N. 72 ORDINANZA 22 marzo - 14 aprile 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Reati in materia di immigrazione  -  Contraffazione  o
  alterazione di titoli di soggiorno, o  di  documenti  necessari  al
  loro ottenimento, e utilizzo dei medesimi documenti contraffatti  o
  alterati - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a sei anni
  - Riduzione di  un  terzo  della  pena  per  le  condotte  di  mero
  utilizzo, in analogia a quanto stabilito per i  delitti  comuni  di
  falso - Omessa previsione - Denunciata violazione dei  principi  di
  eguaglianza,  ragionevolezza  e  proporzionalita'  della   pena   -
  Sopravvenuta  modifica  normativa  -  Restituzione  degli  atti  al
  giudice a quo. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 8-bis. 
- Costituzione, artt. 3 e 27 Cost. 
(GU n.16 del 19-4-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  5,  comma
8-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme  sulla  condizione  dello  straniero),  promosso  dal   Giudice
dell'udienza preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Vicenza  nel
procedimento penale a carico di O. E., con ordinanza  del  16  giugno
2022, iscritta al n. 92 del  registro  ordinanze  2022  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
speciale, dell'anno 2022. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  O.  E.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2023 il Giudice relatore
Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Dario Lunardon per  O.  E.  e  l'avvocato  dello
Stato Salvatore Faraci per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2023. 
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del  16  giugno  2022  il  Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Vicenza  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3 e  27  della  Costituzione  -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma  8-bis,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), «nella parte  in  cui  prevede  il
medesimo trattamento sanzionatorio sia per il delitto di utilizzo  di
documenti contraffatti o alterati, sia per quelli di contraffazione o
alterazione di documenti descritti nella stessa norma, e  non  invece
trattamenti sanzionatori differenziati, non prevedendo in particolare
che la  pena  edittale  per  il  delitto  di  utilizzo  di  documenti
contraffatti o alterati sia determinata riducendo di un terzo la pena
prevista  per  le  condotte  di  contraffazione  o  alterazione   dei
documenti medesimi, analogamente  a  quanto  disposto  dall'art.  489
c.p.»; 
    che nel giudizio a quo O. E. e'  imputato  del  delitto  previsto
dalla disposizione censurata per avere utilizzato un  certificato  di
conoscenza della lingua italiana risultato  contraffatto,  inviandolo
all'Ufficio immigrazione  della  Questura  di  Vicenza,  al  fine  di
ottenere il «rilascio o rinnovo» del permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo per lavoro subordinato; 
    che, in sede di  udienza  preliminare,  l'imputato  ha  formulato
richiesta di sospensione del procedimento con messa  alla  prova,  ai
sensi degli artt. 168-bis del codice penale e 464-bis del  codice  di
procedura penale, contestualmente sollecitando  il  promovimento  del
presente incidente di legittimita' costituzionale; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
rimettente  osserva  anzitutto  che  l'art.  5,  comma  8-bis,   t.u.
immigrazione prevede la medesima pena della reclusione da uno  a  sei
anni sia per chiunque contraffa'  o  altera  documenti  di  soggiorno
ovvero documenti  finalizzati  a  ottenere  un  titolo  legittimo  di
soggiorno, sia per chiunque, semplicemente, utilizza tali documenti; 
    che, ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  disciplina  censurata
violerebbe   i   principi   di    eguaglianza,    ragionevolezza    e
proporzionalita'  della  pena  sotto  un  duplice  profilo:  a)   per
l'indebita equiparazione, quanto  al  trattamento  sanzionatorio,  di
condotte di disvalore eterogeneo; e b) per l'irragionevole disparita'
di trattamento rispetto alla disciplina generale dei delitti di falso
sancita nel codice penale; 
    che,  sotto  il  primo  profilo,  risulterebbe  irragionevole  la
previsione di  un'unica  cornice  edittale  per  «condotte  tra  loro
sensibilmente differenti sia in punto di elemento  materiale  che  di
coefficiente psicologico», indicative di «una diversa attitudine  del
soggetto attivo [a] porsi in contrasto con l'ordinamento», atteso che
la falsificazione materiale di un titolo di soggiorno o dei documenti
necessari a ottenerne il rilascio richiederebbe  «capacita'  tecnica,
abilita' manuale, destinazione di risorse materiali e di  tempo  alla
realizzazione dell'illecito» e presupporrebbe, sovente, l'inserimento
del soggetto attivo «in un circuito dal quale provengono  i  supporti
documentali e gli strumenti necessari alla realizzazione del  falso»;
caratteristiche, queste, assenti invece nell'«azione  unisussistente»
di mero uso di un documento contraffatto o alterato da terzi; 
    che la previsione di un  identico  trattamento  sanzionatorio  in
relazione   a   condotte   tanto   dissimili   risulterebbe   percio'
intrinsecamente   incoerente   e   contraria    al    principio    di
proporzionalita' della pena, il  quale  esige  che  quest'ultima  sia
«adeguatamente  calibrata  non  solo   al   concreto   contenuto   di
offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma  anche
al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo» (sono citate  le
sentenze n. 55 del 2021 e n. 73 del 2020 di questa Corte); 
    che,  sotto  il  secondo   profilo,   la   disciplina   censurata
divergerebbe poi irragionevolmente  da  quella  prevista  dal  codice
penale per i comuni delitti di falso; 
    che, infatti, ai sensi dell'art. 482 cod. pen. la  falsificazione
materiale di un atto  pubblico  o  di  certificato  o  autorizzazione
amministrativa, ove commessa da un privato, e' sanzionata con le pene
previste dagli artt. 476 e 477 cod. pen. (rispettivamente  da  uno  a
sei anni, e da sei mesi a tre  anni  di  reclusione)  ridotte  di  un
terzo, mentre l'uso di un atto falso e'  punito  con  le  pene  cosi'
determinate,  ma  ulteriormente  ridotte  di  un  terzo,  secondo  il
disposto dell'art. 489 cod. pen.; 
    che tale disparita'  di  trattamento  risulterebbe,  anche  sotto
questo profilo, contraria agli artt. 3 e 27  Cost.  (sono  citate  le
sentenze n. 62 del 2021, n. 88 e n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222  del
2018, n. 179 del 2017 e n. 236 del 2016); 
    che la rilevanza delle questioni discenderebbe  «dalla  richiesta
formulata dall'imputato di ammissione all'istituto della  messa  alla
prova», poiche', in ragione della cornice edittale prevista dall'art.
5, comma 8-bis, per l'uso di atti falsi  (reclusione  da  uno  a  sei
anni), non sarebbe possibile l'ammissione a  tale  rito  alternativo,
stanti i limiti di pena stabiliti dall'art. 168-bis cod. pen.; 
    che detta richiesta potrebbe invece essere  valutata  nel  merito
ove la disposizione  censurata  fosse  ricondotta  a  razionalita'  e
coerenza rispetto alle previsioni codicistiche, nonche' a conformita'
con il principio di proporzionalita' della pena rispetto  all'offesa,
mediante  una  pronuncia  di  questa  Corte  che  differenziasse   il
trattamento sanzionatorio del mero uso di un atto  falso  rispetto  a
quello della falsificazione materiale, prevedendo la riduzione di  un
terzo della sanzione edittale nella prima ipotesi (e'  richiamata  la
sentenza n. 143 del 2021); 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate; 
    che l'interveniente, dopo avere evidenziato che la disciplina del
fenomeno migratorio rappresenta «una manifestazione della  sovranita'
dello Stato» (sono citate le sentenze n. 172 del  2012,  n.  250  del
2010, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 353 del  1997  di  questa
Corte), osserva che la fattispecie incriminatrice di cui all'art.  5,
comma 8-bis, t.u. immigrazione - introdotta  dalla  legge  30  luglio
2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di
asilo)  e  poi  novellata  dalla  legge  15  luglio   2009,   n.   94
(Disposizioni in materia di sicurezza  pubblica)  -  presidierebbe  i
beni giuridici della pubblica fede e della regolarita'  dell'ingresso
e soggiorno dei cittadini stranieri e si configurerebbe come speciale
e assorbente rispetto ai delitti  comuni  di  falsita'  previsti  dal
codice penale, cio' che giustificherebbe «aspetti differenziali nella
costruzione   della   fattispecie   penale    e    del    trattamento
sanzionatorio»; 
    che non sarebbe persuasiva  la  tesi  del  rimettente  circa  una
minore offensivita' dell'uso di  documenti  alterati  o  contraffatti
rispetto alla fabbricazione dei  medesimi,  dovendosi  anzi  ritenere
piu'   grave   la   prima   fattispecie,   per   il   carattere    di
plurioffensivita' (della pubblica  fede  e  della  regolarita'  degli
«ingressi di soggiorno»  degli  stranieri)  che  invece  difetterebbe
nella seconda (posta solo a tutela della pubblica fede); 
    che il giudizio di maggiore o minore disvalore di una determinata
condotta e la determinazione delle cornici  edittali  della  relativa
pena rientrerebbero nell'ambito di discrezionalita' del legislatore e
sarebbero sindacabili solo in ipotesi  di  «manifesta  arbitrarieta',
irragionevolezza o sproporzione delle sanzioni» (sono  richiamate  le
sentenze n. 146 del 1996 e n. 313 del  1995  di  questa  Corte),  qui
certamente insussistenti; 
    che il limite alla manifesta sproporzione  della  singola  scelta
sanzionatoria   risulterebbe   travalicato    -    con    conseguente
ammissibilita'  del  sindacato  costituzionale   -   solo   «ove   il
legislatore fissi  una  misura  minima  della  pena  troppo  elevata,
vincolando cosi' il giudice all'inflizione  di  pene  che  potrebbero
risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua
gravita'» (e' citata la sentenza n.  28  del  2022  e  sono  altresi'
richiamate le sentenze n. 136 e n. 73 del 2020, n. 284, n. 112, n. 88
e n. 40 del 2019, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016, n. 68  del  2012,
n. 341 del 1994, n. 409 del 1989 e n.  218  del  1974),  ipotesi  che
nella specie non ricorrerebbe; 
    che sarebbe insussistente la denunciata irragionevole  disparita'
fra il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 5,  comma  8-bis,
t.u. immigrazione e quello di cui all'art.  482  (in  relazione  agli
artt. 476, 477 e 489) cod. pen., attesa la disomogeneita' del tertium
comparationis evocato; 
    che, d'altra parte, il giudice a quo non avrebbe chiarito perche'
l'impossibilita' per l'imputato  di  accedere  alla  sospensione  del
procedimento con messa alla prova violerebbe l'art. 27 Cost.,  atteso
che tale istituto  -  applicabile  a  condotte  punite  con  la  pena
pecuniaria o con la pena detentiva edittale non superiore nel massimo
a quattro anni - sarebbe riservato ai reati di  «scarsa  gravita'  ed
allarme sociale», laddove proprio la previsione della  reclusione  da
uno a sei anni per l'uso di documenti contraffatti o alterati al fine
di ottenere il rilascio di un titolo  di  soggiorno  disvelerebbe  il
giudizio di gravita' che il legislatore riconnette a  tale  condotta,
«secondo scelte di politica criminale che non risultano, nei  termini
sollevati, sindacabili»; 
    che  comunque  il  rimettente  ben   potrebbe,   ricorrendone   i
presupposti, applicare  la  pena  edittale  minima  o  concederne  la
sospensione    condizionale,    onde    assicurare    comunque     la
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio; 
    che si e' costituito in giudizio O. E., imputato nel  giudizio  a
quo, insistendo per l'accoglimento delle questioni; 
    che  la  parte  evidenzia  «la  severita'  sanzionatoria  che  il
legislatore ha riservato al reato di falsita' in titolo di  soggiorno
- punito con una pena detentiva superiore a tutte le  ipotesi  comuni
di falsita' commessa dal privato  -  e,  dall'altro,  l'equiparazione
radicale all'interno di una medesima disposizione di  condotte  assai
diverse   sotto   il   profilo   della   progressione   criminosa   e
dell'offensivita' in astratto»; 
    che, benche' la mera previsione di ipotesi di  reato  speciali  -
quali quelle contenute nell'art. 5, comma 8-bis, t.u. immigrazione  -
punite con pene  piu'  rigide  rispetto  a  quelle  codicistiche  non
esorbiti dai  confini  del  «legittimo  apprezzamento  consentito  al
legislatore»,  non  altrettanto  potrebbe  dirsi  in  relazione  alla
omissione di «qualsivoglia graduazione sanzionatoria» tra le condotte
tipizzate  dalla  disposizione  censurata,  il   cui   disvalore   e'
completamente diverso; 
    che l'equiparazione, a fini sanzionatori,  tra  contraffazione  e
alterazione di un titolo di soggiorno o di un documento necessario al
suo ottenimento da un lato, e utilizzazione  di  un  documento  falso
dall'altro,  violerebbe  l'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo   della
ragionevolezza  «tanto  intrinseca  quanto  estrinseca»,  e   sarebbe
contraria al principio di  eguaglianza,  considerato  anche  che  gli
artt. 476, 477, 482 e 489 cod. pen., assunti a tertium comparationis,
contemplerebbero invece «un trattamento sanzionatorio  progressivo  e
proporzionato rispetto alle singole condotte»; 
    che la diversita' di disciplina sussistente tra l'art.  5,  comma
8-bis, t.u. immigrazione e le norme codicistiche poste a tutela della
pubblica fede, si risolverebbe in una disparita' di  trattamento  fra
«due categorie di persone: da una parte i cittadini  rei  di  delitti
contro la fede pubblica per ogni tipo di atto, che beneficiano  della
graduazione punitiva proporzionata al fatto prevista  dal  codice,  e
dall'altra gli stranieri rei di falso materiale o  utilizzo  di  atto
falso per i titoli di soggiorno, cui detta graduazione e'  preclusa»,
disparita', questa, sindacabile da parte di questa  Corte,  al  metro
dei principi  di  eguaglianza  e  proporzionalita'  (sono  citate  le
sentenze n. 341 del 1994, n. 422 e n. 343 del 1993, n. 409 del 1989); 
    che, osserva la difesa della  parte,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale   risulterebbe    irragionevole    e    manifestamente
sproporzionato «vincolare il giudice a irrogare sanzioni  chiaramente
eccessive» (e' citata la sentenza  n.  63  del  2022);  cio'  che  si
verificherebbe nel caso di  specie,  ove  la  manifesta  sproporzione
riposerebbe «non tanto sul quantum edittale della pena, quanto  sulla
indiscriminata assimilazione sanzionatoria di piu' condotte»; 
    che sarebbe altresi' violato l'art. 27 Cost., in quanto «il vizio
di sproporzione in punto di  trattamento  sanzionatorio  tra  le  tre
condotte alternative» punite  dal  censurato  art.  5,  comma  8-bis,
comprometterebbe la finalita' rieducativa della pena, che implica «un
costante "principio di proporzione" tra qualita'  e  quantita'  della
sanzione, da una  parte,  e  offesa,  dall'altra"»  (sono  citate  le
sentenze n. 341 del 1994 e n. 313 del 1990 di questa Corte); 
    che,  nella  memoria  illustrativa  depositata   in   prossimita'
dell'udienza, la parte da' atto  che,  per  effetto  delle  modifiche
recate all'art. 550, comma 2, cod. proc. pen. dall'art. 32, comma  1,
lettera  a),  del  decreto  legislativo  10  ottobre  2022,  n.   150
(Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega  al
Governo per l'efficienza del processo penale, nonche' in  materia  di
giustizia riparativa e disposizioni per  la  celere  definizione  dei
procedimenti giudiziari), il delitto di cui all'art. 5, comma  8-bis,
t.u. immigrazione e' ora incluso nel novero dei reati per i quali  si
procede con citazione diretta a giudizio e dunque - per  effetto  del
richiamo all'art. 550, comma 2, cod.  proc.  pen.  operato  dall'art.
168-bis, primo comma, cod. pen. - di quelli per cui e' ammissibile la
sospensione del procedimento con messa alla prova; 
    che tale sopravvenienza  normativa  non  determinerebbe  tuttavia
l'irrilevanza delle questioni sollevate  dal  rimettente,  in  quanto
quest'ultimo - che pure potrebbe  ora  disporre  la  sospensione  del
procedimento con messa alla prova - dovrebbe  comunque  applicare  la
disposizione censurata; 
    che, d'altra parte, le prassi e i  protocolli  in  uso  presso  i
tribunali valorizzerebbero l'entita' della cornice edittale  di  pena
delle singole fattispecie di reato per determinare - entro il termine
massimo di due anni stabilito dall'art.  464-quater,  comma  5,  cod.
proc. pen. nei procedimenti che abbiano oggetto reati per i quali  e'
prevista la pena detentiva - i «differenti "scaglioni" di durata  del
periodo di sospensione del processo e della prestazione di lavoro  di
pubblica utilita' posta a carico dell'imputato»; di talche' i  limiti
minimi e massimi di pena previsti per il  singolo  reato  finirebbero
per «"riverberarsi" sul provvedimento che il Giudice  e'  chiamato  a
pronunciare all'esito del vaglio di  ammissibilita'  dell'istanza  di
messa alla prova»; 
    che, all'udienza,  il  difensore  della  parte  ha  ulteriormente
argomentato  in  senso  contrario  rispetto  alla   possibilita'   di
restituzione degli atti per consentire al  rimettente  l'esame  dello
ius superveniens,  sul  rilievo,  in  particolare,  che  la  modifica
normativa intervenuta incide su  disposizione  differente  da  quella
sottoposta allo scrutinio della Corte. 
    Considerato che il GUP del Tribunale di Vicenza ha sollevato - in
riferimento agli artt. 3 e  27  Cost.  -  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma  8-bis,  t.u.  immigrazione,  nella
parte in cui prevede la medesima pena della reclusione da uno  a  sei
anni sia per le ipotesi di contraffazione o alterazione di titoli  di
soggiorno o documenti necessari al loro ottenimento, sia per il  mero
uso di tali documenti, invece di prevedere la riduzione di  un  terzo
della pena edittale in quest'ultima ipotesi,  analogamente  a  quanto
disposto dall'art. 489 cod. pen.; 
    che il giudice a quo e' investito della richiesta di  sospensione
del procedimento con messa alla prova, formulata in sede  di  udienza
preliminare da un imputato del  delitto  di  cui  all'art.  5,  comma
8-bis, t.u. immigrazione; 
    che il rimettente ha espressamente argomentato la rilevanza delle
questioni osservando che la previsione, da parte  della  disposizione
censurata, della  pena  della  reclusione  da  uno  a  sei  anni  per
l'ipotesi di mero uso dei documenti gli precluderebbe  di  accogliere
tale richiesta dell'imputato, dal momento  che  l'art.  168-bis  cod.
pen. consente la sospensione del procedimento con messa alla prova  -
in particolare - per i delitti puniti con la pena edittale  detentiva
non superiore a quattro anni; 
    che, effettivamente, al momento della pronuncia dell'ordinanza di
rimessione l'accesso al rito alternativo risultava precluso, giacche'
il delitto ascritto all'imputato non rientrava neppure tra quelli per
i quali era  prevista  la  citazione  diretta  a  giudizio  ai  sensi
dell'art. 550, comma 2, cod. proc. pen.; 
    che, come correttamente osservato dal giudice a quo,  proprio  da
cio' derivava la rilevanza delle questioni sollevate, concernenti una
disposizione della quale il rimettente non era invero chiamato a fare
direttamente applicazione nel giudizio a quo, ma dalla quale comunque
discendeva  -  mediatamente  -   un   effetto   preclusivo   rispetto
all'applicazione dell'art. 168-bis cod. pen.; 
    che tuttavia, successivamente all'ordinanza di rimessione, l'art.
32, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 150  del  2022  ha  modificato
l'art. 550, comma 2, cod. proc. pen., inserendo  il  delitto  di  cui
all'art. 5, comma 8-bis, t.u. immigrazione nel novero di quelli per i
quali si procede a citazione diretta,  sicche'  ora  anche  per  tale
reato e' possibile la sospensione del  procedimento  con  messa  alla
prova; 
    che, ai sensi dell'art. 90, comma 1, del d.lgs. n. 150 del  2022,
la modifica  normativa  si  applica  «ai  procedimenti  pendenti  nel
giudizio di primo grado e in grado di appello» alla data  di  entrata
in vigore del decreto legislativo medesimo; 
    che, per effetto di tale sopravvenienza normativa,  nel  medesimo
giudizio a quo non deve piu' farsi applicazione,  nemmeno  indiretta,
della disposizione censurata, e  in  particolare  del  frammento  che
disciplina il  trattamento  sanzionatorio  per  il  delitto  da  essa
prevista  (sulla  irrilevanza  di  questioni   che   non   concernano
specificamente il frammento di disposizione censurato,  ordinanza  n.
56 del 2023); 
    che, infatti, l'accoglimento  della  richiesta  dell'imputato  di
sospensione del  procedimento  con  messa  alla  prova  non  e'  piu'
preclusa dalla  previsione  del  massimo  edittale  di  sei  anni  di
reclusione stabilito dall'art. 5,  comma  8-bis,  t.u.  immigrazione,
risultando  consentita  dal  generale  richiamo  compiuto   dall'art.
168-bis cod. pen. all'art.  550,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  come
modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022; 
    che l'affermazione della parte secondo cui  la  cornice  edittale
del reato sarebbe utilizzata, nelle prassi e nei  protocolli  in  uso
nei  tribunali,  per  graduare  la  durata  della  messa  alla  prova
all'interno della cornice stabilita dall'art.  464-quater,  comma  5,
cod. proc. pen. fa  riferimento  a  un  rilievo  meramente  eventuale
dell'art.  5,  comma   8-bis,   t.u.   immigrazione,   comunque   non
disciplinato a livello normativo; 
    che neppure e' persuasivo l'argomento, sostenuto dalla  parte  in
udienza, secondo cui la sopravvenienza normativa sarebbe  irrilevante
in quanto avente ad  oggetto  una  disposizione  distinta  da  quella
censurata; 
    che, infatti, come poc'anzi  osservato,  la  stessa  disposizione
censurata assumeva rilevanza soltanto mediata nel giudizio a quo, per
effetto del generale richiamo compiuto dall'art.  168-bis  cod.  pen.
alle cornici edittali dei singoli reati per i quali si procede:  tale
rilevanza e' ora venuta  meno  a  seguito  della  riconduzione  dello
specifico delitto - a cornice  edittale  invariata  -  al  novero  di
quelli previsti dall'art. 550, comma 2, cod. proc. pen.,  oggetto  di
autonomo e distinto richiamo da parte dello stesso art. 168-bis  cod.
pen.; 
    che, peraltro, la sopravvenuta possibilita'  di  fruire,  per  il
delitto in questione, del  rito  alternativo  della  sospensione  del
procedimento  con   messa   alla   prova   rappresenta   un'ulteriore
possibilita' di individualizzazione  e  mitigazione  del  trattamento
sanzionatorio, ora offerta dall'ordinamento; 
    che  la  giurisprudenza  costituzionale  -  quando  le  modifiche
conseguenti a uno ius  superveniens  «incidono  cosi'  "profondamente
sull'ordito logico che  sta  alla  base  delle  censure  prospettate"
(ordinanze n. 97 del 2022 e n. 60  del  2021),  oppure  intaccano  il
meccanismo contestato dal rimettente (ordinanza n. 55 del 2020) -  e'
costante nel ricavarne  la  necessita'  di  restituire  gli  atti  al
giudice a quo, spettando a quest'ultimo  sia  verificare  l'influenza
della  normativa  sopravvenuta  sulla   rilevanza   delle   questioni
sollevate  (ordinanza  n.  243  del   2021),   sia   procedere   alla
rivalutazione della non manifesta infondatezza, tenendo  conto  delle
intervenute modifiche normative (ordinanze n. 97 del 2022, n. 60  del
2021 e n. 185 del 2020)» (ordinanze n. 31 e n. 30 del  2023,  n.  227
del 2022); 
    che dunque, alla luce dello ius superveniens recato dall'art. 32,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 150 del 2022, si rende  necessaria
la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione
della rilevanza e della non manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    ordina  la  restituzione  degli  atti  al  Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Vicenza. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA