N. 172 ORDINANZA 23 giugno - 11 luglio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Trattamenti pensionistici i cui importi complessivamente
  considerati  superano  100.000  euro  lordi  annui  -  Decurtazione
  percentuale progressiva, per la durata originaria di  cinque  anni,
  dell'ammontare lordo annuo,  purche'  il  trattamento  non  risulti
  inferiore ai 100.000 euro e non sia interamente  liquidato  con  il
  sistema contributivo - Denunciata irragionevolezza,  violazione  di
  principi di affidamento, uguaglianza e adeguatezza del  trattamento
  previdenziale,  nonche'  di  capacita'  contributiva  -   Manifesta
  inammissibilita' delle questioni. 
Previdenza - Trattamenti pensionistici i cui importi complessivamente
  considerati  superano  100.000  euro  lordi  annui  -  Decurtazione
  percentuale progressiva, per la  durata,  a  seguito  di  pronuncia
  costituzionale, di tre anni, dell'ammontare lordo annuo, purche' il
  trattamento non  risulti  inferiore  ai  100.000  euro  e  non  sia
  interamente liquidato con  il  sistema  contributivo  -  Denunciata
  irragionevolezza,   violazione   di   principi   di    affidamento,
  uguaglianza e adeguatezza del trattamento previdenziale, nonche' di
  capacita'   contributiva   -   Manifesta   inammissibilita'   delle
  questioni. 
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, commi da 261 a 268. 
- Costituzione, artt. 3, 23, 36, 38 e 53. 
(GU n.28 del 13-7-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  da
261 a 268,  della  legge  30  dicembre  2018,  n.  145  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2019  e  bilancio
pluriennale per il triennio  2019-2021),  promossi  dalla  Corte  dei
conti, sezione  giurisdizionale  regionale  per  il  Lazio,  con  due
ordinanze del 22 giugno 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 54
e  55  del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 18,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Visti gli atti  di  costituzione  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza  sociale  (INPS),  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022. 
    Ritenuto che, con distinte ordinanze del 22 giugno 2020, iscritte
ai numeri 54 e 55 del registro ordinanze 2021, la  Corte  dei  conti,
sezione  giurisdizionale  regionale  per  il  Lazio,   ha   sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 261  a
268, della legge 30 dicembre 2018, n.  145  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio 2019-2021), in riferimento agli artt. 3, 23,  36,  38  e  53
della Costituzione,  «in  relazione  all'intervento  di  decurtazione
percentuale  per  un  quinquennio  dell'ammontare  lordo  annuo   dei
trattamenti ivi previsti»; 
    che, per quanto riferiscono le ordinanze,  i  giudizi  principali
hanno ad oggetto la domanda proposta nei confronti del Presidente del
Consiglio dei ministri, del Ministro dell'economia e delle finanze  e
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)  da  titolari
di pensione di elevato importo, i  quali  rivendicano  l'integralita'
del trattamento di quiescenza, senza la decurtazione stabilita  dalla
norma censurata; 
    che, ad avviso del rimettente, quest'ultima, avendo introdotto un
prelievo forzoso di abnorme durata e  ingiustificatamente  selettivo,
avrebbe violato gli evocati parametri, segnatamente  «i  principi  di
ragionevolezza, di affidamento, di uguaglianza e di  adeguatezza  del
trattamento previdenziale nonche' quello di capacita' contributiva»; 
    che, in entrambi i giudizi,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale   dello   Stato,   chiedendo   dichiararsi   le    questioni
inammissibili o  manifestamente  infondate,  attesa  la  sopravvenuta
sentenza n. 234 del 2020, con la quale  questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 261,  della  legge
n. 145 del 2018, per violazione degli artt. 3, 23,  36  e  38  Cost.,
nella parte in cui stabilisce la  riduzione  degli  assegni  «per  la
durata di cinque anni», anziche' «per la durata di tre anni»; 
    che, costituitosi in entrambi  i  giudizi,  l'INPS  ha  formulato
conclusioni   analoghe,   in   ragione   della   medesima    sentenza
sopravvenuta, avendo questa determinato la cessazione del prelievo  a
far data dal 31 dicembre 2021. 
    Considerato che  la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale
regionale per il Lazio (ordinanze n. 54 e n. 55 del reg. ord.  2021),
ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
commi da 261 a 268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2019  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2019-2021), in riferimento agli artt.  3,
23, 36, 38 e 53 della Costituzione, «in relazione  all'intervento  di
decurtazione percentuale  per  un  quinquennio  dell'ammontare  lordo
annuo dei trattamenti ivi previsti»; 
    che il rimettente, investito  della  domanda  proposta  verso  il
Presidente del Consiglio dei ministri, il  Ministro  dell'economia  e
delle finanze e l'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS)
da titolari di pensione di elevato importo, i  quali  rivendicano  il
trattamento di quiescenza senza la decurtazione stabilita dalla norma
censurata,  dubita  che  questa,  imponendo  un  prelievo  di  durata
eccessiva  e  ingiustificata  entita',  abbia  leso  «i  principi  di
ragionevolezza, di affidamento, di uguaglianza e di  adeguatezza  del
trattamento previdenziale nonche' quello di capacita' contributiva»; 
    che il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
entrambi i giudizi per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato,  e
l'INPS, negli  stessi  costituitosi,  hanno  chiesto  dichiararsi  le
questioni  inammissibili  o  manifestamente  infondate,   attesa   la
sopravvenuta sentenza n. 234 del 2020, con la quale questa  Corte  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  261,
della legge n. 145 del 2018, per violazione degli artt. 3, 23,  36  e
38 Cost., nella parte in cui stabilisce la  riduzione  degli  assegni
«per la durata di cinque anni», anziche' «per la durata di tre anni»; 
    che i giudizi devono essere riuniti, poiche' vertono su questioni
connesse; 
    che, per effetto dell'art. 1, comma 261, della legge n.  145  del
2018, i trattamenti  pensionistici  diretti  di  importo  complessivo
superiore a 100.000 euro lordi su base annua  sono  ridotti,  per  la
durata di cinque anni, nella misura del 15 per  cento  per  la  parte
eccedente tale importo fino a 130.000 euro, 25 per cento per la parte
eccedente 130.000 euro fino a 200.000 euro, 30 per cento per la parte
eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, 35 per cento per la parte
eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e  40  per  cento  per  la
parte eccedente 500.000 euro; 
    che i commi dal 262 al  268  dell'art.  1  della  medesima  legge
contengono   alcune   disposizioni   particolari   concernenti   tale
riduzione, tra le quali segnatamente la previsione per cui essa  «non
si applica  comunque  alle  pensioni  interamente  liquidate  con  il
sistema contributivo» (comma 263), quella secondo la quale  le  somme
risparmiate «restano accantonate» presso gli enti previdenziali in un
«Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici  di  importo  elevato»
(comma 265) e l'altra per cui,  nonostante  la  riduzione,  l'importo
complessivo del trattamento «non puo'  comunque  essere  inferiore  a
100.000 euro lordi su base annua» (comma 267); 
    che la sentenza n. 234 del 2020 ha qualificato la decurtazione in
esame non come prelievo tributario, ma come  misura  di  solidarieta'
endoprevidenziale, in quanto i risparmi di spesa  che  ne  conseguono
non sono acquisiti al  bilancio  statale,  ma  accantonati  in  fondi
previdenziali; 
    che lo scrutinio di legittimita' costituzionale non deve pertanto
riferirsi al principio di universalita'  dell'imposizione  tributaria
ex  art.  53  Cost.,  ma  alla   ragionevolezza   della   prestazione
patrimoniale imposta ex art. 23 Cost., nella prospettiva  del  canone
solidaristico di cui all'art. 2 Cost.; 
    che l'incidenza della decurtazione sulle posizioni individuali e'
temperata sia dalla progressivita'  delle  aliquote  sugli  scaglioni
eccedentari, sia dalla clausola di salvaguardia, in base  alla  quale
l'applicazione del contributo di solidarieta' non puo' mai ridurre la
prestazione erogata al di sotto della soglia dei 100.000 euro annui; 
    che la misura in esame ha  anche  una  funzione  di  riequilibrio
intergenerazionale, poiche' - come si e' visto  -  ne  viene  esclusa
l'applicazione alle pensioni interamente  liquidate  con  il  sistema
contributivo, di regola riservate ai lavoratori piu'  giovani,  e  di
importo inferiore a quelle liquidate  con  il  metodo  retributivo  o
misto; 
    che in tal senso rileva la connessione teleologica tra la  misura
in questione e gli obiettivi di ricambio  generazionale  nel  mercato
del lavoro, che  il  legislatore  ha  inteso  perseguire  tramite  il
pensionamento  anticipato  in  "quota   100",   introdotto   in   via
sperimentale per il triennio 2019-2021; 
    che, sebbene non attinti  dal  prelievo  in  se',  ragionevole  e
solidaristicamente orientato, gli artt. 3, 23, 36  e  38  Cost.  sono
stati tuttavia violati dalla sua durata ultratriennale, che eccede la
proiezione temporale della sperimentazione di "quota 100" e lo stesso
orizzonte triennale del bilancio di previsione, oltre  che  il  lasso
ordinario delle valutazioni diacroniche in materia previdenziale; 
    che,  in  conseguenza  della   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale pronunciata da questa Corte con la menzionata sentenza
n. 234 del 2020, il prelievo di cui  all'art.  1,  comma  261,  della
legge n. 145 del 2018 e' cessato a far data  dal  31  dicembre  2021,
effetto per il quale  il  legislatore  ha  approntato  la  necessaria
copertura finanziaria, mediante la disposizione  dell'art.  1,  comma
372, della legge 30 dicembre 2020, n.  178  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il
triennio 2021-2023); 
    che quindi, per quanto  concerne  la  durata  quinquennale  della
decurtazione, le questioni ora in scrutinio devono essere  dichiarate
manifestamente inammissibili, poiche' essa e' gia' stata ricondotta a
legittimita' costituzionale, con limitazione al triennio, sicche'  e'
sopravvenuta  la  carenza  dell'oggetto  della  censura  (ex  multis,
ordinanze n. 102 del 2022, n. 206 e n. 93 del 2021, n. 125 e  n.  105
del 2020 e n. 71 del 2017); 
    che invece, per quanto riguarda la riduzione  degli  assegni  nei
limiti della durata triennale, atteso che  il  rimettente  non  porta
argomenti  nuovi  rispetto  a  quelli  giudicati  non  fondati  dalla
sentenza  n.  234  del  2020,  le  odierne  questioni  devono  essere
dichiarate manifestamente infondate (ex multis, ordinanze n.  82  del
2022, n. 224, n. 214, n. 165 e n. 111 del 2021, n. 204, n. 93 e n. 81
del 2020). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale, vigente ratione temporis. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 261  a  268,  della
legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2019-2021),  nella  parte  in  cui  stabilisce   la   riduzione   dei
trattamenti pensionistici ivi  indicati  «per  la  durata  di  cinque
anni»,  anziche'  «per  la  durata  di  tre  anni»,   sollevate,   in
riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 della  Costituzione,  dalla
Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio,  con
le ordinanze indicate in epigrafe; 
    2)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 261  a  268,  della
legge n. 145 del 2018, nella parte in cui stabilisce la riduzione dei
trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di  tre  anni»,
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost.,  dalla
Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio,  con
le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA