N. 68 SENTENZA 24 febbraio - 11 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Province,  Comuni  e  Citta'  metropolitane  -  Norme  della  Regione
  autonoma Sardegna - Riforma dell'assetto degli enti di area vasta -
  Accertamento della volonta' dei territori interessati  -  Possibile
  ricorso al referendum consultivo - Condizioni - Mancata  unanimita'
  in Consiglio comunale o quando ne faccia richiesta almeno un  terzo
  degli  elettori  iscritti  nelle  liste   elettorali   del   Comune
  interessato - Disciplina dei termini della richiesta e  del  quorum
  di validita' del referendum  -  Ricorso  del  Governo  -  Lamentata
  violazione dei limiti statutari - Inammissibilita' delle questioni. 
- Legge della Regione Sardegna 12 aprile 2021, n. 7, art. 6. 
- Statuto speciale per la Sardegna, art. 43, secondo comma. 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  6  della
legge della Regione autonoma Sardegna 12 aprile 2021, n.  7  (Riforma
dell'assetto  territoriale  della  Regione.  Modifiche   alla   legge
regionale n. 2 del 2016, alla  legge  regionale  n.  9  del  2006  in
materia di demanio marittimo e disposizioni  urgenti  in  materia  di
svolgimento delle elezioni comunali),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  14  giugno  2021,
depositato in cancelleria il 23 giugno 2021, iscritto al  n.  31  del
registro ricorsi 2021 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2022  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Mattia Pani  per  la  Regione
autonoma Sardegna; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 14 giugno 2021 e depositato il 23 giugno 2021 (reg. ric. n. 31 del
2021), ha impugnato l'art.  6  della  legge  della  Regione  autonoma
Sardegna 12 aprile 2021,  n.  7  (Riforma  dell'assetto  territoriale
della Regione. Modifiche alla legge regionale n.  2  del  2016,  alla
legge regionale n. 9 del 2006  in  materia  di  demanio  marittimo  e
disposizioni  urgenti  in  materia  di  svolgimento  delle   elezioni
comunali), in riferimento all'art. 43,  secondo  comma,  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna). 
    2.- Il  ricorrente  premette  che  con  la  legge  della  Regione
Sardegna 4 febbraio 2016, n. 2 (Riordino del sistema delle  autonomie
locali della Sardegna) il legislatore regionale  aveva  istituito  la
Citta'  metropolitana  di  Cagliari   (art.   17)   e   definito   le
circoscrizioni territoriali delle Province (art. 25), che, «fino alla
loro definitiva  soppressione»,  venivano  fatte  corrispondere,  con
alcune variazioni, a quelle antecedenti all'entrata in  vigore  della
legge della Regione Sardegna 12 luglio 2001, n. 9 (Istituzione  delle
province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra  e
di Olbia-Tempio). 
    Sottolinea l'Avvocatura generale come la legge reg. Sardegna n. 2
del 2016 avesse previsto direttamente numero, nome  e  circoscrizioni
delle Province e della Citta' metropolitana, demandando  al  contempo
alla  Giunta  regionale  l'adozione   di   un   atto   amministrativo
ricognitivo denominato «schema di  assetto  delle  province»,  che  -
effettivamente approvato con  successiva  delibera  n.  23/5  del  20
aprile 2016 (L.R. 4 febbraio 2016, n. 2 «Riordino del  sistema  delle
autonomie   locali   della   Sardegna».   Art.   25   «Circoscrizioni
provinciali», Schema assetto province e citta' metropolitane) - aveva
articolato il territorio regionale, in ossequio alla legge  regionale
indicata, nella Citta' metropolitana di Cagliari e nelle Province  di
Sassari, Nuoro, Oristano e Sud Sardegna. 
    3.- L'articolazione territoriale delineata da  questa  disciplina
normativa e' stata modificata dalla legge  reg.  Sardegna  n.  7  del
2021, il cui art. 2, comma 1, stabilisce che «[d]alla data di entrata
in vigore della presente legge e'  riformato  l'assetto  territoriale
complessivo definito ai sensi dell'articolo 25 della legge  regionale
4 febbraio 2016, n. 2». Piu' precisamente, la nuova  legge  regionale
ha provveduto alla istituzione della Citta' metropolitana di Sassari,
alla  modifica  della  circoscrizione   territoriale   della   Citta'
metropolitana  di  Cagliari,  alla  istituzione  delle  Province  del
Nord-Est Sardegna, dell'Ogliastra, del Sulcis Iglesiente e del  Medio
Campidano, alla  modifica  della  circoscrizione  territoriale  della
Provincia di Nuoro, e, infine, alla soppressione  delle  Province  di
Sassari e del Sud Sardegna. 
    Il comma 3 del medesimo art. 2 stabilisce, inoltre, che la Giunta
regionale, entro trenta giorni dall'entrata  in  vigore  della  legge
regionale, «aggiorna lo schema di riforma  dell'assetto  territoriale
della  Regione».  Tale  schema,  che  deve  essere   pubblicato   sul
Bollettino ufficiale della Regione autonoma della  Sardegna  (BURAS),
illustra  l'articolazione  del  territorio  regionale  nelle   Citta'
metropolitane e nelle Province sopra individuate, attenendosi anche a
quanto statuito nei successivi artt. 3, 4 e 5  della  medesima  legge
regionale, norme, queste, che elencano i Comuni afferenti a  ciascuno
di tali enti. 
    4.- In tale contesto, si inserisce l'impugnato art. 6,  rubricato
«Accertamento della volonta' dei territori  interessati».  Sottolinea
l'Avvocatura generale come, in forza di  tale  disposizione,  che  si
compone  di  sei  commi,  i  Comuni  contrari  alle  modifiche  delle
circoscrizioni territoriali previste dalla legge regionale n.  7  del
2021, e  che  intendano  confluire  in  una  Citta'  metropolitana  o
Provincia limitrofa diversa, non possano esprimersi  direttamente  in
relazione alle norme che tali modifiche hanno introdotto (artt. 3,  4
e 5), ma in relazione allo schema approvato  dalla  Giunta.  Inoltre,
questa volonta' deve in primo luogo essere manifestata  con  delibere
consiliari adottate all'unanimita' (comma 1). Quando tale  unanimita'
non  sia  raggiunta,  si  procede  all'indizione  di  un   referendum
«consultivo» (comma 2), che, «in ogni caso», puo' essere indetto alla
condizione che a richiederlo sia almeno un terzo degli  elettori  del
Comune interessato (comma 3). Rileva l'Avvocatura  dello  Stato  come
tali atti di manifestazione della volonta' dei  territori  incontrino
termini perentori (trenta giorni per le delibere consiliari,  novanta
per il referendum richiesto da un terzo degli elettori  del  Comune),
«tutti decorrenti dalla pubblicazione  nel  BURAS  dello  "schema  di
riforma dell'assetto territoriale"». 
    Decorsi inutilmente tali termini o in caso di delibere consiliari
o referendum di segno modificativo rispetto allo  schema,  la  Giunta
deve, entro i successivi trenta giorni, nel primo caso  confermare  e
nel secondo modificare lo schema stesso in conformita' alle  volonta'
espresse dai Consigli comunali o dal corpo elettorale. 
    5.-  Chiarito  il  contenuto  della  disposizione  impugnata,  il
ricorrente afferma che la stessa si porrebbe in contrasto con  l'art.
43, secondo comma, dello statuto della Regione autonoma Sardegna, ove
e' stabilito che «[c]on legge regionale possono essere modificate  le
circoscrizioni e le funzioni  delle  province,  in  conformita'  alla
volonta' delle popolazioni di  ciascuna  delle  province  interessate
espressa con referendum». 
    Secondo  l'Avvocatura  generale,   la   disposizione   statutaria
richiederebbe  che  la  volonta'  popolare  sulle  variazioni   delle
circoscrizioni   «provinciali   (e   metropolitane)»   si   manifesti
«direttamente in relazione alle disposizioni di legge  regionale  che
hanno  stabilito  la  modifica»  e  che  tale  volonta'  si   esprima
attraverso  l'istituto  del  referendum.  Cio'  premesso,  passa   ad
articolare e illustrare le proprie censure. 
    5.1.- In primo luogo, afferma il ricorrente, il censurato art.  6
confliggerebbe con l'art. 43, secondo comma, dello statuto  speciale,
poiche' non prevede, come vorrebbe quest'ultima norma, che, approvata
dal Consiglio regionale la legge di variazione territoriale, il corpo
elettorale sia  chiamato,  nell'ambito  di  un  «tipico  procedimento
legislativo  "rinforzato"»,  a  manifestare  il  proprio  assenso   o
dissenso rispetto alle «modifiche proposte»; e poiche'  non  prevede,
inoltre, che la legge regionale «possa entrare  in  vigore»  solo  se
abbia ottenuto la maggioranza dei consensi al referendum. 
    «[B]en diversamente», la  disciplina  impugnata  stabilisce,  non
gia' che le popolazioni interessate possano semplicemente assentire o
dissentire rispetto alle modifiche proposte dalla legge reg. Sardegna
n. 7 del 2021, ma che debbano esprimere «una ben determinata volonta'
positiva diversa da quella contenuta nella legge regionale»; cio' che
si  tradurrebbe,  sia  nella  richiesta  di  distacco  dalla   Citta'
metropolitana o Provincia in cui il Comune e' stato inserito ai sensi
dello schema approvato dalla Giunta, sia  nella  contestuale  opzione
per  l'accorpamento  a  diversa  Citta'  metropolitana  o   Provincia
limitrofa. Un adempimento gravoso, sottolinea l'Avvocatura  generale,
che imporrebbe di raccogliere  consenso  anche  sul  passaggio  delle
popolazioni  interessate  ad  una  diversa  circoscrizione,  rendendo
dunque vana la possibilita' per le stesse di esprimersi  sulla  legge
regionale di modifica. 
    5.2.-  In  secondo  luogo,  «e  in  subordine»,  la  disposizione
violerebbe l'art. 43, secondo comma, dello statuto  speciale  perche'
la volonta' popolare  verrebbe  riferita  non  gia'  alle  previsioni
contenute nella legge regionale, fonte  cui  l'art.  3,  lettera  b),
dello  statuto  speciale  demanda  la  competenza  ad   istituire   e
modificare Province e Citta' metropolitane, ma allo schema di riforma
dell'assetto  territoriale,   atto   amministrativo   sostanzialmente
«inutile», perche' meramente ricognitivo della  determinazione  delle
circoscrizioni «gia' direttamente  operata  dalla  legge  regionale».
Tale atto frapporrebbe, secondo l'Avvocatura,  «uno  schermo  tra  la
volonta' popolare e il suo oggetto  costituzionalmente  determinato»,
ovverosia,  appunto,  la  legge  regionale,  mentre  il   referendum,
istituto di democrazia diretta e forma di «concorso diretto del corpo
elettorale   all'attivita'   legislativa»,   non   potrebbe    essere
indirizzato verso «un oggetto di rango  non  legislativo».  Peraltro,
poiche' non potrebbe escludersi l'evenienza che la Giunta si discosti
dalla legge, la disposizione impugnata  potrebbe  impedire  il  pieno
dispiegarsi della volonta' referendaria. 
    L'obiettivo di «derubricare»  il  referendum,  «espungendolo  dal
procedimento legislativo», sarebbe  poi  fatto  palese  da  ulteriori
circostanze. 
    Il ricorrente si riferisce alla scelta del legislatore  regionale
di  definirlo  «consultivo»,  mentre  si  tratterebbe  di  referendum
«necessariamente legislativo». Lo confermerebbe la  sentenza  n.  256
del 1989 di questa Corte, che ha  qualificato  quello  relativo  alle
modifiche  delle  circoscrizioni  territoriali  delle  Province  come
«referendum interno al procedimento legislativo regionale». 
    La finalita' reale,  prosegue  l'Avvocatura,  sarebbe  quella  di
rendere la partecipazione popolare solo eventuale, subordinandola  ad
altri atti (la delibera non  unanime  del  Consiglio  comunale  o  la
richiesta di un terzo degli elettori) e a termini  perentori;  mentre
lo statuto disegnerebbe tali referendum come  «parti  integranti  del
procedimento legislativo "rinforzato"», da  indire  dunque  d'ufficio
dalla Regione una volta approvata la legge  regionale  di  variazione
dei territori. 
    Inoltre, secondo il ricorrente, la Giunta non  sarebbe  tenuta  a
rispettare un termine  perentorio  per  l'adozione  dello  schema,  e
potrebbe pertanto differire sine die la consultazione popolare. 
    5.3.- In terzo luogo, l'art. 43,  secondo  comma,  dello  statuto
speciale sarebbe violato perche' l'impugnato art. 6 non contempla  il
referendum quale unico mezzo di  manifestazione  della  volonta'  dei
territori interessati. Le delibere consiliari, infatti, provengono da
organi rappresentativi, e non potrebbero mai considerarsi equivalenti
ad un istituto di democrazia diretta. 
    Ne' potrebbe consentire di superare la censura la circostanza che
si possa «in ogni caso» procedere a referendum  laddove  lo  richieda
almeno un terzo degli elettori iscritti nelle  liste  elettorali  del
Comune.  Per  essere  autentico  strumento  di  democrazia   diretta,
infatti, il referendum dovrebbe essere «incondizionato». La  delibera
unanime  del  Consiglio  comunale  -  in   quanto   «fatto   politico
importante» - sarebbe invece capace di condizionare i cittadini nella
scelta stessa di richiedere un referendum. 
    Analoghe considerazioni varrebbero per la delibera del  Consiglio
comunale  che  sia  stata  assunta  senza   l'unanimita'.   Anch'essa
costituirebbe  infatti  un  aggravio   della   procedura   idoneo   a
influenzare gli elettori. 
    Conclude il ricorrente  affermando  come  si  sarebbe  allora  in
presenza di «un classico caso in cui  la  democrazia  rappresentativa
ostacola la democrazia diretta». 
    5.4.- Da ultimo, oggetto di  specifica  censura  e'  la  prevista
necessita', ai fini dello svolgimento del referendum di cui al  comma
3, che vi sia la richiesta di almeno  un  terzo  degli  elettori  del
Comune. Si  tratterebbe  di  un  numero  di  proponenti  molto  alto,
considerato anche che si tratta di adempimento da assolvere in  tempi
brevi. La norma contrasterebbe peraltro con quanto disposto dall'art.
20, comma terzo, della legge della Regione Sardegna 17  maggio  1957,
n.  20  (Norme  in  materia  di   referendum   popolare   regionale),
qualificata  dal  ricorrente  come  norma  «attuativa  dell'art.   43
Statuto».  Secondo  tale  previsione,  qualora   non   partecipi   al
referendum almeno un terzo  degli  aventi  diritto,  la  proposta  si
intende respinta. A  detta  dell'Avvocatura  generale,  «la  garanzia
referendaria che l'art. 43 Statuto prevede» sarebbe allora vanificata
dalla scelta  della  legge  reg.  Sardegna  n.  7  del  2021  di  far
coincidere il numero minimo di  elettori  proponenti  con  il  quorum
partecipativo previsto dalla legge reg. Sardegna n. 20 del  1957  per
tale tipologia di referendum. 
    Alla luce di tale ultimo rilievo, sarebbe specificamente  viziato
anche il comma 6 della norma impugnata, giacche', richiamando i  soli
artt. 4, 6 e 7 della legge reg. Sardegna n. 20 del 1957, e non l'art.
20 del medesimo atto  normativo,  il  legislatore  regionale  avrebbe
inteso escludere proprio l'applicabilita' di quest'ultimo, che,  come
visto, prevede solo un quorum partecipativo e non un requisito minimo
per l'indizione del referendum. 
    6.- Con atto depositato il 20 luglio 2021, si  e'  costituita  in
giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che il  ricorso  sia
dichiarato improcedibile, inammissibile o, comunque, non fondato. 
    7.- In via preliminare, sottolinea la resistente  come  la  legge
reg. Sardegna n. 7 del 2016, in  cui  si  inserisce  la  disposizione
impugnata, non rappresenterebbe un intervento settoriale e  parziale,
riferito solo ad alcune porzioni del territorio, ma una  «profonda  e
complessiva riforma» del sistema provinciale  sardo,  connessa  anche
all'istituzione di nuove Citta' metropolitane,  livello  di  governo,
del resto, non certamente esistente all'epoca di  approvazione  dello
statuto speciale. 
    Cio'  escluderebbe  qualsivoglia  violazione  dell'art.  43   del
medesimo statuto di  autonomia,  considerato  che,  in  primo  luogo,
l'impugnato  art.  6  non  escluderebbe  e  anzi  contemplerebbe   la
possibilita'  di  ricorrere  a  referendum.  Inoltre,   l'impugnativa
statale non si  sarebbe  preoccupata  di  indicare  le  modalita'  di
referendum da utilizzare  in  relazione  alle  Citta'  metropolitane,
neppure evocate nel parametro statutario. Infine, l'art. 43,  secondo
comma,  dello  statuto  speciale,  facendo  richiamo  alla   volonta'
espressa dalle popolazioni di «ciascuna delle province  interessate»,
si  riferirebbe  a  modifiche  territoriali  circoscritte  (relative,
peraltro, alle province indicate al primo comma:  Cagliari,  Nuoro  e
Sassari) e non, per l'appunto, a riforme complessive del territorio. 
    8.- Cio' premesso, la  Regione  autonoma  Sardegna  eccepisce  in
primo luogo l'inammissibilita' del ricorso per difetto di interesse a
ricorrere del Governo. 
    Il  ricorrente  non  avrebbe  infatti  indicato,   con   adeguata
argomentazione, di quale interesse sarebbe portatore  nel  contestare
la legittimita' costituzionale di una  disposizione  contenuta  nella
legge reg. Sardegna n. 7 del  2021,  tanto  piu'  perche'  ad  essere
evocata e' solo la violazione di una norma statutaria. 
    Ulteriore   ragione   di   inammissibilita'   deriverebbe   dalla
circostanza che lo Stato  non  avrebbe  considerato  quanto  disposto
dall'art. 3, lettera b), dello statuto speciale, introdotto nel corpo
dello statuto medesimo con legge costituzionale 23 settembre 1993, n.
2 (Modifiche ed integrazioni  agli  statuti  speciali  per  la  Valle
d'Aosta, per la Sardegna, per  il  Friuli-Venezia  Giulia  e  per  il
Trentino-Alto Adige). 
    Secondo la difesa regionale, per effetto di tale novella, che  ha
previsto la potesta' legislativa regionale  primaria  in  materia  di
«ordinamento degli enti  locali  e  delle  relative  circoscrizioni»,
l'art.  43,  secondo  comma,  dello  statuto  speciale   sarebbe   da
considerare «superato». Cio' troverebbe conferma  nella  sentenza  n.
230 del 2001 di questa Corte, secondo cui, «dopo l'entrata in  vigore
della legge costituzionale n. 2 del 1993, in ambedue  le  Regioni  ad
autonomia differenziata in cui  concretamente  era  prospettabile  un
problema di rideterminazione numerica delle articolazioni provinciali
- vale a dire il Friuli-Venezia Giulia e, per l'appunto, la  Sardegna
[...] - e' stata affrontata la questione sul piano  normativo,  dando
per scontata la portata piu'  pregnante  dell'innovazione  statutaria
derivante dalla previsione della legge costituzionale». 
    Concludendo sul punto, la resistente afferma allora che l'art. 3,
lettera b), dello statuto legittimerebbe il legislatore  regionale  a
istituire Citta' metropolitane e Province (modificando  anche  quelle
«storiche» di Cagliari, Nuoro e Sassari)  e  a  variare  le  relative
circoscrizioni territoriali. 
    9.- Nel merito, per le  medesime  ragioni,  la  Regione  autonoma
Sardegna ritiene le censure del Governo  non  fondate,  proprio  alla
luce dell'appena evocato art. 3, lettera b), dello statuto speciale. 
    Premette  la  resistente  che,  in  forza  di   tale   previsione
statutaria, l'istituzione e la modifica delle Province  incontrerebbe
i limiti derivanti  dalla  necessaria  armonia  con  le  norme  della
Costituzione  e  con  i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della
Repubblica. Tra  questi  rientrerebbe  senz'altro  il  principio  del
necessario coinvolgimento delle popolazioni interessate. Tuttavia,  a
differenza di quanto  asserisce  il  ricorrente,  il  referendum  non
dovrebbe necessariamente inserirsi nel  procedimento  legislativo  di
istituzione e modifica delle Province. 
    A tal proposito viene  richiamato  un  passo  della  gia'  citata
sentenza  n.  230  del  2001  di  questa  Corte,  dove  si   afferma,
riferendosi alla normativa allora prevista, che «la  legge  regionale
n.  4  del  1997  ha  dettato  una  disciplina  volta  a   ridefinire
l'ordinamento provinciale nel suo territorio, in attuazione dell'art.
3, lettera b), dello statuto,  nella  formulazione  risultante  dalla
legge costituzionale n. 2  del  1993.  Questa  legge  della  Regione,
all'art. 1, comma 2, prevede che "l'istituzione di nuove  province  e
la modifica delle circoscrizioni provinciali sono stabilite con legge
regionale, su iniziativa  dei  comuni",  secondo  vari  procedimenti,
aperti  alla  necessaria  partecipazione   delle   comunita'   locali
interessate, previsti dagli articoli  successivi  della  legge».  Tra
questi,  aggiunge  la  difesa  regionale,  il  referendum,  anch'esso
definito dall'art. 7 della medesima legge  regionale  «consultivo»  e
anch'esso indetto in via eventuale. 
    Che il referendum  non  sia  forma  di  consultazione  necessaria
sarebbe ulteriormente confermato dalla legge 7  aprile  2014,  n.  56
(Disposizioni  sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,  sulle
unioni e fusioni di comuni), che nemmeno contempla tale istituto. 
    9.1.- La Regione si sofferma  ad  ogni  modo  anche  sul  preteso
contrasto tra la previsione impugnata e  l'art.  43,  secondo  comma,
dello statuto speciale. 
    9.1.1.- Anche in questa prospettiva, il ricorso  dovrebbe  essere
considerato, in primo luogo, inammissibile, a causa  di  una  carente
motivazione delle censure e della oscurita' dell'argomentazione (sono
richiamate, tra le altre, le sentenze di questa Corte n. 88 e  n.  52
del 2021, n. 180 e n. 106 del 2020, n. 286 e n. 232 del 2019, n.  161
e n. 114 del 2017 e n. 40 del 2016). In  particolare,  il  ricorrente
non avrebbe spiegato in che modo l'impugnata disposizione inciderebbe
negativamente  sulla  articolazione  organizzativa  della  Regione  o
arrecherebbe pregiudizio all'interesse  delle  comunita'  interessate
allo  svolgimento  del  referendum.  A  quest'ultimo  proposito,   si
sottolinea infatti come la  consultazione  referendaria  non  sarebbe
affatto esclusa dalla disciplina impugnata. 
    9.1.2.- Quanto al merito  delle  censure,  che  evocherebbero  la
violazione di un obbligo generalizzato  alla  consultazione  popolare
«preventiva e/o rafforzativa dell'iter di approvazione della  legge»,
si tratterebbe di doglianze prive di fondamento. L'art.  43,  secondo
comma, dello statuto  speciale  contemplerebbe,  infatti,  unicamente
l'ipotesi di riforme territoriali settoriali e  parziali,  in  questa
prospettiva dovendosi intendere il riferimento  alla  volonta'  delle
popolazioni di «ciascuna delle province interessate». 
    Il riassetto territoriale disposto dalla legge reg. Sardegna n. 7
del 2021 non presenterebbe invece queste caratteristiche, trattandosi
di riforma complessiva. 
    Non  condivisibile  sarebbe,  dunque,  la  tesi  propugnata   dal
ricorrente,  che,  basandosi  apoditticamente  sul  «testo   storico»
dell'art.   43,   secondo   comma,   asserisce   l'esistenza    della
obbligatorieta' preventiva e generalizzata del referendum. 
    Questa stessa Corte, aggiunge la resistente, avrebbe  considerato
la distinzione tra  le  due  ipotesi,  ovverosia  della  modifica  di
singole circoscrizioni, da  una  parte,  e  delle  riforme  generali,
dall'altra. 
    Con la sentenza n. 220 del 2013, e' stato infatti  affermato  che
«la modificazione delle singole circoscrizioni provinciali  richiede,
a norma dell'art. 133, primo comma, Cost.,  l'iniziativa  dei  Comuni
interessati». Secondo la Regione, in una  fattispecie  diversa  dalla
ipotesi di riforma complessiva del territorio di cui qui si  discute,
l'istituto  della  «iniziativa   comunale   parcellizzata»   previsto
dall'art.  133  Cost.  sarebbe  da  considerarsi  alla  stregua   del
referendum  previsto  dall'art.  43,  secondo  comma,  dello  statuto
regionale. 
    A ragionare diversamente, ne  risulterebbe  frustrata  la  stessa
potesta' legislativa regionale in materia  di  assetto  organizzativo
del territorio, posto che  «sarebbe  sufficiente  la  valutazione  di
segno contrario resa  dalla  maggioranza  di  una  delle  popolazioni
interessate dalla riforma [...]  per  rimettere  complessivamente  in
discussione quanto invece condiviso da tutte le altre  circoscrizioni
territoriali presenti e favorevoli alla riorganizzazione generale». 
    La  Regione  resistente  richiama,  a  sostegno   delle   proprie
argomentazioni, la sentenza n. 50 del  2015  di  questa  Corte,  che,
pronunciandosi sulla legge n. 56 del 2014,  (disciplina  statale  che
aveva dato avvio ad una nuova articolazione degli enti territoriali),
avrebbe giustificato la mancata applicazione delle regole procedurali
dettate dall'art. 133 Cost. proprio in  quanto  «riferibili  solo  ad
interventi singolari, una volta rispettato il principio, espresso  da
quelle regole, del necessario coinvolgimento delle popolazioni locali
interessate, anche se con forme diverse  e  successive,  al  fine  di
consentire il predetto avvio in condizioni di omogeneita' sull'intero
territorio nazionale». 
    Secondo la difesa regionale,  la  «omogeneita'»  tra  l'art.  133
Cost. e  l'art.  43,  secondo  comma,  dello  statuto  della  Regione
autonoma Sardegna consentirebbe di estendere alla legge reg. Sardegna
n. 7 del 2021 e alla disposizione statutaria asseritamente violata il
ragionamento svolto da questa Corte nella  citata  sentenza.  D'altro
canto, il referendum preventivo applicato ad una riforma complessiva,
conclude  la  Regione,  la  renderebbe  irrealizzabile,  potendo   le
volonta' dei diversi territori interessati entrare in  conflitto  tra
loro. 
    Peraltro, il legislatore regionale sarebbe intervenuto in materia
anche in forza di quanto stabilisce l'art. 1, comma 145, della  legge
n. 56 del 2014, ai cui sensi le Regioni a statuto speciale  «adeguano
i propri ordinamenti  interni  ai  principi  della  medesima  legge».
Infatti, la legge reg. Sardegna n. 7 del 2021  avrebbe  correttamente
previsto la partecipazione popolare anche in favore delle popolazioni
interessate dalle modifiche concernenti le  Citta'  metropolitane.  A
fronte  di  cio',  invece,  un'interpretazione  letterale  e   rigida
dell'art. 43, secondo comma, dello statuto speciale -  quale  appunto
quella assunta dal ricorrente - imporrebbe di prevedere il referendum
solo per le popolazioni incluse nelle Province, con  un  «effetto  di
irrealizzabilita' sostanziale». 
    10.-  La  Regione  contesta  altresi'  la  tesi   dell'Avvocatura
generale  secondo  cui  illegittimamente  il  legislatore   regionale
avrebbe riferito la manifestazione di volonta' dei Comuni interessati
allo schema della Giunta anziche' alle disposizioni legislative. 
    La  censura  -  anzitutto  inammissibile  per  il  suo  carattere
ipotetico, laddove si fa riferimento all'evenienza che lo schema  non
corrisponda alla legge - sarebbe altresi' non fondata. Il  ricorrente
assumerebbe erroneamente che lo schema  in  questione  abbia  portata
«costitutiva», mentre  la  legge  reg.  Sardegna  n.  7  del  2021  -
sottolinea la difesa della Regione - avrebbe  disciplinato  il  nuovo
assetto territoriale «con validita' immediata», demandando  poi  alla
Giunta l'adozione dello schema solo per non dover,  nell'eventualita'
sia necessario recepire i risultati dei referendum,  intervenire  sul
testo della legge per la nuova elencazione dei Comuni  facenti  parte
delle circoscrizioni territoriali. 
    Per  questa  ragione,  conclude  la  resistente,  il   referendum
previsto dalla disposizione impugnata avrebbe per oggetto proprio  la
legge reg. Sardegna n.  7  del  2021  e  non  lo  schema  di  riforma
approvato dalla Giunta. 
    11.- Da ultimo, la resistente asserisce l'inammissibilita'  della
censura relativa al mancato richiamo - ad opera dell'art. 6, comma 6,
della legge reg. Sardegna n. 7 del 2021 -  all'art.  20  della  legge
reg. Sardegna n. 20 del 1957, in quanto,  in  tal  modo,  il  ricorso
eccepirebbe la violazione di una legge ordinaria, e non di una  norma
di rango costituzionale. Nel merito, la censura sarebbe comunque  non
fondata, in ragione del fatto che il  referendum  disciplinato  dalla
disposizione  impugnata,  come  in  precedenza  la  difesa  regionale
avrebbe dimostrato, costituirebbe attuazione dell'art. 3, lettera b),
dello statuto regionale, e  non  dell'art.  43,  secondo  comma,  del
medesimo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  impugnato,   in
riferimento all'art. 43, secondo comma, della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale  per  la  Sardegna),  l'art.  6
della legge della Regione autonoma Sardegna  12  aprile  2021,  n.  7
(Riforma dell'assetto  territoriale  della  Regione.  Modifiche  alla
legge regionale n. 2 del 2016, alla legge regionale n. 9 del 2006  in
materia di demanio marittimo e disposizioni  urgenti  in  materia  di
svolgimento delle elezioni comunali). 
    1.1.- L'articolo in esame e' l'unica  disposizione  impugnata  di
una  piu'  ampia  disciplina  attraverso  cui  la  Regione   autonoma
Sardegna,  modificando  l'articolazione   territoriale   oggetto   di
precedente  normativa  (legge  della  Regione  autonoma  Sardegna   4
febbraio 2016, n. 2, recante «Riordino del  sistema  delle  autonomie
locali della Sardegna»),  ha  complessivamente  ridefinito  l'assetto
degli  enti  di  area  vasta  (Citta'  metropolitane   e   Province),
istituendone  e  sopprimendone  taluni  e  modificando  le   relative
circoscrizioni. 
    La riorganizzazione in parola e' sancita  all'art.  2,  comma  1,
della legge reg. Sardegna n. 7 del 2021, che chiarisce come  «[d]alla
data di entrata in vigore della presente legge e' riformato l'assetto
territoriale complessivo» precedentemente in vigore. 
    Quanto alle Citta' metropolitane, la disposizione citata  prevede
che sia «istituita» la Citta' metropolitana di  Sassari  e  introduce
una modifica della circoscrizione territoriale della  gia'  esistente
Citta'  metropolitana  di  Cagliari.  Quanto  alle  Province,   «sono
istituite» quelle del Nord-Est Sardegna, dell'Ogliastra,  del  Sulcis
Iglesiente e  del  Medio  Campidano,  che  si  aggiungono  alle  gia'
esistenti Province di Oristano e di Nuoro,  quest'ultima  interessata
anche da una variazione territoriale. 
    Infine, in conseguenza di tali  mutamenti,  l'art.  2,  comma  2,
della  indicata  legge  regionale  dispone  la   soppressione   delle
esistenti Province di Sassari e del Sud Sardegna. 
    L'art. 2, comma  3,  stabilisce  poi  che,  entro  trenta  giorni
dall'entrata in vigore della legge regionale, la Giunta «aggiorna  lo
schema di riforma  dell'assetto  territoriale  della  Regione».  Tale
schema, atto amministrativo che si affianca alla legge regionale  (in
funzione, peraltro non chiara, sia ricognitiva che  "integrativa"  di
essa), deve cosi' suddividere il territorio della Sardegna nelle  due
Citta' metropolitane di Cagliari e Sassari e nelle  sei  Province  di
Nuoro, Oristano, Nord-Est Sardegna, Ogliastra,  Sulcis  Iglesiente  e
Medio Campidano; deve  inoltre  conformarsi  a  quanto  disposto  dai
successivi artt. 3, 4 e 5 della legge, che  individuano  ed  elencano
puntualmente i Comuni afferenti  alle  due  Citta'  metropolitane  di
Sassari e Cagliari e alle Province oggetto di riforma. 
    In  questo  complessivo  quadro  si  inserisce,  dunque,  l'unica
disposizione impugnata, ovverosia l'art. 6 della legge reg.  Sardegna
n. 7 del 2021, rubricato «Accertamento della volonta'  dei  territori
interessati». 
    Il comma 1 di tale articolo prevede che,  con  una  deliberazione
del Consiglio comunale, adottata «all'unanimita'» entro trenta giorni
dalla data di pubblicazione sul Bollettino  ufficiale  della  Regione
autonoma della Sardegna (BURAS) dello schema approvato  dalla  Giunta
regionale, i Comuni indicati negli artt. 3, 4 e 5 della legge  stessa
possono esercitare l'«iniziativa per il  distacco»,  rispettivamente,
dalla Citta' metropolitana  o  dalla  Provincia  in  cui  sono  stati
inclusi e «optare per l'accorpamento» in altra Citta' metropolitana o
Provincia limitrofa. 
    Al comma 2 e'  stabilito  che,  se  l'unanimita'  non  sia  stata
raggiunta, «[s]i procede a referendum  consultivo  delle  popolazioni
dei comuni che hanno esercitato l'iniziativa  per  il  distacco»,  da
svolgersi in un'unica tornata per tutti i Comuni interessati. 
    «[I]n  ogni  caso»,  e'  precisato  al  comma  3,  si  procede  a
referendum consultivo quando ne  faccia  richiesta  almeno  un  terzo
degli elettori iscritti nelle  liste  elettorali  del  Comune,  entro
novanta giorni dalla scadenza del termine di cui al  comma  1,  cioe'
del termine previsto per l'approvazione  delle  delibere  consiliari.
Anche in questo caso il Presidente della Regione indice i  referendum
in un'unica tornata. 
    Secondo il comma 4, il quesito  referendario  e'  definito  nella
deliberazione consiliare (laddove intervenuta) oppure nella richiesta
di referendum (quando il Consiglio comunale non  si  sia  pronunciato
entro il termine previsto). La proposta sottoposta  a  referendum  si
intende approvata «se partecipa al  voto  la  meta'  piu'  uno  degli
aventi diritto e se ottiene la risposta affermativa della maggioranza
dei voti validi». 
    Entro trenta giorni dallo  svolgimento  del  referendum  o  dalla
scadenza del termine per la  richiesta  referendaria,  a  tenore  del
comma 5, la Giunta «conferma lo schema di riforma [...] o lo  approva
con le modifiche  derivanti  dalle  volonta'  espresse  dei  consigli
comunali o del corpo elettorale». Il nuovo «definitivo»  schema  deve
essere  pubblicato  sul  BURAS  entro   cinque   giorni   dalla   sua
approvazione. 
    Al comma 6, infine, e' stabilito  che  il  referendum  si  svolge
secondo alcune delle  disposizioni,  puntualmente  richiamate,  della
legge Regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20  (Norme  in  materia  di
referendum popolare regionale) e della legge della  Regione  Sardegna
30 ottobre 1986, n. 58 (Norme per l'istituzione di nuovi comuni,  per
la modifica delle circoscrizioni comunali e della  denominazione  dei
comuni e delle frazioni). Tra queste, ed e' oggetto di  contestazione
da parte dello Stato, non e' richiamato l'art. 20  della  legge  reg.
Sardegna n. 20 del 1957, ai cui sensi «[q]ualora  al  referendum  non
partecipi almeno un terzo degli elettori, la  proposta  sottoposta  a
referendum si intende respinta». 
    1.2.- Come si vede,  il  procedimento  disciplinato  dall'art.  6
della legge reg. Sardegna n. 7 del  2021  per  l'«accertamento  delle
volonta' dei  territori  interessati»  prevede,  sia  iniziative  dei
singoli  Comuni,  che  devono  assumere  la  forma  di  delibere  dei
rispettivi Consigli, sia l'intervento delle  popolazioni  interessate
tramite referendum. 
    Quanto a  quest'ultimo,  esso  e'  obbligatorio  se  la  delibera
consiliare non abbia raggiunto l'unanimita'. In questo caso, infatti,
il comma 2 dell'art. 6 dispone che la  deliberazione  consiliare  sia
trasmessa alla Giunta e che «il Presidente della Regione con  proprio
decreto indice [...] i referendum». 
    In tutti gli altri casi  («in  ogni  caso»)  lo  svolgimento  del
referendum  e'  eventuale,  perche',  ai  sensi  del  comma   3,   e'
condizionato alla circostanza che  ne  «faccia  richiesta  almeno  un
terzo degli elettori». 
    Dal tenore complessivo dell'art. 6 della legge regionale risulta,
insomma, che il corpo elettorale  deve  essere  interpellato  se  una
delibera  consiliare  sia  intervenuta,  ma   non   abbia   raggiunto
l'unanimita'; puo' invece esserlo, a richiesta,  quando  la  delibera
consiliare sia stata adottata all'unanimita' o  quando  il  Consiglio
comunale non si sia espresso entro il termine indicato. 
    E'  inoltre  previsto  che,   all'esito   della   fase   deputata
all'accertamento  della  volonta'  dei  territori  interessati  dalla
riforma, la  Giunta  riapprovi  lo  schema  di  riforma  dell'assetto
territoriale,  cioe'  l'atto  amministrativo  che  ha  la   ricordata
funzione  "ricognitivo-integrativa"  della  legge   regionale,   gia'
adottato ai sensi dell'art. 2, comma 3: confermandone o modificandone
l'originaria formulazione, a  seconda  della  volonta'  espressa  dai
territori interessati. Lo schema «definitivo», infine, dovra'  essere
pubblicato sul BURAS entro cinque giorni dalla sua approvazione. 
    2.- Secondo il ricorrente, l'art. 6 della legge reg. Sardegna  n.
7 del 2021 sarebbe lesivo dell'art. 43, secondo comma, dello  statuto
di autonomia della  Regione  Sardegna,  ai  cui  sensi  «[c]on  legge
regionale possono essere modificate le circoscrizioni e  le  funzioni
delle province, in conformita' alla  volonta'  delle  popolazioni  di
ciascuna delle province interessate espressa con referendum». 
    Sebbene affiancata e, a tratti, intrecciata con  rilievi  critici
ulteriori, come si dira', una censura, in particolare, ha un'evidente
precedenza logica rispetto a ogni altra, fondandosi  su  una  precisa
interpretazione  della  disposizione  statutaria  appena   ricordata.
Secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  infatti,  per  qualunque
intervento sull'assetto degli enti territoriali che implichi modifica
delle circoscrizioni provinciali, l'art.  43,  secondo  comma,  dello
statuto speciale prescriverebbe un «tipico  procedimento  legislativo
"rinforzato"», di cui il referendum costituirebbe fase necessaria. 
    Cio' implica che, approvata dal Consiglio regionale una  delibera
legislativa  di  modifica   delle   circoscrizioni   provinciali   (o
metropolitane), il corpo elettorale dovrebbe  essere  necessariamente
chiamato a pronunciarsi in merito,  e  la  legge  regionale  potrebbe
entrare in  vigore  solo  laddove  abbia  ottenuto  il  favore  della
maggioranza dei votanti al referendum. 
    Anche se non trae a chiare lettere questa conclusione, il ricorso
implicitamente  indica  che,  invece,   il   procedimento   delineato
dall'art. 6 della legge reg. Sardegna n. 7 del 2021  si  discosta  da
quello  disegnato,  in  tesi,   dalla   norma   statutaria,   poiche'
prevedrebbe  che   le   popolazioni   interessate   dalle   modifiche
territoriali siano  coinvolte  solo  successivamente  all'entrata  in
vigore della riforma dell'assetto territoriale complessivo. 
    In effetti, secondo il ricordato art. 2 della legge reg. Sardegna
n. 7 del 2021, la riforma in  parola  e'  ormai  entrata  in  vigore,
essendo stati istituiti  e  analiticamente  composti  (ai  sensi  dei
successivi artt. 3, 4 e 5) i nuovi enti territoriali. L'art.  6,  per
parte sua, consente l'avvio di iniziative di distacco  dei  territori
interessati solo «[e]ntro trenta giorni dalla data  di  pubblicazione
sul BURAS dello schema di riforma dell'assetto territoriale»;  ma,  a
sua volta, tale atto amministrativo, che assume (come gia' ricordato)
una (sia pur non  chiara)  funzione  "ricognitivo-integrativa"  della
legge di modifica, e' aggiornato «entro trenta giorni dall'entrata in
vigore» della legge stessa. 
    In tal modo, in asserito contrasto con lo  statuto  speciale,  il
referendum verrebbe espunto  dal  procedimento  di  formazione  della
legge regionale di modifica dell'assetto territoriale degli  enti  in
questione, potendosi svolgere solo a valle di esso. 
    Cio' sarebbe reso palese - questo e'  espressamente  sottolineato
dal ricorrente - anche dalla  scelta  del  legislatore  regionale  di
qualificarlo   come   «consultivo»   e   di    renderlo    eventuale,
subordinandolo, cioe', all'eventualita' di una delibera  non  unanime
del Consiglio comunale o alla richiesta di un terzo  degli  elettori.
Cio' a dispetto, ancora una volta, del carattere invece  «interno  al
procedimento legislativo» di  tale  referendum  (il  ricorrente  trae
l'espressione dalla sentenza n. 256 del 1989 di questa Corte). 
    2.1.- L'Avvocatura dello Stato affianca a  questa  prima  censura
una serie di ulteriori rilievi, che attengono non gia' al momento  in
cui il referendum deve  o  puo'  essere  attivato  (in  relazione  al
procedimento di formazione della legge regionale), bensi' al concreto
atteggiarsi delle condizioni e delle modalita' attraverso le quali le
popolazioni  interessate   sono   o   possono   essere   chiamate   a
pronunciarsi. 
    Cosi', osserva che l'art. 6, anziche' consentire alle popolazioni
interessate di esprimersi con un semplice assenso o dissenso rispetto
al  contenuto  della  modifica  territoriale,  le   obbligherebbe   a
«manifestare una ben determinata volonta' positiva diversa da  quella
contenuta  nella  legge  regionale».  Chiederebbe  infatti  loro   di
esprimersi, oltre che per il distacco dalla  Citta'  metropolitana  o
Provincia   cui   siano   state   assegnate,    anche    in    favore
dell'assegnazione del territorio ad un'altra Citta'  metropolitana  o
Provincia limitrofa: un adempimento complesso, che  costringerebbe  a
raccogliere un consenso  anche  sulla  destinazione  ad  una  diversa
circoscrizione,  cio'  che  rischierebbe  di  vanificare   la   reale
possibilita', per le comunita' territoriali,  di  pronunciarsi  sulle
variazioni previste dal legislatore. 
    Inoltre,   l'art.   6   manifesterebbe   l'intento   di   svilire
(«derubricare») il significato del referendum, perche' le popolazioni
interessate non vengono chiamate a  pronunciarsi  direttamente  sulle
disposizioni  legislative  che   hanno   introdotto   le   variazioni
territoriali (gli artt. 3, 4 e 5 della legge regionale in esame),  ma
sullo «schema di riforma dell'assetto  territoriale»  adottato  dalla
Giunta:  come  si  e'  visto,  atto  amministrativo  successivo   che
frapporrebbe «uno schermo tra la volonta' popolare e il  suo  oggetto
costituzionalmente determinato», cioe', appunto, la legge  regionale.
Non potendosi peraltro escludere,  aggiunge  il  ricorrente,  che  la
Giunta  si  discosti  dal  dato  legislativo,  adottando  uno  schema
illegittimo, oppure che disattenda il termine  indicato  dalla  legge
regionale per la sua approvazione. 
    Ancora, lamenta l'Avvocatura generale dello Stato  che  l'art.  6
non prevede il referendum  quale  unico  e  incondizionato  mezzo  di
accertamento  della  volonta'  delle  popolazioni   interessate.   La
disposizione stabilisce infatti che a potersi esprimere sia, in primo
luogo, il Comune, mediante una deliberazione unanime  del  Consiglio.
Sebbene anche in questo caso  il  referendum  non  sia  inibito,  non
sarebbe affatto irrilevante la circostanza che, dati i  lunghi  tempi
necessari alla raccolta delle firme, lo stesso  sia  preceduto  dalla
decisione  del   Consiglio   comunale.   Quest'ultima   deliberazione
costituirebbe «un fatto politico importante», capace di  limitare  la
stessa determinazione degli elettori ad attivarsi per  richiedere  il
referendum. 
    Analogamente, anche la delibera non unanime del Consiglio sarebbe
idonea a condizionare gli elettori, costituendo peraltro  un  inutile
aggravio procedurale. 
    In definitiva, il ricorso si duole, in tal caso,  della  indebita
interferenza di istituti propri  della  democrazia  "rappresentativa"
(l'intervento della delibera consiliare) sulla manifestazione  tipica
di democrazia diretta (il referendum). 
    Ad ostacolare  decisivamente  il  ricorso  al  referendum  (nelle
ipotesi in cui non previsto d'ufficio) sarebbe, poi, la pretesa della
necessaria iniziativa di almeno un terzo degli elettori, cioe' di  un
numero di firme ritenuto molto alto, anche perche' da raccogliere  in
tempi brevi. 
    Da ultimo, la previsione contrasterebbe anche con quanto disposto
dall'art. 20, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 20 del 1957,  che
il ricorrente considera norma «attuativa dell'art. 43 Statuto».  Tale
ultima disposizione stabilisce che il referendum si intende  respinto
qualora non vi prenda parte almeno un terzo degli aventi diritto.  La
circostanza che l'art.  20  non  sia  richiamato  dalla  disposizione
impugnata attesterebbe la volonta' di escluderne  l'applicazione.  Il
legislatore regionale avrebbe cosi' previsto  non  gia'  che  per  la
validita' del referendum sia necessaria la partecipazione al voto  di
un terzo degli elettori, ma, in spregio alla «garanzia  referendaria»
prevista dall'art. 43 dello statuto,  che  il  referendum  non  possa
nemmeno essere indetto senza la  sottoscrizione  di  un  terzo  degli
elettori. 
    3.- Tutto cio' premesso, il ricorso va  dichiarato  inammissibile
per  una  ragione  decisiva,  ulteriore  e  logicamente   preliminare
rispetto a quelle poste a fondamento delle  molteplici  eccezioni  di
inammissibilita' dedotte dalla Regione. Essa attiene al confronto tra
le motivazioni poste a base della censura principale  sviluppata  nel
ricorso stesso (esposta  al  precedente  punto  2)  e  l'oggetto  cui
l'impugnazione ha scelto di limitarsi. 
    Nella censura che, dal punto di vista logico,  assorbe  tutte  le
altre, lamenta il ricorrente che la legge  reg.  Sardegna  n.  7  del
2021, di riforma dell'assetto degli enti territoriali regionali,  non
abbia rispettato l'art. 43, secondo comma, dello  statuto  sardo,  il
quale prescriverebbe, per qualunque modifica di tale assetto implichi
variazioni delle circoscrizioni provinciali, un «tipico  procedimento
legislativo "rinforzato"», di cui il  referendum  costituirebbe  fase
necessaria. 
    Il ricorrente e' ben consapevole, inoltre, della circostanza  che
la legge reg. Sardegna  n.  7  del  2021  non  configura  affatto  il
referendum come fase necessaria del  procedimento  legislativo  volto
alla  realizzazione  delle   variazioni   territoriali,   ma,   assai
diversamente, lo conforma, nell'art. 6,  come  referendum  successivo
all'entrata in vigore della riforma, assoggettandolo altresi' a varie
condizioni e limiti. 
    Tuttavia,  contraddittoriamente,  lo  stesso  ricorrente   limita
l'oggetto  della  propria  impugnativa  allo  stesso  art.  6,  senza
estendere  la  censura  all'intera  legge,   o   quanto   meno   alle
disposizioni di essa che hanno definito le  variazioni  territoriali,
pur partendo dalla premessa che tale normativa sia stata approvata in
lesione  di  una  fase  procedimentale  essenziale,   statutariamente
prevista. 
    In simili condizioni, questa Corte puo' esimersi dall'affrontare,
non solo le specifiche eccezioni di inammissibilita'  avanzate  dalla
Regione resistente, ma anche i vari argomenti di  merito,  sui  quali
tanto il ricorrente che la stessa Regione hanno ampiamente disputato:
il significato originario e quello attuale dell'art. 43 dello statuto
regionale, anche  in  rapporto  al  novellato  art.  3  del  medesimo
statuto, che attribuisce alla Regione potesta'  legislativa  primaria
quanto  all'ordinamento  degli   enti   locali   e   delle   relative
circoscrizioni; se il procedimento ex art. 43, secondo  comma,  dello
statuto, debba applicarsi a qualunque variazione, anche  complessiva,
delle circoscrizioni territoriali  (come  asserisce  il  ricorrente),
oppure  solo  a  quelle  di  limitata  estensione  (come  obietta  la
Regione); quale rapporto intercorra tra delibere  di  iniziativa  dei
Consigli comunali e indizione del referendum, ai  sensi  dell'art.  6
della  legge  regionale;  quale   realmente   sia   l'"oggetto"   del
referendum, se la legge regionale di modifica  oppure  lo  schema  di
riforma approvato dalla Giunta; quale sia, infine, la  relazione  tra
questi due atti. 
    Ogni considerazione di merito su tutti questi aspetti  e  profili
e' preclusa proprio dalla circostanza che il ricorso si  e'  limitato
ad impugnare l'indicato  art.  6,  che  disciplina  la  procedura  di
accertamento della volonta' dei territori interessati, ed  ha  omesso
di estendere la censura  all'intera  legge  regionale,  approvata  in
asserita lesione del procedimento rinforzato, in tesi previsto  dallo
statuto, o quanto meno non vi ha coinvolto le  disposizioni  di  essa
che hanno definito le variazioni territoriali (un caso  analogo,  sia
pur in un giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale,
nella sentenza n. 468 del 1994). 
    In  tal  modo,  il  ricorso   si   appalesa   inammissibile   per
contraddittorieta'  e   inidoneita'   dell'intervento   invocato   «a
garantire  la  realizzazione  del  risultato  avuto  di   mira»   dal
ricorrente (cosi' la sentenza n. 210 del 2015, sia pur nell'ambito di
un giudizio in via incidentale e, similmente, le sentenze n.  22  del
2022 e n. 21  del  2020).  Tale  intervento,  infatti,  non  potrebbe
ripristinare la tutela dei  principi  statutari  asseritamente  lesi,
cosicche', in ultima analisi, deve dirsi carente lo stesso  interesse
all'impugnazione, per  come  e'  stata  coltivata  dallo  Stato  (nel
giudizio   in   via   principale,   sulla   carenza   di    interesse
all'impugnazione   per   la   inutilita'   della   declaratoria    di
illegittimita' costituzionale richiesta, sentenze n. 199 del  2014  e
n. 205 del 2011). 
    Infatti, anche nell'ipotesi di  accoglimento  delle  ragioni  del
ricorrente, la sola caducazione dell'intero art. 6  impugnato,  o  di
parti di esso -  i  cui  contenuti  normativi,  peraltro,  non  hanno
valenza  generale,  ma  sono  strettamente  legati   alla   specifica
variazione territoriale introdotta dalla legge reg. Sardegna n. 7 del
2021 - non  potrebbe  di  certo  restaurare  il  principio  affermato
nell'atto di impugnazione, cioe' la partecipazione  necessaria  delle
popolazioni interessate, attraverso il referendum, al procedimento di
formazione della legge regionale. La legge reg.  Sardegna  n.  7  del
2021 resterebbe complessivamente in vigore, immune da  ogni  censura,
con le  sue  variazioni  territoriali  ormai  produttive  di  effetti
giuridici, circostanza, quest'ultima, confermata dalla stessa  difesa
regionale, quando asserisce che la legge n. 7 del 2021 ha disposto il
nuovo assetto territoriale «con validita'  immediata».  Ed  anzi,  il
risultato finale cui l'accoglimento del ricorso condurrebbe  sarebbe,
paradossalmente,  l'espunzione  totale  o   parziale,   dalla   legge
regionale stessa, delle procedure  dirette  ad  assicurare,  comunque
sia,  la  possibilita'  di  un  accertamento  della  volonta'   delle
popolazioni interessate dalle variazioni in discussione. 
    Del resto, nell'eventualita' dell'accoglimento  della  questione,
promossa con riferimento al solo art. 6, non sarebbe  ipotizzabile  -
e, peraltro, l'Avvocatura generale dello Stato non l'ha chiesto -  il
ricorso all'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ai fini
della  declaratoria  d'illegittimita'  costituzionale  conseguenziale
delle disposizioni della legge reg. Sardegna n. 7 del 2021 che  hanno
stabilito le variazioni territoriali in oggetto. 
    Occorre anzitutto considerare i limiti ristretti di  utilizzo  di
questo  istituto  in  un  giudizio  di  legittimita'   costituzionale
promosso in via principale. Nel caso  di  specie  non  si  verserebbe
nelle  ipotesi  del  tutto  particolari  in  cui   la   dichiarazione
d'illegittimita'    costituzionale    dovrebbe     conseguenzialmente
estendersi a disposizioni non impugnate ma  avvinte  da  «stretta  ed
esclusiva dipendenza funzionale» con quella (sola) censurata,  oppure
a norme accessorie, prive di autonomo rilievo  (sentenze  n.  77  del
2021, n. 245 e 36 del 2017). Si presenterebbe, invece, una situazione
del tutto opposta, in cui l'illegittimita' costituzionale della norma
che disciplina le modalita' di svolgimento del referendum  -  in  tal
senso  "accessoria"  rispetto  alle  scelte  fondamentali  circa   le
variazioni territoriali - dovrebbe comportare anche la  dichiarazione
di illegittimita' costituzionale delle disposizioni,  non  impugnate,
che tali variazioni hanno introdotto  e  che  costituiscono  pertanto
presupposto della sola disposizione impugnata: ma, all'evidenza,  non
appartiene ai compiti di questa Corte ne' "completare"  l'oggetto  di
un ricorso in via principale, ne', in un caso del  genere,  estendere
l'impugnativa o integrarla al di la'  dei  termini  in  cui  essa  e'
proposta. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 6 della  legge  della  Regione  Sardegna  12
aprile 2021, n. 7 (Riforma dell'assetto territoriale  della  Regione.
Modifiche alla legge regionale n. 2 del 2016, alla legge regionale n.
9 del 2006 in materia di demanio marittimo e disposizioni urgenti  in
materia  di  svolgimento  delle  elezioni  comunali),  promosse,   in
riferimento all'art. 43, secondo comma, della legge costituzionale 26
febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la  Sardegna),   dal
Presidente del Consiglio dei ministri  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA