N. 4 SENTENZA 6 dicembre 2023- 11 gennaio 2024

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico - Trattamento economico -  Retribuzione  individuale
  di anzianita' (RIA) - Maggiorazione riconosciuta dagli  accordi  di
  comparto per  il  triennio  1988-1990,  poi  prorogato  al  1993  -
  Successiva novella, innovativa e  con  efficacia  retroattiva,  che
  priva di effetto la proroga, salvi  i  giudicati  gia'  maturati  -
  Violazione dei principi, costituzionali e convenzionali, del giusto
  processo e della parita' delle parti in giudizio  -  Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 51, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 102, 111, primo  e  secondo
  comma, e 117, primo comma;  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6. 
(GU n.3 del 17-1-2024 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta da: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici  :Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela  NAVARRETTA,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,  Marco  D'ALBERTI,
  Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  51,  comma
3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)», promosso dal Consiglio di Stato, sezione seconda,
nel procedimento vertente tra L. B. e  altri  e  il  Ministero  della
difesa e altri, con ordinanza del 3 maggio 2023, iscritta  al  n.  76
del registro ordinanze 2023 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 dicembre  2023  il  Giudice
relatore Marco D'Alberti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 3  maggio  2023,  iscritta  al  n.  76  del
registro ordinanze 2023, il Consiglio di Stato, sezione  seconda,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo  comma,  102,  111,
commi primo e  secondo,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
51,  comma  3,  della  legge  23  dicembre  2000,  n.  388,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2001)». 
    La disposizione censurata dispone che «[l]'articolo 7,  comma  1,
del  decreto-legge  19  settembre  1992,  n.  384,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n.  438,  si  interpreta
nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata
sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983,
n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 - 31 dicembre  1990,  non
modifica la  data  del  31  dicembre  1990,  gia'  stabilita  per  la
maturazione delle anzianita' di servizio  prescritte  ai  fini  delle
maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'. E'  fatta
salva l'esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della
presente legge». 
    1.1.- Il Consiglio di Stato espone di dover decidere sull'appello
contro la sentenza del  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
Lazio, sezione prima bis, 1° settembre 2014, n. 9255, che ha respinto
il ricorso proposto da seicentocinquantotto dipendenti del  Ministero
della  difesa  per   il   riconoscimento   di   maggiorazioni   della
retribuzione individuale di anzianita' (RIA), ai sensi  dell'art.  9,
commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica  17  gennaio
1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento  delle  norme  risultanti
dalla  disciplina  prevista  dall'accordo  del  26   settembre   1989
concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di
cui all'art. 2 del decreto del Presidente della  Repubblica  5  marzo
1986, n. 68). 
    Il giudice rimettente riferisce che i  ricorrenti  avevano  agito
dinanzi al TAR Lazio per l'accertamento  del  relativo  diritto  alle
maggiorazioni della RIA  maturate  negli  anni  1991,  1992  e  1993,
facendo  valere  la  proroga  al  31  dicembre  1993   dell'efficacia
dell'intero d.P.R. n. 44  del  1990,  la  quale  era  stata  disposta
dall'art. 7, comma 1, del decreto-legge 19  settembre  1992,  n.  384
(Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita'  e  di  pubblico
impiego,   nonche'    disposizioni    fiscali),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438. 
    Il TAR Lazio, nella menzionata sentenza  n.  9255  del  2014,  ha
rigettato le pretese dei ricorrenti dando atto della  sopravvenienza,
nelle more del  giudizio,  della  disposizione  oggetto  dell'odierno
incidente di costituzionalita' (art. 51, comma 3, della legge n.  388
del 2000), la quale ha espressamente escluso che  la  proroga  al  31
dicembre 1993 dell'intera disciplina contenuta nel d.P.R. n.  44  del
1990  potesse  estendere  anche  il  termine   per   la   maturazione
dell'anzianita'  di   servizio   ai   fini   dell'ottenimento   della
maggiorazione della RIA. 
    Avverso  tale  decisione  hanno  proposto  appello   dinanzi   al
Consiglio di Stato novantadue ricorrenti, i quali  hanno  contestato,
tra l'altro, l'erronea applicazione della giurisprudenza della  Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo   sulle   leggi   aventi   efficacia
retroattiva, chiedendo, in via  subordinata,  che  venisse  sollevata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della
legge n. 388 del 2000, poiche' la  disposizione  avrebbe  interferito
con la funzione giurisdizionale e  con  il  diritto  di  agire  e  di
difendersi  in  giudizio,  ponendosi  altresi'  in  contrasto  con  i
principi della necessaria ragionevolezza  delle  scelte  legislative,
del divieto di ingiustificate disparita' di trattamento, della tutela
dell'affidamento e della certezza del diritto. 
    1.2.-  Il  Consiglio  di  Stato   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 3, della legge n. 388
del 2000, ritenendo che la disposizione censurata, «sebbene formulata
in termini astratti, appare in realta'  preordinata  a  condizionare,
con l'efficacia propria delle  disposizioni  interpretative,  l'esito
dei giudizi ancora in corso in quella materia». 
    In  particolare,   il   rimettente   ha   precisato   che   prima
dell'adozione della  disposizione  censurata,  si  era  affermato  un
orientamento giurisprudenziale secondo cui l'art.  7,  comma  1,  del
d.l. n. 384 del 1992, come convertito, - avendo prorogato l'efficacia
dell'intera disciplina di cui al  d.P.R.  n.  44  del  1990  -  aveva
modificato anche la data originariamente stabilita per la maturazione
dell'anzianita' di servizio ai fini della  maggiorazione  della  RIA,
con conseguente riconoscimento del diritto dei dipendenti pubblici ad
ottenere  tale  maggiorazione  pure   in   caso   di   raggiungimento
dell'anzianita' di servizio successivamente al 31 dicembre  1990  (e'
richiamata, tra le altre, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione
quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522). 
    Alla luce di tale orientamento, e stante la pendenza  di  diversi
ricorsi  collettivi  promossi   da   dipendenti   pubblici   per   il
riconoscimento del diritto alla maggiorazione della  RIA,  ad  avviso
del giudice rimettente l'art. 51, comma 3, della  legge  n.  388  del
2000, sarebbe intervenuto al fine di «negare il  beneficio  a  coloro
che avessero maturato le anzianita' necessarie per il  computo  delle
maggiorazioni successivamente alla data del 31  dicembre  1990  anche
per chi  avesse  gia'  un  giudizio  in  corso,  facendo  salva  solo
l'esecuzione dei giudicati gia' formatisi alla data della sua entrata
in vigore». 
    In  ragione  di  cio',  la  disposizione   oggetto   dell'odierno
incidente  di  costituzionalita'  si  porrebbe  in  contrasto  con  i
principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e
potere giurisdizionale, nonche' con  le  disposizioni  costituzionali
che riconoscono il diritto ad un equo processo e il  principio  della
parita'  delle  parti  in  giudizio.  In  particolare,   il   giudice
rimettente ha richiamato la giurisprudenza costituzionale  che  -  in
linea con gli orientamenti della Corte EDU - ha  precisato  i  limiti
per l'adozione  di  leggi  con  efficacia  retroattiva,  dando  anche
rilievo ad una serie di elementi sintomatici dell'uso distorto  della
funzione legislativa, sia in relazione al metodo,  sia  in  relazione
alle tempistiche dell'intervento  del  legislatore  (sono  citate  le
sentenze n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018). 
    Proprio sulla base di tali orientamenti, ad avviso del  Consiglio
di  Stato,  la  disposizione   censurata   violerebbe   i   parametri
costituzionali evocati, essendo intervenuta nove anni dopo  l'entrata
in vigore dell'art. 7, comma 1,  del  d.l.  n.  384  del  1992,  come
convertito, al fine specifico di  condizionare  l'esito  dei  ricorsi
collettivi pendenti e sulla  base  di  mere  ragioni  finanziarie  di
contenimento della spesa. 
    Quanto  infine  alla  rilevanza  delle  questioni,   il   giudice
rimettente - dopo aver verificato in sede istruttoria l'attestazione,
da parte dei ricorrenti, delle  anzianita'  di  servizio  utili  alla
maturazione della maggiorazione della RIA - ritiene che,  sulla  base
dell'orientamento    giurisprudenziale    formatosi     anteriormente
all'entrata in vigore della disposizione  censurata,  il  ricorso  di
primo grado sarebbe almeno in parte da ritenersi fondato. 
    2.- Con atto depositato in data 4 luglio 2023, e' intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate. 
    2.1.-  Viene  innanzitutto  eccepita   l'inammissibilita'   della
questione di legittimita' costituzionale per difetto di rilevanza  o,
comunque, per difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, infatti, il Consiglio di Stato,
nel corso del giudizio, aveva rilevato «non solo la mancanza di prova
circa la  maturazione  dell'anzianita'  di  servizio  necessaria  per
beneficiare della maggiorazione della R.I.A. in relazione  a  ciascun
ricorrente,  ma,  previamente,  la  mancata   allegazione   di   tale
presupposto nel ricorso  introduttivo  sempre  con  riferimento  alla
posizione   di   ciascun    ricorrente».    Tuttavia,    ad    avviso
dell'interveniente,  a  seguito  dell'esecuzione   degli   incombenti
istruttori da parte  degli  appellanti,  il  giudice  rimettente  non
avrebbe dimostrato in che modo la questione processuale, di  per  se'
idonea  a  definire  il  giudizio  d'appello  con  una  pronuncia  di
inammissibilita', «sia stata ritenuta superata tanto da  potere  dare
ingresso  all'esame  del  merito  e,  con  essa,  alla  questione  di
costituzionalita' sollevata». Cio' in contrasto con la giurisprudenza
costituzionale che richiede,  anche  in  relazione  alla  sussistenza
delle condizioni dell'azione nel giudizio a quo, una motivazione  non
implausibile da parte del giudice rimettente (sono richiamate, tra le
altre, le sentenze n. 262 del 2015, n. 34 del 2010 e n. 50 del 2004). 
    2.2.- In ogni caso, l'Avvocatura dello Stato ritiene le questioni
di legittimita' costituzionale non fondate. 
    In relazione alla denunciata violazione degli artt. 3, 24,  primo
comma, e 102 Cost., rileva l'interveniente che la norma censurata  si
sarebbe  limitata  ad  assegnare   alla   disposizione   oggetto   di
interpretazione uno  dei  possibili  significati  normativi  ad  essa
attribuibili.   Cio'   impedirebbe   di   configurare   una   lesione
dell'affidamento dei destinatari,  posto  che  «il  testo  originario
rendeva plausibile una lettura diversa da quella  che  i  destinatari
stessi avevano ritenuto di privilegiare» (e' richiamata  la  sentenza
di questa Corte n. 170  del  2008).  D'altra  parte,  ad  avviso  del
Presidente del Consiglio dei ministri, la prospettazione da parte del
legislatore  di  una  determinata  interpretazione  costituisce   una
«espressione della potesta' ad esso attribuita e, di  conseguenza  il
suo esercizio non puo', ad ogni buon conto, considerarsi lesivo della
sfera riservata al potere giudiziario», muovendosi i  due  poteri  su
piani differenti: il legislatore, infatti,  agisce  sul  piano  delle
fonti, mentre il giudice opera sul piano della concreta  applicazione
della norma (e' richiamata la sentenza di questa  Corte  n.  150  del
2015). 
    Quanto alla lamentata  violazione  del  principio  della  parita'
delle parti in giudizio e del diritto a un equo  processo  (ai  sensi
degli artt. 111, commi primo e secondo, e 117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU), l'interveniente  richiama
l'orientamento della giurisprudenza costituzionale  che  consente  al
legislatore di attribuire efficacia retroattiva alla legge, la'  dove
cio' sia necessario per tutelare principi, diritti e beni di  rilievo
costituzionale (sono menzionate, tra le altre, le sentenze n. 46  del
2021, n. 156 del 2014 e n. 78 del 2012).  D'altra  parte,  la  stessa
giurisprudenza della Corte  EDU  consentirebbe  l'adozione  di  leggi
retroattive allorche'  «vengano  in  rilievo  imperative  ragioni  di
interesse generale». 
    Nel caso in esame, secondo l'Avvocatura dello Stato,  l'art.  51,
comma 3, della legge n. 388 del 2000,  sarebbe  peraltro  intervenuto
per «circoscrivere il beneficio  a  favore  di  coloro  che  avessero
maturato  le   anzianita'   necessari[e]   per   il   computo   delle
maggiorazioni entro la data del 31 dicembre 1990,  data  di  scadenza
originaria dell'accordo sindacale, cosi' eliminando la disparita'  di
trattamento che, con  una  diversa  interpretazione  del  termine  di
maturazione, si sarebbe venuta a creare in particolare  in  relazione
al personale che tale anzianita' avesse maturato successivamente». 
    In  ragione  di  tutto  cio',  non  sussisterebbe  la   lamentata
violazione dei parametri costituzionali denunciati dal  Consiglio  di
Stato nell'ordinanza di rimessione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato,  sezione  seconda,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111,  commi  primo  e
secondo,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6 CEDU, questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.
51, comma 3, della legge n. 388 del 2000. 
    2.- La disposizione censurata ha previsto che l'art. 7, comma  1,
del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, «si interpreta  nel  senso
che la proroga al 31 dicembre 1993  della  disciplina  emanata  sulla
base degli accordi di comparto di cui alla legge 29  marzo  1983,  n.
93, relativi al triennio 1° gennaio 1988  -  31  dicembre  1990,  non
modifica la  data  del  31  dicembre  1990,  gia'  stabilita  per  la
maturazione delle anzianita' di servizio  prescritte  ai  fini  delle
maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianita'»,  facendo
«salva l'esecuzione dei giudicati alla  data  di  entrata  in  vigore
della presente legge». 
    3.-  Il  rimettente   denuncia   la   violazione   dei   principi
costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo  e  potere
giurisdizionale, nonche' del diritto  ad  un  equo  processo  e  alla
parita' delle parti in giudizio. La disposizione censurata,  infatti,
pur essendo formulata in termini astratti,  risulterebbe  in  realta'
preordinata a condizionare l'esito dei ricorsi collettivi pendenti, a
fronte di un orientamento giurisprudenziale che si era consolidato in
senso  sfavorevole   alle   amministrazioni   pubbliche.   Tanto   le
tempistiche, quanto le concrete modalita'  di  adozione  della  legge
renderebbero evidente l'utilizzo distorto della funzione legislativa,
in  contrasto  con  la  giurisprudenza  costituzionale  e   con   gli
orientamenti della Corte EDU in materia di leggi retroattive. 
    4.-  In  via  preliminare,  occorre  esaminare   l'eccezione   di
inammissibilita' formulata dall'Avvocatura dello Stato per difetto di
rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale o, comunque,
per difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    4.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Secondo  la  giurisprudenza   costituzionale,   «la   valutazione
dell'interesse a ricorrere e degli altri presupposti  concernenti  la
legittima instaurazione del giudizio a quo e'  riservata  al  giudice
rimettente, mentre la verifica di questa Corte e' meramente esterna e
strumentale al riscontro di una  adeguata  motivazione  in  punto  di
rilevanza della questione  di  legittimita'  costituzionale,  con  la
conseguenza  che  il  vaglio  del  rimettente  sull'esistenza   delle
condizioni   dell'azione   puo'   essere   sindacato   solo   laddove
implausibile» (cosi' la sentenza n. 193 del 2022; nello stesso senso,
anche le sentenze n. 150 del 2022, n. 240 del 2021, n. 224 e  n.  168
del 2020). 
    Nel caso in esame, l'ordinanza di  rimessione  ha  illustrato  in
maniera adeguata che, a seguito di richiesta istruttoria,  tutti  gli
appellanti hanno attestato in  giudizio  le  anzianita'  di  servizio
necessarie ai fini dell'applicazione della disciplina riguardante  le
maggiorazioni retributive, ad eccezione di uno di essi per  il  quale
e' stata rilevata, in via d'ufficio, l'inammissibilita'  del  ricorso
di primo grado,  con  conseguente  parziale  riforma  della  sentenza
appellata. 
    Una  simile  differenziazione  tra  le  posizioni   dei   diversi
appellanti dimostra chiaramente che il giudice rimettente ha  risolto
positivamente  la  questione   concernente   la   sussistenza   delle
condizioni dell'azione nel giudizio di primo grado, sulla base di una
motivazione non implausibile. 
    5.- L'ordinanza di rimessione ha mancato di  fare  riferimento  a
quattro ordinanze di questa Corte che avevano dichiarato la manifesta
infondatezza di questioni di costituzionalita' aventi ad  oggetto  la
medesima disposizione oggi censurata (ordinanze n. 440 e n.  263  del
2002, n. 181 e n. 10 del 2003). E', tuttavia,  evidente  la  volonta'
del giudice rimettente  di  prospettare  la  questione  in  ordine  a
profili  e  sulla  scorta  di  argomenti  nuovi,  facendo   esplicito
riferimento ai piu' recenti orientamenti  di  questa  Corte  e  della
Corte EDU in materia di leggi retroattive (sono ampiamente citate  le
sentenze n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018). 
    D'altra parte, appare significativo che l'ordinanza di rimessione
abbia fatto riferimento a parametri costituzionali (art.  111,  commi
primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 6 CEDU), i quali non  erano  stati  evocati  nei  precedenti
incidenti  di  costituzionalita'  aventi  ad  oggetto   la   medesima
disposizione. 
    6.- Nel merito, le questioni sono  fondate  in  riferimento  agli
artt. 3, 111, commi primo e  secondo,  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU. 
    7.- Occorre innanzitutto evidenziare che, diversamente da  quanto
sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, la disposizione  censurata  e'
priva dei caratteri della legge di interpretazione autentica,  avendo
invece la portata di una legge innovativa con efficacia retroattiva. 
    7.1.- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte,  «la
disposizione di interpretazione autentica e' quella che,  qualificata
formalmente tale  dallo  stesso  legislatore,  esprime,  anche  nella
sostanza, un significato appartenente  a  quelli  riconducibili  alla
previsione    interpretata    secondo    gli     ordinari     criteri
dell'interpretazione  della  legge»  (sentenza  n.  133  del   2020).
Diversamente,   nel   caso   in    cui    «la    disposizione,    pur
autoqualificantesi  interpretativa,  attribuisce  alla   disposizione
interpretata un significato nuovo, non  rientrante  tra  quelli  gia'
estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa  e'
innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133
del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990)» (sentenza  n.  104  del
2022). 
    7.2.- Nel caso in esame, l'art. 51, comma 3, della legge  n.  388
del 2000, lungi dall'aver assegnato all'art. 7, comma 1, del d.l.  n.
384  del  1992,  come  convertito,  uno  dei  possibili   significati
normativi ad esso attribuibili, ha conferito  allo  stesso  un  nuovo
significato che non era ricavabile dal testo della legge. 
    7.2.1.- Sul punto, occorre premettere che  l'istituto  della  RIA
era stato disciplinato dal d.P.R. n. 44  del  1990,  il  quale  aveva
recepito l'accordo sindacale del 26  settembre  1989  concernente  il
personale dei Ministeri e degli altri enti  di  cui  all'art.  2  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  5  marzo  1986,  n.   68
(Determinazione  e  composizione  dei  comparti   di   contrattazione
collettiva, di cui all'art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego
29 marzo 1983, n. 93). 
    In particolare, l'art. 9, comma 4, del  d.P.R.  n.  44  del  1990
aveva riconosciuto alcune  maggiorazioni  della  RIA  in  favore  del
personale che «alla data  del  1°  gennaio  1990»  avesse  «acquisito
esperienza  professionale  con  almeno  cinque  anni   di   effettivo
servizio» o che avesse maturato «detto  quinquennio  nell'arco  della
vigenza contrattuale»; nel successivo comma 5 era stato  previsto  il
raddoppio o la  quadruplicazione  delle  somme  dovute  a  titolo  di
maggiorazione della RIA al personale che,  «nell'arco  della  vigenza
contrattuale», avesse maturato, rispettivamente, «dieci o venti  anni
di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni». 
    L'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come  convertito,  -
tenendo «ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata
sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983,
n. 93, e successive modificazioni e integrazioni» - ha  prorogato  al
triennio 1991-1993 l'efficacia dell'intero d.P.R. n. 44 del 1990,  la
cui scadenza originaria era fissata al  31  dicembre  1990  (art.  1,
comma 1, del d.P.R. citato). 
    Alla luce di tale  proroga  legislativa,  l'«arco  della  vigenza
contrattuale» - cui  facevano  riferimento  i  citati  commi  4  e  5
dell'art. 9 di tale d.P.R. ai fini della maturazione delle anzianita'
di servizio per il riconoscimento della  maggiorazione  della  RIA  -
doveva chiaramente intendersi  come  riferito  al  nuovo  termine  di
efficacia dello stesso d.P.R.  (31  dicembre  1993)  e  non  gia'  al
termine originariamente previsto (31 dicembre 1990). 
    D'altra parte, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa,
la  disciplina  di  origine  pattizia  contenuta  in   tale   decreto
rappresentava un «unicum indivisibile» (Consiglio di  Stato,  sezione
quarta, 17 ottobre  2000,  n.  5522).  Proprio  in  ragione  di  tale
indivisibilita', l'eventuale volonta' del  legislatore  di  escludere
dalla proroga alcuni istituti retributivi contenuti nel d.P.R. n.  44
del 1990 - come quelli legati alle maggiorazioni della RIA -  avrebbe
richiesto  una  esplicita  previsione  normativa,  come  e'  peraltro
avvenuto con  riferimento  alla  disposizione  che  ha  espressamente
impedito, per esigenze di contenimento  della  spesa,  l'operativita'
degli automatismi stipendiali per il solo anno 1993 (art. 7, comma 3,
del d.l. n. 384 del 1992, come convertito). 
    7.2.2.- In definitiva, stante l'assenza nell'art. 7, comma 1, del
d.l. n. 384 del 1992, come convertito, di qualsiasi dato testuale  da
cui  potesse  ricavarsi  la  volonta'  del  legislatore  di  impedire
l'operativita' della disciplina sulla  RIA  nel  triennio  1991-1993,
l'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 - nell'escludere  che
la proroga del d.P.R. n. 44 del 1990  al  31  dicembre  1993  potesse
estendere anche il termine per la  maturazione  delle  anzianita'  di
servizio ai fini  delle  maggiorazioni  della  RIA  -  ha  attribuito
retroattivamente alla disposizione originaria un  nuovo  significato,
non rientrante tra quelli estraibili dal suo testo. 
    8.- Una volta esclusa  la  natura  autenticamente  interpretativa
della disposizione, dinanzi  a  leggi  aventi  efficacia  retroattiva
questa Corte e' chiamata ad esercitare uno scrutinio  particolarmente
rigoroso: cio' in ragione della centralita' che assume  il  principio
di non retroattivita' della legge, «inteso quale fondamentale  valore
di civilta' giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.),
ma anche in altri settori dell'ordinamento (sentenze n. 174 del 2019,
n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013)» (sentenza n.  145
del 2022). 
    Il controllo di costituzionalita' diviene ancor  piu'  stringente
qualora l'intervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora
in corso, specialmente nel caso in cui  sia  coinvolta  nel  processo
un'amministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali
relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale,
quanto   i   principi   concernenti   l'effettivita'   della   tutela
giurisdizionale e la parita' delle parti in giudizio, impediscono  al
legislatore di risolvere, con legge,  specifiche  controversie  e  di
determinare, per questa via,  uno  sbilanciamento  tra  le  posizioni
delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n.  201  e
n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014). 
    8.1.- Con riguardo al sindacato di costituzionalita' delle  leggi
retroattive incidenti su giudizi in  corso,  ha  assunto  un  rilievo
sempre piu' decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre,
sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi  sas  e  altri
contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e  altri  contro
Italia, paragrafo 47;  14  gennaio  2014,  Montalto  e  altri  contro
Italia, paragrafo 47). Cio' in virtu' della «funzione  interpretativa
eminente che gli  Stati  contraenti  hanno  riconosciuto  alla  Corte
europea» (sentenza n. 348 del 2007). 
    Come  chiarito  da  questa  Corte,  infatti,  nel  sindacato   di
costituzionalita' delle leggi retroattive si e' ormai pervenuti  alla
costruzione di  una  «solida  sinergia  fra  principi  costituzionali
interni e principi contenuti nella CEDU», che consente di leggere  in
stretto coordinamento i parametri interni  con  quelli  convenzionali
«al  fine  di  massimizzarne  l'espansione   in   un   "rapporto   di
integrazione reciproca"» (sentenza n. 145 del 2022). 
    Sulla  base  di  tale  sinergia,   questa   Corte   e'   chiamata
innanzitutto a verificare se l'intervento legislativo retroattivo sia
effettivamente  preordinato  a  condizionare   l'esito   di   giudizi
pendenti.  A  tal  fine,  assumono  rilievo  -  sulla  scorta   della
giurisprudenza  della  Corte  EDU  -   alcuni   «elementi,   ritenuti
sintomatici  dell'uso  distorto   della   funzione   legislativa»   e
riferibili principalmente al «metodo e alla  tempistica  seguiti  dal
legislatore» (cosi', sentenza n. 12 del  2018;  nello  stesso  senso,
sentenze n.  145  del  2022  e  n.  174  del  2019).  Occorre  dunque
effettuare una verifica  di  legittimita'  costituzionale  che  -  in
maniera  non  dissimile  dal   sindacato   sull'eccesso   di   potere
amministrativo mediante l'impiego di figure sintomatiche  -  assicuri
una particolare estensione e intensita' del  controllo  sul  corretto
uso del potere legislativo. 
    8.2.- Tra gli elementi sintomatici dell'uso distorto  del  potere
legislativo, appare innanzitutto significativo il fatto che «lo Stato
o l'amministrazione  pubblica»  siano  «parti  di  un  processo  gia'
radicato» e che l'intervento  legislativo  si  collochi  «a  notevole
distanza  dall'entrata  in  vigore  delle  disposizioni  oggetto   di
interpretazione autentica» (sentenza n. 174 del 2019). 
    Nel caso in esame, l'art. 51, comma 3, della  legge  n.  388  del
2000 e' entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e, quindi, ben nove anni
dopo l'art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del  1992,  come  convertito,
quando erano pendenti diversi  giudizi  promossi  da  dipendenti  nei
confronti di amministrazioni pubbliche. 
    8.3.- E' altresi' rilevante, come elemento sintomatico, il  fatto
che - lo si e' anticipato supra, al punto 7.2.2.  -  la  disposizione
censurata,  pur  essendosi  "auto-qualificata"  come  interpretativa,
abbia in realta' introdotto un significato che non si poteva in alcun
modo evincere dal testo dell'art. 7, comma 1, del  d.l.  n.  384  del
1992, come convertito. 
    Come  chiarito  da  questa  Corte,  la  stessa  erroneita'  della
«autoqualificazione  della  disposizione  censurata  quale  norma  di
interpretazione autentica» puo'  costituire  un  sintomo  di  un  uso
improprio della funzione legislativa (sentenza n. 145 del 2022). Tale
uso improprio dello strumento della legge interpretativa, ove  questa
incida sul contenzioso pendente, concorre a disvelare la volonta' del
legislatore di incidere retroattivamente sui rapporti in essere e  di
condizionare i giudizi in corso. 
    8.4.-  Ma,  soprattutto,  risulta  decisivo  il  fatto   che   il
legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare  un
orientamento giurisprudenziale  consolidato,  al  fine  specifico  di
incidere   su   giudizi   ancora   pendenti   in   cui   era    parte
l'amministrazione  pubblica,  fatta  salva  la  sola  esecuzione  dei
giudicati gia'  formatisi  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
disposizione medesima. 
    Va infatti evidenziato che, nell'ambito di controversie  promosse
da dipendenti pubblici ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni
della RIA ai sensi dell'art. 9, commi 4 e 5, del  d.P.R.  n.  44  del
1990, il Consiglio  di  Stato  aveva  chiaramente  affermato  che  la
proroga legislativa dell'efficacia del  d.P.R.  n.  44  del  1990  al
triennio 1991-1993 (disposta dall'art. 7, comma 1, del  d.l.  n.  384
del 1992, come convertito) avesse modificato anche il  termine  utile
ai fini del calcolo delle  anzianita'  di  servizio  necessarie  alla
maturazione  di  tali  maggiorazioni:  con  la  conseguenza   che   i
dipendenti pubblici - sino all'entrata in vigore  della  disposizione
censurata - si sono visti riconoscere le maggiorazioni sulla base  di
anzianita' di servizio maturate successivamente al 31  dicembre  1990
(tra le altre, si veda Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre
2000, n. 5522). 
    In un simile contesto, il  legislatore  e'  intervenuto,  con  la
disposizione  censurata,  al  fine   specifico   di   superare   tale
orientamento giurisprudenziale,  nella  consapevolezza  della  grande
diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti  pubblici  per  il
riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio
1991-1993. Tale finalita' emerge in maniera  incontrovertibile  dalla
documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a  illustrazione
dei contenuti dell'art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ove
si   sottolinea   che   «[l]'iniziativa   e'    giustificata    dalla
considerazione che e' intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di
Stato [...] ormai consolidata che  riconosce  l'ultrattivita'  al  31
dicembre 1992 degli accordi di comparto  ai  fini  della  maturazione
dell'anzianita' di servizio utile per il conseguimento del beneficio,
la  quale,  laddove  e'  [e]stesa  alla  generalita'  del   personale
interessato,  comporterebbe  rilevanti  effetti  di  spesa   per   la
corresponsione   del   beneficio,   avente   per   altro   decorrenza
retroattiva». 
    8.5.- Ne', infine, puo' ritenersi che l'intervento legislativo in
questione trovasse una ragionevole giustificazione  nell'esigenza  di
tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come  ha
chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse  generale
possono consentire un'interferenza  del  legislatore  su  giudizi  in
corso; i principi dello  stato  di  diritto  e  del  giusto  processo
impongono che tali ragioni «siano trattate con il  massimo  grado  di
circospezione possibile» (sentenza 14  febbraio  2012,  Arras  contro
Italia, paragrafo 48). 
    8.5.1.- In ragione di cio', come evidenziato dalla giurisprudenza
costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto  compatibili  con  l'art.  6
CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti  su  giudizi
in  corso,  la'  dove  «i  soggetti  ricorrenti  avevano  tentato  di
approfittare dei difetti  tecnici  della  legislazione  (sentenza  23
ottobre 1997, National &  Provincial  Building  Society  e  Yorkshire
Building Society  contro  Regno  Unito,  paragrafo  112),  o  avevano
cercato  di  ottenere  vantaggi  da  una  lacuna  della  legislazione
medesima, cui l'ingerenza del  legislatore  mirava  a  porre  rimedio
(sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie
X, Blanche  de  Castille  e  altri  contro  Francia,  paragrafo  69)»
(sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, e' stato valorizzato il
fatto che l'intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una
serie  piu'  ampia  di  conflitti  conseguenti  alla   riunificazione
tedesca, al fine di  «assicurare  in  modo  duraturo  la  pace  e  la
sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003,  ForrerNiedenthal
c. Germania, paragrafo 64). 
    All'infuori di tali ragioni imperative di interesse generale,  la
Corte EDU ha ritenuto che «le considerazioni finanziarie non possono,
da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi  al  giudice
nella  definizione  delle  controversie»  (sentenza  29  marzo  2006,
Scordino e altri contro Italia, paragrafo  132;  sentenza  11  aprile
2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo  37).  Anche  questa  Corte  ha
sottolineato che, in linea di principio, «i soli  motivi  finanziari,
volti a contenere la spesa pubblica o  a  reperire  risorse  per  far
fronte  a  esigenze  eccezionali,  non  bastano  a  giustificare   un
intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso
(sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013)» (sentenza  n.
145 del 2022). 
    8.5.2.- Nel caso in esame non emerge, ne' dai lavori preparatori,
ne' dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore  ragione
giustificatrice  dell'intervento  legislativo  retroattivo   rispetto
all'esigenza di assicurare un  risparmio  della  spesa  pubblica,  in
considerazione  di   orientamenti   giurisprudenziali   che   stavano
riconoscendo  tutela  alle  pretese  economiche  dei  dipendenti  nei
confronti delle amministrazioni pubbliche di appartenenza. 
    Come chiarito nella  sopramenzionata  documentazione  predisposta
dagli uffici parlamentari e nella stessa relazione  illustrativa,  la
disposizione  censurata  mirava  ad  evitare  gli  aggravi  di  spesa
conseguenti   all'estensione,   alla   generalita'   del    personale
interessato dal d.P.R. n.  44  del  1990,  della  giurisprudenza  del
Consiglio di Stato sui termini per la maturazione dell'anzianita'  di
servizio utile ai fini del conseguimento  della  maggiorazione  della
RIA. A riprova di cio', nella relazione tecnica e' stato  evidenziato
che l'approvazione della disposizione impugnata  avrebbe  determinato
un risparmio, posto che alcune amministrazioni avevano  gia'  «tenuto
conto nelle previsioni tendenziali di spesa delle  maggiori  esigenze
derivanti dal consolidamento dell'indirizzo giurisprudenziale». 
    8.5.3.- In ultimo, non puo'  neanche  ritenersi,  come  sostenuto
dall'Avvocatura  dello  Stato,  che  l'intervento  legislativo  fosse
giustificato  dalla  finalita'  di  eliminare   una   disparita'   di
trattamento tra i dipendenti che avrebbero maturato le anzianita'  di
servizio prima del 31 dicembre 1990  (data  originariamente  prevista
dall'art. 1, comma 1, del  d.P.R.  n.  44  del  1990)  e  coloro  che
avrebbero potuto maturare tali anzianita' di servizio anche dopo tale
data. 
    Infatti,  alla  luce   della   proroga   dell'intera   disciplina
contrattuale contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 sino al 31  dicembre
1993, la possibilita' per i dipendenti di  maturare  l'anzianita'  di
servizio necessaria alla maggiorazione della RIA anche nel corso  del
nuovo periodo di vigenza  del  d.P.R.  n.  44  del  1990  (1991-1993)
rispondeva pienamente a ragioni di eguaglianza  e  di  giustizia  del
sistema retributivo. Semmai, e' stata la  disposizione  censurata  ad
aver causato una ingiustificata differenziazione retributiva a  danno
di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto  avvenuto  in
relazione  al  triennio  1988-1990,  non  hanno  potuto   valorizzare
l'anzianita' di servizio maturata nel successivo  triennio  1991-1993
ai fini delle maggiorazioni della RIA. 
    9.- In ragione di tutto cio', la disposizione  censurata,  avendo
introdotto una norma innovativa ad  efficacia  retroattiva,  al  fine
specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la  stessa
amministrazione pubblica, e  in  assenza  di  ragioni  imperative  di
interesse generale, si e' posta  in  contrasto  con  i  principi  del
giusto processo e della parita'  delle  parti  in  giudizio,  sanciti
dagli artt. 111, commi primo e secondo, e  117,  primo  comma,  Cost,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonche' con i principi  di
eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell'ordinamento giuridico  di
cui all'art. 3 Cost. 
    10.-  Sono  assorbite  le  ulteriori   questioni   sollevate   in
riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 51,  comma  3,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2001)». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
                     Marco D'ALBERTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2024 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA