N. 127 SENTENZA 7 aprile - 26 maggio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Divieto, per chi e' affetto al virus da  COVID-19,  di
  uscire  dalla  propria  abitazione  o   dimora   (c.d.   quarantena
  obbligatoria) - Sanzione, in caso di violazione, con l'arresto da 3
  mesi a 18 mesi e  con  l'ammenda  da  euro  500  ad  euro  5.000  -
  Denunciata violazione della riserva di giurisdizione in materia  di
  liberta' personale - Non fondatezza della questione. 
- Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni,
  nella legge 14 luglio 2020, n. 74, artt. 1, comma 6, e 2, comma 3. 
- Costituzione, art. 13. 
(GU n.22 del 1-6-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  comma
6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.  33  (Ulteriori
misure  urgenti  per  fronteggiare  l'emergenza   epidemiologica   da
COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020,
n. 74, promosso dal Tribunale ordinario di Reggio  Calabria,  sezione
penale, nel procedimento penale a carico di M. A., con ordinanza  del
15 aprile 2021, iscritta al n. 141  del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  39,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2022  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 aprile 2021 (reg. ord. n. 141 del 2021),
il Tribunale ordinario di Reggio Calabria,  sezione  penale,  solleva
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 6, e 2,
comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.  33  (Ulteriori  misure
urgenti per fronteggiare  l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74,  in
riferimento all'art. 13 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 6, censurato stabilisce che «[e']  fatto  divieto
di  mobilita'  dalla  propria  abitazione  o  dimora   alle   persone
sottoposte   alla   misura   della   quarantena   per   provvedimento
dell'autorita'  sanitaria  in  quanto  risultate  positive  al  virus
COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una
struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata». 
    L'art. 2, comma 3, censurato aggiunge che «[s]alvo che  il  fatto
costituisca reato punibile ai  sensi  dell'articolo  452  del  codice
penale o comunque piu' grave reato, la violazione della misura di cui
all'articolo 1, comma 6, e' punita ai  sensi  dell'articolo  260  del
regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265». 
    Il giudice rimettente riferisce di dover  giudicare  un  imputato
tratto a  giudizio  direttissimo,  tra  l'altro,  in  relazione  alla
contravvenzione cosi'  punita,  perche'  tale  persona  «non  avrebbe
osservato un ordine legalmente dato per impedire la diffusione di una
malattia infettiva dell'uomo». 
    Sarebbe percio' palese la rilevanza della questione, che  investe
la legittimita' costituzionale della norma incriminatrice. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo  osserva
che il divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora avrebbe
un  contenuto  «assolutamente  identico»  alla  restrizione   imposta
mediante gli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 284 del codice di
procedura penale, ovvero mediante la detenzione  domiciliare  di  cui
all'art.  47-ter  della  legge  26  luglio  1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'). 
    Gli istituti di diritto penale appena citati inciderebbero  senza
dubbio sulla liberta' personale tutelata dall'art. 13 Cost. 
    Il rimettente ne deduce  che  analoga  conclusione  debba  essere
formulata quanto al divieto di mobilita' oggetto di causa. 
    Infatti, la quarantena obbligatoria implicherebbe una limitazione
positiva legata alla  persona,  anziche'  negativa  in  relazione  ai
luoghi: ovvero, essa «non impone un divieto di recarsi in determinati
luoghi», ma «un divieto di muoversi a determinati soggetti». 
    Il giudice a quo ne conclude che il provvedimento di adozione del
divieto comporti una restrizione della liberta'  personale,  anziche'
della liberta' di circolazione tutelata dall'art.  16  Cost.,  e  che
quindi esso  debba  essere  adottato  dall'autorita'  giudiziaria,  o
soggetto a convalida di quest'ultima. 
    Il giudice a quo,  escluso  che  la  lettera  delle  disposizioni
impugnate  permetta  in  via  interpretativa  di  ritenere   che   il
provvedimento sia soggetto a  convalida  dell'autorita'  giudiziaria,
dubita percio'  della  legittimita'  costituzionale  del  divieto  di
mobilita' e del regime penale che ne accompagna  la  violazione,  per
lesione della riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o  non
fondata. 
    L'Avvocatura ritiene che la misura alla quale e'  sottoposto  chi
si ammala vada ricondotta alla sfera della liberta' di  circolazione,
anziche' all'art.  13  Cost.,  deducendone  l'inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale. 
    Cio' sulla base, sia del criterio  cosiddetto  quantitativo,  sia
del criterio cosiddetto qualitativo, che  sarebbero  stati  elaborati
dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  e   che   determinerebbero,
altresi', la non fondatezza della questione. 
    Infatti, secondo la difesa statale, la restrizione, nel  caso  di
specie, avrebbe carattere lieve e non  comprometterebbe  la  dignita'
della persona, sottoponendola ad un trattamento degradante. 
    Tali considerazioni, che sottraggono al campo  proprio  dell'art.
13 Cost. i trattamenti sanitari obbligatori, varrebbero anche  per  i
«cordoni sanitari» istituiti per contenere il contagio, anche se  con
provvedimenti diretti nei confronti di singoli individui. 
    Il divieto di mobilita' per cui  e'  causa  sarebbe  percio'  una
misura  limitativa  della  liberta'  di   circolazione,   di   natura
provvisoria, e subordinata al «mero accertamento della positivita' al
virus Covid-19». 
    L'assenza  di  ogni  carattere  coercitivo  renderebbe,  inoltre,
improprio il riferimento operato dal giudice rimettente agli istituti
degli arresti domiciliari e della detenzione domiciliare, che  invece
comportano «forme  di  coazione  fisica»,  quale  l'applicazione  del
regime carcerario, in caso di inosservanza delle misure. 
    3.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato memoria, limitandosi a reiterare
gli argomenti gia' svolti in sede di intervento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 aprile 2021 (reg. ord. n. 141 del  2021)
il Tribunale ordinario di Reggio Calabria,  sezione  penale,  solleva
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 6, e 2,
comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.  33  (Ulteriori  misure
urgenti per fronteggiare  l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74,  in
riferimento all'art. 13 della Costituzione. 
    Il rimettente giudica un imputato  al  quale  e'  contestato,  in
concorso con altri reati, di essere uscito dalla propria  abitazione,
dopo che ne era stata accertata la positivita' al virus COVID-19. 
    Il giudice  a  quo  reputa  il  combinato  disposto  delle  norme
censurate difforme dall'art. 13 Cost., perche' esse non prevedono che
il provvedimento dell'autorita' sanitaria, con il quale il malato  e'
sottoposto alla cosiddetta quarantena obbligatoria,  sia  convalidato
entro 48 ore dall'autorita' giudiziaria. 
    2.- Nella  fase  iniziale  della  pandemia  il  decreto-legge  23
febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti  in  materia  di  contenimento  e
gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito,  con
modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, aveva approntato  una
risposta penale per ogni violazione delle  «misure  di  contenimento»
attuate, sulla base di tale fonte primaria, a mezzo  di  decreti  del
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Tuttavia, fin dall'entrata in vigore del decreto-legge  25  marzo
2020,  n.   19   (Misure   urgenti   per   fronteggiare   l'emergenza
epidemiologica da  COVID-19),  convertito  con  modificazioni,  nella
legge 22 maggio 2020, n. 35, il legislatore ha preferito riservare la
sanzione penale alla trasgressione ritenuta piu'  grave,  nell'ottica
del contenimento del contagio, ovvero alla  violazione  del  «divieto
assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione  o  dimora  per  le
persone  sottoposte  alla  misura  della  quarantena,  applicata  dal
sindaco quale autorita' sanitaria locale, purche' risultate  positive
al virus», a condizione che tale misura fosse stata attivata con  gli
strumenti di cui all'art. 2 di tale testo normativo, ovvero  d.P.C.m.
o ordinanze del Ministro della salute (art. 1, comma  2,  lettera  e,
del d.l. n. 19 del 2020). 
    Con le disposizioni oggi  censurate  e'  direttamente  la  legge,
senza la successiva  intermediazione  di  un  d.P.C.m.,  a  porre  il
«divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora alle  persone
sottoposte alla  misura  della  quarantena  per  provvedimento  dell'
autorita' sanitaria in quanto risultate positive al  virus  COVID-19,
fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura
sanitaria o altra struttura allo scopo destinata» (art. 1,  comma  6,
del d.l. n. 33 del 2020, come convertito), nonche'  a  stabilire  che
«salvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell'articolo
452 del codice penale o comunque  piu'  grave  reato,  la  violazione
della misura di cui all'articolo 1,  comma  6,  e'  punita  ai  sensi
dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265» (art. 2,
comma 3, del d.l. n. 33 del 2020). 
    Tale figura contravvenzionale di reato  mantiene  analoga  forma,
quanto agli  elementi  costitutivi  della  fattispecie  e  alla  pena
comminata, con il sopravvenuto art. 4, comma 1, del decreto-legge  24
marzo 2022, n. 24 (Disposizioni  urgenti  per  il  superamento  delle
misure di contrasto alla diffusione  dell'epidemia  da  COVID-19,  in
conseguenza della  cessazione  dello  stato  di  emergenza),  che  «a
decorrere dal 1° aprile 2022» introduce l'art. 10-ter nel  testo  del
decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per  la  graduale
ripresa delle attivita'  economiche  e  sociali  nel  rispetto  delle
esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87. 
    Quest'ultima disposizione, saldandosi all'art. 13,  comma  2-bis,
del d.l. n. 52 del 2021, come introdotto a  propria  volta  dall'art.
11, comma 1, lettera  b),  del  d.l.  n.  24  del  2022,  continua  a
comportare che sia  incriminato,  con  la  medesima  pena,  il  fatto
descritto dalle disposizioni del d.l. n. 33 del 2020, in forza  delle
quali l'imputato viene giudicato nel processo principale. 
    Pertanto, e' palese che lo ius superveniens non interferisce  con
l'attuale questione di legittimita' costituzionale. 
    2.1.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha  eccepito
l'inammissibilita' della questione,  perche'  il  rimettente  avrebbe
errato  nel  ricondurre  la  misura   della   cosiddetta   quarantena
obbligatoria allo statuto giuridico della liberta' personale (art. 13
Cost.), anziche' a quello della liberta'  di  circolazione  (art.  16
Cost.), che non contiene in se', diversamente dal primo,  la  riserva
di giurisdizione. 
    L'eccezione non e' fondata,  posto  che  essa  attiene  con  ogni
evidenza al merito della  questione,  e  non  gia'  ai  suoi  profili
preliminari. 
    3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    3.1.- Il dubbio del rimettente nasce dalla  convinzione  che  una
misura cosi' limitativa della  facolta'  di  libera  locomozione,  da
impedire l'uscita dalla propria abitazione durante la  malattia,  non
possa che ricadere nella sfera giuridica della liberta' personale, al
pari di misure che il giudice a quo reputa del tutto affini quanto al
grado di afflittivita', ovvero gli arresti domiciliari, che sono  una
misura cautelare (art. 284 del codice  di  procedura  penale),  e  la
detenzione domiciliare, ovvero una misura alternativa alla detenzione
(art. 47-ter della legge 26  luglio  1975,  n.  354,  recante  «Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'»). 
    E' evidente che  la  facolta'  di  autodeterminarsi  quanto  alla
mobilita' della propria persona nello spazio, in linea di  principio,
costituisce una componente essenziale sia della  liberta'  personale,
sia della liberta' di circolazione. 
    Tuttavia, i criteri che il rimettente suggerisce per  qualificare
la fattispecie ai sensi dell'art. 13 Cost., anziche' in base all'art.
16  Cost.,  non  hanno  mai  trovato   corrispondenza   nella   ormai
pluridecennale giurisprudenza maturata  da  questa  Corte  sul  punto
controverso. 
    Questa Corte, con la sentenza n. 68 del 1964,  ha  gia'  rilevato
che i «motivi  di  sanita'»  che  permettono  alla  legge,  ai  sensi
dell'art. 16 Cost., di  limitare  in  via  generale  la  liberta'  di
circolazione delle persone possono giungere fino alla «necessita'  di
isolare individui affetti da malattie contagiose». 
    Percio', in linea di principio, e impregiudicato  ogni  ulteriore
profilo concernente la legittimita' costituzionale  di  tali  misure,
non si puo' negare che un cordone sanitario  volto  a  proteggere  la
salute  nell'interesse  della  collettivita'  (art.  32  Cost)  possa
stringersi  di  quanto  e'  necessario,  secondo   un   criterio   di
proporzionalita' e di adeguatezza rispetto alle circostanze del  caso
concreto, per prevenire  la  diffusione  di  malattie  contagiose  di
elevata gravita'. 
    A seconda dei casi, in particolare,  e  sempre  alla  luce  della
evoluzione della pandemia, il legislatore potra' orientarsi, sia  nel
senso  di  prescrivere  un  divieto  generalizzato   a   recarsi   in
determinati  luoghi,  per  esempio  quando  il  fattore  di  contagio
alberghi solo in questi ultimi  (cio'  che  il  rimettente  definisce
«limitazioni negative» legate al  luogo,  attribuendole  all'art.  16
Cost.),  sia  nel  senso  di  imporre  un  divieto  di  spostarsi   a
determinate persone, specie quando queste ultime,  in  ragione  della
liberta'  di  circolare,  siano,  a  causa  della  contagiosita',  un
pericoloso vettore della malattia (cio' che il giudice a quo sostiene
erroneamente  comportare  una   «limitazione   positiva»   prescritta
all'individuo, come tale in ogni caso presidiata dall'art. 13 Cost.). 
    3.2.- Si tratta di stabilire, anzitutto, se le modalita'  con  le
quali una simile, gravosa misura siano state adottate non trasmodino,
in concreto, in restrizione della liberta' personale. 
    3.3.- Inoltre, una volta che si sia giunti alla  conclusione  che
la limitazione introdotta dal legislatore appartenga, a buon  titolo,
al campo governato  dall'art.  16  Cost.,  e  si  sia  quindi  potuto
escludere ogni rilievo all'art.  13  Cost.,  ugualmente  occorrerebbe
valutare   la   conformita'   della   misura   adottata   ai   limiti
costituzionali che il legislatore incontra in  tema  di  compressione
della liberta' di circolazione. 
    Quest'ultima, pur priva della  riserva  di  giurisdizione,  resta
assistita da garanzie consone al fondamentale rilievo  costituzionale
che connota la facolta' di locomozione, anche quale base fattuale per
l'esercizio di numerosi altri diritti di primaria importanza. 
    Tuttavia,  tale  secondo  aspetto  del  problema  non  e'   stato
sottoposto all'attenzione di questa Corte dal giudice rimettente, che
ha invece circoscritto il dubbio di costituzionalita' alla violazione
dell'art.  13  Cost.,  sicche'  e'  solo  a  quest'ultima  che   deve
riservarsi ora  l'attenzione,  restando  invece  impregiudicato  ogni
profilo afferente all'osservanza dell'art. 16 Cost. 
    4.- Nella giurisprudenza costituzionale, il  nucleo  irriducibile
dell'habeas corpus, tutelato dall'art.  13  Cost.  e  ricavabile  per
induzione dal novero di atti espressamente  menzionati  dallo  stesso
articolo (detenzione, ispezione, perquisizione  personale),  comporta
che il legislatore non possa assoggettare a  coercizione  fisica  una
persona, se non in forza di atto motivato dell'autorita' giudiziaria,
o convalidato da quest'ultima entro  quarantotto  ore,  qualora  alla
coercizione  abbia  invece   provveduto   l'autorita'   di   pubblica
sicurezza. 
    L'impiego della forza per restringere la  capacita'  di  disporre
del proprio corpo, purche' cio'  avvenga  in  misura  non  del  tutto
trascurabile e momentanea (sentenze n. 30 del 1962 e n. 13 del 1972),
e' quindi precluso alla  legge  dalla  lettera  stessa  dell'art.  13
Cost., se non interviene il giudice, la cui posizione di indipendenza
e imparzialita' assicura che non  siano  commessi  arbitri  in  danno
delle persone. 
    Qualora, pertanto, il legislatore intervenga  sulla  liberta'  di
locomozione,  indice  certo  per  assegnare  tale  misura  all'ambito
applicativo dell'art. 13 Cost. (e non dell'art. 16 Cost.) e' che essa
sia non soltanto obbligatoria (tale, vale a dire, da  comportare  una
sanzione per chi vi si sottragga), ma anche tale  da  richiedere  una
coercizione fisica. 
    Per detta ragione, questa Corte ha ritenuto che un mero ordine di
rimpatrio con foglio di  via  obbligatorio,  la  cui  esecuzione  sia
affidata alla collaborazione spontanea di chi  lo  riceve,  afferisca
alla liberta' di circolazione, ma  che,  diversamente,  ove  l'ordine
comporti la  traduzione  fisica  della  persona,  esso  debba  essere
assistito dalle garanzie di cui all'art. 13 Cost. (sentenze n. 2  del
1956 e n. 45 del 1960). Parimenti, il respingimento  dello  straniero
con accompagnamento coattivo alla frontiera, a differenza dell'ordine
di espulsione, restringe la liberta' personale  in  ragione  di  tale
«modalita' esecutiva» (sentenza  n.  275  del  2017;  in  precedenza,
sentenza n. 222 del 2004). 
    L'«assoggettamento fisico  all'altrui  potere  e  che  e'  indice
sicuro  dell'attinenza  della  misura  alla  sfera   della   liberta'
personale» contraddistingue anche il  trattenimento  dello  straniero
presso centri di  permanenza  e  assistenza,  in  quanto  l'autorita'
competente, «avvalendosi della  forza  pubblica»  adotta  misure  che
impediscono di abbandonare il luogo (sentenze n.  105  del  2001;  si
veda, inoltre, la sentenza n. 23 del 1975). 
    Sempre in osservanza del fondamentale criterio che  attiene  alla
coercizione fisica, questa Corte  ha  ricondotto  all'art.  13  Cost.
l'esecuzione di un prelievo ematico  nel  corso  di  un  procedimento
penale  «quando  se  ne  renda  necessaria  la  esecuzione  coattiva»
(sentenza n. 238 del 1996), ma ha invece escluso l'applicabilita'  di
tale disposizione costituzionale al test alcolemico, ove  proposto  a
chi sia sospettato di aver guidato in stato di ebbrezza,  considerato
che  la  persona,  pur  commettendo  reato   in   caso   di   rifiuto
ingiustificato, «non subisce coartazione alcuna, potendosi  rifiutare
in caso di ritenuto abuso di potere da parte dell'agente» di pubblica
sicurezza (sentenza n. 194 del 1996). 
    Ed e' bene precisare che qualora sia  previsto  il  ricorso  alla
forza fisica al  fine  di  instaurare  o  mantenere  in  essere,  con
apprezzabile durata, una misura restrittiva della facolta' di  libera
locomozione, allora la circostanza che la legge abbia introdotto tale
misura in via generale per motivi di sanita' non  comporta  che  essa
vada assegnata alla  garanzia  costituzionale  offerta  dall'art.  16
Cost., e sfugga cosi' alla riserva di giurisdizione, posto che  detto
elemento  coercitivo  implica  necessariamente  che  sia  l'autorita'
giudiziaria  ad  applicare   la   restrizione,   o   a   convalidarne
l'esecuzione provvisoria. 
    Cosi', in particolare, la  garanzia  di  cui  all'art.  13  Cost.
raggiunge certamente misure disposte o protratte coattivamente, anche
se sorrette da finalita' di cura, perche' «quanto meno  allorche'  un
dato trattamento  sia  configurato  dalla  legge  non  soltanto  come
"obbligatorio" - con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi
non si sottoponga spontaneamente ad esso, ma anche come "coattivo"  -
potendo  il  suo  destinatario  essere  costretto  con  la  forza   a
sottoporvisi, sia pure entro il limite  segnato  dal  rispetto  della
persona umana -  le  garanzie  dell'art.  32,  secondo  comma,  Cost.
debbono sommarsi a quelle dell'art.  13  Cost.,  che  tutela  in  via
generale la liberta' personale,  posta  in  causa  in  ogni  caso  di
coercizione che abbia ad oggetto il corpo della persona» (sentenza n.
22 del 2022). 
    4.1.-  Cio'  premesso,  l'obbligo,  per  chi  e'   sottoposto   a
quarantena per  provvedimento  dell'autorita'  sanitaria,  in  quanto
risultato positivo al virus COVID-19, di  non  uscire  dalla  propria
abitazione o dimora, non restringe la liberta'  personale,  anzitutto
perche' esso non viene direttamente accompagnato da alcuna  forma  di
coercizione fisica, ne' in fase iniziale, ne' durante la  protrazione
di esso per il corso della malattia. 
    Il  destinatario  del  provvedimento  e'  infatti  senza   dubbio
obbligato ad  osservare  l'isolamento,  a  pena  di  incorrere  nella
sanzione penale, ma non vi e' costretto ricorrendo ad una coercizione
fisica, al punto che la normativa non prevede neppure alcuna forma di
sorveglianza in grado di  prevenire  la  violazione.  In  definitiva,
chiunque sia  sottoposto  alla  "quarantena"  e  si  allontani  dalla
propria dimora incorrera' nella sanzione prevista dalla  disposizione
censurata, ma non gli si potra' impedire fisicamente di  lasciare  la
dimora stessa, ne' potra' essere arrestato  in  conseguenza  di  tale
violazione. 
    Non puo' a tale proposito  sfuggire  la  marcata  differenza  che
separa  tale  fattispecie  dalle  ipotesi   normative   evocate   dal
rimettente per giustificare l'applicazione dell'art. 13 Cost. 
    Sia la misura cautelare degli arresti domiciliari (art. 284  cod.
proc. pen.), sia la misura  alternativa  alla  detenzione  costituita
dalla detenzione domiciliare (art. 47-ter  della  legge  n.  354  del
1975) sono, infatti, coattivamente imposte e mantenute in vigore,  al
punto  che  l'art.  3  del  decreto-legge  13  maggio  1991,  n.  152
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata
e di trasparenza e di buon andamento dell'attivita'  amministrativa),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio  1991,  n.  203,
consente l'arresto di chi sia evaso anche al di  fuori  dei  casi  di
flagranza. 
    Non vi e' quindi, su questo piano, alcun paragone  possibile  tra
l'introduzione, da parte delle norme censurate e a pena di commettere
una contravvenzione, del solo  obbligo  di  non  uscire  di  casa  se
malati, al fine di scongiurare ulteriori contagi, e  l'esecuzione  di
provvedimenti tipici del diritto penale, ai quali e'  connaturata  la
coercibilita', perlomeno per i casi di inosservanza. 
    5.- Fin dagli esordi della sua giurisprudenza,  questa  Corte  ha
riconosciuto che l'art. 13 Cost. deve trovare spazio non  soltanto  a
fronte di restrizioni mediate dall'impiego  della  forza  fisica,  ma
anche a quelle che comportino l'«assoggettamento totale della persona
all'altrui potere», con le quali, vale a dire, viene  compromessa  la
«liberta'  morale»  degli  individui  (sentenza  n.  30  del   1962),
imponendo loro «una sorta di degradazione giuridica» (sentenza n.  11
del 1956). 
    Tale criterio di lettura ha trovato  ripetutamente  applicazione,
ove si e' trattato di qualificare sul piano costituzionale  i  limiti
imposti  alla  facolta'  di  libera  locomozione,  che  non   fossero
accompagnati da forme di coercizione (sentenze n. 144  del  1997;  n.
193 e n. 143 del 1996; n. 210 del 1995; n. 419 del 1994;  n.  68  del
1964; n. 45 del 1960), e che, di conseguenza, si prestavano, in linea
astratta, a convergere verso il campo di  applicazione  dell'art.  16
Cost. 
    Questa Corte ha tenuto ferma, al  contrario,  la  necessita'  che
simili restrizioni, ove implicanti «degradazione giuridica»,  fossero
assistite dalle  piene  garanzie  dell'habeas  corpus  offerte  dallo
statuto della liberta' personale. 
    Specie a fronte di un vasto apparato di  misure  di  prevenzione,
che la legislazione dei  tempi  affidava  alla  gestione  della  sola
autorita' di pubblica  sicurezza,  si  e'  infatti  ritenuto  che  la
medesima  esigenza   costituzionale   di   preservare   la   liberta'
dell'individuo, comprimibile solo per  atto  motivato  dell'autorita'
giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge, dovesse essere
avvertita non soltanto innanzi allo spiegamento di  forme  coercitive
(il cui esercizio segna la piu' icastica manifestazione del monopolio
statale della forza), ma anche per  quei  casi  nei  quali  la  legge
assoggetta l'individuo a specifiche prescrizioni  che  si  riflettono
sulla facolta' di disporre di  se'  e  del  proprio  corpo,  compresa
quella  di  locomozione,  recando  al  contempo  «una  menomazione  o
mortificazione  della  dignita'  o  del  prestigio   della   persona»
(sentenze n. 419 del 1994 e n. 68 del 1964). 
    Si tratta, e' appena il caso di precisarlo, di un criterio che e'
stato utilizzato  nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  solo  per
allargare lo scudo protettivo dell'art. 13 Cost., e  in  nessun  caso
per  ridimensionarlo:  in  altri  termini,  ove  la  restrizione  sia
ottenuta mediante coercizione fisica, essa continua ad afferire  alla
liberta' personale, quand'anche non rechi degradazione giuridica. 
    Nel caso opposto,  prescrizioni  restrittive  degradanti  per  la
persona, per quanto previste dalla legge e necessarie a perseguire il
«fine costituzionalmente tracciato» che le  giustifica  (sentenza  n.
219 del 2008), non possono sfuggire alla  riserva  di  giurisdizione,
perche' esse, separando  l'individuo  o  un  gruppo  circoscritto  di
individui  dal  resto  della  collettivita',  e  riservando  loro  un
trattamento deteriore, portano con se' un elevato tasso di potenziale
arbitrarieta', al quale lo Stato  di  diritto  oppone  il  filtro  di
controllo  del  giudice,  quale  organo   chiamato   alla   obiettiva
applicazione  della   legge   in   condizioni   di   indipendenza   e
imparzialita'. 
    5.1.-   Naturalmente,   puo'   essere    complicato,    talvolta,
distinguere, tra le incisioni della facolta' di  locomozione,  quelle
che convergono, in quanto degradanti, verso la liberta' personale,  e
quindi  di  competenza  dell'autorita'  giudiziaria,  e  quelle  che,
invece, afferiscono alla liberta' di circolazione. 
    Basti pensare, a tale proposito, che questa Corte ha ravvisato la
pertinenza dell'art. 13 Cost. a fronte dell'obbligo, non  coercibile,
di comparire presso un ufficio di polizia durante lo  svolgimento  di
manifestazioni sportive (sentenze n. 193 e n. 143 del 1996), ma la ha
invece esclusa con  riguardo  al  divieto  di  accedere  agli  stadi,
perche' l'assenza di un contatto con la pubblica  autorita',  in  tal
caso, determina una «minore incidenza sulla sfera della liberta'  del
soggetto»,  ovvero  non  ne  comporta  una   degradazione   giuridica
afferente alla dignita' della persona (sentenza n. 193 del 1996). 
    Non vi e' in questi casi, e  salvo  eccezioni,  quel  sottostante
giudizio sulla personalita' morale del singolo, e la incidenza  sulla
pari dignita' sociale dello stesso, che reclamano, ove posti  a  base
di una misura restrittiva pur non coercitiva, l'apparato di  garanzie
predisposto a tutela della liberta' personale. Tuttavia, non e' detto
che questo sia  sufficiente  sul  piano  costituzionale,  e  che  non
debbano invece aggiungersi a cio', in casi del tutto particolari,  le
garanzie offerte dall'art. 13 Cost., alla luce delle peculiarita' con
cui si e' eventualmente manifestato l'intervento legislativo. 
    6.- Sulla base di questi principi deve ritenersi che, nel caso di
specie,  e'  palese  che  la  misura  della   cosiddetta   quarantena
obbligatoria recata dall'art. 1, comma  6,  censurato  non  determina
alcuna degradazione giuridica di chi vi sia  soggetto  e  quindi  non
incide sulla liberta' personale. 
    Si  e'  qui,  infatti,  in  presenza  di  un  virus  respiratorio
altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo,  e  che  puo'
venire contratto da chiunque, quali siano  lo  stile  di  vita  e  le
condizioni personali e sociali. Innanzi a tali presupposti, la misura
predisposta  dal   legislatore   concerne   quindi   una   vasta   ed
indeterminata platea di persone. 
    E' dunque di immediata evidenza che l'accertamento dello stato di
positivita' non si congiunge ad alcuno  stigma  morale,  e  non  puo'
cagionare mortificazione della pari dignita' sociale, anche alla luce
del fatto che si tratta di una condizione condivisa  con  milioni  di
individui, accomunati da null'altro che dall'esposizione ad un agente
patogeno trasmissibile per via aerea. 
    6.1.-  Va  infine  ribadito  che  il  paragone  che  il   giudice
rimettente instaura con le misure degli arresti domiciliari  e  della
detenzione domiciliare e' insostenibile. 
    In tali casi si e' infatti in  presenza  di  misure  proprie  del
diritto penale, la cui applicazione e' inscindibilmente  connessa  ad
una valutazione  individuale  della  condotta  e  della  personalita'
dell'agente,   da   parte   dell'autorita'   giudiziaria    a    cio'
costituzionalmente competente. 
    Sono, questi, elementi che danno pienamente conto  delle  ragioni
per le quali non e' dubitabile che simili misure siano soggette  alla
riserva di giurisdizione  di  cui  all'art.  13  Cost.,  ma  che,  al
contempo, servono a chiarire perche' non lo debba  invece  essere  la
cosiddetta quarantena obbligatoria,  che  non  fa  seguito  ad  alcun
tratto di illiceita',  anche  solo  supposta,  nella  condotta  della
persona, ma alla sola circostanza, del tutto neutra sul  piano  della
personalita'  morale  e  della  pari  dignita'  sociale,  di  essersi
ammalata a causa di un agente patogeno diffuso nell'ambiente. 
    Per tale ragione,  sebbene  il  legislatore  abbia  costruito  la
figura di reato sull'inosservanza del provvedimento che sottopone  la
singola persona alla quarantena a seguito di positivita' al test  del
virus Covid-19, non solo non vi e' alcun obbligo ai  sensi  dell'art.
13  Cost.  che  tale  provvedimento  sia  convalidato  dall'autorita'
giudiziaria, ma di quest'ultimo provvedimento amministrativo  non  vi
sarebbe neppure stata la necessita' costituzionale. 
    Il legislatore ben potrebbe, infatti, configurare come  reato  la
condotta di chi, sapendosi malato,  lasci  la  propria  abitazione  o
dimora, esponendo  gli  altri  al  rischio  del  contagio,  senza  la
necessita' della sopravvenienza di  un  provvedimento  dell'autorita'
sanitaria. Cio' infatti e' accaduto durante la vigenza del d.l. n. 19
del 2020, il cui art. 4, comma 6, aveva  provveduto  proprio  in  tal
senso. 
    Del resto, la natura del  virus,  la  larghissima  diffusione  di
esso,  l'affidabilita'  degli  esami  diagnostici  per  rilevarne  la
presenza, sulla base  di  test  scientifici  obiettivi,  fugano  ogni
pericolo di «arbitrarieta' e di ingiusta  discriminazione»  (sentenza
n. 68 del 1964), tale da chiamare in causa il giudice,  affinche'  la
misura dell'isolamento sia disposta, o  convalidata  tempestivamente;
fermo restando che il  malato  non  solo,  come  si  e'  visto,  puo'
sottrarsi  alla  misura  obbligatoria,   ma   non   coercitiva   (pur
sostenendone le conseguenze penali), ma puo' altresi' far  valere  le
proprie ragioni, in  via  di  urgenza,  innanzi  al  giudice  comune,
perche' ne sia accertato il diritto di circolare, qualora difettino i
presupposti per l'isolamento. 
    7.- In definitiva, la questione di legittimita'  degli  artt.  1,
comma 6, e 2, comma 3, del d.l. n. 33 del 2020  non  e'  fondata,  in
riferimento all'art. 13 Cost., perche'  la  misura  della  cosiddetta
quarantena  obbligatoria  e'  istituto  che  limita  la  liberta'  di
circolazione, anziche' restringere la liberta' personale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
degli art. 1, comma 6, e 2, comma  3,  del  decreto-legge  16  maggio
2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti  per  fronteggiare  l'emergenza
epidemiologica da COVID-19),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 14 luglio 2020, n. 74, sollevata, in  riferimento  all'art.  13
della Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di  Reggio  Calabria,
sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA