N. 141 SENTENZA 21 giugno - 11 luglio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Concorso di  circostanze  aggravanti  e  attenuanti  -
  Possibilita' di prevalenza della circostanza attenuante della lieve
  entita' del danno patrimoniale (art. 62,  primo  comma,  numero  4,
  cod. pen.) sulla recidiva reiterata (art. 99,  quarto  comma,  cod.
  pen.) - Esclusione - Violazione del principio  di  proporzionalita'
  della pena e di quello della necessaria tendenza alla  rieducazione
  del condannato - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Codice penale, art. 69, quarto comma. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.28 del 12-7-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS, Nicolo'  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo  BUSCEMA,  Emanuela  NAVARRETTA,
  Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma,  del  codice  penale,  promosso   dal   Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale  ordinario  di  Grosseto  nel  procedimento
penale a carico di A. U., con ordinanza del 9 giugno  2022,  iscritta
al n. 117 del registro ordinanze 2022  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2022. Udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; deliberato nella camera di consiglio  del
21 giugno 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9  giugno  2022,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Grosseto   ha   sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,
del codice penale, in riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,
della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui  all'art.  62,  numero
4), cod. pen. sulla circostanza  aggravante  della  recidiva  di  cui
all'art. 99,  quarto  comma,  cod.  pen.  1.1.-  Il  rimettente  deve
giudicare, in sede  di  giudizio  abbreviato,  della  responsabilita'
penale di A. U., rinviato a giudizio per il delitto di rapina di  cui
all'art. 628,  primo  comma,  cod.  pen.,  per  avere  costretto  due
dipendenti di un supermercato a consegnargli la somma di  dieci  euro
mediante l'uso di minaccia, consistita nelle frasi «se non mi date 10
euro torno con la pistola» e «ti spacco la testa».  Ritenuto  che  il
fatto addebitato all'imputato  sia  provato  dalle  risultanze  delle
indagini, e che sia giuridicamente inquadrabile nella fattispecie  di
rapina anziche' in quella di estorsione (non avendo le persone offese
altra scelta se non quella di consegnare la somma richiesta, a fronte
delle pressanti minacce proferite dall'imputato), il  giudice  a  quo
stima  peraltro  che  sussistano  gli   estremi   della   circostanza
attenuante di cui all'art. 62, numero 4), cod. pen., consistente, per
quel che qui rileva,  nell'avere  l'agente,  nei  delitti  contro  il
patrimonio o che comunque offendono  il  patrimonio,  cagionato  alla
persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale  tenuita';
circostanza  applicabile  anche,  per  costante   giurisprudenza   di
legittimita', a reati plurioffensivi come la  rapina,  nei  quali  il
patrimonio e' soltanto uno dei beni giuridici che il  legislatore  ha
inteso  tutelare.   All'imputato   e'   stata   pero'   correttamente
contestata, prosegue il rimettente, la circostanza  aggravante  della
recidiva reiterata e infraquinquennale, ai sensi dell'art. 99, quarto
comma, cod. pen.; circostanza che ad avviso del giudice  a  quo  deve
anche essere concretamente applicata, dal momento che  l'imputato  ha
riportato  gravi  condanne  per  delitti  contro  il  patrimonio,  la
pubblica amministrazione e  l'incolumita'  individuale,  nonche'  per
cessione di sostanze stupefacenti in un arco  temporale  che  va  dal
1994 all'ultima condanna irrevocabile, risalente  al  2019.  Inoltre,
l'imputato ha manifestato la propria pericolosita' sociale  anche  in
epoca recente, nonostante abbia  da  poco  concluso  l'espiazione  di
altre pene detentive.  Ne'  d'altronde,  ad  avviso  del  rimettente,
potrebbe prescindersi dell'applicazione della circostanza  aggravante
della recidiva in funzione dell'esigenza di evitare  all'imputato  un
trattamento sanzionatorio sproporzionato  alla  gravita'  del  fatto,
«perche' si tratterebbe di un espediente  finalizzato  a  eludere  il
divieto normativo di cui all'art. 69, comma 4, c.p.».  L'esigenza  di
adeguare la pena all'effettivo disvalore del  fatto  giustificherebbe
invece, ad avviso del giudice a quo, la dichiarazione  di  prevalenza
dell'attenuante sulla recidiva, tenuto conto dell'entita' del  minimo
edittale di cinque anni di reclusione previsto dall'art.  628,  primo
comma, cod. pen. Una tale pena - anche ove  si  tenesse  conto  della
riduzione connessa alla scelta del rito - sarebbe infatti «del  tutto
sproporzionata  rispetto  alla  condotta  commessa,  consistita   nel
conseguimento di un profitto di dieci euro  con  pari  danno  per  la
parte offesa». L'art.  69,  quarto  comma,  cod.  pen.  precluderebbe
tuttavia  un  tale  esito:  dal  che  la  rilevanza  delle  questioni
sollevate. 1.2.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a
quo rammenta anzitutto i numerosi precedenti di questa  Corte  con  i
quali    la    disposizione    censurata    e'    stata    dichiarata
costituzionalmente  illegittima  nella  parte  in  cui   vietava   la
prevalenza di altrettante circostanze attenuanti  sulla  recidiva  di
cui  all'art.  99,  quarto  comma,  cod.   pen.,   sottolineando   in
particolare  quelle  pronunce  che   hanno   riguardato   circostanze
espressive di una minore gravita' del fatto (sono citate le  sentenze
n. 251 del 2012, n.  105  del  2014  e  n.  205  del  2017).  A  tali
circostanze sarebbe assimilabile quella prevista dall'art. 62, numero
4), cod. pen., che parimenti presuppone una minore  lesivita'  di  un
delitto contro il patrimonio, o che comunque offende  il  patrimonio.
Ne' rileverebbe che la circostanza  in  parola  sia  un'attenuante  a
effetto comune,  alla  luce  di  recenti  pronunce  di  questa  Corte
relative all'art. 69, quarto comma, cod. pen.,  che  hanno  investito
anche circostanze di tale natura (sono citate le sentenze n. 143 e n.
55 del 2021 e n. 73 del 2020).  Particolare  significato  assumerebbe
proprio la sentenza n. 143 del 2021, relativa  alla  circostanza  del
fatto di lieve entita' nel delitto di sequestro di persona a scopo di
estorsione,  in  cui  questa  Corte  ha  sottolineato  la   peculiare
funzione, svolta da tale attenuante, di mitigare - in  rapporto  alla
minore gravita' oggettiva  del  fatto  -  una  risposta  punitiva  di
eccezionale asprezza,  incapace  di  adattarsi  alla  varieta'  delle
situazioni  concrete  riconducibili  al  modello   legale.   Analoghe
considerazioni varrebbero, ad avviso del rimettente, per l'attenuante
di cui all'art. 62, numero 4), cod. pen. in relazione al  delitto  di
rapina, la cui pena minima di cinque anni di reclusione e'  anch'essa
assai elevata, e il cui  perimetro  applicativo  si  estende  a  «una
varieta' di situazioni concrete anche molto dissimili in  termini  di
offensivita'», con  conseguente  rischio  che  la  pena  in  concreto
irrogata risulti sproporzionata rispetto ai fatti di  minore  impatto
lesivo. Un rischio che  proprio  l'attenuante  di  cui  all'art.  62,
numero 4), cod. pen. sarebbe chiamata a schermare, come  risulterebbe
anche dalla circostanza che l'art. 278 del codice di procedura penale
attribuisce eccezionalmente rilievo a tale attenuante in deroga  alla
regola generale della irrilevanza di ogni altra circostanza a effetto
comune. Il divieto di soccombenza della recidiva  reiterata  rispetto
all'attenuante in  esame  violerebbe,  dunque,  il  «principio  della
necessaria  proporzione  della  pena  rispetto  all'offensivita'  del
fatto, attraverso una abnorme enfatizzazione  della  recidiva»  (sono
citate, ancora, le sentenze n. 251 del 2012, n. 205 del 2017 e n. 185
del 2015), ponendosi  cosi'  in  contrasto  con  il  principio  della
proporzione della pena ex art. 27,  terzo  comma,  Cost.  Infine,  la
disciplina censurata violerebbe il principio di  eguaglianza  di  cui
all'art. 3 Cost., determinando l'assoggettamento alla  medesima  pena
di condotte significativamente diverse in termini di offensivita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui in epigrafe, il GUP del  Tribunale  di
Grosseto  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., in riferimento agli artt. 3  e
27, terzo comma, Cost., nella parte in  cui  prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui  all'art.  62,  numero
4), cod. pen. sulla circostanza  aggravante  della  recidiva  di  cui
all'art. 99, quarto comma, cod.  pen.  2.-  Non  implausibile  e'  il
presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, relativo  alla
qualificazione come rapina  del  fatto  contestato  all'imputato  nel
giudizio a quo. Lo stesso rimettente  argomenta  tale  qualificazione
sulla base del carattere asseritamente  irresistibile  delle  minacce
proferite dall'imputato, determinanti  come  tali  una  coazione  cui
resisti non potest, e per mezzo delle quali egli avrebbe  in  effetti
"sottratto" la somma di dieci euro ai dipendenti di  un  supermercato
(sulla  sufficienza  della  verifica  di  non   implausibilita'   del
presupposto   interpretativo   del   rimettente   nel   giudizio   di
legittimita' costituzionale, ex multis, sentenze n. 113 e n.  25  del
2023, n. 264, n. 254 e n. 203 del 2022). Peraltro, anche  qualora  il
fatto fosse qualificato  quale  estorsione  -  muovendo  dall'opposta
prospettiva secondo cui l'imputato, a mezzo di minacce di per se' non
irresistibili (anche in considerazione delle  specifiche  circostanze
di tempo e  di  luogo  in  cui  l'azione  ha  avuto  luogo),  avrebbe
"costretto" i soggetti passivi a consegnargli la somma di  denaro  in
questione, nei termini dunque di una coazione meramente "relativa"  -
permarrebbe comunque per il  giudice  l'impossibilita',  della  quale
egli si duole, di considerare prevalente  sulla  contestata  recidiva
reiterata  la  circostanza  attenuante  del  danno  patrimoniale   di
particolare  tenuita',   applicabile   tanto   alla   rapina   quanto
all'estorsione, per effetto dell'art. 69,  quarto  comma,  cod.  pen.
Anche laddove il rimettente avesse optato per questa diversa  ipotesi
ricostruttiva, dunque, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate avrebbero mantenuto la loro  rilevanza.  3.-  Le  questioni
sono fondate. 3.1.- Nel  dichiarare  costituzionalmente  illegittimo,
per contrasto con i  medesimi  parametri  oggi  evocati,  l'art.  69,
quarto comma, cod. pen. nella parte in cui, relativamente ai  delitti
puniti con la pena edittale dell'ergastolo, prevedeva il  divieto  di
prevalenza  di  qualsiasi  circostanza  attenuante   sulla   recidiva
reiterata di cui all'art. 99, quarto comma,  cod.  pen.,  la  recente
sentenza n. 94 del 2023  di  questa  Corte  ha  rammentato  tutte  le
precedenti pronunce - di cui anche  il  rimettente  da'  puntualmente
conto  -  con  le  quali  e'  stato  ritenuto  incompatibile  con  la
Costituzione, e segnatamente con  il  principio  di  proporzionalita'
della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.,
il meccanismo  del  divieto  di  prevalenza  di  singole  circostanze
attenuanti  rispetto   all'aggravante   della   recidiva   reiterata,
riconducibile alla regola generale di cui all'art. 69, quarto  comma,
cod. pen. (punto 8 del Considerato in diritto). E  in  quella  stessa
sentenza si sono, altresi', passate in rassegna le  diverse  rationes
decidendi sottese a quelle pronunce  (punto  10  del  Considerato  in
diritto), riconducibili a  «una  triplice  direttrice»  ma  al  tempo
stesso «a principi comuni», e segnatamente all'esigenza di  mantenere
un conveniente rapporto di equilibrio tra la  gravita'  (oggettiva  e
soggettiva) del singolo fatto di reato e la severita' della  risposta
sanzionatoria,  evitando  in  particolare  quella  che  la   sentenza
"capostipite"  n.  251  del  2012  gia'  aveva  definito   l'«abnorme
enfatizzazione  delle  componenti   soggettive   riconducibili   alla
recidiva reiterata,  a  detrimento  delle  componenti  oggettive  del
reato» (punto 5 del Considerato  in  diritto)  creata  dall'art.  69,
quarto comma, cod. pen. 3.2.- Questa medesima ragione  di  fondo  non
puo' che condurre, anche nel caso ora all'esame,  alla  dichiarazione
di illegittimita' costituzionale auspicata  dal  giudice  rimettente.
L'attenuante del  danno  di  particolare  tenuita'  si  applica,  per
espresso dettato normativo, ai delitti contro il  patrimonio,  o  che
comunque  offendono  il  patrimonio.  Tra   tali   delitti   assumono
particolare rilievo prasseologico i delitti di rapina ed  estorsione,
caratterizzati da una pena minima edittale  particolarmente  elevata,
pari a cinque anni di reclusione nelle  ipotesi  non  aggravate;  una
pena minima che  e'  essa  stessa  frutto  di  successivi  interventi
legislativi che hanno alterato le originarie scelte sanzionatorie del
codice del 1930, determinando una  «pressione  punitiva  [...]  ormai
diventata estremamente rilevante», rispetto alla quale  questa  Corte
ha recentemente invocato una «attenta  considerazione  da  parte  del
legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa,
dei beni giuridici tutelati dal  diritto  penale  e  del  livello  di
protezione loro assicurato» (sentenza n. 190 del 2020, punto 7.2. del
Considerato in  diritto).  La  latitudine  dello  schema  legale  dei
delitti in parola, d'altra parte, fa si'  che  essi  si  prestino  ad
abbracciare  anche  condotte  di  modesto  disvalore:  non  solo  con
riferimento  all'entita'  del  danno  patrimoniale   cagionato   alla
vittima, che puo' anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio
a quo) a pochi euro sottratti alle casse di un supermercato; ma anche
con riferimento alle modalita' della condotta, che puo' esaurirsi  in
forme minimali di violenza  (come  una  lieve  spinta)  ovvero,  come
ancora nel caso oggetto del giudizio a quo, nella mera prospettazione
verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di  altro  mezzo  di
coazione, che tuttavia  gia'  integra  la  modalita'  alternativa  di
condotta costituita dalla minaccia. Anche rispetto a simili fatti, la
disciplina  vigente  impone  una  pena  minima  di  cinque  anni   di
reclusione:  una  pena  che   risulterebbe,   pero',   manifestamente
sproporzionata rispetto alla gravita' oggettiva dei fatti medesimi  -
anche in rapporto alle pene previste per  la  generalita'  dei  reati
contro la persona -, se l'ordinamento non prevedesse  meccanismi  per
attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi.  Proprio  in
quest'ottica, del resto, la recentissima sentenza n. 120 del 2023  ha
ritenuto costituzionalmente necessaria, con riferimento al delitto di
estorsione, la previsione di una circostanza attenuante comune per  i
fatti di lieve entita'. Questi ultimi sono  essi  pure  riconducibili
allo schema legale di quel delitto, ma - all'evidenza - non risultano
meritevoli di  un  trattamento  sanzionatorio  che,  nel  minimo,  il
legislatore ha calibrato su una tipologia criminosa di  significativa
gravita'; un trattamento pero' che, per la sua asprezza, risulterebbe
manifestamente sproporzionato rispetto ai fatti  meno  offensivi,  in
relazione ai quali non puo' mancare una «valvola di sicurezza» (punto
7.6. del Considerato in diritto), che consenta al giudice di irrogare
una  pena  meno  afflittiva.  L'effetto  "calmierante"  di  tutte  le
circostanze attenuanti  -  ivi  compresa  quella  relativa  al  danno
patrimoniale di particolare tenuita' (art. 62, numero 4,  cod.  pen.)
che viene in considerazione nel giudizio a quo - rispetto all'elevato
minimo edittale previsto dal legislatore per i delitti di  rapina  ed
estorsione  e'  pero'  destinato  a  essere  sistematicamente  eliso,
allorche' all'imputato venga contestata la recidiva reiterata -  cio'
che spesso accade nella prassi, rispetto a questa specifica tipologia
di imputati -, e allorche'  il  giudice  ritenga  di  dover  altresi'
applicare tale circostanza aggravante, in  ragione  delle  accentuate
colpevolezza e pericolosita' dell'imputato, rivelate  in  particolare
dal non essersi lasciato distogliere dal commettere ulteriori  reati,
nonostante  l'ammonimento  ricevuto  con   le   precedenti   condanne
(sentenza n. 56 del 2021, punto 2.4. del Considerato  in  diritto,  e
ulteriori precedenti ivi citati). In tal caso,  infatti,  l'art.  69,
quarto comma, cod. pen. non consente al giudice, salve  le  possibili
diminuenti connesse alla scelta del rito,  di  commisurare  una  pena
inferiore al minimo edittale, e dunque a cinque anni  di  reclusione;
dovendosi al riguardo escludere  -  come  giustamente  sottolinea  il
rimettente - che il giudice sia tenuto a non  applicare  l'aggravante
della recidiva, in presenza di una  piu'  accentuata  colpevolezza  e
pericolosita' dell'imputato, soltanto per evitare di  dover  irrogare
una pena eccessiva rispetto al disvalore del fatto (ancora,  sentenza
n. 120 del 2023, punto  5.1.  del  Considerato  in  diritto).  Simili
considerazioni, peraltro, valgono anche rispetto a  tutti  gli  altri
delitti cui puo' trovare applicazione la  circostanza  attenuante  in
esame.  La  particolare  tenuita'  del  danno  patrimoniale   causato
determina, di  regola,  una  sensibile  riduzione  del  contenuto  di
disvalore dei reati che offendono il solo patrimonio, o che offendono
- accanto ad altri beni giuridici - anche il patrimonio;  e  di  tale
ridotto  disvalore  il  giudice  deve  poter   tenere   conto   nella
commisurazione del trattamento sanzionatorio, senza essere  vincolato
a  ignorarlo   in   ragione   soltanto   della   recidiva   reiterata
dell'imputato. Circostanza, quest'ultima, che nulla ha a  che  vedere
con la gravita' oggettiva e soggettiva del singolo  fatto  di  reato,
cui la pena - in un  sistema  orientato  alla  "colpevolezza  per  il
fatto",  e  non   gia'   alla   "colpa   d'autore",   o   alla   mera
neutralizzazione della pericolosita'  individuale  -  e'  chiamata  a
fornire risposta. Anche rispetto alla circostanza attenuante  di  cui
all'art. 62, numero 4), cod. pen.  si  impone,  pertanto,  una  nuova
declaratoria  di   illegittimita'   costituzionale   del   meccanismo
disegnato dall'art. 69, quarto comma, cod. pen., sulla  falsariga  di
quelle che l'hanno preceduta, si' da porre in condizioni  il  giudice
di  non  dover  necessariamente  irrogare  una  pena   manifestamente
sproporzionata al disvalore del singolo fatto di reato, in  contrasto
con gli artt. 3 e 27 Cost. 3.3.- Conseguentemente, l'art. 69,  quarto
comma,  cod.   pen.   deve   essere   dichiarato   costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della
circostanza attenuante di cui all'art. 62, numero 4), cod. pen. sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
      
 
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  69,  quarto
comma, del codice penale, nella parte in cui prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui  all'art.  62,  numero
4), cod. pen. sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto  comma,  cod.
pen. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2023. 
 
                  F.to: Silvana SCIARRA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2023 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto Milana