N. 127 SENTENZA 7 aprile - 26 maggio 2022
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Divieto, per chi e' affetto al virus da COVID-19, di uscire dalla propria abitazione o dimora (c.d. quarantena obbligatoria) - Sanzione, in caso di violazione, con l'arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l'ammenda da euro 500 ad euro 5.000 - Denunciata violazione della riserva di giurisdizione in materia di liberta' personale - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, artt. 1, comma 6, e 2, comma 3. - Costituzione, art. 13.(GU n.22 del 1-6-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Giuliano AMATO; Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, promosso dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, sezione penale, nel procedimento penale a carico di M. A., con ordinanza del 15 aprile 2021, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2021. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera; deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2022. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 15 aprile 2021 (reg. ord. n. 141 del 2021), il Tribunale ordinario di Reggio Calabria, sezione penale, solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, in riferimento all'art. 13 della Costituzione. L'art. 1, comma 6, censurato stabilisce che «[e'] fatto divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorita' sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata». L'art. 2, comma 3, censurato aggiunge che «[s]alvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell'articolo 452 del codice penale o comunque piu' grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 6, e' punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265». Il giudice rimettente riferisce di dover giudicare un imputato tratto a giudizio direttissimo, tra l'altro, in relazione alla contravvenzione cosi' punita, perche' tale persona «non avrebbe osservato un ordine legalmente dato per impedire la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo». Sarebbe percio' palese la rilevanza della questione, che investe la legittimita' costituzionale della norma incriminatrice. In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che il divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora avrebbe un contenuto «assolutamente identico» alla restrizione imposta mediante gli arresti domiciliari ai sensi dell'art. 284 del codice di procedura penale, ovvero mediante la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'). Gli istituti di diritto penale appena citati inciderebbero senza dubbio sulla liberta' personale tutelata dall'art. 13 Cost. Il rimettente ne deduce che analoga conclusione debba essere formulata quanto al divieto di mobilita' oggetto di causa. Infatti, la quarantena obbligatoria implicherebbe una limitazione positiva legata alla persona, anziche' negativa in relazione ai luoghi: ovvero, essa «non impone un divieto di recarsi in determinati luoghi», ma «un divieto di muoversi a determinati soggetti». Il giudice a quo ne conclude che il provvedimento di adozione del divieto comporti una restrizione della liberta' personale, anziche' della liberta' di circolazione tutelata dall'art. 16 Cost., e che quindi esso debba essere adottato dall'autorita' giudiziaria, o soggetto a convalida di quest'ultima. Il giudice a quo, escluso che la lettera delle disposizioni impugnate permetta in via interpretativa di ritenere che il provvedimento sia soggetto a convalida dell'autorita' giudiziaria, dubita percio' della legittimita' costituzionale del divieto di mobilita' e del regime penale che ne accompagna la violazione, per lesione della riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost. 2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata. L'Avvocatura ritiene che la misura alla quale e' sottoposto chi si ammala vada ricondotta alla sfera della liberta' di circolazione, anziche' all'art. 13 Cost., deducendone l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale. Cio' sulla base, sia del criterio cosiddetto quantitativo, sia del criterio cosiddetto qualitativo, che sarebbero stati elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte e che determinerebbero, altresi', la non fondatezza della questione. Infatti, secondo la difesa statale, la restrizione, nel caso di specie, avrebbe carattere lieve e non comprometterebbe la dignita' della persona, sottoponendola ad un trattamento degradante. Tali considerazioni, che sottraggono al campo proprio dell'art. 13 Cost. i trattamenti sanitari obbligatori, varrebbero anche per i «cordoni sanitari» istituiti per contenere il contagio, anche se con provvedimenti diretti nei confronti di singoli individui. Il divieto di mobilita' per cui e' causa sarebbe percio' una misura limitativa della liberta' di circolazione, di natura provvisoria, e subordinata al «mero accertamento della positivita' al virus Covid-19». L'assenza di ogni carattere coercitivo renderebbe, inoltre, improprio il riferimento operato dal giudice rimettente agli istituti degli arresti domiciliari e della detenzione domiciliare, che invece comportano «forme di coazione fisica», quale l'applicazione del regime carcerario, in caso di inosservanza delle misure. 3.- Nell'imminenza dell'udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, limitandosi a reiterare gli argomenti gia' svolti in sede di intervento. Considerato in diritto 1.- Con ordinanza del 15 aprile 2021 (reg. ord. n. 141 del 2021) il Tribunale ordinario di Reggio Calabria, sezione penale, solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, in riferimento all'art. 13 della Costituzione. Il rimettente giudica un imputato al quale e' contestato, in concorso con altri reati, di essere uscito dalla propria abitazione, dopo che ne era stata accertata la positivita' al virus COVID-19. Il giudice a quo reputa il combinato disposto delle norme censurate difforme dall'art. 13 Cost., perche' esse non prevedono che il provvedimento dell'autorita' sanitaria, con il quale il malato e' sottoposto alla cosiddetta quarantena obbligatoria, sia convalidato entro 48 ore dall'autorita' giudiziaria. 2.- Nella fase iniziale della pandemia il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, aveva approntato una risposta penale per ogni violazione delle «misure di contenimento» attuate, sulla base di tale fonte primaria, a mezzo di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Tuttavia, fin dall'entrata in vigore del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, il legislatore ha preferito riservare la sanzione penale alla trasgressione ritenuta piu' grave, nell'ottica del contenimento del contagio, ovvero alla violazione del «divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorita' sanitaria locale, purche' risultate positive al virus», a condizione che tale misura fosse stata attivata con gli strumenti di cui all'art. 2 di tale testo normativo, ovvero d.P.C.m. o ordinanze del Ministro della salute (art. 1, comma 2, lettera e, del d.l. n. 19 del 2020). Con le disposizioni oggi censurate e' direttamente la legge, senza la successiva intermediazione di un d.P.C.m., a porre il «divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell' autorita' sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata» (art. 1, comma 6, del d.l. n. 33 del 2020, come convertito), nonche' a stabilire che «salvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell'articolo 452 del codice penale o comunque piu' grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 6, e' punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265» (art. 2, comma 3, del d.l. n. 33 del 2020). Tale figura contravvenzionale di reato mantiene analoga forma, quanto agli elementi costitutivi della fattispecie e alla pena comminata, con il sopravvenuto art. 4, comma 1, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), che «a decorrere dal 1° aprile 2022» introduce l'art. 10-ter nel testo del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 (Misure urgenti per la graduale ripresa delle attivita' economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 giugno 2021, n. 87. Quest'ultima disposizione, saldandosi all'art. 13, comma 2-bis, del d.l. n. 52 del 2021, come introdotto a propria volta dall'art. 11, comma 1, lettera b), del d.l. n. 24 del 2022, continua a comportare che sia incriminato, con la medesima pena, il fatto descritto dalle disposizioni del d.l. n. 33 del 2020, in forza delle quali l'imputato viene giudicato nel processo principale. Pertanto, e' palese che lo ius superveniens non interferisce con l'attuale questione di legittimita' costituzionale. 2.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l'inammissibilita' della questione, perche' il rimettente avrebbe errato nel ricondurre la misura della cosiddetta quarantena obbligatoria allo statuto giuridico della liberta' personale (art. 13 Cost.), anziche' a quello della liberta' di circolazione (art. 16 Cost.), che non contiene in se', diversamente dal primo, la riserva di giurisdizione. L'eccezione non e' fondata, posto che essa attiene con ogni evidenza al merito della questione, e non gia' ai suoi profili preliminari. 3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 3.1.- Il dubbio del rimettente nasce dalla convinzione che una misura cosi' limitativa della facolta' di libera locomozione, da impedire l'uscita dalla propria abitazione durante la malattia, non possa che ricadere nella sfera giuridica della liberta' personale, al pari di misure che il giudice a quo reputa del tutto affini quanto al grado di afflittivita', ovvero gli arresti domiciliari, che sono una misura cautelare (art. 284 del codice di procedura penale), e la detenzione domiciliare, ovvero una misura alternativa alla detenzione (art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'»). E' evidente che la facolta' di autodeterminarsi quanto alla mobilita' della propria persona nello spazio, in linea di principio, costituisce una componente essenziale sia della liberta' personale, sia della liberta' di circolazione. Tuttavia, i criteri che il rimettente suggerisce per qualificare la fattispecie ai sensi dell'art. 13 Cost., anziche' in base all'art. 16 Cost., non hanno mai trovato corrispondenza nella ormai pluridecennale giurisprudenza maturata da questa Corte sul punto controverso. Questa Corte, con la sentenza n. 68 del 1964, ha gia' rilevato che i «motivi di sanita'» che permettono alla legge, ai sensi dell'art. 16 Cost., di limitare in via generale la liberta' di circolazione delle persone possono giungere fino alla «necessita' di isolare individui affetti da malattie contagiose». Percio', in linea di principio, e impregiudicato ogni ulteriore profilo concernente la legittimita' costituzionale di tali misure, non si puo' negare che un cordone sanitario volto a proteggere la salute nell'interesse della collettivita' (art. 32 Cost) possa stringersi di quanto e' necessario, secondo un criterio di proporzionalita' e di adeguatezza rispetto alle circostanze del caso concreto, per prevenire la diffusione di malattie contagiose di elevata gravita'. A seconda dei casi, in particolare, e sempre alla luce della evoluzione della pandemia, il legislatore potra' orientarsi, sia nel senso di prescrivere un divieto generalizzato a recarsi in determinati luoghi, per esempio quando il fattore di contagio alberghi solo in questi ultimi (cio' che il rimettente definisce «limitazioni negative» legate al luogo, attribuendole all'art. 16 Cost.), sia nel senso di imporre un divieto di spostarsi a determinate persone, specie quando queste ultime, in ragione della liberta' di circolare, siano, a causa della contagiosita', un pericoloso vettore della malattia (cio' che il giudice a quo sostiene erroneamente comportare una «limitazione positiva» prescritta all'individuo, come tale in ogni caso presidiata dall'art. 13 Cost.). 3.2.- Si tratta di stabilire, anzitutto, se le modalita' con le quali una simile, gravosa misura siano state adottate non trasmodino, in concreto, in restrizione della liberta' personale. 3.3.- Inoltre, una volta che si sia giunti alla conclusione che la limitazione introdotta dal legislatore appartenga, a buon titolo, al campo governato dall'art. 16 Cost., e si sia quindi potuto escludere ogni rilievo all'art. 13 Cost., ugualmente occorrerebbe valutare la conformita' della misura adottata ai limiti costituzionali che il legislatore incontra in tema di compressione della liberta' di circolazione. Quest'ultima, pur priva della riserva di giurisdizione, resta assistita da garanzie consone al fondamentale rilievo costituzionale che connota la facolta' di locomozione, anche quale base fattuale per l'esercizio di numerosi altri diritti di primaria importanza. Tuttavia, tale secondo aspetto del problema non e' stato sottoposto all'attenzione di questa Corte dal giudice rimettente, che ha invece circoscritto il dubbio di costituzionalita' alla violazione dell'art. 13 Cost., sicche' e' solo a quest'ultima che deve riservarsi ora l'attenzione, restando invece impregiudicato ogni profilo afferente all'osservanza dell'art. 16 Cost. 4.- Nella giurisprudenza costituzionale, il nucleo irriducibile dell'habeas corpus, tutelato dall'art. 13 Cost. e ricavabile per induzione dal novero di atti espressamente menzionati dallo stesso articolo (detenzione, ispezione, perquisizione personale), comporta che il legislatore non possa assoggettare a coercizione fisica una persona, se non in forza di atto motivato dell'autorita' giudiziaria, o convalidato da quest'ultima entro quarantotto ore, qualora alla coercizione abbia invece provveduto l'autorita' di pubblica sicurezza. L'impiego della forza per restringere la capacita' di disporre del proprio corpo, purche' cio' avvenga in misura non del tutto trascurabile e momentanea (sentenze n. 30 del 1962 e n. 13 del 1972), e' quindi precluso alla legge dalla lettera stessa dell'art. 13 Cost., se non interviene il giudice, la cui posizione di indipendenza e imparzialita' assicura che non siano commessi arbitri in danno delle persone. Qualora, pertanto, il legislatore intervenga sulla liberta' di locomozione, indice certo per assegnare tale misura all'ambito applicativo dell'art. 13 Cost. (e non dell'art. 16 Cost.) e' che essa sia non soltanto obbligatoria (tale, vale a dire, da comportare una sanzione per chi vi si sottragga), ma anche tale da richiedere una coercizione fisica. Per detta ragione, questa Corte ha ritenuto che un mero ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, la cui esecuzione sia affidata alla collaborazione spontanea di chi lo riceve, afferisca alla liberta' di circolazione, ma che, diversamente, ove l'ordine comporti la traduzione fisica della persona, esso debba essere assistito dalle garanzie di cui all'art. 13 Cost. (sentenze n. 2 del 1956 e n. 45 del 1960). Parimenti, il respingimento dello straniero con accompagnamento coattivo alla frontiera, a differenza dell'ordine di espulsione, restringe la liberta' personale in ragione di tale «modalita' esecutiva» (sentenza n. 275 del 2017; in precedenza, sentenza n. 222 del 2004). L'«assoggettamento fisico all'altrui potere e che e' indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della liberta' personale» contraddistingue anche il trattenimento dello straniero presso centri di permanenza e assistenza, in quanto l'autorita' competente, «avvalendosi della forza pubblica» adotta misure che impediscono di abbandonare il luogo (sentenze n. 105 del 2001; si veda, inoltre, la sentenza n. 23 del 1975). Sempre in osservanza del fondamentale criterio che attiene alla coercizione fisica, questa Corte ha ricondotto all'art. 13 Cost. l'esecuzione di un prelievo ematico nel corso di un procedimento penale «quando se ne renda necessaria la esecuzione coattiva» (sentenza n. 238 del 1996), ma ha invece escluso l'applicabilita' di tale disposizione costituzionale al test alcolemico, ove proposto a chi sia sospettato di aver guidato in stato di ebbrezza, considerato che la persona, pur commettendo reato in caso di rifiuto ingiustificato, «non subisce coartazione alcuna, potendosi rifiutare in caso di ritenuto abuso di potere da parte dell'agente» di pubblica sicurezza (sentenza n. 194 del 1996). Ed e' bene precisare che qualora sia previsto il ricorso alla forza fisica al fine di instaurare o mantenere in essere, con apprezzabile durata, una misura restrittiva della facolta' di libera locomozione, allora la circostanza che la legge abbia introdotto tale misura in via generale per motivi di sanita' non comporta che essa vada assegnata alla garanzia costituzionale offerta dall'art. 16 Cost., e sfugga cosi' alla riserva di giurisdizione, posto che detto elemento coercitivo implica necessariamente che sia l'autorita' giudiziaria ad applicare la restrizione, o a convalidarne l'esecuzione provvisoria. Cosi', in particolare, la garanzia di cui all'art. 13 Cost. raggiunge certamente misure disposte o protratte coattivamente, anche se sorrette da finalita' di cura, perche' «quanto meno allorche' un dato trattamento sia configurato dalla legge non soltanto come "obbligatorio" - con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi non si sottoponga spontaneamente ad esso, ma anche come "coattivo" - potendo il suo destinatario essere costretto con la forza a sottoporvisi, sia pure entro il limite segnato dal rispetto della persona umana - le garanzie dell'art. 32, secondo comma, Cost. debbono sommarsi a quelle dell'art. 13 Cost., che tutela in via generale la liberta' personale, posta in causa in ogni caso di coercizione che abbia ad oggetto il corpo della persona» (sentenza n. 22 del 2022). 4.1.- Cio' premesso, l'obbligo, per chi e' sottoposto a quarantena per provvedimento dell'autorita' sanitaria, in quanto risultato positivo al virus COVID-19, di non uscire dalla propria abitazione o dimora, non restringe la liberta' personale, anzitutto perche' esso non viene direttamente accompagnato da alcuna forma di coercizione fisica, ne' in fase iniziale, ne' durante la protrazione di esso per il corso della malattia. Il destinatario del provvedimento e' infatti senza dubbio obbligato ad osservare l'isolamento, a pena di incorrere nella sanzione penale, ma non vi e' costretto ricorrendo ad una coercizione fisica, al punto che la normativa non prevede neppure alcuna forma di sorveglianza in grado di prevenire la violazione. In definitiva, chiunque sia sottoposto alla "quarantena" e si allontani dalla propria dimora incorrera' nella sanzione prevista dalla disposizione censurata, ma non gli si potra' impedire fisicamente di lasciare la dimora stessa, ne' potra' essere arrestato in conseguenza di tale violazione. Non puo' a tale proposito sfuggire la marcata differenza che separa tale fattispecie dalle ipotesi normative evocate dal rimettente per giustificare l'applicazione dell'art. 13 Cost. Sia la misura cautelare degli arresti domiciliari (art. 284 cod. proc. pen.), sia la misura alternativa alla detenzione costituita dalla detenzione domiciliare (art. 47-ter della legge n. 354 del 1975) sono, infatti, coattivamente imposte e mantenute in vigore, al punto che l'art. 3 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e di buon andamento dell'attivita' amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, consente l'arresto di chi sia evaso anche al di fuori dei casi di flagranza. Non vi e' quindi, su questo piano, alcun paragone possibile tra l'introduzione, da parte delle norme censurate e a pena di commettere una contravvenzione, del solo obbligo di non uscire di casa se malati, al fine di scongiurare ulteriori contagi, e l'esecuzione di provvedimenti tipici del diritto penale, ai quali e' connaturata la coercibilita', perlomeno per i casi di inosservanza. 5.- Fin dagli esordi della sua giurisprudenza, questa Corte ha riconosciuto che l'art. 13 Cost. deve trovare spazio non soltanto a fronte di restrizioni mediate dall'impiego della forza fisica, ma anche a quelle che comportino l'«assoggettamento totale della persona all'altrui potere», con le quali, vale a dire, viene compromessa la «liberta' morale» degli individui (sentenza n. 30 del 1962), imponendo loro «una sorta di degradazione giuridica» (sentenza n. 11 del 1956). Tale criterio di lettura ha trovato ripetutamente applicazione, ove si e' trattato di qualificare sul piano costituzionale i limiti imposti alla facolta' di libera locomozione, che non fossero accompagnati da forme di coercizione (sentenze n. 144 del 1997; n. 193 e n. 143 del 1996; n. 210 del 1995; n. 419 del 1994; n. 68 del 1964; n. 45 del 1960), e che, di conseguenza, si prestavano, in linea astratta, a convergere verso il campo di applicazione dell'art. 16 Cost. Questa Corte ha tenuto ferma, al contrario, la necessita' che simili restrizioni, ove implicanti «degradazione giuridica», fossero assistite dalle piene garanzie dell'habeas corpus offerte dallo statuto della liberta' personale. Specie a fronte di un vasto apparato di misure di prevenzione, che la legislazione dei tempi affidava alla gestione della sola autorita' di pubblica sicurezza, si e' infatti ritenuto che la medesima esigenza costituzionale di preservare la liberta' dell'individuo, comprimibile solo per atto motivato dell'autorita' giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge, dovesse essere avvertita non soltanto innanzi allo spiegamento di forme coercitive (il cui esercizio segna la piu' icastica manifestazione del monopolio statale della forza), ma anche per quei casi nei quali la legge assoggetta l'individuo a specifiche prescrizioni che si riflettono sulla facolta' di disporre di se' e del proprio corpo, compresa quella di locomozione, recando al contempo «una menomazione o mortificazione della dignita' o del prestigio della persona» (sentenze n. 419 del 1994 e n. 68 del 1964). Si tratta, e' appena il caso di precisarlo, di un criterio che e' stato utilizzato nella giurisprudenza di questa Corte solo per allargare lo scudo protettivo dell'art. 13 Cost., e in nessun caso per ridimensionarlo: in altri termini, ove la restrizione sia ottenuta mediante coercizione fisica, essa continua ad afferire alla liberta' personale, quand'anche non rechi degradazione giuridica. Nel caso opposto, prescrizioni restrittive degradanti per la persona, per quanto previste dalla legge e necessarie a perseguire il «fine costituzionalmente tracciato» che le giustifica (sentenza n. 219 del 2008), non possono sfuggire alla riserva di giurisdizione, perche' esse, separando l'individuo o un gruppo circoscritto di individui dal resto della collettivita', e riservando loro un trattamento deteriore, portano con se' un elevato tasso di potenziale arbitrarieta', al quale lo Stato di diritto oppone il filtro di controllo del giudice, quale organo chiamato alla obiettiva applicazione della legge in condizioni di indipendenza e imparzialita'. 5.1.- Naturalmente, puo' essere complicato, talvolta, distinguere, tra le incisioni della facolta' di locomozione, quelle che convergono, in quanto degradanti, verso la liberta' personale, e quindi di competenza dell'autorita' giudiziaria, e quelle che, invece, afferiscono alla liberta' di circolazione. Basti pensare, a tale proposito, che questa Corte ha ravvisato la pertinenza dell'art. 13 Cost. a fronte dell'obbligo, non coercibile, di comparire presso un ufficio di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive (sentenze n. 193 e n. 143 del 1996), ma la ha invece esclusa con riguardo al divieto di accedere agli stadi, perche' l'assenza di un contatto con la pubblica autorita', in tal caso, determina una «minore incidenza sulla sfera della liberta' del soggetto», ovvero non ne comporta una degradazione giuridica afferente alla dignita' della persona (sentenza n. 193 del 1996). Non vi e' in questi casi, e salvo eccezioni, quel sottostante giudizio sulla personalita' morale del singolo, e la incidenza sulla pari dignita' sociale dello stesso, che reclamano, ove posti a base di una misura restrittiva pur non coercitiva, l'apparato di garanzie predisposto a tutela della liberta' personale. Tuttavia, non e' detto che questo sia sufficiente sul piano costituzionale, e che non debbano invece aggiungersi a cio', in casi del tutto particolari, le garanzie offerte dall'art. 13 Cost., alla luce delle peculiarita' con cui si e' eventualmente manifestato l'intervento legislativo. 6.- Sulla base di questi principi deve ritenersi che, nel caso di specie, e' palese che la misura della cosiddetta quarantena obbligatoria recata dall'art. 1, comma 6, censurato non determina alcuna degradazione giuridica di chi vi sia soggetto e quindi non incide sulla liberta' personale. Si e' qui, infatti, in presenza di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che puo' venire contratto da chiunque, quali siano lo stile di vita e le condizioni personali e sociali. Innanzi a tali presupposti, la misura predisposta dal legislatore concerne quindi una vasta ed indeterminata platea di persone. E' dunque di immediata evidenza che l'accertamento dello stato di positivita' non si congiunge ad alcuno stigma morale, e non puo' cagionare mortificazione della pari dignita' sociale, anche alla luce del fatto che si tratta di una condizione condivisa con milioni di individui, accomunati da null'altro che dall'esposizione ad un agente patogeno trasmissibile per via aerea. 6.1.- Va infine ribadito che il paragone che il giudice rimettente instaura con le misure degli arresti domiciliari e della detenzione domiciliare e' insostenibile. In tali casi si e' infatti in presenza di misure proprie del diritto penale, la cui applicazione e' inscindibilmente connessa ad una valutazione individuale della condotta e della personalita' dell'agente, da parte dell'autorita' giudiziaria a cio' costituzionalmente competente. Sono, questi, elementi che danno pienamente conto delle ragioni per le quali non e' dubitabile che simili misure siano soggette alla riserva di giurisdizione di cui all'art. 13 Cost., ma che, al contempo, servono a chiarire perche' non lo debba invece essere la cosiddetta quarantena obbligatoria, che non fa seguito ad alcun tratto di illiceita', anche solo supposta, nella condotta della persona, ma alla sola circostanza, del tutto neutra sul piano della personalita' morale e della pari dignita' sociale, di essersi ammalata a causa di un agente patogeno diffuso nell'ambiente. Per tale ragione, sebbene il legislatore abbia costruito la figura di reato sull'inosservanza del provvedimento che sottopone la singola persona alla quarantena a seguito di positivita' al test del virus Covid-19, non solo non vi e' alcun obbligo ai sensi dell'art. 13 Cost. che tale provvedimento sia convalidato dall'autorita' giudiziaria, ma di quest'ultimo provvedimento amministrativo non vi sarebbe neppure stata la necessita' costituzionale. Il legislatore ben potrebbe, infatti, configurare come reato la condotta di chi, sapendosi malato, lasci la propria abitazione o dimora, esponendo gli altri al rischio del contagio, senza la necessita' della sopravvenienza di un provvedimento dell'autorita' sanitaria. Cio' infatti e' accaduto durante la vigenza del d.l. n. 19 del 2020, il cui art. 4, comma 6, aveva provveduto proprio in tal senso. Del resto, la natura del virus, la larghissima diffusione di esso, l'affidabilita' degli esami diagnostici per rilevarne la presenza, sulla base di test scientifici obiettivi, fugano ogni pericolo di «arbitrarieta' e di ingiusta discriminazione» (sentenza n. 68 del 1964), tale da chiamare in causa il giudice, affinche' la misura dell'isolamento sia disposta, o convalidata tempestivamente; fermo restando che il malato non solo, come si e' visto, puo' sottrarsi alla misura obbligatoria, ma non coercitiva (pur sostenendone le conseguenze penali), ma puo' altresi' far valere le proprie ragioni, in via di urgenza, innanzi al giudice comune, perche' ne sia accertato il diritto di circolare, qualora difettino i presupposti per l'isolamento. 7.- In definitiva, la questione di legittimita' degli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del d.l. n. 33 del 2020 non e' fondata, in riferimento all'art. 13 Cost., perche' la misura della cosiddetta quarantena obbligatoria e' istituto che limita la liberta' di circolazione, anziche' restringere la liberta' personale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli art. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, sollevata, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2022. F.to: Giuliano AMATO, Presidente Augusto Antonio BARBERA, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2022. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA