N. 11 SENTENZA 29 novembre 2022- 2 febbraio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Tributi -  Norme  della  Regione  Emilia-Romagna  -  Smaltimento  dei
  rifiuti urbani - Tariffa regionale  di  accesso  agli  impianti  di
  proprieta' privata -  Costo  da  imputare  sugli  utenti  finali  -
  Conteggio, ai fini della sua riduzione,  degli  introiti  percepiti
  dai  titolari  degli  impianti  -   Denunciata   violazione   della
  competenza statale esclusiva in materia  di  tutela  dell'ambiente,
  nonche' della riserva di legge statale  in  materia  di  tributi  e
  prestazioni patrimoniali imposte - Non fondatezza delle questioni. 
- Legge della Regione Emilia-Romagna 23 dicembre 2011,  n.  23,  art.
  16, comma 1. 
- Costituzione, artt. 23, 117, secondo comma, lettere  s)  ed  e),  e
  119, secondo comma. 
(GU n.6 del 8-2-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  16,  comma
1, ultimo  periodo,  della  legge  della  Regione  Emilia-Romagna  23
dicembre 2011, n. 23  (Norme  di  organizzazione  territoriale  delle
funzioni relative ai servizi pubblici locali dell'ambiente), promosso
dal Consiglio di Stato, sezione quarta, nel procedimento vertente tra
Herambiente spa e la Regione Emilia-Romagna e  altro,  con  ordinanza
del 6 luglio 2021, iscritta al n. 138 del registro ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  38,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di Herambiente spa e della Regione
Emilia-Romagna; 
    udito nell'udienza pubblica  del  29  novembre  2022  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi  gli  avvocati  Aristide  Police   per   Herambiente   spa,
Giandomenico Falcon e Gaetano Puliatti per la Regione Emilia-Romagna; 
    deliberato nella camera di consiglio del 29 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 luglio 2021 (r.o. n. 138  del  2021),  il
Consiglio di Stato, sezione quarta, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 23,  117,  secondo  comma,  lettere  e)  ed  s),  e  119  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  16,
comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 23  dicembre  2011,
n. 23 (Norme di organizzazione territoriale delle  funzioni  relative
ai servizi pubblici locali dell'ambiente). 
    1.1.- Tale disposizione prevede: «[i]n presenza  di  un  soggetto
privato proprietario dell'impiantistica relativa alla gestione  delle
operazioni di smaltimento dei rifiuti urbani di cui all'articolo 183,
comma 1, lettera  z),  del  decreto  legislativo  n.  152  del  2006,
compresi gli impianti di trattamento di rifiuti  urbani  classificati
R1 ai sensi dell'Allegato C, Parte IV, del decreto legislativo n. 152
del 2006, l'affidamento  della  gestione  del  servizio  dei  rifiuti
urbani non ricomprende detta impiantistica che  resta  inclusa  nella
regolazione pubblica del servizio. A  tal  fine  l'Agenzia  individua
dette specificita', regola i flussi verso tali impianti,  stipula  il
relativo contratto di servizio e, sulla base dei  criteri  regionali,
definisce il costo dello smaltimento da imputare  a  tariffa  tenendo
conto dei costi effettivi e considerando anche gli introiti». 
    1.2.-  In  particolare,  sotto  un  primo  profilo,  il   giudice
rimettente, in riferimento all'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost., dubita della legittimita' costituzionale  dell'ultimo  periodo
della  norma  censurata  nella  parte  in  cui,   nell'ambito   della
determinazione della tariffa regionale di accesso  agli  impianti  di
smaltimento di rifiuti urbani, nella titolarita' di soggetti privati,
comprende la dizione «e considerando anche gli introiti». 
    In secondo luogo, «[s]otto un diverso  profilo»,  in  riferimento
agli artt. 23, 117, secondo comma, lettera e),  119,  secondo  comma,
Cost., censura la medesima norma in quanto la riduzione  dell'importo
della tariffa,  «potrebbe  integrare  un  tributo  o,  comunque,  una
surrettizia "prestazione patrimoniale imposta"». 
    1.3.- Il giudice rimettente riferisce che le questioni sono sorte
nel corso del giudizio di appello, avverso le sentenze del  Tribunale
amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna,  sezione  seconda,  16
giugno 2020, n. 408 e n. 413, che  avevano  rigettato  i  ricorsi  di
Herambiente spa, societa' proprietaria degli impianti di smaltimento,
per  l'annullamento  delle  delibere  della  Giunta   della   Regione
Emilia-Romagna, n. 380 del 2014 e n.  467  del  2015,  di  attuazione
dell'art. 16 della legge regionale n. 23  del  2011,  con  cui  erano
stati  fissati  i  «criteri  regionali»  per  l'individuazione  e  la
quantificazione dei costi sostenuti dai soggetti privati  proprietari
degli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani, che dovevano essere
imputati alla tariffa gravante sugli utenti finali. 
    Il Consiglio di Stato muove dalla premessa  che  la  disposizione
regionale in esame prevede  che  «l'affidamento  della  gestione  del
servizio dei  rifiuti  urbani  non  ricomprende  detta  impiantistica
[ossia quella, in proprieta' di privati, deputata alle operazioni  di
smaltimento dei rifiuti] che resta inclusa nella regolazione pubblica
del servizio». 
    Il giudice a quo precisa che, con la delibera n.  135  del  2013,
non impugnata, la Regione aveva inizialmente stabilito, per  «evitare
"extraprofitti" in capo al titolare dell'impianto», di scomputare dai
costi complessivi sostenuti la parte dei «connessi incentivi» per  la
produzione di  energia  da  fonti  rinnovabile,  corrispondente  alla
«quota del finanziamento pubblico  a  fondo  perduto»,  di  cui  egli
avesse eventualmente beneficiato per la costruzione dell'impianto. 
    Il rimettente aggiunge che, con le successive delibere n. 380 del
2014 e n. 467 del 2015, impugnate con separati ricorsi, la Regione ha
esteso lo scomputo  dai  costi  complessivi  anche  alla  «quota  del
capitale progressivamente ammortizzato», escludendo  «ogni  possibile
forma di "extra profitto"», privando  il  proprietario  dell'impianto
«di quella parte degli incentivi corrispondente al capitale che,  non
solo ex ante (finanziamento pubblico a fondo perduto),  ma  anche  ex
post (quota di progressivo ammortamento del capitale), gravi de facto
sulla collettivita'». 
    1.4.- Il Consiglio di Stato, riuniti gli appelli, ha reputato non
fondati i primi tre motivi di impugnazione, sospendendo  il  giudizio
per il quarto motivo. 
    1.5.- In particolare, con riferimento al primo motivo, il giudice
a  quo  ha  ritenuto  insussistente   la   violazione   del   «metodo
normalizzato per definire la tariffa del  servizio  di  gestione  del
ciclo dei rifiuti urbani», di cui al d.P.R. del 27  aprile  1999,  n.
158  (Regolamento  recante  norme  per  la  elaborazione  del  metodo
normalizzato per definire la tariffa del  servizio  di  gestione  del
ciclo dei rifiuti urbani), il cui art. 3 si limita a prevedere che la
tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi  afferenti
al servizio di gestione dei rifiuti urbani, ma «non esclude expressis
verbis che anche i ricavi, lato sensu intesi, conseguiti dal soggetto
affidatario del servizio di gestione dei RSU [rifiuti solidi  urbani]
in relazione a tale specifica attivita' possano essere  computati  al
fine di quantificare la tariffa gravante sull'utenza finale». 
    Le    delibere    impugnate    avrebbero    quindi     effettuato
«un'individuazione  dei  costi   reali   sostenuti   dall'operatore»,
scomputando dai costi materiali  «e,  per  cosi'  dire,  "grezzi"»  i
«benefici incentivanti» percepiti dall'operatore gravanti sulle casse
pubbliche. 
    Per  il  giudice  a  quo,  dunque,  i  «benefici   incentivanti»,
costituiti dai finanziamenti a  fondo  perduto  e  dalla  progressiva
quota annuale di ammortamento dei costi, sarebbero stati  considerati
quali  «introiti»,  ai  sensi   dell'art.   16   della   legge   reg.
Emilia-Romagna n. 23  del  2011,  e  quindi  come  «poste  algebriche
negative» da considerarsi necessariamente nel complessivo computo dei
costi   finali   realmente   gravanti,    in    termini    economici,
sull'operatore. 
    Le  due  delibere,  in  sostanza,  si  sarebbero   mosse   «entro
un'analisi ab interno della  struttura  di  costo  dell'attivita'  di
smaltimento», in tal  modo  «non  decampando  dai  principi  generali
enucleati dal d.p.r. n. 158 del 1999». 
    1.6.- Il rimettente, infine, rigettati il  secondo  ed  il  terzo
motivo, ha sospeso la decisione in ordine al quarto  motivo,  ritendo
rilevanti e non manifestamente infondate  le  suddette  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    Cio' in quanto la  «ampiezza  e  la  atecnicita'»  della  dizione
«introiti» utilizzata nell'ultimo  periodo  del  censurato  art.  16,
comma 1, «evidentemente voluta» dal legislatore regionale, imporrebbe
di ritenervi ricompresi anche gli «incentivi per  l'energia  prodotta
da  fonte  rinnovabile,  i  quali,  del  resto,  nella   contabilita'
dell'impresa  configurano  materialmente  un  incremento   economico,
ovvero, in altra prospettiva, una posta  reddituale  positiva,  ossia
appunto un "introito"». 
    Tuttavia, poiche' - ad avviso del giudice a quo - tali  incentivi
sarebbero stati erogati per rendere economicamente sostenibili  forme
di produzione di  energia  «ambientalmente  compatibile»,  derivante,
nella specie, dallo smaltimento dei rifiuti, la  relativa  disciplina
perseguirebbe direttamente e sotto un duplice aspetto  (gestione  del
ciclo dei rifiuti e  produzione  di  energia  da  fonti  rinnovabili)
finalita' di «tutela dell'ambiente». 
    La norma regionale, pertanto, si  porrebbe  in  violazione  della
competenza  legislativa  esclusiva  statale  in  materia  di   tutela
dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Essa,   infatti,   modificando    il    «fruitore    sostanziale»
dell'incentivo, si frapporrebbe fra il suo «destinatario  formale»  e
l'incentivo  medesimo,  deviando  quest'ultimo  e  i   suoi   effetti
economici in favore di altro soggetto, ossia verso la  «collettivita'
utente del servizio», con conseguente «riduzione della tariffa». 
    Il rimettente lamenta poi, «sotto un  diverso  profilo»,  che  la
sottrazione dai  costi  della  quota  degli  incentivi  percepiti  in
relazione  all'operazione  di  smaltimento,  «potrebbe  integrare  un
tributo» - anche perche' il computo disciplinato  dalla  disposizione
regionale sarebbe «finalizzato a determinare la misura della  tariffa
gravante sugli utenti finali del servizio di gestione dei rifiuti, ad
oggi disciplinata dalla l. n. 147 del 2013, artt. 639 e  ss.  [recte:
art. 1, commi 639 e ss.], avente, per chiaro dettato normativo e  per
consolidata giurisprudenza, natura  tributaria»  -  o  comunque  «una
surrettizia "prestazione patrimoniale imposta"». 
    Cio' in violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e),  e
119, secondo comma, Cost., perche' il tributo risulterebbe  istituito
in una materia «in cui non e' stata  attribuita  potesta'  tributaria
alla  Regione»,  o   comunque   dell'art.   23   Cost.,   in   quanto
difetterebbero i «criteri oggettivi tali da integrare la  riserva  di
legge relativa». 
    2.-  Herambiente  spa  ha  depositato  atto  di  costituzione  in
giudizio chiedendo l'accoglimento delle questioni. 
    La societa' evidenzia che l'incentivazione  della  produzione  di
energia elettrica da fonti rinnovabili  costituirebbe  un  «principio
generale dell'ordinamento, come stabilito dalle direttive  2001/77/CE
e 2009/28/CE». 
    La Corte di giustizia dell'Unione europea, inoltre, avrebbe  piu'
volte sottolineato l'importanza dei regimi di sostegno, ribadendo che
condizione per la loro efficacia e' che  questi  siano  assistiti  da
stabilita',  coerenza  e  prevedibilita',   «elementi   necessari   a
conservare la fiducia degli investitori e garantire il raggiungimento
degli obiettivi vincolanti a livello dei singoli Stati membri». 
    In particolare,  gli  incentivi  derivanti  dalla  produzione  di
energia rinnovabile non costituirebbero per loro natura un ricavo, ma
rappresenterebbero il beneficio economico corrisposto  per  sostenere
determinate iniziative di investimento che  perseguono  finalita'  di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    In adesione  alla  prospettazione  del  rimettente,  la  societa'
evidenzia che la  disposizione  regionale,  nella  parte  in  cui  ha
considerato tra gli «introiti» anche gli  incentivi  derivanti  dalla
produzione di energia da fonte rinnovabile,  finirebbe  per  regolare
aspetti rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ex
art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e, in particolare,  della
«tutela e protezione dell'ambiente». 
    La normativa regionale, infatti, «deviando» i benefici  economici
dall'incentivo a favore di un altro soggetto (l'utenza del servizio),
mediante  la  riduzione  della  tariffa,  vanificherebbe   la   ratio
dell'incentivo, ponendosi quindi in contrasto con  la  giurisprudenza
di questa Corte in materia di tutela dell'ambiente. 
    La disposizione regionale, inoltre, comportando  una  «deminutio»
patrimoniale, «corrispondente al  mancato  profitto  derivante  dagli
incentivi per la produzione dell'energia pulita», integrerebbe, da un
lato,  una  «prestazione  patrimoniale  imposta»  stabilita  senza  i
criteri minimi per far ritenere rispettata la riserva di legge di cui
all'art. 23 Cost., o,  dall'altro,  un  tributo  -  ben  potendo  gli
«introiti» consistere in un indicatore della «capacita' contributiva»
- che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non  sarebbe
costituzionalmente consentito alla potesta' impositiva delle  regioni
a statuto ordinario. 
    3.- Nel giudizio si  e'  costituita  la  Regione  Emilia-Romagna,
chiedendo  di  dichiarare  l'inammissibilita'  e,  comunque,  la  non
fondatezza delle questioni. 
    3.1.- Innanzitutto la Regione ha chiarito  i  complessi  profili,
fattuali e normativi, della fattispecie in  esame,  anche  precisando
che le imprese proprietarie degli impianti  di  smaltimento  rifiuti,
seppure integrate nell'ambito del servizio  pubblico,  parallelamente
svolgerebbero anche un'attivita' di libero mercato in relazione  allo
smaltimento dei rifiuti speciali, dal quale  trarrebbero  la  massima
parte del loro profitto. 
    3.2.- La Regione, quindi, ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni    per    «omessa    determinazione    interpretativa     e
contraddittorieta' nella ricostruzione della fattispecie  normativa»,
in  quanto  formulate  dal  giudice  rimettente  sulla  base  di  due
ricostruzioni   diverse,   inconciliabili   tra   loro,    dell'unica
disposizione oggetto del giudizio. 
    Infatti, il giudice amministrativo, dopo avere deciso e  respinto
in modo definitivo la censura di  violazione  del  metodo  tariffario
stabilito dallo Stato (perche' le delibere non sarebbero «decampa[te]
dai principi generali enucleati dal d.p.r. n. 158 del 1999»), avrebbe
poi   sollevato   la   questione   di   legittimita'   costituzionale
sull'invasione della competenza statale in materia  di  ambiente,  in
considerazione della circostanza che  tra  gli  introiti  rientravano
anche gli incentivi per le energie da fonti rinnovabili. 
    In modo contraddittorio, inoltre, il rimettente avrebbe sollevato
un'ulteriore questione di legittimita' costituzionale affermando  che
tale modalita' di computo dei costi «potrebbe integrare un tributo o,
comunque, una surrettizia prestazione patrimoniale imposta». 
    Tuttavia, ad avviso della  Regione,  «non  potrebbe  essere  piu'
evidente che determinazione della struttura del costo  e  imposizione
di un tributo o di una prestazione  patrimoniale  sono  ricostruzioni
della  fattispecie  normativa  del  tutto  diverse  e  reciprocamente
incompatibili: una somma imposta a titolo di tributo non puo' essere,
al tempo stesso, l'addendo di una somma algebrica per il calcolo  dei
costi effettivi di una determinata attivita'». 
    Secondo la difesa regionale, in sintesi,  si  sarebbe  dinanzi  a
questioni proposte su un presupposto interpretativo «antitetico e non
complementare»,  senza  che  il  giudice  rimettente  abbia   sciolto
l'antinomia e indicato la ricostruzione ermeneutica che egli  ritenga
corretta. 
    3.3.- La questione  relativa  alla  violazione  della  competenza
esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente sarebbe poi  non
fondata, poiche' la considerazione tra i diversi introiti,  anche  di
quelli  derivanti  da  incentivi,  disposta  dalla  legge   regionale
applicando le norme statali e regionali vigenti, non  produrrebbe  le
«deviazioni, traslazioni o  mutamenti  di  beneficiario»  prefigurate
dall'ordinanza di rimessione. 
    Cio'  in  quanto  l'investimento  per  la  realizzazione  di   un
termovalorizzatore,   «ancorche'    assicurato    inizialmente    dal
proprietario,   e'   nella   sostanza   deciso   e   compiuto   dalla
collettivita',  sia  mediante  la  procedura  di  pianificazione,  di
approvazione e localizzazione dell'impianto, sia soprattutto mediante
l'integrazione   dell'impianto   nel   servizio   pubblico    e    la
programmazione che, mediante la tariffa, ne copre i costi». 
    A tale argomento la difesa regionale aggiunge  anche  quello  che
«la totale copertura del costo effettivo del termovalorizzatore,  per
la parte relativa allo smaltimento dei rifiuti urbani», in ogni  caso
determinerebbe «un grande vantaggio per il privato proprietario,  che
con la stessa "macchina" finanziata pro quota dal pubblico opera  sul
mercato  libero  dei  rifiuti  speciali,  in   relazione   ai   quali
tratterra', insieme ad ogni altra entrata, anche  l'intero  vantaggio
connesso agli incentivi collegati all'impianto di smaltimento». 
    In conclusione,  quindi,  poiche'  nel  caso  di  apertura  degli
impianti di smaltimento  dei  rifiuti  verrebbero  in  gioco  «scelte
pianificatorie  in  cui  il  ruolo  preponderante  e'  assunto  dalla
collettivita', sia per il  finanziamento,  sia  per  le  esternalita'
negative che su di esse ricadono», sarebbe del tutto coerente con  la
logica degli incentivi che questi vadano a beneficio di questa e  non
si trasformino «in una rendita in capo al soggetto privato che agisce
a scopo di lucro, ma protetto in larga misura dai rischi d'impresa». 
    3.4.- Non fondata sarebbe, infine,  anche  l'ulteriore  questione
sulla  violazione  dei  principi   costituzionali   in   materia   di
imposizione  dei  tributi,  in   quanto   risulterebbe   radicalmente
arbitrario attribuire alla norma regionale tale natura. 
    4.- In prossimita' dell'udienza la Regione ha depositato  memoria
illustrativa,  con  la  quale   ha   focalizzato   l'attenzione   sul
significato delle delibere emanate dall'Autorita' di regolazione  per
energia,  reti  e  ambiente  (ARERA)  nel  periodo  2019-2021  e   in
particolare su quella del 3 agosto 2021, n. 363/2021/R/rif,  dedicata
specificamente anche alle «tariffe al cancello»; cio' in quanto  tale
delibera avrebbe riconosciuto «la piena legittimita'  dell'intervento
regionale». 
    5.-  Altra  memoria  illustrativa  e'  stata  depositata,   prima
dell'udienza  pubblica,  da   Herambiente   spa,   che,   dopo   aver
stigmatizzato che la norma regionale avrebbe vanificato le  finalita'
dell'incentivazione  equiparando  «il   titolare   di   un   impianto
incentivato  agli  operatori  non  aventi  titolo   per   beneficiare
dell'incentivo», ha replicato  alle  argomentazioni  difensive  della
Regione, ribadendo l'illegittima deviazione  dei  benefici  economici
dell'incentivo a favore dell'utenza del servizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 luglio 2021 (r.o. n. 138  del  2021),  il
Consiglio di Stato, sezione quarta, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 23, 117, secondo  comma,  lettere  e),  ed  s),  e  119  Cost.,
questioni  di   legittimita'   costituzionale   dell'ultimo   periodo
dell'art. 16, comma 1, della legge  reg.  Emilia-Romagna  n.  23  del
2011, nella parte in  cui,  nell'ambito  della  determinazione  della
tariffa regionale di accesso agli impianti di smaltimento di  rifiuti
urbani nella titolarita' di soggetti privati, comprende la dizione «e
considerando anche gli introiti». 
    1.1.- Il suddetto art. 16, comma  1,  nel  suo  insieme  prevede:
«[i]n presenza di un soggetto privato proprietario dell'impiantistica
relativa alla gestione delle operazioni di  smaltimento  dei  rifiuti
urbani di cui all'articolo 183, comma  1,  lettera  z),  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006, compresi gli impianti di trattamento  di
rifiuti urbani classificati R1 ai sensi dell'Allegato  C,  Parte  IV,
del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'affidamento della gestione
del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende  detta  impiantistica
che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio. A tal fine
l'Agenzia individua dette specificita', regola i  flussi  verso  tali
impianti, stipula il relativo contratto di servizio e, sulla base dei
criteri regionali, definisce il costo dello smaltimento da imputare a
tariffa tenendo conto dei costi effettivi e  considerando  anche  gli
introiti». 
    1.2.- Sotto  un  primo  profilo,  il  giudice  rimettente  dubita
dell'ultimo periodo dell'art.  16,  comma  1,  della  suddetta  legge
regionale, in riferimento all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),
Cost., per «possibile contrasto» con la competenza esclusiva  statale
in materia di ambiente. 
    In secondo luogo, «[s]otto un diverso  profilo»,  in  riferimento
agli artt. 23, 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo  comma,
Cost., censura la medesima norma in quanto la riduzione  dell'importo
della  tariffa  «potrebbe  integrare  un  tributo  o,  comunque,  una
surrettizia "prestazione patrimoniale imposta" [...]». 
    1.3.- Il giudice rimettente riferisce che le questioni sono sorte
nel corso del  giudizio  di  appello  avverso  le  sentenze  del  TAR
Emilia-Romagna, sezione seconda, 16 giugno 2020, n. 408 e n. 413, che
avevano rigettato i ricorsi di Herambiente spa, societa' proprietaria
degli impianti di  smaltimento,  per  l'annullamento  delle  delibere
della Giunta della Regione Emilia-Romagna, n. 380 del 2014 e  n.  467
del 2015, di attuazione dell'art. 16 della legge regionale n. 23  del
2011,  con  cui  erano  stati  fissati  i  «criteri  regionali»   per
l'individuazione  e  la  quantificazione  dei  costi  sostenuti   dai
soggetti  privati  proprietari  degli  impianti  di  smaltimento  dei
rifiuti urbani che dovevano essere  imputati  alla  tariffa  gravante
sugli utenti finali. 
    1.4.- Il Consiglio di Stato, riuniti gli appelli, ha reputato non
fondati i primi tre motivi di impugnazione, sospendendo  il  giudizio
per il quarto motivo. 
    1.5.- In particolare, con riferimento al primo motivo, il giudice
a  quo  ha  ritenuto  insussistente   la   violazione   del   «metodo
normalizzato per definire la tariffa del  servizio  di  gestione  del
ciclo dei rifiuti urbani», di cui al d.P.R. n. 158 del 1999,  il  cui
art. 3 si limita a prevedere che la tariffa di riferimento  a  regime
deve coprire tutti i costi afferenti  al  servizio  di  gestione  dei
rifiuti urbani, ma «non esclude expressis verbis che anche i  ricavi,
lato sensu intesi, conseguiti dal soggetto affidatario  del  servizio
di gestione dei RSU in relazione a tale specifica  attivita'  possano
essere  computati  al  fine  di  quantificare  la  tariffa   gravante
sull'utenza finale». 
    Le    delibere    impugnate    avrebbero    quindi     effettuato
«un'individuazione  dei  costi   reali   sostenuti   dall'operatore»,
scomputando, dai costi materiali «e, per  cosi'  dire,  "grezzi"»,  i
«benefici incentivanti» percepiti dall'operatore gravanti sulle casse
pubbliche. 
    Le  due  delibere,  in  sostanza,  si  sarebbero   mosse   «entro
un'analisi ab interno della struttura  del  costo  dell'attivita'  di
smaltimento», in tal  modo  «non  decampando  dai  principi  generali
enucleati dal d.P.R. n. 158 del 1999». 
    1.6.- Il rimettente, inoltre, rigettati il secondo  ed  il  terzo
motivo, ha invece sospeso la decisione in ordine  al  quarto  motivo,
ritendo  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate   le   suddette
questioni di legittimita' costituzionale. 
    Cio' in quanto la  «ampiezza  e  la  atecnicita'»  della  dizione
«introiti» utilizzata nell'ultimo  periodo  dell'art.  16,  comma  1,
«evidentemente  voluta»  dal  legislatore  regionale,  imporrebbe  di
ritenervi ricompresi anche gli «incentivi per l'energia  prodotta  da
fonte rinnovabile i quali, del resto, nella contabilita' dell'impresa
configurano materialmente un incremento economico,  ovvero  in  altra
prospettiva,  una  posta  reddituale  positiva,  ossia   appunto   un
"introito"». 
    Tuttavia, poiche' - ad avviso del giudice a quo - tali  incentivi
sarebbero stati erogati per rendere economicamente sostenibili  forme
di produzione di  energia  «ambientalmente  compatibile»,  derivante,
nella specie, dallo smaltimento dei rifiuti, la  relativa  disciplina
perseguirebbe direttamente e sotto un duplice aspetto  (gestione  del
ciclo dei rifiuti e  produzione  di  energia  da  fonti  rinnovabili)
finalita' di «tutela dell'ambiente». 
    La   norma   regionale,   deviando    gli    effetti    economici
dell'incentivo, si porrebbe pertanto in violazione  della  competenza
legislativa esclusiva statale in materia di tutela  dell'ambiente  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    Il rimettente lamenta poi, «sotto un  diverso  profilo»,  che  la
sottrazione, dai costi, della  quota  degli  incentivi  percepiti  in
relazione  all'operazione  di  smaltimento  «potrebbe  integrare   un
tributo»  o  comunque  «una  surrettizia  "prestazione   patrimoniale
imposta"». 
    Cio' in violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e),  e
119, secondo comma, Cost., perche' il tributo risulterebbe  istituito
in una materia «in cui non e' stata  attribuita  potesta'  tributaria
alla Regione», o comunque dell'art. 23 Cost., difettando  i  «criteri
oggettivi tali da integrare la riserva di legge relativa». 
    2.- Si e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  Emilia-Romagna,
eccependo l'inammissibilita' delle  questioni,  in  quanto  sollevate
«alla   stregua   di   una   duplice   ed    irrisolta    prospettiva
interpretativa». 
    Infatti, il giudice amministrativo, dopo avere deciso e  respinto
in modo definitivo la censura di  violazione  del  metodo  tariffario
stabilito dallo  Stato  (in  quanto  le  delibere  regionali  non  si
sarebbero discostate «dai principi generali» enucleati dal d.p.r.  n.
158 del 1999), avrebbe poi sollevato  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sull'invasione della competenza legislativa statale in
materia di ambiente, in considerazione della circostanza che tra  gli
introiti rientravano anche gli incentivi  per  le  energie  da  fonti
rinnovabili. 
    In modo contraddittorio, inoltre, avrebbe sollevato  un'ulteriore
questione  di  legittimita'  costituzionale   affermando   che   tale
modalita' di computo dei costi  «potrebbe  integrare  un  tributo  o,
comunque, una surrettizia prestazione patrimoniale imposta». 
    Secondo la difesa regionale, in sintesi, le  questioni  sarebbero
proposte sulla base di un presupposto  interpretativo  «antitetico  e
non complementare», senza che il  giudice  rimettente  abbia  sciolto
l'antinomia  e  indicato  quale  ricostruzione  ermeneutica   ritenga
corretta. 
    3.- L'eccezione non e' fondata. 
    3.1.- Le questioni sono formulate  in  modo  solo  apparentemente
ancipite,  perche'  in   realta'   il   giudice   a   quo   chiarisce
sufficientemente  la  propria  opzione  interpretativa  in  relazione
all'effetto della norma censurata, ponendo poi a questa Corte,  sotto
distinti profili, complementari e non antitetici (sentenza n. 95  del
2020), concorrenti questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.- Nel merito, la questione relativa  alla  asserita  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non e' fondata. 
    Tale  questione  attiene  alla   determinazione   della   tariffa
regionale, la cosiddetta  "tariffa  al  cancello",  che,  nella  fase
finale del ciclo integrato dei rifiuti - la cui regolazione e', nello
specifico, affidata all'Agenzia territoriale dell'Emilia Romagna  per
il servizio idrico e i rifiuti (ATERSIR), che opera nell'unico Ambito
territoriale ottimale individuato nella Regione - deve essere versata
a  titolo  di  corrispettivo  ai  proprietari   degli   impianti   di
smaltimento dai soggetti che vi conferiscono i rifiuti urbani. 
    4.1.- La base normativa della tariffa  in  oggetto  si  rinviene,
innanzitutto, nei commi da 2 a 5 dell'art. 49 del decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione  delle  direttive  91/156/CEE  sui
rifiuti,  91/689/CEE  sui  rifiuti  pericolosi   e   94/62/CE   sugli
imballaggi  e  sui  rifiuti  di  imballaggio),  cosiddetto   "decreto
Ronchi", che, dando attuazione  al  principio  europeo  "chi  inquina
paga", hanno previsto la copertura integrale dei  costi  relativi  al
ciclo integrato dei rifiuti. 
    Tale previsione ha poi trovato conferma nell'art.  25,  comma  4,
del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per  la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e  la  competitivita'),
convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, in base
al quale: «[...] all'affidatario del servizio di  gestione  integrata
dei rifiuti urbani devono essere garantiti l'accesso agli impianti  a
tariffe  regolate  e  predeterminate  e   la   disponibilita'   delle
potenzialita' e capacita' necessarie  a  soddisfare  le  esigenze  di
conferimento indicate nel piano d'ambito». 
    Per quanto qui interessa va sottolineato che il comma 5 dell'art.
49 del d.lgs. n. 22 del 1997  ha  introdotto  il  cosiddetto  "metodo
normalizzato" «per definire le componenti dei costi e determinare  la
tariffa di riferimento», la cui elaborazione  e'  stata  in  concreto
effettuata dal d.P.R. n. 158 del 1999, tutt'ora vigente, in attesa di
nuova regolamentazione, per effetto degli artt. 238, comma 11, e  265
(quest'ultima,   quale   disposizione   transitoria)   del    decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    In particolare, l'art. 2 del d.P.R. n. 158 del 1999 ha  stabilito
che la «tariffa di riferimento» rappresenta «l'insieme dei criteri  e
delle condizioni che devono essere rispettati per  la  determinazione
della tariffa» e ha precisato che questa «a regime deve coprire tutti
i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani  e  deve
rispettare la equivalenza di cui al punto 1 dell'allegato 1». 
    Sulla scorta  di  tale  «equivalenza»  il  totale  delle  entrate
tariffarie deve coprire i costi di gestione del  ciclo  dei  servizi,
quelli comuni e anche quelli d'uso del capitale  (interessi  passivi,
ammortamenti e accantonamenti), nel senso che tutti i costi  relativi
al ciclo dei rifiuti devono trovare integrale copertura. 
    La tariffa si compone, quindi, di una parte fissa, determinata in
relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite
in  particolare  agli  investimenti  per  le  opere  ed  ai  relativi
ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantita'  di
rifiuti conferiti, al servizio fornito e  all'entita'  dei  costi  di
gestione. 
    4.2.- Nell'ordinanza di  rimessione  il  Consiglio  di  Stato  ha
affermato, da un lato, che le due delibere  regionali  impugnate,  n.
380 del 2014 e n. 467 del 2015, hanno fatto corretta applicazione dei
«principi generali» di cui  al  d.P.R.  n.  158  del  1999,  ma  che,
dall'altro, la  specificazione  effettuata  dall'art.  16,  comma  1,
ultimo periodo, della legge  reg.  Emilia-Romagna  n.  23  del  2011,
consentendo  di  scomputare,  per  il  calcolo   della   tariffa,   i
finanziamenti pubblici a fondo perduto e gli ammortamenti  dei  costi
relativi  al  capitale  fornito  dal  pubblico,  determinerebbe   una
violazione della competenza esclusiva statale in  materia  di  tutela
dell'ambiente. 
    Cio'   in   quanto,   modificando   il   «fruitore   sostanziale»
dell'incentivo,  la  norma   regionale   si   frapporrebbe   fra   il
«destinatario  formale  dell'incentivo»   e   l'incentivo   medesimo,
deviando quest'ultimo e i suoi effetti economici in favore  di  altro
soggetto, ossia verso la «collettivita'  utente  del  servizio»,  con
conseguente  «riduzione  della  tariffa»,  di  fatto  rendendo   meno
sostenibili  le  forme  di  produzione  di  energia  compatibili  con
l'ambiente. 
    4.3.- Il giudice a quo non contesta quindi la possibilita' per la
Regione  di  dettagliare,  nell'ambito   della   propria   competenza
concorrente in materia di «produzione di  energia»  di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost., il metodo normalizzato stabilito dal  d.P.R.
n. 158 del 1999, che del resto all'art. 2 identifica «criteri» per il
calcolo della tariffa e «non esclude expressis  verbis  che  anche  i
ricavi, lato sensu intesi, conseguiti dal  soggetto  affidatario  del
servizio di gestione dei RSU in relazione a tale specifica  attivita'
possano essere computati al fine di quantificare la tariffa  gravante
sull'utenza finale». 
    Contesta  piuttosto  che  la  norma  regionale,  consentendo   di
includere tra i ricavi anche i finanziamenti pubblici a fondo perduto
e gli  ammortamenti  dei  costi  relativi  al  capitale  fornito  dal
pubblico,  determinerebbe  una  specificazione  non  consentita   dei
«criteri generali» del metodo normalizzato,  realizzando  un'indebita
interferenza - a danno della competenza statale in materia di  tutela
dell'ambiente - sulla ratio che giustifica gli incentivi statali. 
    Tale ratio, infatti, dovrebbe leggersi come diretta a beneficiare
unicamente  il  titolare  dell'impianto  di  termovalorizzazione,  il
quale, chiamato a sostenerne gli ingenti costi di realizzazione, solo
in forza della  percezione  dell'incentivo  avrebbe  potuto  ritenere
«economicamente  sostenibili   forme   di   produzione   di   energia
ambientalmente compatibile». 
    4.4.- Tale assunto non puo' essere condiviso. 
    4.4.1.- La realizzazione  di  un  termovalorizzatore  dipende  da
scelte indubbiamente  piu'  complesse  di  quelle  rappresentate  dal
giudice rimettente. 
    All'interno di un determinato contesto territoriale, infatti,  il
raggiungimento dell'auspicabile obiettivo  di  produrre  energia  dai
rifiuti urbani non riciclabili non dipende solo  dalla  decisione  di
investimento di un determinato imprenditore,  ma  anche,  secondo  le
normative  vigenti,  da  determinazioni  delle  autorita'  pubbliche,
quanto,  ad  esempio,  alla   pianificazione,   alle   autorizzazioni
ambientali,  alla  programmazione.  Ne'  puo'  essere  trascurato  il
rilievo di un coinvolgimento della popolazione interessata. 
    Tanto  piu'  l'incentivo  statale  si  riflettera'  anche   sulla
comunita' territoriale di riferimento, tanto maggiore sara' quindi la
possibilita'  che  possa  effettivamente   raggiungere   il   proprio
obiettivo,  ovvero  quello  di   indurre   soluzioni   ambientalmente
virtuose. 
    4.4.2.-  L'esistenza  di  questo   riflesso   sulla   popolazione
interessata e', perlomeno in prospettiva, considerata dalla normativa
statale, dal momento che l'art. 1, comma 654, della legge 27 dicembre
2013, n. 147, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'  2014)»
stabilisce, in materia di TARI (tassa sui rifiuti),  che  «[i]n  ogni
caso deve essere assicurata  la  copertura  integrale  dei  costi  di
investimento e di  esercizio  relativi  al  servizio,  ricomprendendo
anche i costi di cui  all'articolo  15  del  decreto  legislativo  13
gennaio 2003, n. 36, ad esclusione  dei  costi  relativi  ai  rifiuti
speciali al cui smaltimento provvedono a  proprie  spese  i  relativi
produttori comprovandone l'avvenuto trattamento in  conformita'  alla
normativa vigente». 
    In questo  contesto  normativo,  la  riduzione,  a  valle,  della
"tariffa al cancello", per effetto del censurato art.  16,  comma  1,
corrisposta dai comuni che utilizzano il  termovalorizzatore  per  lo
smaltimento dei rifiuti urbani, determina quindi un  minor  peso  dei
costi da questi sostenuti e di conseguenza, per un principio di "vasi
comunicanti", permette una riduzione, a monte, della  TARI  richiesta
ai propri cittadini. 
    Si tratta di una esternalita' positiva  che  puo'  concorrere  in
modo significativo a spingere la popolazione interessata ad accettare
la decisione di realizzare il termovalorizzatore. 
    Lo stesso, peraltro, puo' dirsi, su un  altro  piano,  anche  con
riferimento a quegli impianti destinati, nella fase finale del  ciclo
dei rifiuti urbani, al riciclo anziche' alla  produzione  di  energia
attraverso  la   termovalorizzazione.   Il   successo   dell'economia
circolare, basata sul recupero e il riutilizzo, presuppone,  infatti,
l'attiva cooperazione della  popolazione  interessata  attraverso  la
raccolta differenziata. 
    4.4.3.- Non puo'  quindi  considerarsi  estranea  alla  ratio  di
queste specifiche forme statali di incentivi - che  e'  indubbiamente
diversa, ad  esempio,  da  quella  dei  cosiddetti  "Conti  Energia",
tuttavia, non avulsi anch'essi da  esigenze  di  «equo  bilanciamento
degli opposti interessi in gioco» (sentenza n. 16 del 2017) -  quella
di potersi riferire,  in  una  logica  di  comune  vantaggio,  a  una
pluralita' di potenziali destinatari. 
    Con rifermento al perdurante beneficio per l'imprenditore va,  al
riguardo, ricordato che  la  norma  regionale  censurata,  dopo  aver
chiarito che dall'affidamento della gestione del servizio dei rifiuti
urbani  resta  esclusa  l'impiantisca  di  cui  sia  proprietario  un
soggetto  privato,  precisa  che  «detta  impiantistica  [...]  resta
inclusa nella regolazione pubblica del servizio». 
    Tale regolazione pubblica, che,  riflettendo  le  esigenze  della
comunita', si traduce nel criterio della  mera  copertura  dei  costi
effettivi, non attiene pero' al libero mercato dei rifiuti  speciali,
dei  cui   proventi   beneficia   interamente,   ed   esclusivamente,
l'imprenditore che, grazie agli incentivi pubblici, ha realizzato  il
termovalorizzatore. 
    Le delibere regionali qui  in  considerazione  sono,  del  resto,
riferite a imprese che,  come  normalmente  avviene,  utilizzano  gli
impianti di smaltimento non solo per i rifiuti urbani (per i quali la
tariffa e' sottoposta, come detto, a regolamentazione  pubblica),  ma
anche per i rifiuti speciali,  per  i  quali  il  prezzo  e'  appunto
stabilito in regime di libero mercato. 
    4.4.4.- Va  peraltro  considerato,  a  ulteriore  conferma  della
razionalita' della logica del  beneficio  diffuso,  che,  in  assenza
della suddetta regolazione pubblica, sfruttando le economie di  scala
di impianti realizzati grazie anche a finanziamenti pubblici a  fondo
perduto, si verificherebbe, come sottolineato dalla difesa regionale,
un abnorme «vantaggio per il privato proprietario, che con la  stessa
"macchina" finanziata pro quota dal pubblico opera sul mercato libero
dei rifiuti speciali, in relazione ai quali  tratterra',  insieme  ad
ogni altra entrata, anche l'intero vantaggio connesso agli  incentivi
collegati all'impianto di smaltimento». 
    4.5.-  Le  considerazioni  appena  esposte  valgono   anche   con
riferimento agli ammortamenti, che la  norma  regionale  consente  di
inserire    nell'ampio    genus    degli    «introiti»;    altrimenti
l'imprenditore, dopo essere stato beneficiario  di  un  finanziamento
pubblico a fondo perduto  per  la  realizzazione  degli  impianti  di
smaltimento, potrebbe poi scomputare dalla tariffa quote  annuali  di
ammortamento di costi, in realta',  non  sostenuti  direttamente,  in
quanto coperti dalla provvista pubblica. 
    4.6.- Una volta ricostruiti in questi termini gli  effetti  della
norma regionale, si deve escludere che l'ultimo periodo dell'art  16,
comma 1, della  legge  reg.  Emilia-Romagna  n.  23  del  2011  abbia
determinato, come sostenuto dal giudice a quo, una  deviazione  degli
incentivi lesiva della competenza legislativa  esclusiva  statale  in
materia di tutela dell'ambiente. 
    4.7.- A conforto delle esposte conclusioni, non  e'  indifferente
ricordare che l'ARERA, istituita con l'art. 1, comma 527, della legge
27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per
l'anno finanziario  2018  e  bilancio  pluriennale  per  il  triennio
2018-2020), chiamata a fornire chiarimenti in  ordine  alla  adozione
della sua prima delibera (n. 443/2019/R/rif), con cui ha  definito  i
criteri per l'individuazione del valore  della  tariffa  relativa  al
ciclo  integrato  dei  rifiuti  per  il  periodo  2018-2021,  con  la
determinazione n. 02/DRIF/2020, ha precisato  che  all'interno  della
tariffa regionale «i ricavi  da  incentivi  all'energia  prodotta  da
fonti rinnovabili sono valorizzati in continuita' con quanto disposto
dagli Enti territorialmente competenti precedentemente all'entrata in
vigore del MTR [Metodo tariffario servizio integrato di gestione  dei
rifiuti]». 
    Piu' specificamente, poi, nella delibera 363/2021/R/rif, relativa
al  periodo  2022-2025,  proprio  in  riferimento  alla  tariffa  "al
cancello", ottenuta con il nuovo  metodo  MTR-2,  ARERA  ha  ritenuto
«opportuno confermare il mantenimento dei fattori di sharing  (intesi
come fattori di ripartizione dei benefici tra  gestori  e  utenti)  -
gia' introdotti nel primo periodo regolatorio -». 
    La descritta logica della ripartizione dei benefici risponde, del
resto,  alla   consapevolezza   della   complessita'   della   tutela
dell'ambiente, che peraltro oggi trova una specifica  valorizzazione,
«anche nell'interesse delle future generazioni», nel  novellato  art.
9, terzo comma, Cost. 
    5.- La seconda questione, relativa alla dedotta violazione  degli
artt. 23, 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost.
e' anch'essa non fondata, in quanto  la  norma  regionale  censurata,
limitandosi a stabilire «e considerando anche gli introiti», inerisce
esclusivamente al metodo di  calcolo  matematico  della  "tariffa  al
cancello" e si pone su un piano che, di per se',  e'  concettualmente
estraneo  a  quello  di  un  prelievo  coattivo  configurabile   come
un'imposizione tributaria o una prestazione patrimoniale imposta. 
    Non vengono, quindi, in questione ne' l'ambito entro cui si  puo'
muovere l'autonomia impositiva regionale, cui, peraltro, a differenza
da quanto ritenuto dal giudice a quo, non e' preclusa, in determinati
casi, la possibilita' di stabilire, «nel  rispetto  dei  principi  di
coordinamento», tributi propri in materia ambientale (sentenza n.  82
del 2021), ne' il rispetto dei  criteri  inerenti  alla  base  legale
della riserva relativa di cui all'art. 23 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 16, comma 1, ultimo  periodo,  della  legge  della  Regione
Emilia-Romagna 23 dicembre  2011,  n.  23  (Norme  di  organizzazione
territoriale delle  funzioni  relative  ai  servizi  pubblici  locali
dell'ambiente), sollevate, in riferimento agli artt. 23, 117, secondo
comma, lettere s) ed e), e 119, secondo comma, Cost.,  dal  Consiglio
di Stato, sezione quarta, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 novembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA