N. 178 SENTENZA 6 - 28 luglio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Mandato d'arresto europeo -  Rifiuto  facoltativo
  della consegna - Casi - Persona ricercata cittadina  di  uno  Stato
  terzo che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora
  nel territorio italiano e sia sufficientemente integrata in Italia,
  sempre che la corte di appello disponga che la pena o la misura  di
  sicurezza  sia  eseguita  in  Italia  -  Omessa  previsione  -  Non
  conformita', anche sulla base di pronuncia della Corte di giustizia
  a  seguito  di  rinvio  pregiudiziale,  con  la  decisione   quadro
  2002/584/GAI, disparita' di trattamento, violazione  del  principio
  della finalita' rieducativa della pena e del  diritto  al  rispetto
  della vita privata e familiare - Illegittimita'  costituzionale  in
  parte qua. 
Esecuzione penale - Mandato d'arresto europeo -  Rifiuto  facoltativo
  della consegna - Casi - Persona ricercata cittadina italiana  o  di
  uno Stato membro che sia legittimamente ed effettivamente residente
  o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque  anni,  sempre
  che la corte di appello  disponga  che  la  pena  o  la  misura  di
  sicurezza  sia  eseguita  in  Italia  -  Estensione  al   cittadino
  straniero - Omessa previsione - Previsione strettamente connessa ad
  altra dichiarata costituzionalmente  illegittima  -  Illegittimita'
  costituzionale consequenziale in parte qua. 
- Legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18-bis, commi 1, lettera c), come
  introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4  ottobre
  2019, n. 117, e 2,  nella  formulazione  introdotta  dall'art.  15,
  comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 11, 27, terzo comma, e 117, primo  comma;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 8;  Patto  internazionale  relativo  ai
  diritti civili e politici, art. 17, paragrafo 1; Carta dei  diritti
  fondamentali  dell'Unione  europea,  art.   7;   decisione   quadro
  2002/584/GAI del Consiglio, art. 4, paragrafo 6. 
(GU n.31 del 2-8-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI,  Stefano  PETITTI,  Angelo  BUSCEMA,  Maria
  Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18-bis
della legge 22 aprile 2005, n. 69  (Disposizioni  per  conformare  il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del
13  giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto  europeo  e  alle
procedure di consegna tra Stati membri), come introdotto dall'art. 6,
comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n.  117  (Delega  al
Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione  di
altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea  2018),
promosso dalla Corte d'appello di Bologna, sezione prima penale,  nel
procedimento penale a carico di O. G., con ordinanza del  27  ottobre
2020, iscritta al n. 42 del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  15,  prima   serie
speciale, dell'anno 2021, la cui trattazione  e'  stata  fissata  per
l'adunanza in camera di consiglio del 5 luglio 2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  luglio  2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 luglio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 ottobre 2020 (reg. ord. n. 42 del 2021),
la Corte d'appello di Bologna, sezione  prima  penale,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della legge
22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno
alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002,
relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna
tra Stati membri), come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera  b),
della legge 4  ottobre  2019,  n.  117  (Delega  al  Governo  per  il
recepimento delle direttive europee  e  l'attuazione  di  altri  atti
dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018). 
    La disposizione e' censurata «nella parte in cui non  prevede  il
rifiuto facoltativo della consegna del cittadino  di  uno  Stato  non
membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia
residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che  la  Corte  di
appello disponga che la pena o la misura di  sicurezza  irrogata  nei
suoi  confronti  dall'autorita'  giudiziaria  di  uno  Stato   membro
dell'Unione europea sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al  suo
diritto interno». 
    Il  giudice  rimettente  ritiene  che  tale   omessa   previsione
contrasti con gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione, in
relazione all'art. 4, punto 6, della decisione  quadro  2002/584/GAI,
all'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea,
all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e all'art.
17, paragrafo 1, del Patto internazionale relativo ai diritti  civili
e politici (PIDCP), nonche' con gli artt. 2, 3, e  27,  terzo  comma,
Cost. 
    1.1.- Il giudizio principale  -  di  cui  questa  Corte  ha  piu'
estesamente dato conto nella precedente ordinanza n. 217 del  2021  -
concerne l'esecuzione di  un  mandato  di  arresto  europeo  ai  fini
all'esecuzione della pena, emesso il 13 febbraio 2012  dalla  Pretura
di Brașov (Romania) nei confronti di  O.  G.,  cittadino  moldavo  ma
stabilmente radicato  in  Italia  dal  punto  di  vista  familiare  e
lavorativo. Secondo quanto riferito dal giudice rimettente, O. G.  e'
stato condannato in via definitiva, in Romania, alla pena  di  cinque
anni di reclusione per i delitti di evasione fiscale e appropriazione
indebita delle somme  dovute  per  il  pagamento  delle  imposte  sui
redditi e dell'IVA, commessi in qualita'  di  amministratore  di  una
societa' a responsabilita' limitata tra settembre 2003 e aprile 2004. 
    1.2.- Il giudice a quo osserva anzitutto che l'art. 4,  punto  6,
della decisione quadro 2002/584/GAI, il quale enumera i motivi di non
esecuzione facoltativa  del  mandato  d'arresto  europeo  finalizzato
all'esecuzione di una pena o di una  misura  di  sicurezza  privative
della liberta', consente allo Stato  di  esecuzione  del  mandato  di
rifiutare la consegna della persona che sia  cittadino,  ovvero,  pur
senza esserlo, «dimori» o «risieda» nello Stato richiesto, laddove lo
Stato di esecuzione si  impegni  a  eseguire  la  pena  o  misura  di
sicurezza  irrogate,  conformemente  al  suo  diritto  interno.  Tale
possibilita'   mirerebbe   a    garantire    un'effettiva    funzione
risocializzante della pena, rendendo possibile  il  mantenimento  dei
legami familiari e sociali. 
    Il  medesimo  obiettivo  di  risocializzazione   del   condannato
ispirerebbe del resto  anche  l'art.  5,  punto  3,  della  decisione
quadro,  che  consente  di  subordinare  l'esecuzione   del   mandato
rilasciato ai fini  dell'esercizio  dell'azione  penale,  emesso  nei
confronti  del  «cittadino  o  residente  dello   Stato   membro   di
esecuzione», alla  condizione  che  la  persona,  dopo  essere  stata
ascoltata, sia rinviata nello Stato di esecuzione  per  scontarvi  la
pena o la misura di  sicurezza  eventualmente  irrogate  nello  Stato
emittente. 
    Secondo il giudice rimettente, l'art. 18-bis della  legge  n.  69
del 2005, che traspone nell'ordinamento italiano l'art. 4,  punto  6,
della decisione quadro, ne avrebbe indebitamente  ristretto  l'ambito
applicativo, in quanto la facolta' di rifiutare la consegna, in  caso
di mandato di arresto finalizzato all'esecuzione della pena  o  della
misura di sicurezza, e' limitata ai  soli  cittadini  italiani  o  di
altri Stati membri dell'Unione europea, ad esclusione  dei  cittadini
di paesi terzi. Questi ultimi non potrebbero scontare  in  Italia  la
pena inflitta nello Stato  emittente,  pur  se  dimostrino  di  avere
instaurato  saldi  legami  di  natura  economica,   professionale   o
affettiva in territorio italiano. 
    In conseguenza di tale limitazione, la disposizione censurata  si
porrebbe  al  di  fuori  della  lettera  e  della  ratio  ispiratrice
dell'art. 4, punto 6, dell'indicata decisione quadro, cosi'  violando
gli artt. 11  e  117,  primo  comma,  Cost.  Secondo  il  rimettente,
infatti, rientra nella discrezionalita' degli Stati  membri  decidere
se attuare o meno i motivi di non esecuzione facoltativa del  mandato
d'arresto.  Qualora  pero'  decidano  di  trasporli  nei   rispettivi
ordinamenti interni, essi sarebbero tenuti ad attenersi al  contenuto
della decisione quadro, che non distingue tra persone cittadine dello
Stato di esecuzione, o persone ivi residenti o dimoranti. 
    Inoltre, imponendo  la  consegna  anche  di  persone  stabilmente
radicate in Italia ai fini  dell'esecuzione  di  una  pena  detentiva
all'estero, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con la
finalita' rieducativa della pena, sancita dall'art. 27, terzo  comma,
Cost., nonche' con il diritto alla vita  familiare  dell'interessato,
tutelato dall'art. 2 Cost. e dall'art. 117,  primo  comma,  Cost.  in
relazione agli artt. 8 CEDU e 17, paragrafo 1, PIDCP,  nonche'  dagli
artt. 11 e ancora 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  7
CDFUE. 
    Sarebbe, infine, irragionevole - e pertanto  lesiva  dell'art.  3
Cost. - la diversita' di trattamento tra il cittadino  di  uno  Stato
terzo, stabilmente radicato in Italia e destinatario di un mandato di
arresto rilasciato per l'esecuzione di  una  pena  o  una  misura  di
sicurezza privative della liberta' - che, ai sensi  dell'art.  18-bis
della legge n. 69 del 2005, non puo' beneficiare  del  rifiuto  della
consegna e scontare in Italia la pena irrogata nello Stato  emittente
- e il cittadino di uno Stato terzo, parimenti radicato in Italia  ma
destinatario   di   un   mandato   d'arresto   rilasciato   ai   fini
dell'esercizio dell'azione penale - che invece potrebbe  scontare  in
Italia la pena irrogata dallo Stato emittente all'esito del processo. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    2.1.- Le questioni sarebbero anzitutto inammissibili: 
    - per l'inadeguata argomentazione in ordine  al  dedotto  stabile
radicamento in Italia di O. G.; 
    - per l'insufficiente motivazione circa  il  contrasto  dell'art.
18-bis della legge n. 69 del  2005  con  i  parametri  costituzionali
evocati  (peraltro  richiamati  in  modo  impreciso,  riferendosi  il
dispositivo dell'ordinanza di rimessione agli artt. 3, 11, 27,  terzo
comma, e 117, primo comma, Cost., ed evocando invece  la  motivazione
gli artt. 2, 11, e 117, primo comma, Cost.); 
    -  per  l'omesso  tentativo  di  interpretare   la   disposizione
censurata in modo conforme alla Costituzione. 
    2.2.- A parere dell'Avvocatura generale dello Stato le  questioni
sarebbero, in ogni caso, non fondate. 
    2.2.1.- Nel  sistema  della  decisione  quadro  2002/584/GAI,  il
possesso  dello  status  di  cittadino  dell'Unione   fonderebbe   la
possibilita', prevista dal censurato art. 18-bis, lettera r)  (recte:
comma 1, lettera c), della legge n. 69  del  2005,  di  rifiutare  la
consegna ai fini dell'esecuzione della pena della persona stabilmente
residente o dimorante in Italia; sicche' tale motivo  di  rifiuto  si
applicherebbe ai soli cittadini italiani  e  di  altri  Stati  membri
dell'Unione (e' citata Corte di  cassazione,  sezione  sesta  penale,
sentenza 5-6 novembre 2019, n. 45190). 
    L'esclusione dei cittadini di paesi terzi dalla  possibilita'  di
invocare il motivo di rifiuto in questione  non  lederebbe  l'art.  3
Cost., atteso che la possibilita' di dare rilievo al radicamento  sul
territorio nazionale del cittadino di uno  Stato  membro  dell'Unione
europea si connette strettamente al  fascio  di  diritti  e  liberta'
discendenti dalla cittadinanza dell'Unione. 
    2.2.2.-  Le  disposizioni  della  decisione  quadro  2002/584/GAI
sarebbero inoltre da interpretare in ossequio al  principio  generale
del riconoscimento reciproco delle  decisioni  (e'  citata  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, sentenza 13 dicembre  2018,  in  causa
C-514/17, Sut, paragrafo 28), sicche' gli Stati membri non potrebbero
estendere le ipotesi di rifiuto dell'esecuzione del mandato d'arresto
oltre quelle delineate dalla decisione quadro, di cui l'ordinanza  di
rimessione non coglierebbe la ratio. 
    2.2.3.- Sarebbe poi insussistente  la  dedotta  violazione  degli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., poiche' l'art. 4, punto 6,  della
decisione quadro, pur  essendo  volto  a  favorire  il  reinserimento
sociale della persona ricercata, non potrebbe limitare la portata del
principio del reciproco  riconoscimento  (sono  richiamate  Corte  di
giustizia,  sentenze  Sut  e  6  ottobre  2009,  in  causa  C-123/08,
Wolzenburg). Il censurato art. 18-bis della legge  n.  69  del  2005,
consentendo di rifiutare la consegna  del  cittadino  italiano  o  di
altro Stato membro dell'Unione, ma non del  cittadino  di  uno  Stato
terzo, avrebbe correttamente trasposto l'art. 4, punto 6. 
    Del resto, la formulazione di tale previsione sarebbe  il  frutto
del controllo operato da questa Corte, con la  sentenza  n.  227  del
2010, circa il corretto ed  esaustivo  recepimento,  sul  punto,  del
diritto dell'Unione europea da parte del legislatore italiano. 
    La stessa Corte di giustizia avrebbe ribadito che il  divieto  di
discriminazione in base alla nazionalita'  di  cui  all'art.  18  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) non si  applica
alle differenze di trattamento tra cittadini degli Stati membri e  di
paesi terzi, e che l'art. 21 TFUE, il quale  accorda  il  diritto  di
circolare  e  soggiornare  liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri, non concerne i cittadini di paesi terzi (e' richiamata  Corte
di giustizia, sentenza  2  aprile  2020,  in  causa  C-897/19,  Ruska
Federacija). 
    2.2.4.- Quanto alla dedotta lesione  del  principio  rieducativo,
l'Avvocatura generale dello Stato osserva che il reinserimento  della
persona condannata non costituisce lo scopo specificamente perseguito
dalla decisione quadro 2002/584/GAI. 
    Del resto, mentre la capacita' rieducativa della  pena,  che  sia
attuata in territorio italiano, potrebbe presumersi in  relazione  al
cittadino italiano, essa dovrebbe essere dimostrata per il  cittadino
straniero, anche in considerazione del carattere non automatico della
sua permanenza in Italia dopo l'esecuzione della pena. 
    2.2.5.- Non integrerebbe d'altronde  un'irragionevole  disparita'
di trattamento la differenza tra la disciplina  posta  dal  censurato
art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge n.  69  del  2005  (che
permette di rifiutare la consegna finalizzata all'esecuzione di  pene
o misure di sicurezza con riferimento  ai  cittadini  italiani  e  di
altri Stati membri dell'Unione, ma non ai cittadini di paesi terzi) e
quella  recata,  nella  versione  applicabile  ratione  temporis  nel
giudizio  principale,  dall'art.  19,  comma  1,  lettera  c),  della
medesima legge (che invece consentiva, in relazione sia ai  cittadini
italiani e di altri  Stati  membri,  sia  a  quelli  di  paesi  terzi
residenti  o  dimoranti  in  Italia,  di  subordinare   la   consegna
finalizzata all'esercizio dell'azione penale, alla condizione che  la
pena o la misura di sicurezza eventualmente irrogate nello  Stato  di
emissione siano scontate in Italia). 
    Sarebbe infatti diversa la finalita' sottesa al mandato d'arresto
processuale,  e  cioe'  quella  di   ridurre   la   celebrazione   di
procedimenti in absentia. 
    2.2.6.- Anche a  prescindere  da  tale  profilo,  la  nozione  di
residenza contemplata agli artt. 4, punto 6, e 5, punto 6 (recte:  5,
punto 3), della decisione quadro 2002/584/GAI, e agli  artt.  18-bis,
comma 1, lettera c), e 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del
2005 dovrebbe essere interpretata in conformita' alla sentenza n. 227
del 2010 di questa Corte e, dunque, in  modo  da  includere  solo  il
cittadino italiano o il cittadino di altro Stato  membro  dell'Unione
legittimamente ed effettivamente residente nel territorio italiano, e
non  invece  il  cittadino  di  un  paese  terzo,  sicche'   l'ambito
applicativo di dette disposizioni verrebbe a coincidere. 
    3.- Con ordinanza n. 217 del 2021, questa  Corte  ha  sospeso  il
giudizio e ha formulato alla Corte di giustizia dell'Unione  europea,
ai sensi dell'art. 267 TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali: 
    «a) se l'art.  4,  punto  6,  della  direttiva  2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato  alla
luce dell'art. 1, paragrafo 3,  della  medesima  decisione  quadro  e
dell'art. 7 CDFUE, osti a una normativa, come quella italiana, che  -
nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato
all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza - precluda in
maniera  assoluta  e  automatica  alle   autorita'   giudiziarie   di
esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi  terzi  che
dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami
che essi presentano con quest'ultimo; 
    b) in caso di risposta affermativa alla  prima  questione,  sulla
base di quali  criteri  e  presupposti  tali  legami  debbano  essere
considerati tanto significativi da imporre all'autorita'  giudiziaria
dell'esecuzione di rifiutare la consegna». 
    4.- La Corte di giustizia ha fornito risposta  a  tali  questioni
pregiudiziali con sentenza del 6 giugno 2023 (in causa  C-700/21,  O.
G.). 
    4.1.- La Corte di giustizia ha rammentato che  gli  Stati  membri
sono liberi di trasporre o meno, nel loro diritto interno,  i  motivi
di non esecuzione facoltativa del mandato d'arresto europeo  elencati
all'art. 4 della decisione quadro 2002/584/GAI, incluso quello di cui
al punto 6; e possono altresi' scegliere di  limitare  le  situazioni
nelle quali l'autorita' giudiziaria dell'esecuzione puo' rifiutare di
eseguire un mandato d'arresto europeo, agevolando cosi'  la  consegna
delle   persone   ricercate,   conformemente   al    principio    del
riconoscimento reciproco (paragrafi da 35 a 37 della sentenza). 
    Il margine di discrezionalita' di cui gli Stati membri dispongono
in sede di trasposizione  dell'art.  4,  punto  6,  non  e'  tuttavia
illimitato  (paragrafo  38),  essendo  essi   tenuti,   conformemente
all'art. 1, paragrafo 3, al  rispetto  dei  diritti  e  dei  principi
fondamentali di cui  all'art.  6  TUE  (paragrafo  39),  tra  cui  il
principio di uguaglianza davanti alla legge, garantito  dall'art.  20
CDFUE  (paragrafo  40),  che  si  applica  a  tutte   le   situazioni
disciplinate  dal  diritto  dell'Unione,  incluse  le  disparita'  di
trattamento tra i cittadini degli Stati membri  e  quelli  dei  paesi
terzi (paragrafo 41), ed «esige che situazioni comparabili non  siano
trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano  trattate
allo stesso  modo,  a  meno  che  un  siffatto  trattamento  non  sia
obiettivamente giustificato» (paragrafo 42). 
    4.2.- La Corte di giustizia ha in proposito osservato che  l'art.
4, punto 6, della decisione quadro «non opera  alcuna  distinzione  a
seconda che la persona destinataria del  mandato  d'arresto  europeo,
qualora non sia cittadina dello Stato membro  di  esecuzione,  sia  o
meno cittadina di un altro Stato membro», subordinando l'applicazione
del motivo di non esecuzione facoltativa ivi previsto unicamente alla
duplice condizione che la persona ricercata dimori nello Stato membro
di esecuzione, ne sia cittadina o vi risieda, e  che  tale  Stato  si
impegni a eseguire esso stesso la pena o la misura di  sicurezza  per
la quale il mandato d'arresto europeo e' stato rilasciato  (paragrafo
46). 
    Per quanto attiene alla condizione di residenza o dimora, secondo
la Corte di giustizia il cittadino di  un  paese  terzo  che  risieda
nello Stato di  esecuzione  (ossia  vi  abbia  stabilito  la  propria
residenza effettiva) o ivi dimori - avendo acquisito con tale  Stato,
a seguito di un soggiorno stabile di  una  certa  durata,  legami  di
intensita' simile a quella dei legami che si instaurano  in  caso  di
residenza - si trova in  una  situazione  comparabile  a  quella  del
cittadino di tale Stato membro o del  cittadino  di  un  altro  Stato
membro che dimori o risieda in detto Stato membro (paragrafo 47). Ne'
la condizione di impegno da parte dello Stato membro di esecuzione ad
eseguire la pena privativa  della  liberta'  irrogata  nei  confronti
della persona ricercata si atteggia in modo diverso per il  cittadino
di un paese terzo e per il cittadino dell'Unione (paragrafo 48). 
    4.3.- Dopo aver rammentato che l'obiettivo  perseguito  dall'art.
4,  punto  6,  della  decisione  quadro  consiste  nell'aumentare  le
possibilita' di reinserimento sociale  della  persona  ricercata  che
abbia scontato la pena cui e' stata condannata, la Corte di giustizia
ha osservato che i cittadini dell'Unione e i cittadini di paesi terzi
che soddisfano la  condizione  di  residenza  o  dimora  nello  Stato
dell'esecuzione «potrebbero, fatte  salve  le  verifiche  che  spetta
all'autorita' giudiziaria  dell'esecuzione  effettuare,  disporre  di
possibilita' di reinserimento sociale  comparabili»  (paragrafo  49).
Dunque «si deve ritenere che, ai fini dell'applicazione del motivo di
non  esecuzione  facoltativa  previsto  da  tale  disposizione,  tali
persone possano  trovarsi  in  una  situazione  comparabile,  qualora
presentino un grado di  integrazione  certo  nello  Stato  membro  di
esecuzione» (paragrafo 50). 
    Ne consegue  che  «una  normativa  nazionale  volta  a  trasporre
l'articolo 4, punto 6 [...] non puo' essere considerata  conforme  al
principio di uguaglianza davanti alla legge sancito  all'articolo  20
della Carta se tratta in  maniera  diversa,  da  un  lato,  i  propri
cittadini  e  gli  altri  cittadini  dell'Unione  e,  dall'altro,   i
cittadini di  paesi  terzi,  negando  a  questi  ultimi,  in  maniera
assoluta e automatica, il beneficio  del  motivo  di  non  esecuzione
facoltativa  del  mandato  d'arresto   europeo   previsto   da   tale
disposizione, anche qualora essi dimorino o risiedano nel  territorio
di tale Stato membro e senza che si tenga conto  del  loro  grado  di
integrazione nella societa' di detto Stato» (paragrafo 51). 
    4.4.- Ancora, secondo la Corte di giustizia, gli Stati membri ben
possono, in sede di trasposizione della decisione quadro, subordinare
la possibilita', per i cittadini di paesi terzi, di  beneficiare  del
motivo di non esecuzione di cui all'art. 4,  punto  6,  al  requisito
della residenza o dimora continuativa per un periodo di tempo minimo,
«purche' tale condizione non ecceda quanto necessario a garantire che
la persona ricercata presenti un grado di  integrazione  certo  nello
Stato membro di esecuzione» (paragrafo 52). 
    Non e' invece possibile escludere il cittadino di un paese terzo,
in maniera assoluta e automatica, dal beneficio di tale motivo di non
esecuzione, senza lasciare all'autorita' giudiziaria alcun margine di
discrezionalita' e impedendole  dunque  di  «valutare,  tenuto  conto
delle circostanze specifiche di ciascun caso, se  i  legami  di  tale
persona con lo Stato membro di esecuzione siano sufficienti affinche'
l'obiettivo del reinserimento sociale perseguito da tale disposizione
possa essere meglio raggiunto ove detta persona sconti la sua pena in
tale Stato membro» (paragrafo 56). 
    4.5.- La  Corte  di  giustizia  ha  dunque  risposto  alla  prima
questione rivoltale da questa Corte affermando «l'articolo  4,  punto
6, della decisione quadro 2002/584,  in  combinato  disposto  con  il
principio di uguaglianza davanti alla legge, sancito all'articolo  20
della Carta, dev'essere interpretato nel senso che esso  osta  a  una
normativa di uno Stato membro, volta a  trasporre  tale  articolo  4,
punto 6, che esclude in maniera assoluta e automatica  dal  beneficio
del motivo  di  non  esecuzione  facoltativa  del  mandato  d'arresto
europeo previsto da tale disposizione qualsiasi cittadino di un paese
terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza
che l'autorita' giudiziaria dell'esecuzione possa valutare  i  legami
di  tale  cittadino  con  detto  Stato  membro»   (paragrafo   58   e
dispositivo). 
    4.6.- Quanto alla seconda questione, la  Corte  di  giustizia  ha
sottolineato che, una volta soddisfatte le condizioni di residenza  o
dimora, e  di  esecuzione  della  pena  o  misura  di  sicurezza  sul
territorio  nazionale,  l'autorita'  giudiziaria   dello   Stato   di
esecuzione «deve ancora valutare se sussista un  legittimo  interesse
idoneo a giustificare che la pena o la misura di  sicurezza  inflitta
nello Stato membro emittente sia eseguita nel territorio dello  Stato
membro di esecuzione» (paragrafo 60). 
    Tale valutazione va effettuata in  base  a  «tutti  gli  elementi
concreti  caratterizzanti  la  situazione  della  persona  ricercata,
idonei a indicare se esistano tra tale persona e lo Stato  membro  di
esecuzione legami che consentano di constatare che detta  persona  e'
sufficientemente  integrata  in   tale   Stato   e   che,   pertanto,
l'esecuzione, nello Stato membro di esecuzione, della  pena  o  della
misura di sicurezza privative della  liberta'  pronunciata  nei  suoi
confronti   nello   Stato   membro   emittente   contribuira'    alla
realizzazione  dell'obiettivo  di  reinserimento  sociale  perseguito
[dall']articolo 4, punto 6» (paragrafo 61). 
    Occorre in particolare tenere conto degli elementi  indicati  dal
considerando n. 9 della decisione quadro 2008/909/GAI del  Consiglio,
del 27 novembre 2008 (relativa  all'applicazione  del  principio  del
reciproco riconoscimento  alle  sentenze  penali  che  irrogano  pene
detentive o misure privative della liberta' personale, ai fini  della
loro esecuzione nell'Unione europea) - che parimenti persegue, al suo
art.  25,  l'obiettivo  del  reinserimento  sociale  del  condannato:
paragrafo 63 - ossia «in  sostanza»,  «l'attaccamento  della  persona
allo Stato membro di esecuzione,  nonche'  la  circostanza  che  tale
Stato membro costituisce il centro della sua  vita  familiare  e  dei
suoi  interessi,  tenuto  conto,  in  particolare,  dei  suoi  legami
familiari, linguistici, culturali, sociali o, ancora,  economici  con
detto Stato» (paragrafo 62). 
    La Corte di giustizia ha precisato che «ove la persona  ricercata
abbia stabilito il  centro  della  sua  vita  familiare  e  dei  suoi
interessi nello Stato membro di esecuzione, si deve tenere conto  del
fatto che il reinserimento sociale di tale persona dopo che  essa  vi
ha scontato la sua pena e' favorito dal fatto che essa puo' mantenere
contatti  regolari  e  frequenti  con  la  famiglia  e  i  congiunti»
(paragrafo 64) e che «occorre tenere conto anche della natura,  della
durata e delle condizioni di soggiorno» del cittadino di paese  terzo
nello Stato membro di esecuzione (paragrafo 65). 
    Tali elementi - che possono essere presi in  considerazione  gia'
in fase di esame della condizione di residenza o dimora  nello  Stato
di  esecuzione  (paragrafo  66)  -  vanno  nuovamente  valutati   per
verificare la sussistenza di «un legittimo interesse»  all'esecuzione
della pena o misura di  sicurezza  in  tale  Stato,  «in  particolare
quando il soggiorno dell'interessato nello Stato membro di esecuzione
derivi  dallo  status  dei  cittadini  di  paesi  terzi   che   siano
soggiornanti di lungo periodo, previsto  dalla  direttiva  2003/109»,
atteso che tale status «costituisce [...] un forte indizio del  fatto
che i legami stabiliti dalla persona ricercata con lo Stato membro di
esecuzione sono sufficienti a giustificare il rifiuto di eseguire  il
mandato d'arresto europeo» (paragrafo 67). 
    La Corte di giustizia ha dunque risposto alla  seconda  questione
dichiarando che  «l'articolo  4,  punto  6,  della  decisione  quadro
2002/584 dev'essere interpretato  nel  senso  che:  per  valutare  se
occorra rifiutare l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso
nei confronti del cittadino di un paese terzo che  dimori  o  risieda
nel  territorio  dello  Stato  membro  di   esecuzione,   l'autorita'
giudiziaria  dell'esecuzione  deve  procedere   a   una   valutazione
complessiva  di  tutti  gli  elementi  concreti  caratterizzanti   la
situazione di tale cittadino, idonei  a  indicare  se  esistano,  tra
quest'ultimo e lo Stato membro di esecuzione, legami  che  dimostrino
che egli e' sufficientemente integrato in tale Stato e che, pertanto,
l'esecuzione, in detto Stato membro, della pena  o  della  misura  di
sicurezza privative della liberta'  pronunciata  nei  suoi  confronti
nello  Stato  membro  emittente  contribuira'  ad  aumentare  le  sue
possibilita' di reinserimento sociale dopo che tale pena o misura  di
sicurezza sia stata eseguita. Tra tali elementi  vanno  annoverati  i
legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che  il
cittadino  del  paese  terzo  intrattiene  con  lo  Stato  membro  di
esecuzione, nonche' la natura, la durata  e  le  condizioni  del  suo
soggiorno in tale Stato membro» (paragrafo 68 e dispositivo). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui in  epigrafe  (reg.  ord.  n.  42  del
2021), la Corte  d'appello  di  Bologna,  sezione  prima  penale,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  18-bis
della legge n. 69 del 2005, come introdotto  dall'art.  6,  comma  5,
lettera b), della legge 117 del 2019, «nella parte in cui non prevede
il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato  non
membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia
residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che  la  Corte  di
appello disponga che la pena o la misura di  sicurezza  irrogata  nei
suoi  confronti  dall'autorita'  giudiziaria  di  uno  Stato   membro
dell'Unione europea sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al  suo
diritto interno». 
    Per  quanto  il  giudice  rimettente  formuli  apparentemente  le
questioni con riferimento all'intero art. 18-bis della  legge  n.  69
del 2005, dal contesto dell'ordinanza di rimessione risulta  evidente
che a essere censurata e' in realta' la sola  previsione  di  cui  al
comma  1,  lettera  c),  di  tale  disposizione,  la  quale  -  nella
formulazione applicabile ratione temporis al  giudizio  principale  -
consente in via generale di  rifiutare  l'esecuzione  di  un  mandato
d'arresto emesso «ai fini della esecuzione  di  una  pena  o  di  una
misura di sicurezza privative della liberta'  personale,  qualora  la
persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di  altro  Stato
membro dell'Unione  europea,  che  legittimamente  ed  effettivamente
abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte
di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia  eseguita
in Italia conformemente al suo diritto interno». A  essere  censurata
e', in particolare, la mancata estensione di tale motivo  di  rifiuto
alla situazione del cittadino di uno  Stato  non  membro  dell'Unione
europea, che tuttavia abbia legittimamente ed effettivamente dimora o
residenza nel territorio italiano. 
    Secondo  il   giudice   rimettente,   tale   mancata   estensione
contrasterebbe con gli  artt.  11  e  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 4, punto 6, della decisione  quadro  2002/584/GAI,
all'art. 7 CDFUE, all'art. 8 CEDU e all'art. 17, paragrafo 1,  PIDCP,
nonche' con gli artt. 2, 3, e 27, terzo comma, Cost. 
    2.- Le questioni sono ammissibili. 
    2.1.- Non e' fondata, in effetti, la  prima  eccezione  formulata
dall'Avvocatura generale dello Stato, concernente l'allegato  difetto
di motivazione, da parte del giudice  rimettente,  circa  lo  stabile
radicamento in Italia della persona ricercata. 
    Come gia' osservato nell'ordinanza n. 217 del 2021 (punto  5  del
Considerato in diritto), il giudice a  quo  motiva  infatti  in  modo
sintetico, ma non implausibile, circa tale stabile radicamento. 
    2.2.- Neppure e' fondata  la  seconda  eccezione,  relativa  alla
insufficiente motivazione circa  il  contrasto  tra  la  disposizione
censurata e i parametri costituzionali e sovranazionali evocati. 
    L'ordinanza infatti argomenta in maniera stringata ma  del  tutto
comprensibile le ragioni  del  dedotto  contrasto,  riconducibili  ad
avviso del giudice rimettente: a)  alla  non  corretta  trasposizione
dell'art. 4, punto 6, della decisione  quadro;  b)  all'irragionevole
disparita' di  disciplina  tra  il  mandato  di  arresto  finalizzato
all'esecuzione della  pena  e  quello  finalizzato  a  consentire  la
partecipazione al processo in uno Stato estero  dell'interessato;  c)
al  pregiudizio  alla  funzione  rieducativa  della  pena;  d)   alla
violazione  del  rispetto  della  vita  privata  e  familiare   dello
straniero. 
    2.3.- Ne', infine, e' fondata l'eccezione di omesso tentativo  di
interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata. 
    Il giudice rimettente osserva infatti, del tutto  plausibilmente,
che il tenore letterale della disposizione non consente all'autorita'
giudiziaria  italiana  di  rifiutare  la  consegna  di  una   persona
residente non cittadina dell'Unione, per consentirle di  scontare  la
pena in Italia. 
    3.- Si deve altresi' escludere la necessita' di una  restituzione
degli atti per una nuova valutazione della rilevanza e non  manifesta
infondatezza  della  questione  alla  luce  dello  ius  superveniens,
rappresentato dalle modifiche apportate alla  disposizione  censurata
(l'art. 18-bis della legge n. 69 del 2005) e  a  quella  assunta  dal
rimettente quale tertium  comparationis  (l'art.  19  della  medesima
legge) ad opera, rispettivamente, degli artt.  15,  comma  1,  e  17,
comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni
per  il  compiuto  adeguamento   della   normativa   nazionale   alle
disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato
d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati  membri,  in
attuazione della delega di cui all'articolo 6 della legge  4  ottobre
2019, n. 117). E cio' per le ragioni gia'  illustrate  nell'ordinanza
n. 217 del 2021 (punti 4 e 5 del Considerato in diritto), che debbono
intendersi qui integralmente richiamate. 
    4.- Le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 11 e 117,
primo comma, in relazione all'art. 4, punto 6, della decisione quadro
2002/584/GAI, nonche' all'art. 27, terzo comma, Cost. 
    4.1.- L'art. 4, punto  6,  della  decisione  quadro  2002/584/GAI
prevede un motivo  di  non  esecuzione  facoltativa  del  mandato  di
arresto  europeo  allorche'  esso   sia   stato   emesso   «ai   fini
dell'esecuzione di una pena o di una misura  di  sicurezza  privative
della liberta', qualora  la  persona  ricercata  dimori  nello  Stato
membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si
impegni a eseguire esso  stesso  tale  pena  o  misura  di  sicurezza
conformemente al suo diritto interno». 
    4.2.-   Nella   versione   applicabile   ratione   temporis   nel
procedimento principale, il censurato art. 18-bis, comma  1,  lettera
c), della legge n. 69 del 2005 prevedeva  che  la  corte  di  appello
potesse rifiutare la consegna «se il  mandato  d'arresto  europeo  e'
stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una  misura  di
sicurezza privative della  liberta'  personale,  qualora  la  persona
ricercata sia cittadino italiano o cittadino di  altro  Stato  membro
dell'Unione  europea,  che  legittimamente  ed  effettivamente  abbia
residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che  la  corte  di
appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita  in
Italia conformemente al suo diritto interno». 
    La  disposizione  censurata,  dunque,   consentiva   alla   corte
d'appello di rifiutare la consegna soltanto  di  cittadini  italiani,
ovvero di cittadini di altro Stato membro residenti  o  dimoranti  in
Italia; escludendo con cio' implicitamente - ma inequivocabilmente  -
i cittadini di paesi terzi, pur se legittimamente  ed  effettivamente
residenti o dimoranti in Italia. 
    4.3.- Il giudice rimettente ritiene che tale esclusione,  operata
dal legislatore italiano in sede di trasposizione dell'art. 4,  punto
6, della decisione quadro, ne abbia indebitamente ristretto  l'ambito
applicativo, con cio' violando gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. 
    Inoltre, impedendo al cittadino di paese terzo  gia'  stabilmente
radicato  nel  territorio  italiano  di  scontare  la  propria   pena
detentiva in Italia, la disposizione censurata  violerebbe,  assieme,
la finalita' rieducativa della  pena,  imposta  dall'art.  27,  terzo
comma,  Cost.,  e  il  diritto  alla   vita   privata   e   familiare
dell'interessato,  tutelato  dagli  artt.  7  CDFUE,  8  CEDU  e  17,
paragrafo 1, PIDCP, tutti  vincolanti  nell'ordinamento  italiano  in
forza dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.  (nonche',  per  cio'  che
concerne l'art. 7 CDFUE, dello stesso art. 11 Cost.). 
    4.4.- Nella precedente ordinanza n. 217 del 2021 questa Corte, in
sostanziale condivisione della prospettiva del giudice rimettente, ha
chiesto anzitutto alla Corte di  giustizia  se  sia  compatibile  con
l'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI - interpretato
alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e
dell'art.  7  CDFUE  -  una  disciplina,  come  quella  posta   dalla
disposizione censurata, che precluda in maniera assoluta e automatica
alle autorita' giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna  di
cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio,
indipendentemente dai legami che essi presentano con quest'ultimo. 
    Nell'ordinanza  menzionata,  questa  Corte  ha   in   particolare
sottolineato che, secondo la stessa  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia, l'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI  e'
funzionale ad accrescere le opportunita' di reinserimento sociale del
condannato nel territorio rispetto al quale  questi  ha  gia'  legami
significativi; finalita', quest'ultima, che e' del  resto  alla  base
anche della disciplina posta dalla decisione quadro 2008/909/GAI  del
Consiglio sul  reciproco  riconoscimento  alle  sentenze  penali  che
irrogano pene detentive o misure privative della liberta'  personale,
la  quale  si  applica  tanto  ai  cittadini   degli   Stati   membri
dell'Unione, quanto a  cittadini  di  Stati  terzi  (punto  8.3.  del
Considerato in diritto). 
    Inoltre, questa Corte  ha  osservato  come  la  consegna  di  una
persona, saldamente radicata nel territorio dello Stato richiesto, ad
altro Stato perche' sia ivi sottoposta  all'esecuzione  di  una  pena
detentiva potrebbe determinare una violazione del  suo  diritto  alla
vita privata e familiare, riconosciuto  in  particolare  dall'art.  7
CDFUE e dall'art. 8 CEDU, i quali tutelano l'interesse della  persona
a che non siano recisi i propri legami familiari, affettivi e sociali
stabiliti nel territorio dello Stato in cui  abitualmente  risiede  o
dimora; e cio' anche in conformita' alla giurisprudenza  della  Corte
EDU, secondo la quale l'esecuzione di una  pena  detentiva  a  grande
distanza dalla residenza familiare del condannato puo' comportare  la
violazione  dell'art.  8   CEDU,   in   ragione   della   conseguente
difficolta', per il detenuto e per i  suoi  familiari,  di  mantenere
regolari e frequenti contatti, a loro volta importanti rispetto  alle
finalita'  risocializzanti  della  pena  (punti  8.4.  e   8.5.   del
Considerato in diritto). 
    Nella medesima ordinanza n. 217 del 2021, infine, questa Corte ha
chiesto alla Corte di giustizia di precisare -  nell'ipotesi  in  cui
ritenesse effettivamente  incompatibile  l'art.  4,  punto  6,  della
decisione  quadro  2002/584/GAI  con  una  disciplina   come   quella
censurata dal giudice rimettente - sulla  base  di  quali  criteri  e
presupposti i legami del cittadino di paese terzo con  il  territorio
italiano debbano essere considerati tanto significativi,  da  imporre
all'autorita' giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la consegna. 
    4.5.- Nella sentenza O. G. del 6  giugno  2023  (piu'  ampiamente
supra, punto 4 del Ritenuto in  fatto),  la  Corte  di  giustizia  ha
anzitutto rammentato  che  il  margine  di  discrezionalita'  di  cui
dispongono gli Stati membri nel trasporre i motivi di non  esecuzione
facoltativa della consegna indicati nell'art. 4 - ivi incluso  quello
di cui al punto 6 - della decisione quadro 2002/584/GAI  e'  limitato
dalla necessita' di rispettare i diritti fondamentali  della  persona
ricercata, come risulta del resto dall'art.  1,  paragrafo  3,  della
medesima decisione quadro. 
    Fra tali  diritti  fondamentali  -  ha  proseguito  la  Corte  di
giustizia - va annoverato il rispetto del principio di uguaglianza di
fronte alla legge, garantito dall'art. 20 CDFUE, che si applica  allo
stesso modo alle persone cittadine  e  non  cittadine  di  uno  Stato
dell'Unione. Tale principio esige  -  non  diversamente,  del  resto,
dall'art. 3 Cost. - «che situazioni comparabili non siano trattate in
modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo  stesso
modo, a meno che  un  siffatto  trattamento  non  sia  obiettivamente
giustificato» (paragrafo 42 della sentenza). 
    Poiche', come gia' sottolineato in varie precedenti sentenze,  il
motivo di non esecuzione facoltativa di  cui  all'art.  4,  punto  6,
della decisione quadro e' funzionale ad accrescere le possibilita' di
reinserimento sociale della persona ricercata una  volta  che  questa
abbia scontato la pena, la Corte di  giustizia  ha  osservato  che  i
cittadini dell'Unione e i cittadini di Stati terzi che «presentino un
grado di integrazione certo» nello Stato di esecuzione si trovano «in
una situazione comparabile» quanto alle possibilita' di  rieducazione
nello Stato medesimo (paragrafi 49 e 50). 
    Da cio' deriva, secondo la Corte di giustizia, l'incompatibilita'
con il diritto dell'Unione della disciplina di uno Stato  membro  che
tratti in modo diverso i propri  cittadini,  quelli  di  altro  Stato
membro e quelli di Stati terzi, negando in modo assoluto e automatico
a questi ultimi il beneficio del motivo di non esecuzione del mandato
di arresto facoltativo previsto dall'art. 4, punto 6,  e  precludendo
cosi' all'autorita' giudiziaria competente di valutare caso per  caso
se la persona ricercata, cittadina  di  uno  Stato  terzo,  dimori  o
risieda nel territorio del proprio Stato, e se - in caso  affermativo
- i suoi legami con quest'ultimo Stato siano tanto  significativi  da
far ritenere che l'obiettivo  del  suo  reinserimento  sociale  possa
essere meglio raggiunto ove la pena sia eseguita nel  medesimo  Stato
(paragrafi 56 e 57 e dispositivo). 
    Rispondendo alla seconda questione  posta  da  questa  Corte,  la
Corte di  giustizia  ha  poi  precisato  che  -  nel  procedere  alla
valutazione caso per caso appena indicata -  l'autorita'  giudiziaria
dell'esecuzione  dovra'  valutare,  in  particolare,   gli   elementi
indicati dal considerando n. 9 della  decisione  quadro  2008/909/GAI
sul reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano  pene
detentive, e in particolare «l'attaccamento della persona allo  Stato
membro di esecuzione, nonche' la circostanza che  tale  Stato  membro
costituisce il centro della sua vita familiare e dei suoi  interessi,
tenuto conto, in particolare, dei suoi legami familiari, linguistici,
culturali, sociali o, ancora, economici con detto  Stato»  (paragrafo
62), alla luce dell'opportunita'  che  la  persona  condannata  possa
«mantenere  contatti  regolari  e  frequenti  con  la  famiglia  e  i
congiunti»  al  fine  di  favorire  il  suo   reinserimento   sociale
(paragrafo 64). 
    La Corte ha, dunque, concluso che «l'articolo 4, punto  6,  della
decisione quadro 2002/584 dev'essere interpretato nel senso che:  per
valutare se occorra rifiutare l'esecuzione di  un  mandato  d'arresto
europeo emesso nei confronti del cittadino  di  un  paese  terzo  che
dimori o risieda nel territorio dello  Stato  membro  di  esecuzione,
l'autorita'  giudiziaria  dell'esecuzione  deve   procedere   a   una
valutazione   complessiva   di   tutti    gli    elementi    concreti
caratterizzanti la situazione di tale cittadino, idonei a indicare se
esistano, tra quest'ultimo e lo Stato membro  di  esecuzione,  legami
che dimostrino che egli e' sufficientemente integrato in tale Stato e
che, pertanto, l'esecuzione, in detto  Stato  membro,  della  pena  o
della misura di sicurezza privative della  liberta'  pronunciata  nei
suoi confronti nello Stato membro emittente contribuira' ad aumentare
le sue possibilita' di reinserimento sociale dopo  che  tale  pena  o
misura di sicurezza sia  stata  eseguita.  Tra  tali  elementi  vanno
annoverati i legami  familiari,  linguistici,  culturali,  sociali  o
economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con  lo  Stato
membro di esecuzione, nonche' la natura, la durata  e  le  condizioni
del suo soggiorno in tale Stato membro» (paragrafo 68 e dispositivo). 
    4.6.-  I  chiarimenti  interpretativi  forniti  dalla  Corte   di
giustizia in seguito al rinvio pregiudiziale operato da questa  Corte
con l'ordinanza  n.  217  del  2021  confermano  dunque  i  dubbi  di
incompatibilita' con lo stesso diritto dell'Unione - oltre che con la
Costituzione italiana - della disciplina censurata. 
    L'esclusione assoluta e automatica del  cittadino  di  uno  Stato
terzo dal beneficio del rifiuto della consegna  per  l'esecuzione  di
una pena o di una  misura  di  sicurezza  subordinata  all'impegno  a
eseguire detta pena o misura in Italia -  beneficio  di  cui  godono,
invece,  tanto  il  cittadino   italiano,   quanto,   a   determinate
condizioni, il cittadino di altro Stato membro -  e'  stato  ritenuto
dalla  Corte  di  giustizia  incompatibile  con   il   principio   di
uguaglianza di fronte  alla  legge  sancito  dall'art.  20  CDFUE  e,
dunque, con lo  stesso  art.  4,  punto  6,  della  decisione  quadro
2002/584/GAI,  letto  alla  luce  dell'art.  1,  paragrafo  3,  della
medesima decisione quadro, che riafferma l'obbligo di  rispettare  «i
diritti fondamentali e  i  fondamentali  principi  giuridici  sanciti
dall'articolo 6 del  trattato  sull'Unione  europea»  nell'esecuzione
della stessa. 
    Da cio' deriva immediatamente la  contrarieta'  della  disciplina
censurata agli artt. 11 e  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI. 
    Inoltre, tale disciplina contrasta con la  finalita'  rieducativa
della pena imposta dall'art. 27, terzo comma, Cost. - finalita',  del
resto, cui la stessa Corte di giustizia  si  richiama,  sottolineando
che il reinserimento sociale della persona condannata rappresenta  la
ratio ispiratrice del motivo di non  esecuzione  facoltativa  di  cui
all'art. 4, punto 6, della  decisione  quadro  2002/584/GAI,  di  cui
l'art. 18-bis, comma 1, lettera  c),  della  legge  n.  69  del  2005
costituisce  specifica   trasposizione   nell'ordinamento   italiano.
L'esecuzione all'estero della pena  o  di  una  misura  di  sicurezza
inflitta o disposta a carico di  una  persona  che  abbia  saldamente
stabilito in Italia  le  proprie  relazioni  familiari,  affettive  e
sociali  finisce,  infatti,  per  ostacolare  gravemente,  una  volta
terminata l'esecuzione della pena e della  misura,  il  reinserimento
sociale  della  persona,  cui  esse  debbono  tendere   per   mandato
costituzionale (sul necessario  orientamento  alla  risocializzazione
anche delle misure di sicurezza, oltre che delle pene, sentenza n. 22
del 2022, punto 5.2. del Considerato in diritto). 
    Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente. 
    5.- Alla luce di quanto affermato dalla  Corte  di  giustizia,  a
tali  vulnera  deve  essere  posto  rimedio  affidando  all'autorita'
giudiziaria dell'esecuzione - e  dunque,  nell'ordinamento  italiano,
alla corte d'appello competente in forza dell'art. 5 della  legge  n.
69 del 2005 -  il  compito  di  valutare  se  la  persona  ricercata,
cittadina di uno Stato terzo, effettivamente (e legittimamente) abbia
residenza  o  dimora  nel  territorio  italiano,  e  se  -  in   caso
affermativo - essa risulti «sufficientemente integrata» (sentenza  O.
G., paragrafi 61 e 68) nello  Stato  italiano,  si'  da  imporre  che
l'esecuzione della pena  o  della  misura  di  sicurezza  avvenga  in
Italia, in modo da non pregiudicare la funzione rieducativa di  detta
pena o misura. 
    La valutazione relativa a tale sufficiente integrazione dovra', a
sua volta, essere effettuata tenendo conto dei criteri indicati dalla
stessa Corte di giustizia al paragrafo 68  della  sentenza  O.  G.  e
reiterati  nel  dispositivo:  e   dunque   dei   «legami   familiari,
linguistici, culturali, sociali o economici»  che  il  cittadino  del
paese terzo intrattiene con lo Stato italiano, nonche' della  natura,
della durata e delle condizioni del suo soggiorno in Italia. 
    Un rilievo  importante  in  questa  valutazione,  infine,  dovra'
essere riconosciuto al possesso, da parte  della  persona  ricercata,
dello  status  di  soggiornante  di  lungo  periodo,  previsto  dalla
direttiva 2003/109/CE e dall'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero): status che la stessa sentenza O.  G.  afferma  costituire
«un autentico strumento di integrazione  sociale»,  costituente  come
tale «un forte indizio del fatto che i legami stabiliti dalla persona
ricercata con lo  Stato  membro  di  esecuzione  sono  sufficienti  a
giustificare il rifiuto di eseguire  il  mandato  d'arresto  europeo»
(paragrafo 67). 
    In definitiva, l'art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge n.
69 del 2005, come introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b),  della
legge n. 117 del  2019,  deve  essere  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui non prevede che  la  corte  d'appello
possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno
Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia  residenza  o
dimora nel territorio italiano e sia  sufficientemente  integrata  in
Italia, nei sensi appena precisati, sempre  che  la  corte  d'appello
disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia. 
    6.- Come sopra rammentato (punto 3 del Considerato  in  diritto),
la disposizione censurata e' stata modificata dal d.lgs.  n.  10  del
2021. Il suo contenuto  normativo  e'  oggi  confluito  nel  comma  2
dell'art. 18-bis, che testualmente prevede: «[q]uando il  mandato  di
arresto europeo e' stato emesso ai fini della esecuzione di una  pena
o di una misura di sicurezza privative della liberta'  personale,  la
corte di appello puo' rifiutare la consegna della  persona  ricercata
che  sia  cittadino  italiano  o  cittadino  di  altro  Stato  membro
dell'Unione europea  legittimamente  ed  effettivamente  residente  o
dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni,  sempre  che
disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita  in  Italia
conformemente al suo diritto interno». 
    Tale disposizione e' affetta, da un lato, dal medesimo  vizio  di
legittimita' costituzionale che inficiava il previgente art.  18-bis,
comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005, non prevedendo alcun
motivo di rifiuto a favore del cittadino di uno Stato terzo che  pure
risulti risiedere legittimamente  ed  effettivamente  nel  territorio
italiano.  Il  che  giustifica  una   pronuncia   di   illegittimita'
consequenziale di tale nuova  disposizione,  ai  sensi  dell'art.  27
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale). 
    Dall'altro lato, la disposizione oggi vigente prevede pero',  per
l'ipotesi in cui la persona ricercata sia cittadina  di  altro  Stato
membro dell'Unione, che la sua consegna ai  fini  dell'esecuzione  di
una pena o di  una  misura  di  sicurezza  privativa  della  liberta'
personale possa  essere  rifiutata  dalla  corte  d'appello  soltanto
quando essa risieda o dimori  legittimamente  ed  effettivamente  nel
territorio italiano «da almeno cinque anni». 
    Al riguardo, occorre  rilevare  che,  secondo  la  giurisprudenza
della Corte di giustizia, uno Stato membro ben  puo'  subordinare  la
possibilita' del rifiuto della consegna di una persona  cittadina  di
altro Stato membro, ai fini dell'esecuzione di  una  pena  o  di  una
misura  di  sicurezza,  alla  condizione  che  tale   persona   abbia
soggiornato legalmente e in via continuativa per almeno  cinque  anni
nello Stato di esecuzione (sentenza Wolzenburg, paragrafo 74). 
    La sentenza O. G. ha, ora, chiarito che un'analoga condizione per
il rifiuto della consegna puo' essere  prevista  dallo  Stato  membro
anche con riferimento alla situazione di un cittadino  di  uno  Stato
terzo, purche' essa «non ecceda quanto necessario a garantire che  la
persona ricercata presenti un grado di integrazione certo nello Stato
membro di esecuzione» (paragrafo 52). 
    L'esigenza di uguaglianza di trattamento tra cittadino  di  altro
Stato membro e cittadino di uno  Stato  terzo,  su  cui  si  impernia
l'intera sentenza O. G., vieta evidentemente che a quest'ultimo possa
essere  riservato  un   trattamento   piu'   favorevole   di   quello
(legittimamente) riservato dal legislatore nazionale al cittadino  di
altro Stato membro. 
    Conseguentemente,    la    dichiarazione    di     illegittimita'
costituzionale che investe la  nuova  formulazione  dell'art.  18-bis
deve essere limitata alla situazione in  cui  la  persona  ricercata,
cittadina di uno Stato terzo, sia  legittimamente  ed  effettivamente
residente nel territorio italiano da almeno cinque anni. 
    Ai sensi dunque dell'art. 27 della legge n. 87 del  1953,  l'art.
18-bis, comma  2,  della  legge  n.  69  del  2005,  come  introdotto
dall'art. 15, comma 1,  del  d.lgs.  n.  10  del  2021,  deve  essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo  nella  parte  in  cui  non
prevede che la corte d'appello possa rifiutare  la  consegna  di  una
persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed
effettivamente abbia residenza o dimora nel  territorio  italiano  da
almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata  in  Italia,  nei
sensi poc'anzi precisati, sempre che la corte d'appello disponga  che
la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  18-bis,
comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69  (Disposizioni
per conformare il diritto interno alla decisione quadro  2002/584/GAI
del Consiglio, del 13 giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto
europeo  e  alle  procedure  di  consegna  tra  Stati  membri),  come
introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b), della  legge  4  ottobre
2019, n. 117 (Delega al Governo per il  recepimento  delle  direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea -  Legge  di
delegazione europea 2018), nella parte in  cui  non  prevede  che  la
corte d'appello possa rifiutare la consegna di una persona  ricercata
cittadina di uno Stato terzo, che  legittimamente  ed  effettivamente
abbia  residenza   o   dimora   nel   territorio   italiano   e   sia
sufficientemente  integrata  in  Italia,  nei  sensi   precisati   in
motivazione, sempre che la corte d'appello disponga che la pena o  la
misura di sicurezza sia eseguita in Italia; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005,
nella formulazione introdotta dall'art.  15,  comma  1,  del  decreto
legislativo 2 febbraio 2021, n.  10  (Disposizioni  per  il  compiuto
adeguamento  della  normativa  nazionale  alle   disposizioni   della
decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra stati membri,  in  attuazione  della
delega di cui all'articolo 6 della legge 4  ottobre  2019,  n.  117),
nella parte in cui non prevede che la corte d'appello possa rifiutare
la consegna di una persona ricercata cittadina di  uno  Stato  terzo,
che legittimamente ed effettivamente abbia  residenza  o  dimora  nel
territorio italiano da almeno  cinque  anni  e  sia  sufficientemente
integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione,  sempre  che
la corte d'appello disponga che la pena o la misura di sicurezza  sia
eseguita in Italia. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2023 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA