gestione  "statica"  del
patrimonio, in quanto tali esclusi dal calcolo dell'imposta». 
    Nemmeno fondata sarebbe quindi  l'eccezione  dell'Avvocatura  per
cui l'accoglimento comporterebbe «necessariamente» un incremento  del
carico fiscale in capo ai soggetti passivi. 
    Ne'  -  sostiene  la  CEH  -   ci   si   troverebbe   dinanzi   a
un'inammissibile pronuncia manipolativa e additiva della disposizione
di  legge  all'esame,  poiche'  nella  specie,   sussisterebbero   «i
presupposti per emettere [...] una pronuncia che [...]  "sostituisca"
la deduzione forfetaria della quota  dei  dividendi  esenti  con  una
deduzione analitica degli stessi». 
    5.2.- Nel merito, la societa' precisa innanzitutto come la  ratio
giuridico-economica e il presupposto dell'IRAP, alla  luce  dell'art.
2,  comma  1,  del  d.lgs.   n.   446   del   1997,   consisterebbero
nell'esercizio  di  una  "attivita'  produttiva",  «vale  a  dire  di
un'attivita'  diversa  dalla   mera   gestione   "improduttiva"   del
patrimonio (c.d. "attivita' statica", consistente nel mettere un bene
a  disposizione  di  altri   o   nel   goderne   direttamente)».   In
quest'ottica,  "gestione   caratteristica"   delle   banche   sarebbe
«l'attivita' di acquisto e di  vendita  di  strumenti  finanziari  in
contropartita diretta, mediante l'uso  del  denaro  raccolto  tra  il
pubblico, attivita' da cui derivano,  tra  l'altro,  i  dividendi  da
trading», e da cui  «[s]pecularmente,  fuoriescono  [...]  gli  altri
dividendi, derivando da una  attivita',  l'investimento  duraturo  in
partecipazioni societarie (immobilizzate), che nulla ha  a  che  fare
con la raccolta del denaro sul mercato»; distinzione che - secondo la
CEH - si rifletterebbe poi nella voce  70  del  conto  economico  del
bilancio bancario. 
    Cio' renderebbe non ragionevole  una  disciplina  che  stabilisca
l'incidenza   nell'imponibile   dell'IRAP   dei   dividendi   (seppur
dimidiati) derivanti dall'attivita' di gestione del  patrimonio.  Una
tale deroga all'asserito principio di  rilevanza  dei  soli  proventi
derivanti da attivita' caratteristica non  potrebbe  infatti  trovare
giustificazione: ne' nella specificita' delle regole dettate  per  le
banche e gli altri enti e societa' finanziarie e, in particolare, nel
principio di "derivazione rafforzata" dal bilancio; ne'  nella  ratio
di  semplificazione  della  novella  del  2008;  ne',   infine,   dal
riferimento al "margine di intermediazione" e dalla confluenza  nella
voce 70  del  conto  economico  del  bilancio  bancario  di  tutti  i
dividendi, poiche' la  distinzione  tra  dividendi  "da  trading"  ed
"interni",  pur  irrilevante  contabilmente,  «ai  fini  IRAP,  [...]
mant[errebbe] importanza fondamentale». 
    5.3.- Da ultimo la CEH contesta la tesi dell'Avvocatura  generale
circa la ratio della forfetizzazione al 50 per  cento  dei  dividendi
quale forma di riconoscimento dei "costi  finanziari"  del  magazzino
titoli, ritenendo cio' escluso sia dalla lettera della norma (che  ne
mostrerebbe la finalita'  «di  sgravare  parzialmente  un  componente
attivo, piuttosto che di riconoscere la deduzione  di  un  componente
passivo»); sia dal fatto che «i dividendi non hanno di  per  se'  "un
costo" di produzione e  che  comunque  tale  costo  non  puo'  essere
rappresentato dalle fluttuazioni negative dei titoli sottostanti». 
    6.- In data 9 novembre 2021 l'Avvocatura generale dello Stato  ha
depositato una memoria, ribadendo quanto dedotto nel proprio atto  di
costituzione in giudizio e chiedendo che la questione sia  dichiarata
inammissibile o  comunque  non  fondata  per  le  seguenti  ulteriori
ragioni. 
    6.1.-   In   primo   luogo,   la   difesa   pubblica    eccepisce
l'inammissibilita' della questione  per  difetto  di  motivazione  in
ordine alla sua rilevanza nel giudizio a quo in  quanto  la  societa'
ricorrente CEH non sarebbe in  realta'  una  banca,  ma  una  holding
bancaria, ossia una societa' detentrice  del  controllo  di  un'altra
banca. Pertanto - ancorche' l'applicabilita' del  censurato  art.  6,
comma 1, lettera a),  a  tali  soggetti  derivi  dal  rinvio  operato
dall'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 27  gennaio
1992, n. 87 (Attuazione della direttiva  n.  86/635/CEE  relativa  ai
conti annuali ed ai conti consolidati  delle  banche  e  degli  altri
istituti finanziari, e della direttiva n.  89/117/CEE  relativa  agli
obblighi in materia di  pubblicita'  dei  documenti  contabili  delle
succursali, stabilite in uno  Stato  membro,  di  enti  creditizi  ed
istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro) - la
CTP avrebbe dovuto preliminarmente  motivare  la  riferibilita'  alle
holding bancarie degli illustrati presupposti interpretativi  da  cui
muove la censura, atteso che  l'attivita'  caratteristica  di  questi
soggetti  consisterebbe  proprio  nel  possesso   di   partecipazioni
azionarie stabili, «[a]nzi, con specifico  riguardo  alle  capogruppo
bancarie, dagli artt. 60 e 61 del TUB risulta che tali partecipazioni
debbono essere tali che alla  capogruppo  faccia  capo  il  controllo
delle banche componenti il gruppo». 
    6.2.- In secondo luogo,  e  correlativamente,  l'inammissibilita'
della  questione  deriverebbe  dalla  sua   «genericita'»,   giacche'
l'ordinanza  di  rinvio   non   avrebbe   esplorato   una   soluzione
interpretativa che riconosca  la  piena  legittimita'  costituzionale
della norma censurata  ove  riferita  a  soggetti  la  cui  attivita'
caratteristica sia, appunto, il possesso  stabile  di  partecipazioni
azionarie di controllo. 
    6.3.- Da ultimo, l'Avvocatura generale ribadisce, nel merito,  la
manifesta infondatezza della questione. 
    In particolare, l'interveniente insiste nel ritenere che, ai fini
dell'odierno  vaglio  di  legittimita'  costituzionale,   assumerebbe
valenza  decisiva  il  concetto  di  "margine  di   intermediazione",
esplicitamente richiamato in senso  tecnico  dalla  norma  censurata:
esso sarebbe funzionale - nella sua  complessita'  -  a  indicare  la
solidita' dei soggetti appartenenti al comparto bancario.  In  questa
prospettiva   sarebbe   dunque   ragionevole    che    i    dividendi
(indipendentemente  dalla  tipologia   di   partecipazioni   da   cui
originano) concorrano al "margine  di  intermediazione",  atteso  che
anche tale componente - insieme al  "margine  di  interesse"  e  alle
"commissioni" -  «contribui[rebbe]  al  risultato  complessivo  della
gestione». 
    Osserva, peraltro, che quella  dei  dividendi  costituirebbe  una
componente tanto piu' rilevante quanto  piu'  le  banche  si  trovano
costrette a operare in periodi di  crisi  connotati  da  "margini  di
interesse" negativi (come avvenuto, fa  notare  la  difesa  erariale,
durante la crisi finanziaria del 2007 e negli anni seguenti). 
    Tutto cio'  considerato,  la  difesa  statale  ritiene  che  «non
[sarebbe]   dunque   corretto   isolare   una   presunta    "gestione
caratteristica"», asseritamente costituita soltanto dal  costo  della
raccolta del risparmio e dal  provento  dell'esercizio  del  credito,
escludendo dal valore della produzione dell'impresa bancaria tutte le
altre voci di ricavo che comunque  «parimenti»  concorrerebbero  alla
determinazione positiva del margine di intermediazione. 
    Ad   avviso   dell'Avvocatura   generale,   l'irrilevanza   della
distinzione - posta invece a fondamento dell'ordinanza  di  rinvio  -
tra partecipazioni detenute  e  non  detenute  per  la  negoziazione,
sarebbe  confermata  proprio  dalle  regole  stabilite  dalla   Banca
d'Italia  nella  definizione  degli  schemi  di   bilancio   bancario
(circolare  22  dicembre  2005,  n.  262,   della   Banca   d'Italia,
nell'aggiornamento  applicabile  ratione  temporis)  e  dai  relativi
principi  contabili   internazionali   (cui   detti   schemi   devono
ispirarsi), atteso che tale distinzione opererebbe al  solo  fine  di
assoggettare dette partecipazioni a diversi  criteri  di  valutazione
patrimoniale. Talche' si tratterebbe di «una distinzione [che] non ha
alcuna importanza al fine di qualificare i flussi reddituali che  gli
uni e gli altri strumenti possono generare». 
    Da qui la considerazione che l'inclusione dimidiata  di  tutti  i
dividendi, a prescindere dalla  loro  fonte,  nella  base  imponibile
dell'IRAP non contrasterebbe in alcun modo  con  l'attivita'  propria
dell'impresa bancaria; anzi, cio' dimostrerebbe invece, il  carattere
irrazionale di  una  distinzione  tra  tali  componenti  ai  fini  di
un'imposta la  cui  base  imponibile  voglia  essere  attendibilmente
identificata  con  il  reale  valore  della  produzione  dell'impresa
bancaria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza menzionata in epigrafe (r.o. n. 52 del 2021),
la Commissione tributaria provinciale (CTP)  di  Reggio  Emilia,  nel
corso di un giudizio promosso da una  holding  di  partecipazioni  in
societa' finanziarie nei confronti dell'Agenzia delle entrate avverso
il  silenzio  rifiuto   formatosi   sulla   richiesta   di   rimborso
dell'imposta regionale sulle attivita' produttive (IRAP) versata  per
gli anni dal 2013 al 2016, ha sollevato, in  riferimento  all'art.  3
della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 6,  comma  1,
lettera  a),  del  decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446
(Istituzione  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'   produttive,
revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e   delle   detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche' riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in
cui prevede (nel testo applicabile ratione temporis) che,  «[p]er  le
banche e  gli  altri  enti  e  societa'  finanziari  [...],  la  base
imponibile e' determinata dalla somma algebrica delle  seguenti  voci
del conto economico: [...] a) margine d'intermediazione  ridotto  del
50 per cento dei dividendi; [...]», anziche' prevedere, nella  stessa
lettera a),  che  il  margine  d'intermediazione  sia  computato  per
intero, ma con riguardo, tra i dividendi  che  entrano  a  far  parte
della sua determinazione, esclusivamente  a  quelli  derivanti  dalle
attivita' finanziarie detenute per la  negoziazione,  indicati  nella
lettera A) della nota integrativa alla voce 70  del  conto  economico
del bilancio bancario redatto in conformita' agli  schemi  risultanti
dai provvedimenti emessi ai sensi dell'art. 9, comma 1,  del  decreto
legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, recante «Esercizio delle opzioni
previste dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia
di principi contabili internazionali». 
    In altri termini, il  giudice  a  quo  considera  intrinsecamente
irragionevole nonche' sproporzionato (e,  quindi,  in  contrasto  con
l'art. 3 Cost.) che, nella costruzione dell'imponibile  del  tributo,
la norma denunciata proceda alla valutazione meramente  forfetaria  e
approssimativa di un elemento  economico  che,  invece,  puo'  essere
agevolmente individuato in modo analitico, pieno e preciso. 
    2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, ha preliminarmente eccepito plurime ragioni d'inammissibilita'
della questione. 
    Tutte le eccezioni devono essere respinte sotto ogni profilo. 
    2.1.- Innanzitutto non inficia l'ammissibilita' della censura  la
circostanza  addotta  dall'Avvocatura  per  cui  l'accoglimento   del
petitum  inteso  in  senso  ablativo   comporterebbe   l'eliminazione
dall'art. 6, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 446 del 1997  «anche»
della  disposizione  che  consente  la  dimidiazione  dei  dividendi,
cosicche' essi concorrerebbero interamente alla determinazione  della
base  imponibile  dell'IRAP  nel  loro  effettivo   ammontare,   «con
conseguente incremento dell'imposta dovuta». 
    L'eccezione non e' chiaramente formulata:  essa  appare  comunque
incentrata sugli  effetti  svantaggiosi  per  la  ricorrente  di  una
eventuale pronuncia di incostituzionalita' (peraltro solo  ipotetici)
e si basa, percio', su un'asserita contraddizione tra  l'intento  del
contribuente di ottenere il rimborso e gli effetti  contrari  a  tale
intento, che,  in  astratto,  potrebbero  derivare  dall'accoglimento
della questione. 
    Occorre pero' osservare che,  a  fini  dell'ammissibilita'  della
questione,  e'  sufficiente  che  il  rimettente  sia  effettivamente
chiamato a fare applicazione della norma censurata, mentre non  hanno
rilevanza gli effetti sfavorevoli  che  potrebbero  derivare  per  il
contribuente nel caso di accoglimento (ex plurimis, sentenze  n.  84,
n. 59 e n. 48 del 2021  e  n.  20  del  2018).  Pertanto,  anche  ove
l'ordinanza    fosse    interpretabile    nel    senso    prospettato
dall'Avvocatura dello Stato, non sussisterebbe alcuna  contraddizione
tra l'intento della ricorrente e il petitum del rimettente. 
    In ogni caso l'eccezione e' infondata anche perche' imperniata su
una errata  interpretazione  della  richiesta  formulata  dalla  CTP,
intesa  -  appunto  -  come  meramente  ablativa.  Da   una   lettura
complessiva dell'ordinanza  si  evince  infatti  che  il  petitum  e'
chiaramente orientato verso una  pronuncia  sostitutiva  nei  termini
gia' sopra descritti. 
    2.2.- Nemmeno fondata e' poi  l'eccezione  per  cui  non  sarebbe
dimostrabile - ne' il giudice a quo lo avrebbe dimostrato  -  che  la
sola  «soluzione  costituzionalmente   obbligata»   sia   l'integrale
deducibilita'  dei  dividendi  diversi  da  quelli  che   l'ordinanza
definisce «dividendi da trading». 
    Fermo restando che ai fini  dell'ammissibilita'  delle  questioni
non e' necessario che esista  un'unica  soluzione  costituzionalmente
obbligata (ex plurimis, sentenze  n.  157  e  n.  63  del  2021),  va
rilevato che, interpretata in termini logico-sistematici, la sequenza
argomentativa del rimettente mostra di muovere  dall'assunto  che  la
ratio  della  norma   sia   quella   di   computare   nell'imponibile
esclusivamente i dividendi da trading e pertanto censura il  criterio
della loro forfetizzazione tramite  la  riduzione  alla  meta'  della
somma di tutti i tipi di  dividendi:  non  v'e'  percio'  spazio  per
un'opzione alternativa, dal momento che su quelle premesse (giuste  o
sbagliate  che  siano)  non  e'  possibile   alcun   altro   percorso
ermeneutico (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021). 
    2.3.- Parimenti non fondata e' l'ulteriore eccezione, in  realta'
contigua alla precedente,  di  inammissibilita'  della  questione  in
quanto  questa  sarebbe  finalizzata   a   ottenere   una   pronuncia
manipolativa:  la  CTP  auspica  infatti  una  modifica  della  norma
censurata  nel  senso  dell'integrale  deducibilita'  dei   dividendi
diversi da quelli derivanti da attivita' detenute per la negoziazione
(che, coerentemente  con  le  premesse  gia'  illustrate,  dovrebbero
essere invece integralmente tassati). 
    Seppure sia innegabile che la richiesta del  rimettente  implichi
un elevato grado di manipolazione del testo  normativo,  se  valutato
sotto il profilo della  coerenza  tra  la  selezione  "a  monte"  del
presupposto dell'IRAP  e  le  regole  di  determinazione  della  base
imponibile "a valle", con specifico riguardo alle  imprese  bancarie,
il carattere sostitutivo della pronuncia auspicata dal rimettente non
osta di per se' all'ammissibilita' della questione.  In  particolare,
il rimettente, nel richiedere una pronuncia sostitutiva  nei  termini
sopra illustrati, propone non una tra le tante possibili pronunce, ma
-  sulla  base  delle  esposte  premesse  interpretative  -   l'unica
pronuncia ritenuta possibile. 
    2.4.- Non e' poi  fondata  l'eccezione  di  inammissibilita'  per
difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della  questione  nel
giudizio a quo in  quanto  la  societa'  ricorrente  non  sarebbe  in
realta' una banca ma una holding bancaria. 
    Ancorche' l'applicabilita' del censurato art. 6, comma 1, lettera
a), a tali soggetti derivi dal rinvio operato dall'art. 1,  comma  1,
lettera  c),  del  decreto  legislativo  27  gennaio  1992,   n.   87
(Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE relativa ai  conti  annuali
ed  ai  conti  consolidati  delle  banche  e  degli  altri   istituti
finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE relativa agli obblighi in
materia di pubblicita'  dei  documenti  contabili  delle  succursali,
stabilite  in  uno  Stato  membro,  di  enti  creditizi  ed  istituti
finanziari con sede sociale fuori di tale Stato  membro),  ad  avviso
dell'Avvocatura  generale,  la  CTP  avrebbe  dovuto  preliminarmente
motivare la  riferibilita'  alle  holding  bancarie  dei  presupposti
interpretativi da  cui  muove  la  censura,  atteso  che  l'attivita'
caratteristica di  una  holding  sarebbe,  appunto,  innanzitutto  il
possesso di partecipazioni azionarie stabili, «[a]nzi, con  specifico
riguardo alle capogruppo bancarie,  dagli  artt.  60  e  61  del  TUB
risulta  che  tali  partecipazioni  debbono  essere  tali  che   alla
capogruppo faccia  capo  il  controllo  delle  banche  componenti  il
gruppo». 
    Al riguardo e' sufficiente obiettare che, pur nella  sinteticita'
delle espressioni utilizzate  dal  rimettente  nell'ordinanza,  anche
tali aspetti, piu' che alla motivazione  della  rilevanza,  attengono
all'interpretazione  della  norma  censurata  e  conseguentemente  al
merito della questione. 
    2.5.- Infine, non e' fondata l'eccezione di inammissibilita'  per
«genericita'»  della  questione,  in  quanto  questa  sarebbe   stata
prospettata  senza  la   previa   esplorazione   di   una   soluzione
interpretativa che riconosca  la  piena  legittimita'  costituzionale
della norma censurata ove riferita a  soggetti  -  quali  le  holding
bancarie - la cui attivita' caratteristica sia, appunto, il  possesso
stabile di partecipazioni azionarie di controllo. 
    Sul punto  vale  quanto  gia'  appena  sopra  osservato,  poiche'
l'eccepita genericita' appare piuttosto  sintomatica  dell'erroneita'
del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente  e  in  tal
modo attiene a un profilo di merito e non di inammissibilita'. 
    3.- La questione non e' fondata. 
    Nel merito, va  rilevato  che  il  rimettente  argomenta  la  non
manifesta infondatezza su alcuni presupposti. 
    In particolare, uno di essi e' che la norma denunciata, chiamando
in causa  «meccanismi  forfettari»  diretti  a  quantificare  i  soli
«dividendi da trading» in misura pari  al  50  per  cento  di  quelli
complessivamente  indicati  nella  voce  70   del   conto   economico
(denominata «Dividendi e proventi  simili»),  realizzerebbe  in  modo
sproporzionato la  ratio  di  intercettarli  ai  fini  impositivi.  I
«dividendi da trading», infatti, sarebbero individuati analiticamente
e nel loro preciso ammontare nella lettera A) della nota  integrativa
alla voce 70 («Attivita' finanziarie detenute per la  negoziazione»):
da qui l'irragionevolezza di introdurre una forfetizzazione, per  sua
natura imprecisa, quando la puntuale imponibilita' degli  stessi  ben
avrebbe potuto essere perseguita facendo direttamente  riferimento  a
tale voce del bilancio bancario. 
    Altri presupposti  sono  che  l'«attivita'  di  negoziazione»  di
titoli  partecipativi,  definita   come   «attivita'   di   trading»,
costituirebbe,  in  riferimento  ai  dividendi,  la  sola  «attivita'
caratteristica» di «banche e [..] intermediari finanziari» e che,  in
quanto tale, sarebbe l'unica soggetta all'IRAP. 
    3.1.- Tali presupposti interpretativi hanno  carattere  meramente
assertivo e immotivato, essendo basati altresi'  su  un'incompleta  e
inesatta ricostruzione del quadro normativo di riferimento. 
    3.2.- Come e' noto,  infatti,  l'IRAP,  a  suo  tempo,  e'  stata
introdotta nell'ordinamento per incrementare l'autonomia  finanziaria
delle Regioni, sostituendo cinque preesistenti e diversificate  forme
di prelievo, accomunate pero'  dall'essere  poste  prevalentemente  a
carico di soggetti gestori di attivita' organizzate. 
    Il presupposto dell'IRAP  e'  stato  individuato  nell'«esercizio
abituale  di  un'attivita'  autonomamente  organizzata  diretta  alla
produzione  o  allo  scambio  di  beni  ovvero  alla  prestazione  di
servizi»,  nonche',  in  ogni  caso,  nell'attivita'  esercitata   da
societa' ed enti, compresi gli  organi  e  le  amministrazioni  dello
Stato (art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 446  del  1997);  in  tal  modo
l'imposta e'  stata  assisa  su  «un  fatto  economico,  diverso  dal
reddito, comunque espressivo di capacita' di contribuzione in capo  a
chi, in quanto organizzatore dell'attivita', e' autore  delle  scelte
dalle quali deriva la ripartizione della  ricchezza  prodotta  tra  i
diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione»
(sentenza n. 156 del 2001). 
    Per effetto di numerose modifiche normative che nel tempo si sono
stratificate   sul   quadro   originario,   la    disciplina    sulla
determinazione della base imponibile dei singoli settori di attivita'
e della natura dei soggetti passivi risulta oggi assai  articolata  e
complessa, essendo il frutto di  regimi  particolari,  specificamente
individuati dal legislatore in ragione delle diverse  attivita'  e  a
cui fanno da corredo alcuni principi comuni. 
    In tale contesto una sommaria comparazione  con  quanto  disposto
dall'art.  5  del  d.lgs.  n.  446  del  1997  consente  un  adeguato
inquadramento della norma denunciata. 
    In forza  di  quest'ultima  disposizione,  con  riferimento  alle
societa' di capitali, agli enti commerciali (pubblici e privati) e ai
trust commerciali che esercitano attivita' industriale e commerciale,
la base imponibile dell'imposta (art. 5 del d.lgs. n. 446 del  1997),
infatti, tiene conto del prodotto della gestione,  ma  non  considera
fra i costi di produzione quello del lavoro (salvo  quanto  previsto,
dal 2014, dall'art. 11, commi da 4-quater  a  4-octies  del  medesimo
decreto), ne'  consente  di  tenere  conto  degli  oneri  finanziari,
derivanti dall'indebitamento presso terzi. Inoltre, i  dividendi  non
concorrono al valore della produzione  netta  di  tali  soggetti,  in
quanto non sono compresi nell'elenco di cui alla lettera A) dell'art.
2425 del codice civile richiamato  dal  predetto  art.  5.  Cio'  che
rileva e' il valore prodotto in conseguenza della gestione corrente. 
    Per le banche e gli altri enti e le societa' finanziarie la  base
imponibile e', invece, specificamente individuata nell'art. 6,  comma
1, del d.lgs. n. 446 del 1997. 
    Fino al 31 dicembre 2007 anche per tali soggetti i dividendi  non
concorrevano alla  formazione  dell'imponibile  dell'IRAP  e  per  la
determinazione di tale tributo rilevavano le regole di computo  della
base imponibile  dell'imposta  sul  reddito  delle  societa'  (IRES),
caratterizzate  dal  sistema  delle  variazioni  in  aumento   e   in
diminuzione. 
    A   tre   anni   dall'introduzione   dei    principi    contabili
internazionali - recepiti con il d.lgs. n. 38  del  2005  (cosiddetto
"decreto IAS", International accounting standards) -, il  legislatore
ha preso atto che il loro impatto in  ambito  fiscale  imponeva  agli
operatori  del  settore  bancario   e   finanziario   un   incremento
significativo  degli  oneri  di   gestione   della   fiscalita',   in
particolare con l'emersione di  una  serie  di  rettifiche  e  "doppi
binari" tra valori fiscali e civili. 
    L'art. 1, comma 50, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2008)», ha quindi rivisto, per  quanto
qui rileva, le regole di  determinazione  dell'IRAP  per  i  soggetti
tenuti ad applicare i suddetti IAS. 
    Piu' precisamente,  per  effetto  della  citata  novella,  per  i
soggetti passivi di cui all'art. 6, comma 1, del d.lgs.  n.  446  del
1997  (cioe'  banche,  enti  e  societa'   finanziarie),   attraverso
l'introduzione del cosiddetto principio di derivazione rafforzata, la
base imponibile dell'IRAP e' stata sganciata da  quella  dell'IRES  e
fatta derivare per intero dai dati delle voci  del  conto  economico,
appositamente individuate dal legislatore ai fini tributari. 
    Il comma 1 dell'indicato art. 6, oggi prevede,  infatti,  che  la
base imponibile e' determinata «dalla somma algebrica delle  seguenti
voci  del  conto  economico,  redatto  in  conformita'  agli   schemi
risultanti dai provvedimenti emessi ai sensi dell'articolo  9,  comma
1, del d.lgs. n. 38 del 2005: a)  margine  d'intermediazione  ridotto
del 50 per cento dei dividendi; b) ammortamenti dei beni materiali  e
immateriali ad uso funzionale per un importo pari al 90 per cento; c)
altre spese amministrative per un  importo  pari  al  90  per  cento;
c-bis) rettifiche e riprese di valore nette  per  deterioramento  dei
crediti, limitatamente a quelle riconducibili  ai  crediti  verso  la
clientela iscritti in bilancio a tale titolo». 
    Questa disposizione e' integrata dal primo periodo  del  comma  6
del medesimo art. 6 del d.lgs. n. 446  del  1997,  secondo  cui  «[i]
componenti positivi e negativi si assumono cosi' come risultanti  dal
conto economico dell'esercizio redatto secondo  i  criteri  contenuti
nei provvedimenti della Banca d'Italia 22 dicembre 2005 e 14 febbraio
2006, adottati ai sensi dell'articolo 9 del  decreto  legislativo  28
febbraio 2005, n. 38, e pubblicati  rispettivamente  nei  supplementi
ordinari alla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 14 gennaio 2006  e  n.  58
del 10 marzo 2006». 
    3.3.- Cio' premesso  deve  essere  considerato  che,  nell'ambito
delle voci del conto economico elencate dal comma 1 dell'art.  6  del
d.lgs. n. 446  del  1997  per  il  computo  dell'imponibile,  l'unica
oggetto di censura da parte del rimettente e' la voce sub a), laddove
prevede che il «margine d'intermediazione»  e'  ridotto  del  50  per
cento dei dividendi. 
    Ebbene, questa, a sua volta, si identifica  nella  voce  120  del
conto economico del bilancio bancario (denominata, appunto,  «Margine
d'intermediazione»), che risulta costituita dalla sommatoria di varie
voci del medesimo conto, tra le quali spicca (oltre a quella relativa
alla somma algebrica tra  interessi  attivi  e  passivi  nonche'  tra
proventi e oneri  assimilati)  la  voce  70:  «Dividendi  e  proventi
simili». La nota integrativa di quest'ultima  distingue  (in  ragione
dei criteri, applicabili  ratione  temporis,  di  appostamento  e  di
valutazione):   «A.   Attivita'   finanziarie   detenute    per    la
negoziazione»; «B. Attivita' finanziarie disponibili per la vendita»;
«C.   Attivita'   finanziarie   valutate   al   fair   value»;    «D.
Partecipazioni». 
    Ed e' in relazione a tale voce che la circolare 22 dicembre 2005,
n. 262, della Banca d'Italia - richiamata, lo si e' visto, come punto
di riferimento dal primo periodo del comma 6 del citato  art.  6  del
d.lgs. n. 446 del 1997 - ha stabilito, nell'aggiornamento applicabile
ratione temporis, nel «Paragrafo 3 relativo  al  conto  economico»  e
nella  specifica  «nota  integrativa»  alla  suddetta  voce  70,  che
«[n]ella presente voce figurano i  dividendi  relativi  ad  azioni  o
quote detenute in portafoglio diverse da quelle valutate in  base  al
metodo del patrimonio netto. Sono  esclusi  i  dividendi  relativi  a
partecipazioni che rientrano in (o costituiscono) gruppi di attivita'
in via di dismissione, da ricondurre nella voce 280 "utile  (perdita)
dei gruppi  di  attivita'  in  via  di  dismissione  al  netto  delle
imposte"». 
    Inoltre,  la  medesima  circolare,  tenendo  conto  dei  principi
contabili  internazionali,  definisce  «partecipazioni»  solo  quelle
detenute in societa' «controllate» (IAS 27), in  societa'  sottoposte
«a controllo congiunto» (IAS 31) ovvero  in  societa'  sottoposte  «a
influenza notevole» (IAS 28). 
    3.4.- Da tale sintetica ricostruzione del quadro normativo emerge
dunque una conclusione ermeneutica che contrasta con quella posta dal
rimettente a fondamento della questione di legittimita' sollevata. 
    3.4.1.-  In  primo   luogo,   non   tutti   i   dividendi   delle
partecipazioni   transitano   nel   conto   economico    e    quindi,
contrariamente all'assunto del rimettente, non tutti concorrono  alla
determinazione della relativa voce 120, concernente  il  «margine  di
intermediazione», e, per l'effetto, della base imponibile dell'IRAP. 
    Il criterio inerente alla  loro  imposizione  ai  fini  dell'IRAP
discende,  infatti,  esclusivamente  dal  principio  di   derivazione
rafforzata e, data la composizione della voce 70,  non  e'  in  alcun
modo ascrivibile alla volonta' legislativa  di  intercettare  i  soli
"dividendi da trading" attraverso un meccanismo forfettario. 
    Ne'  dall'impianto  sistematico,   ne'   tantomeno   dai   lavori
preparatori (e in particolare dalla relazione illustrativa) che hanno
accompagnato la riforma del 2007, e' quindi ricavabile l'intento  che
il  rimettente  erroneamente  assume  quale  presupposto  delle   sue
censure. 
    La riduzione al 50 per cento dei dividendi  che  rientrano  nella
voce 70 del conto economico - ovvero non solo i cosiddetti  dividendi
da trading, ma anche quelli derivanti da  partecipazioni  diverse  da
quelle di  controllo,  collegamento  o  influenza  notevole;  nonche'
quelli che pur derivanti da partecipazioni di controllo, collegamento
o  influenza  notevole  sono  stati  valorizzati,  nei   limiti   del
consentito, con un metodo diverso  da  quello  del  patrimonio  netto
(costo storico o fair  value)  -  appare  dunque  ascrivibile  a  una
diversa ratio. Inquadrata nel piu' ampio contesto delle nuove  regole
di composizione della base imponibile dell'IRAP  per  come  delineate
dall'art. 6 d.lgs. n. 446 del  1997,  infatti,  essa  appare  rivolta
principalmente a evitare, nel passaggio dal  precedente  regime,  che
escludeva l'imponibilita' dei dividendi, a quello legato al principio
di derivazione rafforzata, che invece  parzialmente  li  include,  un
eccesso d'imposizione su tali dividendi, rilevanti  sia  in  capo  al
percettore che all'emittente. 
    Il rimettente di cio' pero' non tiene conto  rimanendo  fermo  su
una visione parcellizzata della norma censurata; addirittura,  quanto
all'ipotetico  aspetto  della  violazione  del  divieto   di   doppia
imposizione,  del  tutto  assertivamente  esclude  che  la  direttiva
2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011 (cosiddetta  direttiva
"Madre-Figlia"),   «sia   applicabile   all'IRAP»,   senza   tuttavia
minimamente  confrontarsi  con  la  giurisprudenza  della  Corte   di
giustizia dell'Unione europea (in  particolare,  sentenza  17  maggio
2017, in causa C-365/16, AFEP e altri; sentenza 17  maggio  2017,  in
causa C-68/15, X), evocata nel giudizio principale dalla difesa della
contribuente al fine  -  data  l'esistenza  di  un'unica  controllata
italiana - di dedurre la cosiddetta discriminazione "alla rovescia". 
    3.4.2.- In secondo luogo, l'ulteriore inesattezza in cui  incorre
l'argomentazione del rimettente riguarda  la  pretesa  ricomprensione
della  sola  attivita'  di  «negoziazione»  di  titoli  partecipativi
(«attivita' di trading») nell'«attivita' caratteristica» di banche  e
altri enti e societa' finanziarie. 
    Tale assunto, oltre  a  essere  privo  di  qualsiasi  motivazione
nell'ordinanza di rimessione, e' anche palesemente  erroneo,  sia  in
punto di fatto che di diritto. 
    Ne e' riprova, ictu oculi, la  stessa  fattispecie  del  giudizio
principale atteso che - poiche' la parte ricorrente  del  giudizio  a
quo e' una holding di partecipazioni in societa' finanziarie - l'IRAP
oggetto della richiesta di rimborso ammontava  a  circa  ben  quattro
milioni di euro in ragione del 50 per cento dei dividendi  conseguiti
dalla propria spa  controllata  (nell'ordinanza  definiti  «dividendi
interni»), a fronte di  meno  di  cinquanta  euro  di  «dividendi  da
trading». 
    Che  solo  quest'ultimo  esiguo  ammontare  esprima  un'attivita'
caratteristica  della  societa'  appare  una  conclusione  del  tutto
improbabile, al punto che il rimettente avrebbe perlomeno dovuto, per
sostenerlo, svolgere ben altra motivazione, piuttosto che limitarsi a
una mera petizione di principio. 
    Va poi sottolineato che nell'ordinanza non viene censurata ne' la
scelta  del  legislatore  di  ricomprendere  nel   medesimo   settore
produttivo l'attivita' sia degli intermediari  finanziari  che  delle
banche, ne' la scelta di applicare a tali soggetti gli stessi criteri
di determinazione dell'imponibile dell'IRAP (dato che, invece, per le
holding commerciali e industriali i dividendi non assumono  rilevanza
ai fini dell'IRAP e che il legislatore ha ulteriormente  distinto  le
societa'  di  partecipazione  finanziaria  e  non  finanziaria).   Il
rimettente, infatti, non  si  duole  del  richiamo  legislativo  allo
schema del  conto  economico  del  bilancio  bancario;  in  proposito
ribadisce  anzi  piu'  volte  che  la  questione  sollevata  riguarda
cumulativamente «banche e  [...]  altri  intermediari  finanziari»  e
attiene unicamente alla parte  della  determinazione  dell'imponibile
che egli  ritiene  basata  su  una  imprecisa  "forfetizzazione"  dei
dividendi da trading, anziche', come da lui auspicato,  su  una  loro
precisa e analitica individuazione. 
    Cio'  posto,  e'  del  tutto   evidente   che   ne'   l'attivita'
esclusivamente e strettamente bancaria (raccolta di risparmio tra  il
pubblico ed esercizio del credito) ne' quella tipica di  una  holding
relativa  a  societa'   finanziarie   (assunzione   e   gestione   di
partecipazioni   in   tali    societa')    hanno    come    connotato
«caratteristico» quello di negoziare titoli partecipativi (trading). 
    Il legislatore pertanto si e' mosso su un piano diverso da quello
ritenuto dal rimettente, in quanto,  a  seguito  di  una  valutazione
discrezionale non censurata da quest'ultimo, ha scelto di considerare
congiuntamente,  ai  fini   dell'imponibile   dell'IRAP,   non   solo
l'attivita' esclusiva o le  diverse  attivita'  prevalenti  tra  loro
equiparate (ad esempio, la  banca  puo'  esercitare  sia  l'attivita'
strettamente bancaria, che quella  finanziaria),  ma  anche  le  piu'
frequenti attivita' ancorche' non prevalenti o solo strumentali. 
    4.- Le esposte considerazioni rendono quindi priva di fondamento,
nel suo complesso, la questione sollevata dalla CTP,  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446  (Istituzione  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'
produttive,  revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e   delle
detrazioni dell'Irpef e istituzione di una  addizionale  regionale  a
tale imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi  locali),
sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio  Emilia,
in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  con   l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA