N. 107 SENTENZA 11 maggio - 1 giugno 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo amministrativo  -  Equa  riparazione  per  violazione  della
  ragionevole durata del  processo  -  Condizione  di  ammissibilita'
  della domanda -  Istanza  di  prelievo  nei  termini  prescritti  -
  Denunciata violazione dei vincoli convenzionali con riferimento  al
  diritto a  un  equo  processo  e  a  un  ricorso  effettivo  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Legge 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1. 
- Costituzione,  art.  117,   primo   comma;   Convenzione   per   la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 6, paragrafo 1, e 13. 
(GU n.23 del 7-6-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1,
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in
caso di violazione del termine ragionevole del  processo  e  modifica
dell'articolo 375 del codice di  procedura  civile),  promosso  dalla
Corte d'appello di Bologna, sezione terza  civile,  nel  procedimento
vertente tra L. A. e altri  e  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, con ordinanza del 3 agosto 2022,  iscritta  al  n.  116  del
registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno  2022,  la  cui
trattazione e' stata fissata per l'adunanza in  camera  di  consiglio
del 22 marzo 2023. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'11 maggio  2023  il  Giudice
relatore Marco D'Alberti; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 maggio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del  3  agosto  2022,  la  Corte  d'appello  di
Bologna, sezione terza civile, ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile),  nella  parte  in  cui  dispone  -  attraverso  il
richiamo all'art. 1-ter, comma 3, della  medesima  legge,  nel  testo
risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1,  comma  777,  della
legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita'  2016)»  -  l'inammissibilita'  della  domanda   di   equa
riparazione per l'eccessiva durata di un processo amministrativo, nel
caso di mancata presentazione di istanza di prelievo almeno sei  mesi
prima che siano trascorsi i termini di cui all'art. 2,  comma  2-bis,
della legge n. 89 del 2001. 
    1.1.- La questione e'  sollevata  in  riferimento  all'art.  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione ai parametri interposti
di cui agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione europea  dei
diritti dell'uomo. 
    1.2.- Il rimettente dubita  che  l'istanza  di  prelievo  di  cui
all'art.  71,  comma  2,  dell'Allegato  1   (Codice   del   processo
amministrativo)  al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo), possa essere  considerata  un  rimedio  "effettivo",
ossia   efficacemente   sollecitatorio,    come    richiesto    dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, al fine del
rispetto dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU, che riconosce il  diritto  a
un equo processo, e dell'art. 13  CEDU,  sul  diritto  a  un  ricorso
effettivo davanti a un'istanza nazionale. 
    1.3.- La questione e' stata sollevata nell'ambito di un  giudizio
instaurato da alcuni agenti di  polizia  penitenziaria,  che  avevano
fatto domanda di equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001
per la durata eccessiva di  un  processo  amministrativo,  avente  ad
oggetto l'accertamento e la declaratoria del diritto al  risarcimento
dei danni non patrimoniali, e la conseguente condanna  del  Ministero
della giustizia, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, per
l'attivita' lavorativa prestata nei giorni di riposo settimanale  non
recuperata, pendente  da  oltre  otto  anni.  Il  giudice  a  quo  ha
precisato che il giudizio  di  primo  grado,  a  fronte  del  ricorso
presentato  il  19  marzo  2014,  e'  stato  definito  dal  Tribunale
amministrativo regionale per l'Emilia Romagna - sezione  staccata  di
Parma con sentenza del 22 febbraio 2015, mentre  l'appello,  proposto
al  Consiglio  di  Stato  il  7  ottobre  2015,  risultava  pendente,
nonostante la proposizione di istanza di prelievo in data  20  luglio
2017. Il  rimettente  rileva  che  gli  appellanti  hanno  presentato
opposizione contro il decreto  che  ha  dichiarato  inammissibile  la
domanda, ai sensi degli artt. 2, comma 1, e  1-ter,  comma  3,  della
legge n. 89 del 2001, per non essere  stata  proposta  «l'istanza  di
prelievo ex art. 71 comma 2 CPA almeno sei mesi prima dei termini  di
cui all'art. 2 comma 2-bis l. 89/2001  ossia  nei  due  anni  per  il
secondo grado: quindi nel caso concreto entro un anno e sei mesi  dal
7/10/2015». 
    2.- Il giudice  a  quo,  in  punto  di  rilevanza,  osserva  che,
diversamente  da  quanto  sostenuto   dagli   opponenti,   le   norme
applicabili al caso in esame non sono state oggetto di  dichiarazione
di illegittimita' costituzionale e, pertanto, il  giudizio  non  puo'
essere definito indipendentemente dalla rimessione della questione  a
questa Corte. 
    2.1.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ritiene applicabili al caso di specie i principi affermati da  questa
Corte nella sentenza n. 34 del 2019, con la quale e' stata dichiarata
l'illegittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1,  e  13  CEDU  -
dell'art. 54, comma 2, del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella  legge
6 agosto 2008,  n.  133,  come  modificato  dall'art.  3,  comma  23,
dell'Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010, e dall'art.  1,  comma  3,
lettera a), numero 6), del decreto legislativo 15 novembre  2011,  n.
195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo  2
luglio 2010, n. 104, recante codice  del  processo  amministrativo  a
norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69). 
    La disposizione prevedeva  l'improponibilita'  della  domanda  di
equa riparazione se nel giudizio dinanzi al  giudice  amministrativo,
in cui si assumeva essersi superato il termine ragionevole di  durata
del processo, non fosse stata presentata l'istanza di prelievo di cui
all'art. 71, comma 2, cod. proc. amm. Il giudice rimettente  richiama
anche la sentenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  22
febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la quale, nel ribadire
che l'art. 13 CEDU impone che l'ordinamento interno offra un «ricorso
effettivo» per quanto riguarda la violazione dedotta,  aveva  escluso
che  l'istanza  di  prelievo  potesse  efficacemente  accelerare   la
decisione in merito alla causa sottoposta  all'esame  del  giudice  e
condizionare il  diritto  all'equa  riparazione  per  l'irragionevole
durata del processo. Il giudice a quo osserva anche che,  secondo  la
giurisprudenza della Corte EDU, i rimedi preventivi, volti ad evitare
che la durata del procedimento  diventi  eccessivamente  lunga,  sono
ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione
con quelli indennitari, ma solo se effettivi e, cioe',  nella  misura
in cui velocizzino la decisione da parte del giudice  competente  (e'
citata la sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia). 
    2.2.- Secondo il giudice a quo -  il  quale  richiama  sul  punto
anche la sentenza di questa Corte n. 88 del 2018, che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della  legge  n.  89  del
2001, nella parte in  cui  non  prevedeva  che  la  domanda  di  equa
riparazione potesse essere  proposta  in  pendenza  del  procedimento
presupposto - la presentazione dell'istanza di prelievo costituirebbe
un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la  sanzione  di
inammissibilita'  della  domanda  di  indennizzo   non   risulterebbe
coerente con l'obiettivo del contenimento della durata del  processo,
ne' con quello indennitario per il caso di sua eccessiva  durata.  In
sostanza, la presentazione dell'istanza di  prelievo  non  offrirebbe
alcuna  garanzia  di   contrazione   dei   tempi   processuali,   non
innesterebbe un modello procedimentale alternativo, tenuto conto  che
«ai sensi  dell'art.  71  bis  CPA,  a  seguito  della  presentazione
dell'istanza di prelievo il giudice "puo'"  definire,  in  camera  di
consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, ma non  e'
obbligato a adottare tale  strumento  processuale»;  non  inciderebbe
sull'ordine di priorita' nella trattazione  dei  procedimenti  e  non
costituirebbe, pertanto, uno strumento  a  disposizione  della  parte
interessata per prevenire effettivamente  l'ulteriore  protrarsi  del
processo. 
    3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto che la questione sia  dichiarata  non  fondata,
poiche' la disposizione in esame sarebbe diversa da quelle che  hanno
formato oggetto della citata sentenza n. 34 del 2019,  nonche'  della
sentenza di questa Corte n. 169 del 2019. Quest'ultima  pronuncia  ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.   2,   comma
2-quinquies, lettera  e),  della  legge  n.  89  del  2001,  ove,  in
relazione al processo penale, si stabiliva che non fosse riconosciuto
alcun indennizzo in mancanza di deposito da  parte  dell'imputato  di
istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi al  superamento
dei termini di sua ragionevole durata.  Cio'  in  quanto  il  sistema
della legge n. 89 del 2001, come rimodulato dall'art. 1, commi 777  e
781, della legge n. 208  del  2015,  subordinerebbe  l'ammissibilita'
della domanda di equo  indennizzo  per  durata  non  ragionevole  del
processo  non  gia'  alla  proposizione  di  un'istanza  con  effetto
dichiarativo di un interesse gia' incardinato nel processo e di  mera
"prenotazione della decisione" - ossia  a  un  adempimento  puramente
formale - bensi' alla proposizione di possibili e  concreti  "modelli
procedimentali  alternativi",  volti  ad  accelerare  il  corso   del
processo, prima che il termine di durata massima sia maturato. 
    Nello specifico, il rimedio preventivo  di  cui  all'art.  1-ter,
comma 3, della legge n. 89 del 2001,  di  cui  la  parte  richiedente
l'indennizzo nel caso di specie non si  e'  avvalsa,  sarebbe  quello
previsto dall'art. 71-bis cod. proc. amm.,  introdotto  dall'art.  1,
comma 781, lettera b), della legge n. 208 del  2015,  riguardante  la
proposizione di un'istanza di  accelerazione  della  definizione  del
ricorso in camera di consiglio, con sentenza in forma semplificata ai
sensi dell'art. 74 cod. proc.  amm.  La  disposizione  sospettata  di
illegittimita' costituzionale avrebbe previsto,  dunque,  un  rimedio
preventivo assimilabile a  quelli  esperibili  nel  processo  civile,
previsti dall'art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del  2001,  gia'
ritenuti da questa Corte nella sentenza n. 121 del 2020 "effettivi" e
percio' conformi alla Costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello  di  Bologna,  terza  sezione  civile,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma
1, della legge  n.  89  del  2001,  nella  parte  in  cui  dispone  -
attraverso il richiamo  all'art.  1-ter,  comma  3,  come  modificato
dall'art.  1,  comma  777,  della   legge   n.   208   del   2015   -
l'inammissibilita' della domanda di equa riparazione per  l'eccessiva
durata  di  un  processo   amministrativo   nel   caso   di   mancata
presentazione, quale «rimedio preventivo», dell'istanza  di  prelievo
di cui all'art. 71, comma 2, cod. proc. amm. almeno  sei  mesi  prima
che sia trascorso il «termine ragionevole» di cui all'art.  2,  comma
2-bis, della legge n. 89 del 2001. 
    La questione e' sollevata  in  riferimento  all'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione ai parametri interposti di cui agli  artt.
6, paragrafo 1, e 13 CEDU. 
    Il rimettente ritiene applicabili al caso sottoposto al suo esame
i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 34  del  2019,
con la quale e' stata dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  -
per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  agli
artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU - dell'art. 54, comma 2, del d.l.  n.
112 del 2008,  come  convertito  e  successivamente  modificato,  che
prevedeva l'improponibilita' della domanda di equa  riparazione,  la'
dove nel processo amministrativo, in cui si assumeva essersi superato
il termine ragionevole  di  durata  del  processo,  non  fosse  stata
presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 71,  comma  2,  cod.
proc. amm. 
    Secondo  il  giudice  a  quo  la  presentazione  dell'istanza  di
prelievo costituirebbe un  adempimento  formale,  rispetto  alla  cui
inosservanza  la  sanzione  di  inammissibilita'  della  domanda   di
indennizzo  non  risulterebbe  coerente  ne'  con   l'obiettivo   del
contenimento  della  durata  del  processo,  ne'   con   il   rimedio
indennitario per il caso di sua eccessiva durata. 
    Il rimettente  dubita  della  legittimita'  costituzionale  della
rimodulazione della legge n. 89 del 2001 ad opera della legge n.  208
del 2015, la' dove, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ha introdotto la
proposizione dell'istanza di prelievo, di cui all'art. 71,  comma  2,
cod. proc. amm., quale rimedio preventivo  da  esperire  prima  dello
scadere dei termini di cui all'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89
del 2001, tale da condizionare l'ammissibilita' della domanda di equo
indennizzo per la durata non ragionevole del processo amministrativo. 
    2. La questione non e' fondata. 
    2.1.- L'istanza di prelievo di cui all'art.  71,  comma  2,  cod.
proc. amm. e' una domanda indirizzata al presidente della sezione del
TAR o del Consiglio di Stato adito dalla parte ricorrente, presentata
successivamente all'istanza di fissazione dell'udienza di discussione
di cui all'art. 71, comma 1, cod. proc. amm., con cui la parte chiede
che il  ricorso  venga  trattato  tempestivamente,  alla  luce  delle
ragioni  d'urgenza  segnalate  nell'istanza  stessa.   La   finalita'
dell'istanza e' quella di  ottenere  dal  presidente  una  deroga  al
criterio cronologico che regola,  ai  sensi  dell'art.  8,  comma  1,
dell'Allegato 2 al cod. proc.  amm.,  l'ordine  di  fissazione  della
trattazione dei ricorsi. 
    2.2.- La legge n.  208  del  2015  ha  inserito  nel  codice  del
processo   amministrativo   l'art.   71-bis,    rubricato    «Effetti
dell'istanza di prelievo», che  ha  introdotto  un  nuovo,  possibile
effetto  nascente  dall'accoglimento   dell'istanza.   Secondo   tale
disposizione, nel caso di  presentazione  dell'istanza  ex  art.  71,
comma 2, cod. proc. amm., «il giudice, accertata la  completezza  del
contraddittorio  e  dell'istruttoria,  sentite  sul  punto  le  parti
costituite, puo' definire, in camera di consiglio,  il  giudizio  con
sentenza in forma semplificata». 
    3.-  Questa  Corte  ha  ripetutamente  richiamato   la   costante
giurisprudenza della Corte EDU secondo cui i rimedi  preventivi  sono
non  solo  ammissibili,  eventualmente  in  combinazione  con  quelli
indennitari, ma addirittura preferibili, in quanto  volti  a  evitare
che il procedimento diventi eccessivamente lungo (sentenze n. 175 del
2021 e  n.  88  del  2018).  D'altro  canto,  il  ricorso  ai  rimedi
preventivi «e' "effettivo" nella misura  in  cui  esso  velocizza  la
decisione da parte del giudice competente» (Corte europea dei diritti
dell'uomo, grande camera, sentenza 29  marzo  2006,  Scordino  contro
Italia). 
    3.1.- In relazione alla presentazione  dell'istanza  di  prelievo
nel  processo  amministrativo,  «per  la  giurisprudenza  europea  il
rimedio interno deve garantire la durata ragionevole del  giudizio  o
l'adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale ed
il rimedio preventivo e' tale se efficacemente sollecitatorio». Tanto
premesso,  questa   Corte   e'   pervenuta   alla   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale del comma 2 dell'art. 54  del  d.l.  n.
112  del  2008,  come  convertito   e   successivamente   modificato,
considerando che l'istanza di prelievo - da detta norma  disciplinata
«prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane  dalla
legge n. 208 del 2015» - non costituiva  un  adempimento  necessario.
Esso rappresentava, infatti, «una mera facolta' del ricorrente  [...]
con effetto puramente dichiarativo di un interesse  gia'  incardinato
nel processo e di  mera  "prenotazione  della  decisione"  (che  puo'
comunque intervenire oltre  il  termine  di  ragionevole  durata  del
correlativo  grado  di  giudizio),  risolvendosi  in  un  adempimento
formale, rispetto alla cui  violazione  la,  non  ragionevole  e  non
proporzionata,  sanzione  di  improponibilita'   della   domanda   di
indennizzo  risulta  non  in  sintonia  ne'   con   l'obiettivo   del
contenimento della durata del processo ne'  con  quello  indennitario
per il caso di sua eccessiva durata» (sentenza n. 34 del 2019). 
    3.2.- Con riferimento a uno dei rimedi introdotti per il processo
civile  dalla  legge  n.  208   del   2015,   quali   condizioni   di
ammissibilita' della domanda di equo indennizzo, esso e' stato invece
ricondotto, per l'effetto  acceleratorio  della  decisione  che  puo'
conseguirne, alla categoria dei «rimedi preventivi volti  ad  evitare
che la durata del processo diventi eccessivamente lunga» (sentenza n.
121 del 2020). 
    Questa Corte ha sottolineato la differenza tra  la  «proposizione
di  un'istanza  con  effetto  dichiarativo  di  un   interesse   gia'
incardinato nel processo e di mera "prenotazione  della  decisione"»,
che si riduce ad un adempimento puramente formale, e la  proposizione
di «possibili,  e  concreti,  "modelli  procedimentali  alternativi",
volti ad accelerare il corso del processo, prima che  il  termine  di
durata massima sia maturato». In tal senso,  tale  rimedio  specifico
introdotto per il processo civile presenta  significative  differenze
rispetto a quelli che hanno formato oggetto delle sentenze n. 34 e n.
169 del  2019,  vale  a  dire  l'istanza  di  prelievo  nel  processo
amministrativo - prima dell'introduzione dell'art. 71-bis cod.  proc.
amm. - e quella di accelerazione nel processo penale. A differenza di
tali fattispecie, nel processo civile non vi e' per  il  giudice  «un
mero invito [...] volto ad accelerare lo svolgimento  del  processo»,
ma   e'   previsto   il    «concreto    suggerimento    di    modelli
sub-procedimentali (rientranti nel quadro dei  procedimenti  decisori
previsti dal  regime  processuale),  teleologicamente  funzionali  al
raggiungimento di tale scopo, con effettiva  valenza  sollecitatoria»
(ancora sentenza n. 121 del 2020). 
    4.- Alla luce dei richiamati precedenti, questa Corte rileva che,
diversamente dalla fattispecie regolata dall'art. 54,  comma  2,  del
d.l. n. 112 del 2008, come convertito e  successivamente  modificato,
ove la presentazione dell'istanza di  prelievo  aveva  una  finalita'
meramente sollecitatoria,  il  rimedio  introdotto  per  il  processo
amministrativo dalla legge n.  208  del  2015  non  ha  una  funzione
«puramente dichiarativa», in quanto  puo'  portare  alla  definizione
celere  del   giudizio   attraverso   l'utilizzo   di   un   «modello
procedimentale alternativo», dato, ex art. 71-bis  cod.  proc.  amm.,
dalla decisione del ricorso in camera di consiglio  con  sentenza  in
forma semplificata. 
    Dunque,  tale  rimedio,  introdotto  dal  legislatore  nel  2015,
costituisce uno strumento funzionale al raggiungimento dello scopo di
una piu' rapida definizione del giudizio. 
    Ne' contrasta con l'effettivita' del rimedio la  circostanza  che
il suo utilizzo risulti mediato dalla decisione del giudice, chiamato
a  stabilire,  in  relazione  alle  ragioni  di  urgenza  prospettate
dall'istante, se ricorrano i presupposti  relativi  alla  completezza
del  contraddittorio  e  dell'istruttoria;  il  che   giustifica   la
possibilita' di  definire  la  controversia  con  sentenza  in  forma
semplificata. Si attua cosi' il giusto punto  di  equilibrio  tra  la
necessita' di garantire alla parte un rimedio effettivo, nei  termini
indicati  anche  dalla  Corte  europea  dei  diritti   dell'uomo,   e
l'esigenza di salvaguardare il rispetto delle garanzie  previste  nel
processo amministrativo. 
    L'attribuzione  al  collegio  adito  della  scelta  sul   modello
procedimentale alternativo tutela  tutte  le  parti  del  giudizio  e
garantisce che la  decisione  sul  rito  contemperi  le  esigenze  di
sollecita trattazione, poste in risalto dall'istanza,  con  il  pieno
dispiegarsi dell'attivita' difensiva, alla  luce  della  complessita'
della vicenda controversa. 
    5.-  In  conclusione,  la  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale non e' fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di
equa riparazione in caso di violazione del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), sollevata, in riferimento all'art. 117, primo  comma,  della
Costituzione, in relazione agli artt. 6,  paragrafo  1,  e  13  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dalla Corte  d'appello  di
Bologna, sezione terza civile, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                     Marco D'ALBERTI, Redattore 
                   Igor DI BERNARDINI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                      F.to: Igor DI BERNARDINI