N. 183 SENTENZA 23 giugno - 22 luglio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro - Licenziamento individuale - Lavoratore assunto con contratto
  di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti -  Licenziamento
  illegittimo intimato da datori  di  lavoro  che  non  possiedono  i
  requisiti dimensionali di cui all'art. 18,  commi  ottavo  e  nono,
  dello statuto dei lavoratori -  Previsione  che  l'ammontare  delle
  indennita' e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il  limite
  di  sei   mensilita'   -   Inammissibilita'   delle   questioni   -
  Indifferibilita'  dell'intervento  del  legislatore,  al  fine   di
  garantire appieno la tutela del lavoro. 
- Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, art. 9, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 4,  35,  primo  comma,  e  117,
  primo comma; Carta sociale europea, art. 24. 
(GU n.30 del 27-7-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1,
del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in  materia
di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele  crescenti,  in
attuazione della legge  10  dicembre  2014,  n.  183),  promosso  dal
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del  lavoro,  nel
procedimento instaurato da F. M.H. contro Cosi' per Gioco 2 srls, con
ordinanza del 26 febbraio  2021,  iscritta  al  n.  84  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti l'atto  di  costituzione  di  F.  M.H,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore
Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Filippo Aiello e Alberto Piccinini per F. M.H.
e l'avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 febbraio 2021, iscritta  al  n.  84  del
registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Roma, in  funzione
di  giudice  del  lavoro,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4  marzo
2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro  a  tempo
indeterminato a  tutele  crescenti,  in  attuazione  della  legge  10
dicembre 2014, n. 183), in riferimento agli artt. 3, primo comma,  4,
35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo
in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea,  riveduta,  con
annesso, fatta a Strasburgo il  3  maggio  1996,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30. 
    La disposizione e' censurata limitatamente alle  parole  «ove  il
datore di lavoro  non  raggiunga  i  requisiti  dimensionali  di  cui
all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n.  300  del  1970,
[...]  l'ammontare   delle   indennita'   e   dell'importo   previsti
dall'articolo 3, comma 1, [...] e' dimezzato e non puo' in ogni  caso
superare il limite di sei mensilita'». 
    1.1.- Il giudice  a  quo  e'  chiamato  a  decidere  sul  ricorso
proposto da  una  lavoratrice,  licenziata  per  giustificato  motivo
oggettivo da un datore  di  lavoro  che  non  raggiunge  i  requisiti
dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge  20
maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale,  nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento). 
    Il rimettente ritiene che non sia stata dimostrata la sussistenza
del giustificato motivo oggettivo,  dedotto  in  termini  generici  e
tautologici, e che il rapporto di lavoro, instaurato dopo il 7  marzo
2015, sia assoggettato alle previsioni degli artt. 3 e 9  del  d.lgs.
n. 23 del 2015, che dimezzano l'indennizzo  spettante  al  lavoratore
ingiustamente licenziato e pongono il limite invalicabile  delle  sei
mensilita' dell'ultima retribuzione percepita. 
    1.2.- L'indennita' dovrebbe  essere  individuata  «nello  stretto
varco risultante fra il minimo di tre e il massimo di sei mensilita'»
e sarebbe inidonea, pertanto, «a soddisfare il test di adeguatezza» e
a garantire il riconoscimento di un'indennita' personalizzata. 
    Il  tenore  letterale  della   disposizione   censurata   sarebbe
inequivocabile  e  non  si  presterebbe  ad  alcuna   interpretazione
costituzionalmente   orientata,   che   consenta   di   salvaguardare
l'adeguatezza  e  la   dissuasivita'   del   rimedio   previsto   dal
legislatore. 
    Il rimettente prospetta il  contrasto  con  gli  artt.  3,  primo
comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in
relazione all'art. 24 della Carta sociale europea. 
    Le censure muovono dal rilievo che la distinzione delle tutele in
base ai requisiti occupazionali del datore di lavoro sia fondata  «su
un  elemento  che  risulta  esterno  al  rapporto  di  lavoro»  e  si
giustifichi  alla  luce   del   carattere   piu'   problematico   del
riassorbimento del lavoratore nelle realta' di piccole dimensioni. 
    La  tutela  del   diritto   al   lavoro,   che   si   tradurrebbe
nell'imposizione di limiti al potere di recesso del datore di lavoro,
potrebbe  essere  anche  affidata  a  un  meccanismo   monetario,   a
condizione  che  sia  garantita  la   complessiva   adeguatezza   del
risarcimento, prescritta  anche  dall'art.  24  della  Carta  sociale
europea. 
    Il rimettente assume che «la previsione di  un  indennizzo  cosi'
esiguo»,  non  superiore  alle  sei  mensilita'   e   senza   neppure
«l'alternativa   della   riassunzione»,   non   attui   un   adeguato
contemperamento  degli  interessi   in   conflitto.   La   previsione
censurata, difatti, «nella parte in cui determina un  limite  massimo
del tutto  inadeguato  e  per  nulla  dissuasivo»,  non  garantirebbe
«un'equilibrata  compensazione»   e   «un   adeguato   ristoro»   del
pregiudizio e non svolgerebbe la necessaria funzione deterrente. 
    Secondo il giudice a quo, l'art. 24 della Carta sociale  europea,
nell'imporre un congruo indennizzo o altra adeguata  riparazione  nel
caso di licenziamento intimato senza un valido motivo, vieterebbe  in
linea di principio la predeterminazione  di  un  tetto  massimo,  che
svincola l'indennita' dal danno subito e non  presenta  un  carattere
sufficientemente dissuasivo. 
    La «funzione compensativa» e «l'efficacia deterrente della tutela
indennitaria» sarebbero compromesse,  inoltre,  dalla  previsione  di
un'indennita' «ricompresa in un divario fra tre  e  sei  mensilita'»,
che rappresenterebbe «una forma  pressoche'  uniforme  di  tutela»  e
finirebbe  per  attribuire  rilievo  esclusivo   al   «numero   degli
occupati». Si tratterebbe di «criterio  trascurabile  nell'ambito  di
quella che  e'  l'attuale  economia»,  che  non  consentirebbe  alcun
adeguamento dell'importo  riconosciuto  alle  peculiarita'  del  caso
concreto e, in particolare, alla «gravita' della violazione», al piu'
significativo criterio delle dimensioni dell'impresa, legato anche ai
«dati economico finanziari ricavabili dai bilanci». 
    2.- Si e' costituita in giudizio la parte ricorrente nel giudizio
principale e ha chiesto di accogliere le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal Tribunale di Roma. 
    2.1.- In punto di  ammissibilita',  la  parte  evidenzia  che  il
giudice a quo ha esposto in modo esauriente i fatti  di  causa  e  ha
offerto un'adeguata motivazione circa la rilevanza delle questioni  e
l'impraticabilita' di una  interpretazione  adeguatrice.  Il  petitum
sarebbe stato formulato in termini inequivocabili e solleciterebbe  a
questa Corte un intervento «a rime obbligate». 
    2.2.- Quanto al merito delle questioni, la disposizione censurata
non consentirebbe di adeguare l'ammontare  dell'indennita',  «ridotto
fra tre e sei mensilita'», alle particolarita' del caso concreto,  in
base ai criteri valorizzati dalla  stessa  giurisprudenza  di  questa
Corte. Nel caso di specie, sarebbe soltanto il numero degli occupati,
poco significativo ai fini  della  valutazione  dell'effettiva  forza
economica dell'impresa, a determinare l'ammontare dell'indennita'. 
    La tutela riconosciuta dalla legge, con un indennizzo di  «misura
esigua», non sarebbe ne' adeguata, ne' dissuasiva. 
    A  sostegno  della  razionalita'  del  criterio  individuato  dal
legislatore, non si potrebbero neppure invocare le considerazioni  di
questa Corte, che ha reputato compatibile con la Costituzione,  nelle
imprese  piu'   piccole,   un   regime   di   tutela   esclusivamente
indennitaria. In tali fattispecie, si  coglierebbero  ragioni  legate
all'esigenza di salvaguardare la natura fiduciaria  del  rapporto  di
lavoro e di non gravare tali imprese di costi eccessivi. Ragioni  che
non  si  adatterebbero  a  un   sistema   di   tutela   eminentemente
indennitaria. 
    La parte rileva, inoltre, che la disciplina censurata si  applica
alla «quasi totalita' delle imprese nazionali» e alla «gran parte dei
lavoratori». L'accoglimento delle questioni, nei termini  prospettati
dal rimettente, varrebbe a conferire portata generale alla regola  di
cui all'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, che gia'  consentirebbe  di
attribuire rilievo alle dimensioni dell'impresa. Ove tale strada  non
apparisse percorribile, si potrebbe comunque caducare  la  fissazione
del tetto massimo delle sei mensilita', senza incidere  sulla  regola
del dimezzamento dell'importo delle indennita'. 
    3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e  ha  chiesto  di  dichiarare  inammissibili,  irrilevanti  o
comunque  manifestamente  infondate  le   questioni   sollevate   dal
Tribunale di Roma. 
    3.1.- In linea preliminare, l'interveniente reputa  le  questioni
inammissibili, in  quanto  si  tratterebbe  di  «scegliere  tra  piu'
opzioni normative», in un ambito riservato alla discrezionalita'  del
legislatore. Lo stesso  rimettente  non  avrebbe  indicato  soluzioni
alternative atte a rideterminare  l'indennita'  in  diversa,  e  piu'
adeguata, misura. 
    Ulteriore profilo di  inammissibilita'  si  riscontrerebbe  nella
carente motivazione in  ordine  alla  rilevanza.  Il  rimettente  non
avrebbe illustrato le ragioni dell'inadeguatezza dell'indennizzo  che
e' chiamato a liquidare nel caso di specie. 
    3.2.- Nel merito, le questioni non sarebbero comunque fondate. 
    Spetterebbe alla discrezionalita' del legislatore la  scelta  dei
tempi e dei modi della tutela  contro  i  licenziamenti  illegittimi,
tutela  che  ben  potrebbe  essere   esclusivamente   monetaria.   Il
dimezzamento  previsto  per  i  «contesti  occupazionali  di   minori
dimensioni»  sarebbe  coerente  con  un  apparato   di   tutele   che
attribuisce   rilievo   alle   dimensioni   dell'impresa.   Peraltro,
all'interno dell'intervallo fra  le  tre  e  le  sei  mensilita',  il
giudice ben potrebbe modulare l'indennita' alla stregua  dei  criteri
enucleati da questa Corte. 
    Ne' si potrebbe invocare, in senso contrario,  la  decisione  del
Comitato europeo dei diritti sociali dell'11 febbraio 2020,  che  non
terrebbe conto della possibilita'  di  ottenere  il  risarcimento  di
danni  ulteriori  rispetto  a  quelli  prodotti   dal   licenziamento
illegittimo e  neanche  della  necessita'  di  una  predeterminazione
dell'importo massimo, al fine di attuare il «necessario bilanciamento
fra gli opposti interessi». 
    4.-  Hanno  presentato  opinioni  scritte,  come  amici   curiae,
l'Associazione Comma2  -  Lavoro  e'  dignita'  e  la  Confederazione
generale italiana del lavoro (CGIL). 
    Le opinioni sono state ammesse con decreto del Presidente  del  2
maggio 2022, sentito il Giudice relatore. 
    5.-  In   prossimita'   dell'udienza,   ha   depositato   memoria
illustrativa  la   parte,   insistendo   per   l'accoglimento   delle
conclusioni gia' rassegnate. 
    5.1.- Non sarebbero  fondate  le  eccezioni  di  inammissibilita'
formulate dalla difesa dello Stato. 
    Il rimettente avrebbe indicato puntualmente l'intervento idoneo a
porre rimedio ai vizi denunciati, che consisterebbe nell'eliminazione
del dimezzamento e del tetto massimo  delle  sei  mensilita'.  Questa
Corte potrebbe limitarsi a caducare il limite delle  sei  mensilita',
senza incidere sul dimezzamento. 
    Sarebbe esaustiva anche la motivazione in punto di rilevanza e di
inadeguatezza dell'indennizzo. Non si  ravviserebbero,  pertanto,  le
lacune segnalate nell'atto di intervento. 
    5.2.- Nel merito, la difesa dello Stato non avrebbe confutato  in
maniera convincente le censure mosse dal giudice a quo. 
    6.- All'udienza del 7 giugno 2022, le parti hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui al  reg.  ord.  n.  84  del  2021,  il
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice  del  lavoro,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma
1, del decreto legislativo 4  marzo  2015,  n.  23  (Disposizioni  in
materia di  contratto  di  lavoro  a  tempo  indeterminato  a  tutele
crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n.  183),  che
regola l'indennita' spettante nel caso di  licenziamento  illegittimo
intimato  da  datori  di  lavoro  che  non  possiedono  i   requisiti
dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge  20
maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale,  nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento). 
    Il rimettente denuncia il contrasto con gli artt. 3, primo comma,
4,  35,  primo  comma,  e  117,  primo  comma,  della   Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 24 della  Carta  sociale  europea,
riveduta,  con  annesso,  fatta  a  Strasburgo  il  3  maggio   1996,
ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30. 
    1.1.- Lo statuto dei lavoratori, all'art. 18,  ottavo  comma,  si
riferisce al «datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore,  che
in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o  reparto  autonomo
nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue  dipendenze
piu' di quindici  lavoratori  o  piu'  di  cinque  se  si  tratta  di
imprenditore agricolo, nonche' al datore di  lavoro,  imprenditore  o
non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu'  di
quindici dipendenti e all'impresa agricola che  nel  medesimo  ambito
territoriale occupa piu' di  cinque  dipendenti,  anche  se  ciascuna
unita' produttiva,  singolarmente  considerata,  non  raggiunge  tali
limiti, e in ogni caso  al  datore  di  lavoro,  imprenditore  e  non
imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti». 
    L'art. 18, nono comma, della legge n. 300  del  1970  puntualizza
che, ai fini del computo del numero dei dipendenti, «si  tiene  conto
dei lavoratori assunti con contratto a tempo  indeterminato  parziale
per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto,  a  tale
proposito, che il computo  delle  unita'  lavorative  fa  riferimento
all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore». Non
si computano coniuge e parenti del datore di lavoro entro il  secondo
grado in linea diretta e in linea collaterale. 
    Per i datori di lavoro che non presentano i  descritti  requisiti
occupazionali, l'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del  2015  prevede
una indennita' di  importo  dimezzato  rispetto  a  quello  stabilito
dall'art.  3,  comma  1,  del  d.lgs.  n.  23  del  2015  e  comunque
determinato «nello strettissimo intervallo fra tre e sei mensilita'». 
    1.2.-   Sull'ammontare   dell'indennita'   vertono   le   censure
prospettate nell'odierno giudizio. 
    Nel  condividere  le  censure  di  illegittimita'  costituzionale
formulate dalla parte ricorrente,  il  rimettente  argomenta  che  la
previsione di un indennizzo non superiore alle sei mensilita',  senza
neppure  l'alternativa  della   riassunzione,   non   attuerebbe   un
ragionevole bilanciamento degli interessi contrapposti. 
    In particolare, la disposizione censurata, «nella  parte  in  cui
determina  un  limite  massimo  del  tutto  inadeguato  e  per  nulla
dissuasivo», non garantirebbe «un'equilibrata  compensazione»  e  «un
adeguato ristoro» del pregiudizio e non assolverebbe alla  necessaria
funzione deterrente. 
    Un'indennita'  cosi'   modulata   rappresenterebbe   «una   forma
pressoche' uniforme di tutela» e attribuirebbe rilievo  esclusivo  al
«numero degli occupati», elemento «trascurabile nell'ambito di quella
che e' l'attuale economia». Non sarebbero valorizzati, al  contrario,
i molteplici criteri che questa Corte ha individuato  nelle  sentenze
n. 194 del 2018 e  n.  150  del  2020,  allo  scopo  di  adeguare  il
risarcimento alla peculiarita' del caso concreto. 
    Al generico richiamo all'art.  44  Cost.,  neppure  ribadito  nel
dispositivo dell'ordinanza di rimessione, non corrisponde un'autonoma
censura,  che  concorra  a  definire  il  thema  decidendum  devoluto
all'esame di questa Corte. 
    2.- Occorre, in primo luogo, esaminare le  eccezioni  preliminari
mosse dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta  in  giudizio
in rappresentanza  e  a  difesa  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    3.-   Ha   priorita'    logica    l'esame    dell'eccezione    di
inammissibilita' per carente motivazione in punto  di  rilevanza.  Il
giudice a quo non  avrebbe  spiegato  per  quali  ragioni,  nel  caso
concreto, risulti equo un indennizzo piu' elevato. 
    3.1.- L'eccezione deve essere disattesa. 
    Questa Corte e' costante nell'affermare  che  «[l]'applicabilita'
della disposizione al giudizio principale e' sufficiente  a  radicare
la rilevanza della questione,  che  non  postula  un  sindacato  piu'
incisivo  sul  concreto  pregiudizio   ai   principi   costituzionali
coinvolti» (sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del  Considerato  in
diritto). 
    A tale riguardo, questa Corte ha specificato che, «[a]nche  nella
prospettiva  di   un   piu'   diffuso   accesso   al   sindacato   di
costituzionalita' (sentenza n. 77 del 2018, punto 8  del  Considerato
in diritto) e di una piu' efficace garanzia della  conformita'  della
legislazione alla Carta fondamentale, il presupposto della  rilevanza
non si identifica nell'utilita' concreta di cui  le  parti  in  causa
potrebbero beneficiare  (sentenza  n.  20  del  2018,  punto  2.  del
Considerato in diritto)» (sentenza n. 174 del 2019,  punto  2.1.  del
Considerato in diritto). 
    3.2.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono  state
sollevate in un giudizio di  impugnazione  di  un  licenziamento  per
giustificato motivo oggettivo. 
    Il datore  di  lavoro,  rimasto  contumace,  non  ha  ottemperato
all'onere di dimostrare le ragioni inerenti all'attivita' produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento,  cosi'
come stabilisce l'art. 5 della legge 15 luglio 1966,  n.  604  (Norme
sui licenziamenti individuali). 
    Il rimettente evidenzia che il datore di lavoro  non  possiede  i
requisiti occupazionali di cui all'art.  18,  commi  ottavo  e  nono,
dello statuto dei lavoratori e che al  licenziamento  e'  applicabile
ratione temporis la disciplina dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23
del 2015. 
    Il giudice a quo ha dunque illustrato, con motivazione  adeguata,
le ragioni che rendono  necessaria  l'applicazione  della  previsione
censurata, requisito necessario e sufficiente ai fini della rilevanza
delle questioni sollevate. 
    4.- L'Avvocatura generale dello Stato, in secondo  luogo,  imputa
al rimettente di avere demandato a questa Corte  la  rideterminazione
dell'indennizzo adeguato e, conseguentemente,  la  scelta  «tra  piu'
opzioni normative, tutte  ugualmente  conformi  a  Costituzione»,  in
mancanza di «parametri normativi alternativi». Da questa angolazione,
sarebbe  evidente  lo  sconfinamento  nella  sfera   riservata   alla
discrezionalita' del legislatore. 
    4.1.- L'eccezione e' fondata, nei  termini  e  per  i  motivi  di
seguito precisati. 
    4.2.- Questa Corte, gia'  nella  sentenza  n.  45  del  1965,  ha
ricondotto la tutela contro i licenziamenti illegittimi agli artt.  4
e  35  Cost.,  interpretati   in   una   prospettiva   unitaria.   In
quell'occasione si affermo' che, pur non essendo il diritto al lavoro
assistito dalla garanzia della stabilita' dell'occupazione, spetta al
legislatore,  «nel  quadro  della  politica  prescritta  dalla  norma
costituzionale»,  adeguare  le  tutele  in  caso   di   licenziamenti
illegittimi (punto 4 del Considerato in diritto). 
    In armonia con  tali  principi,  la  protezione  riconosciuta  al
lavoro dalla Costituzione, ribadita anche dall'art.  24  della  Carta
sociale europea, e' stata  collocata  in  un  quadro  contraddistinto
dall'integrazione delle garanzie  e  dalla  loro  massima  espansione
(sentenza n. 194 del 2018, punto 14 del Considerato in diritto). 
    Il rimettente avvalora i dubbi di legittimita' costituzionale con
il richiamo alle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020, che,  in
merito all'indennita' per i licenziamenti viziati dal punto di vista,
rispettivamente, sostanziale e formale, hanno censurato un meccanismo
di  determinazione   ancorato   al   rigido   e   uniforme   criterio
dell'anzianita' di servizio. 
    Nelle pronunce  richiamate,  questa  Corte  ha  ribadito  che  la
modulazione  delle  tutele  contro  i  licenziamenti  illegittimi  e'
demandata all'apprezzamento discrezionale del legislatore,  vincolato
al rispetto del principio di  eguaglianza,  che  vieta  di  omologare
situazioni eterogenee  e  di  trascurare  la  specificita'  del  caso
concreto. 
    In una vicenda che vede direttamente  implicata  la  persona  del
lavoratore, si rivela  di  importanza  primaria  la  valutazione  del
giudice, chiamato, nell'alveo dei criteri individuati dalla legge, ad
attuare  la  necessaria  «personalizzazione  del  danno  subito   dal
lavoratore, pure essa imposta dal principio di eguaglianza» (sentenza
n. 194 del 2018, punto 11 del Considerato in diritto e, nello  stesso
senso, sentenza n. 150 del 2020, punto 9 del Considerato in diritto). 
    Tra  tali  criteri,  rilevano  anche  il  numero  dei  dipendenti
occupati,  le  dimensioni  dell'impresa,  il   comportamento   e   le
condizioni delle parti, tipizzati dall'art. 8 della legge n. 604  del
1966, confermati dalla legge 11 maggio 1990, n. 108  (Disciplina  dei
licenziamenti individuali) e largamente sperimentati  nell'esperienza
applicativa. 
    Inoltre, un organico sistema di tutele si incentra sul  principio
di ragionevolezza, «che questa Corte,  nell'ambito  della  disciplina
dei licenziamenti,  ha  declinato  come  necessaria  adeguatezza  dei
rimedi, nel contesto  di  un  equilibrato  componimento  dei  diversi
interessi in  gioco  e  della  specialita'  dell'apparato  di  tutele
previsto dal diritto del lavoro» (sentenza n. 150 del 2020, punto  13
del Considerato in diritto). 
    Un  rimedio  adeguato,  che  assicuri  un   serio   ristoro   del
pregiudizio arrecato dal  licenziamento  illegittimo  e  dissuada  il
datore di lavoro dal reiterare l'illecito, si impone in  forza  della
«speciale tutela riconosciuta al lavoro  in  tutte  le  sue  forme  e
applicazioni,  in  quanto  fondamento  dell'ordinamento  repubblicano
(art. 1 Cost.)» (sentenza n. 125 del 2022, punto 6 del Considerato in
diritto). 
    4.3.- Tali esigenze di effettivita' e di adeguatezza della tutela
si impongono anche per i licenziamenti intimati da datori  di  lavoro
di piu' piccole dimensioni (di cui ai  citati  commi  ottavo  e  nono
dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori). 
    Questa Corte, nel dichiarare non fondati i dubbi di  legittimita'
costituzionale della  disciplina,  che  per  tali  datori  di  lavoro
escludeva  la  reintegrazione,  ha  posto  l'accento   sulla   natura
fiduciaria del rapporto di lavoro nell'ambito delle descritte realta'
organizzative, sull'opportunita' di non gravarle di  oneri  eccessivi
e,  infine,  sulle  tensioni  che  l'esecuzione  di  un   ordine   di
reintegrazione potrebbe ingenerare (sentenze n. 2 del  1986,  n.  189
del 1975 e n. 152 del 1975). 
    Inoltre, le «dimensioni che il datore di lavoro  abbia  conferito
alla organizzazione  della  sua  attivita'»  rappresentano  un  «dato
aderente alla realta' economica di comune esperienza» (sentenza n. 55
del 1974, punto 4 del Considerato in diritto). In questa prospettiva,
«la componente numerica dei lavoratori ha riflessi sul modo di essere
e di operare del rapporto  di  lavoro  organizzato»,  soprattutto  in
ragione del «criterio economico suggerito per regolare gli  interessi
delle aziende  aventi  un  minor  numero  di  dipendenti,  pur  senza
trascurare gli interessi dei lavoratori» (sentenza n.  81  del  1969,
punto 4 del Considerato in diritto). 
    4.4.-  L'assetto  delineato  dal  d.lgs.  n.  23  del   2015   e'
profondamente  mutato  rispetto  a  quello  analizzato   dalle   piu'
risalenti pronunce  di  questa  Corte.  La  reintegrazione  e'  stata
circoscritta entro ipotesi tassative per tutti i datori di  lavoro  e
le dimensioni dell'impresa non assurgono a  criterio  discretivo  tra
l'applicazione della piu' incisiva tutela reale e la concessione  del
solo ristoro pecuniario. 
    In un sistema imperniato sulla portata  tendenzialmente  generale
della  tutela  monetaria,  la  specificita'  delle  piccole   realta'
organizzative, che pure permane nell'attuale sistema  economico,  non
puo'  giustificare  un  sacrificio  sproporzionato  del  diritto  del
lavoratore di conseguire un congruo ristoro del pregiudizio sofferto. 
    5.- Il rimettente, in continuita' con la giurisprudenza di questa
Corte,  segnala  le   disarmonie   insite   nella   predeterminazione
dell'indennita' stabilita nell'ipotesi di datori di  lavoro  che  non
raggiungono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18  della  legge
n. 300 del 1970. 
    Tali disarmonie traggono origine, per  un  verso,  dall'esiguita'
dell'intervallo tra l'importo minimo e quello massimo dell'indennita'
e,  per  altro  verso,  dal  criterio  distintivo   individuato   dal
legislatore, che si incardina sul numero degli occupati. 
    5.1.- Quanto al primo profilo, si deve rilevare che un'indennita'
costretta entro l'esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di
sei  mensilita'  vanifica  l'esigenza  di  adeguarne  l'importo  alla
specificita' di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo
ristoro e di un'efficace deterrenza, che consideri  tutti  i  criteri
rilevanti enucleati dalle pronunce  di  questa  Corte  e  concorra  a
configurare il licenziamento come extrema ratio. 
    5.2.- Quanto al secondo  profilo,  si  deve  evidenziare  che  il
limitato scarto tra il minimo e il massimo  determinati  dalla  legge
conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero  dei
dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per se'  l'effettiva
forza  economica  del  datore  di  lavoro,  ne'   la   gravita'   del
licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili  per
una liquidazione del danno  che  si  approssimi  alle  particolarita'
delle vicende concrete. 
    Invero, in un quadro dominato  dall'incessante  evoluzione  della
tecnologia  e  dalla  trasformazione  dei  processi  produttivi,   al
contenuto  numero  di  occupati  possono  fare   riscontro   cospicui
investimenti in capitali  e  un  consistente  volume  di  affari.  Il
criterio incentrato sul solo  numero  degli  occupati  non  risponde,
dunque, all'esigenza di non gravare di costi  sproporzionati  realta'
produttive  e  organizzative  che  siano  effettivamente  inidonee  a
sostenerli. 
    Il limite uniforme e  invalicabile  di  sei  mensilita',  che  si
applica a datori di lavoro imprenditori e non, opera  in  riferimento
ad attivita' tra loro eterogenee, accomunate dal dato del numero  dei
dipendenti occupati, sprovvisto  di  per  se'  di  una  significativa
valenza. 
    5.3.-   In   conclusione,   un   sistema   siffatto   non   attua
quell'equilibrato componimento  tra  i  contrapposti  interessi,  che
rappresenta la funzione primaria di un'efficace  tutela  indennitaria
contro i licenziamenti illegittimi. 
    6.- Si deve riconoscere, pertanto,  l'effettiva  sussistenza  del
vulnus denunciato dal rimettente e si deve  affermare  la  necessita'
che l'ordinamento si doti di  rimedi  adeguati  per  i  licenziamenti
illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato
numerico dei dipendenti. 
    Al vulnus riscontrato, tuttavia, non puo'  porre  rimedio  questa
Corte. 
    Non  si  ravvisa,  infatti,  una   soluzione   costituzionalmente
adeguata, che possa orientare l'intervento  correttivo  e  collocarlo
entro un perimetro definito, segnato da grandezze gia'  presenti  nel
sistema normativo e da punti di riferimento univoci. 
    6.1.- Si deve  rilevare,  in  primo  luogo,  che  la  fattispecie
sottoposta allo scrutinio di questa Corte non puo'  essere  comparata
con quella esaminata nelle sentenze n. 194 del  2018  e  n.  150  del
2020. 
    In quel frangente, i rimettenti hanno chiesto la  caducazione  di
un  criterio  di  computo  dell'indennita'  parametrato  sulla   sola
anzianita' di servizio. Peraltro, rimosso il  meccanismo  individuato
dal legislatore, e' stato possibile  rinvenire  nel  sistema  criteri
collaudati, idonei a indirizzare  la  valutazione  del  giudice  e  a
supplire all'eliminazione di un parametro fisso e immutabile. 
    Nel caso di specie, il rimettente non chiede a  questa  Corte  di
caducare un meccanismo di  determinazione,  parte  integrante  di  un
sistema  che  comunque  si  ricompone  secondo  linee  coerenti.   La
richiesta concerne piuttosto la ridefinizione  -  in  melius  per  il
lavoratore illegittimamente licenziato - della stessa soglia  massima
dell'indennita', in difetto  di  soluzioni  predefinite  che  possano
circoscrivere il carattere  manipolativo  dell'intervento  auspicato,
ridefinizione che  spazia  in  un  intervallo  di  plurime  soluzioni
possibili, anche in ragione delle diverse caratteristiche dei  datori
di lavoro di piccole dimensioni. 
    6.2.- Le argomentazioni addotte dal rimettente,  a  sostegno  dei
dubbi di legittimita' costituzionale, prefigurano, quindi, una  vasta
gamma di alternative e molteplici si rivelano  le  soluzioni  atte  a
superare le incongruenze censurate. 
    Nella stessa direzione muovono anche i rilievi della  parte,  che
pure sottendono una molteplicita' di opzioni. 
    6.2.1.-  Il  legislatore  ben   potrebbe   tratteggiare   criteri
distintivi piu' duttili e complessi, che  non  si  appiattiscano  sul
requisito del numero degli occupati e si raccordino  alle  differenze
tra  le  varie  realta'  organizzative  e   ai   contesti   economici
diversificati in cui esse operano. 
    Non spetta, dunque, a questa Corte scegliere,  tra  i  molteplici
criteri che si possono ipotizzare, quelli piu' appropriati. 
    6.2.2.- Il giudice a quo prospetta, quale soluzione idonea, anche
l'eliminazione del regime speciale previsto per i piccoli  datori  di
lavoro. 
    Anche  tale   soluzione   non   potrebbe   che   essere   rimessa
all'apprezzamento discrezionale del legislatore, per le ragguardevoli
implicazioni sistematiche che presenta. 
    6.2.3.- Tenuto conto dei principi enunciati dalla  giurisprudenza
di questa Corte e alla luce delle innovazioni legislative intervenute
(art.  3  del  decreto-legge  12  luglio   2018,   n.   87,   recante
«Disposizioni  urgenti  per  la  dignita'  dei  lavoratori  e   delle
imprese», convertito, con modificazioni, nella legge 9  agosto  2018,
n. 96), le soglie dell'indennita' dovuta potranno  essere  rimodulate
secondo una pluralita' di criteri. 
    Anche da questo punto di vista, trova  conferma  l'ampio  spettro
delle soluzioni  che  il  legislatore,  nella  sua  discrezionalita',
potrebbe elaborare. 
    7.- A ognuna delle scelte  ipotizzabili  corrispondono,  infatti,
differenti opzioni di politica  legislativa.  Si  profilano,  dunque,
ineludibili valutazioni discrezionali, che, proprio perche' investono
il rapporto tra mezzi e fine, non possono competere a questa Corte. 
    Rientra, infatti, nella prioritaria valutazione  del  legislatore
la  scelta  dei  mezzi  piu'   congrui   per   conseguire   un   fine
costituzionalmente necessario, nel  contesto  di  «una  normativa  di
importanza essenziale»  (sentenza  n.  150  del  2020),  per  la  sua
connessione con i diritti che riguardano la persona  del  lavoratore,
scelta  che  proietta  i   suoi   effetti   sul   sistema   economico
complessivamente inteso. 
    Come gia' questa Corte ha segnalato (sentenza n.  150  del  2020,
punto  17  del  Considerato  in  diritto),  la  materia,  frutto   di
interventi normativi stratificati, non puo'  che  essere  rivista  in
termini complessivi, che investano sia i  criteri  distintivi  tra  i
regimi applicabili ai diversi  datori  di  lavoro,  sia  la  funzione
dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie. 
    Nel dichiarare l'inammissibilita' delle odierne questioni, questa
Corte  non  puo'  conclusivamente  esimersi  dal  segnalare  che   un
ulteriore protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe  tollerabile
e la indurrebbe, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente,
nonostante le difficolta' qui descritte (sentenza n.  180  del  2022,
punto 7 del Considerato in diritto). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4  marzo
2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro  a  tempo
indeterminato a  tutele  crescenti,  in  attuazione  della  legge  10
dicembre 2014, n. 183), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 24 della  Carta  sociale  europea,
riveduta,  con  annesso,  fatta  a  Strasburgo  il  3  maggio   1996,
ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30,  dal
Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del  lavoro,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                   Igor DI BERNARDINI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2022. 
 
                           Il Cancelliere 
                      F.to: Igor DI BERNARDINI