N. 38 SENTENZA 24 gennaio - 8 marzo 2024

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro  -  Indennita'  di  mobilita'  -  Corresponsione   rateale   -
  Compatibilita'  con  lo  svolgimento  di  un'attivita'   lavorativa
  autonoma - Esclusione, secondo l'interpretazione data  dal  diritto
  vivente - Denunciata irragionevolezza e disparita' di trattamento -
  Non fondatezza delle questioni. 
- Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 5. 
- Costituzione, artt. 3, primo e secondo comma, e 41, primo comma. 
(GU n.11 del 13-3-2024 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta da: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici  :Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI
  GRIFFI, Marco D'ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella  SCIARRONE
  ALIBRANDI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma
5, della legge 23 luglio 1991, n. 223  (Norme  in  materia  di  cassa
integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di
direttive della Comunita' europea,  avviamento  al  lavoro  ed  altre
disposizioni  in  materia  di  mercato  del  lavoro),  77  del  regio
decreto-legge  4   ottobre   1935,   n.   1827   (Perfezionamento   e
coordinamento legislativo della previdenza  sociale),  convertito  in
legge 6 aprile 1936, n. 1155, e 52 del regio decreto 7 dicembre 1924,
n. 2270 (Approvazione del  regolamento  per  l'esecuzione  del  regio
decreto 30 dicembre 1923,  n.  3158,  concernente  provvedimenti  per
l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione  involontaria),
promosso dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione  di  giudice
del lavoro, nel procedimento tra G. S. e l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 12 giugno 2023, iscritta
al numero 112 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 37,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2023. 
    Visti l'atto di costituzione dell'INPS e l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita nell'udienza  pubblica  del  24  gennaio  2024  la  Giudice
relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi; 
    uditi l'avvocato Mauro Sferrazza per l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato Fabrizio Urbani  Neri  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 giugno 2023 (reg. ord. n. 112 del 2023),
il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro,
ha sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 5, della legge 23 luglio 1991, n.  223  (Norme  in  materia  di
cassa  integrazione,  mobilita',   trattamenti   di   disoccupazione,
attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro
ed altre disposizioni in materia di  mercato  del  lavoro),  nonche',
«ove ritenuto necessario», dell'art. 77  del  regio  decreto-legge  4
ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento  e  coordinamento  legislativo
della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, in legge  6
aprile 1936, n. 1155, e dell'art. 52 del  regio  decreto  7  dicembre
1924, n. 2270 (Approvazione  del  regolamento  per  l'esecuzione  del
regio decreto 30 dicembre 1923, n.  3158,  concernente  provvedimenti
per   l'assicurazione   obbligatoria   contro    la    disoccupazione
involontaria), considerati lesivi degli  artt.  3,  primo  e  secondo
comma, e 41, primo comma, della Costituzione,  nella  parte  in  cui,
«nell'interpretazione datane  dal  diritto  vivente  della  Corte  di
cassazione»,  «esclud[ono]  la  compatibilita'  della  indennita'  di
mobilita' ricevuta ratealmente e periodicamente con lo svolgimento di
un'attivita' lavorativa autonoma, imponendo al lavoratore autonomo la
necessita' della richiesta  di  corresponsione  anticipata,  pena  la
perdita del diritto». 
    2.-  Il  rimettente   riferisce   di   essere   stato   investito
dell'opposizione  proposta  da  G.  S.  avverso  il  decreto  recante
l'ingiunzione  a  pagare  in  favore  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza  sociale  (INPS)  una   somma   a   titolo   di   recupero
dell'indebita percezione dell'indennita' di mobilita'. 
    L'opponente, licenziato, nel  mese  di  novembre  del  2008,  per
giustificato motivo oggettivo e iscritto nelle liste di mobilita', di
cui alla  legge  n.  223  del  1991,  ha  goduto  dell'indennita'  di
mobilita' prevista dall'art. 7 della  medesima  legge,  dal  mese  di
dicembre del 2008 al mese di dicembre del 2010. Dal 1° maggio 2009, e
dunque in costanza  di  percezione  con  periodicita'  mensile  della
suddetta indennita', G. S. si e' iscritto nella gestione commercianti
come coadiutore di impresa familiare  di  carattere  commerciale  (in
titolarita'  del   coniuge),   svolgendo   in   essa   attivita'   di
collaborazione. 
    L'INPS ha richiesto l'emissione del decreto ingiuntivo al fine di
recuperare le somme percepite da G. S.  a  titolo  di  indennita'  di
mobilita' durante la suddetta collaborazione  all'impresa  familiare,
ritenendo che lo svolgimento di attivita'  autonoma  nel  periodo  di
godimento  dell'indennita'  di  mobilita'  comporti  la  perdita  del
diritto  alla  prestazione.  In  particolare,  a  giudizio  dell'ente
previdenziale,  una  volta  iniziato  lo  svolgimento  dell'attivita'
autonoma,  G.  S.  avrebbe  potuto  soltanto  avanzare  richiesta  di
anticipazione dell'indennita' residua, ai sensi dell'art. 7, comma 5,
della legge  n.  223  del  1991,  in  mancanza  della  quale  avrebbe
indebitamente  continuato  a  percepire  l'indennita'  mensile,   con
conseguente necessita' di recuperare le somme corrisposte. 
    3.-  Il  rimettente  dubita  della  legittimita'   costituzionale
dell'art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991, secondo  cui  «[i]
lavoratori in mobilita' che ne facciano richiesta  per  intraprendere
un'attivita' autonoma o per associarsi in cooperativa in  conformita'
alle norme vigenti  possono  ottenere  la  corresponsione  anticipata
dell'indennita' nelle misure indicate nei commi 1 e 2, detraendone il
numero di mensilita' gia' godute». 
    Precisa, a tal proposito, che la disposizione, pur essendo  stata
abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2017,  dall'art.  2,  comma  71,
lettera b), della legge  28  giugno  2012,  n.  92  (Disposizioni  in
materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una  prospettiva  di
crescita),  e'   comunque   applicabile,   ratione   temporis,   alla
fattispecie sottoposta al suo scrutinio. 
    Cio' posto, secondo il Tribunale di Ravenna, in  applicazione  di
tale disposizione, nell'interpretazione offerta dalla  giurisprudenza
di legittimita', a suo giudizio configurabile alla stregua di vero  e
proprio diritto vivente, lo svolgimento di attivita' autonoma sarebbe
incompatibile con la percezione dell'indennita' di  mobilita',  salvo
il solo caso in cui il beneficiario  ne  richieda  la  corresponsione
anticipata, detratte le mensilita' gia' godute. 
    Il giudice a quo, nel ricostruire  il  quadro  giurisprudenziale,
rileva che l'indirizzo definitivamente  consolidatosi  in  seno  alla
giurisprudenza di legittimita' era stato in passato contrastato da un
precedente orientamento (che il  rimettente  ritiene  compendiato  da
Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenza  1°  aprile  2004,  n.
6463), secondo cui tale incompatibilita' era, invece, da  escludersi,
giacche' la percezione delle somme in unica  soluzione  costituirebbe
una semplice facolta' (e  non  un  obbligo)  concessa  a  chi  avesse
intrapreso   lo   svolgimento   dell'attivita'    autonoma    durante
l'iscrizione alle liste di mobilita'. 
    Tuttavia, tale ricostruzione sarebbe stata  abbandonata  gia'  da
Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenza  14  agosto  2004,  n.
15890, la quale avrebbe individuato la funzione dell'anticipazione in
esame nel finanziamento alla  cosiddetta  autoimprenditorialita',  in
forza del rinvio, operato dal comma 12  del  medesimo  art.  7  della
legge n. 223 del 1991, alle disposizioni in  tema  di  disoccupazione
(art. 77 del r.d.l. n. 1827 del 1935, come convertito, e art. 52  del
r.d. n. 2270 del 1924), che  prevedono  la  cessazione  del  sussidio
quando   l'assicurato   «abbia   trovato   nuova   occupazione»;   di
conseguenza, l'unica forma di percezione dell'indennita' di mobilita'
compatibile con lo svolgimento di attivita' autonoma  sarebbe  quella
della sua anticipazione. 
    Nel medesimo solco si sarebbero inserite  tutte  le  pronunce  di
legittimita'  successive,  che  avrebbero  individuato  la  finalita'
perseguita  dalla  suddetta  disposizione   nella   riduzione   della
pressione sul mercato del lavoro subordinato. 
    Secondo il descritto indirizzo, che il rimettente considera ormai
consolidato come diritto vivente, l'unica ipotesi  di  compatibilita'
tra lavoro autonomo e percezione rateale dell'indennita' di mobilita'
sarebbe quella - diversa dal caso che ha dato origine al  giudizio  a
quo  -  dello  svolgimento  dell'attivita'  autonoma  gia'  da  prima
dell'iscrizione nelle liste di mobilita' (ovviamente, nei  soli  casi
in  cui  tale  possibilita'  sia   consentita   dall'ordinamento   al
lavoratore dipendente): in tal senso, infatti, si  sarebbe  espressa,
da ultimo, Corte di cassazione, sezione  lavoro,  sentenza  11  marzo
2020, n. 6943. 
    E'   proprio   su   tale   complessiva   interpretazione    della
disposizione, assunta come diritto vivente, che il rimettente  chiede
a questa  Corte  un  controllo  di  compatibilita'  con  i  parametri
costituzionali evocati. 
    4.- In punto di rilevanza delle questioni sollevate, il giudice a
quo espone che non e'  contestato  tra  le  parti  che  G.  S.  abbia
intrapreso un'attivita' di lavoro autonomo in seguito  all'iscrizione
nelle liste di  mobilita',  senza  avere  richiesto  la  liquidazione
anticipata in  un'unica  soluzione  dell'indennita'  residua,  bensi'
continuando a ricevere quest'ultima mensilmente; sicche'  la  domanda
di restituzione  dell'indebito  avanzata  dall'INPS  dovrebbe  essere
accolta,  proprio  (e  solo)  in  applicazione   della   disposizione
censurata,     nell'interpretazione      fornita      dall'illustrata
giurisprudenza di legittimita'. 
    5.-  Sotto  il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
rimettente ritiene che l'approdo ermeneutico a suo parere  assurto  a
diritto vivente si ponga in  contrasto  con  gli  artt.  3,  primo  e
secondo comma, e 41, primo comma, Cost. 
    5.1.- Sotto un primo profilo, la norma sarebbe «illogica e  priva
di ragionevolezza» e, come tale, lesiva  dell'art.  3,  primo  comma,
Cost. 
    Per il rimettente, sarebbe «un non  senso»  postulare  di  potere
ottenere legittimamente l'anticipazione di una somma alla  quale  non
si avrebbe diritto laddove essa fosse corrisposta ratealmente: in tal
modo, si farebbe dipendere la spettanza  di  una  prestazione  da  un
requisito - la  richiesta  di  anticipazione  -  «del  tutto  neutro»
rispetto agli elementi costitutivi del diritto (ossia la  provenienza
da un  esubero  rispetto  al  lavoro  dipendente  e  l'intrapresa  di
un'attivita' autonoma). 
    Ne' sarebbe  decisivo,  in  senso  contrario,  sopravvalutare  la
natura di contributo finanziario che assumerebbe l'indennita' solo se
corrisposta in unica  soluzione,  giacche'  esistono,  e  sono  molto
diffuse, altre forme di finanziamento erogate  periodicamente,  sulla
base dei bisogni e delle richieste del soggetto finanziato, quali  «i
finanziamenti su carta commerciale salvo buon  fine»,  il  factoring,
l'apertura di credito oppure lo scoperto senza affidamento. 
    Del resto, aggiunge il rimettente, la legge  non  prevede  alcuna
forma di controllo sull'effettivo utilizzo dell'indennita' in parola,
e neppure una rendicontazione puntuale o scadenze di  spesa,  sicche'
anche la somma ricevuta una tantum ben potrebbe essere «spesa un poco
alla volta», secondo le necessita' dell'accipiens e  addirittura  per
finalita' «diverse da quelle imprenditoriali», incluse quelle  legate
al sostentamento della famiglia. 
    Ne risulterebbe confermato il carattere neutro «della  tempistica
dell'erogazione  della  somma»,  rispetto  allo   stesso   scopo   di
finanziamento perseguito. 
    5.2.- L'art. 3, primo comma, Cost., sarebbe leso anche  sotto  il
profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento «di  situazioni
omogenee se non addirittura uguali». 
    Rispetto a due  lavoratori  in  esubero  collocati  in  lista  di
mobilita' ed entrambi «intraprendenti un'attivita' di tipo autonomo»,
l'incentivo all'autoimprenditorialita' sarebbe erogato solo  a  colui
che presenti domanda di anticipazione del trattamento, e non anche  a
chi, «per scelta o per  dimenticanza»,  non  adempia  a  tale  onere,
nonostante l'identica necessita' di finanziare la propria attivita'. 
    Del pari lesiva del principio di uguaglianza sarebbe  l'ulteriore
disparita'  di  trattamento   tra   coloro   i   quali   gia'   prima
dell'inserimento  nelle  liste  di  mobilita'  svolgevano   attivita'
autonoma unitamente  a  quella  subordinata  (ai  quali  l'indennita'
spetterebbe anche nella fruizione rateale durante la prosecuzione del
lavoro autonomo) e coloro i quali, al contrario, iniziano a  svolgere
attivita' autonoma solo dopo l'inserimento nelle suddette liste  (che
dovrebbero,  invece,  sottostare   all'irragionevole   regola   della
necessaria richiesta di anticipazione della somma). 
    5.3.- In  stretta  connessione  con  le  prime  due  censure,  il
rimettente   rileva   che   l'interpretazione   privilegiata    dalla
giurisprudenza di legittimita' si porrebbe anche in contrasto con  la
«liberta' di impresa» tutelata dall'art. 41, primo comma, Cost. 
    Sarebbe   introdotto,    infatti,    «un    vincolo    all'azione
dell'imprenditore», senza che a cio' corrisponda «alcuna necessita' o
utilita' sociale, ne' creandosi danni alla salute, all'ambiente, alla
sicurezza, alla liberta' o alla dignita' umana». 
    Neppure sarebbe possibile giustificare la  norma  censurata  alla
luce del terzo comma dell'art. 41  Cost.,  e,  dunque,  in  «funzione
antielusiva», posto che il legislatore non avrebbe previsto «barriere
reddituali o patrimoniali di accesso o controlli ex post  di  sorta»,
lasciando, invece, la somma erogata  «nella  totale  discrezionalita'
dell'imprenditore». 
    5.4.-  Infine,  sarebbe  leso  il   principio   di   «eguaglianza
sostanziale» fissato nell'art. 3, secondo comma, Cost. 
    Nell'interpretazione plasmata  dal  diritto  vivente,  l'art.  7,
comma  5,  censurato  porrebbe  ingiustificati  ostacoli  «di  ordine
economico e sociale» al «pieno sviluppo della persona umana», in  cui
si sostanzierebbe «la possibilita' di divenire lavoratori  autonomi»,
impedendo,  cosi',  agli  ex  lavoratori  dipendenti  di  partecipare
«all'organizzazione economica del Paese». 
    6.- Sulla scorta di queste premesse, il Tribunale di  Ravenna  ha
chiesto a questa Corte di dichiarare l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991 -  ma  anche,  «ove
ritenuto necessario», dell'art. 77 del r.d.l. n. 1827 del 1935,  come
convertito, e dell'art. 52 del r.d. n. 2270 del 1924  -  nei  termini
indicati al precedente punto 1. 
    7.- Nel giudizio si e' costituito  l'INPS,  parte  ricorrente  in
monitorio, il quale, dopo aver ripercorso i passaggi  salienti  della
motivazione dell'ordinanza  di  rimessione  ed  aver  ricostruito  il
pertinente quadro normativo, ha eccepito l'inammissibilita' di  tutte
le questioni sollevate o, in subordine, la loro non fondatezza. 
    7.1.-  Sotto  il  primo  profilo,  secondo  la  difesa  dell'ente
previdenziale, l'ordinanza non indicherebbe, «in termini nitidi»,  le
specifiche disposizioni censurate e  sarebbe,  altresi',  viziata  da
un'insufficiente motivazione in punto di rilevanza. 
    Ancora, il Tribunale di Ravenna si sarebbe limitato ad illustrare
l'evoluzione della giurisprudenza di legittimita', senza  argomentare
in maniera adeguata in ordine all'impossibilita' di addivenire ad una
diversa soluzione esegetica, rispettosa dei parametri  costituzionali
evocati. In particolare, il giudice  a  quo  si  sarebbe  "rifugiato"
«dietro la costruzione  della  fattispecie  del  "diritto  vivente"»,
della cui reale esistenza, peraltro, la parte dubita,  alla  luce  di
differenti orientamenti espressi in seno alla  stessa  giurisprudenza
di legittimita' e in assenza di un  intervento  chiarificatore  delle
Sezioni unite della Corte di cassazione. 
    Sempre  a  sostegno   dell'eccezione   d'inammissibilita'   delle
questioni, l'INPS deduce che il giudice a quo non avrebbe chiarito la
portata dell'intervento richiesto a questa Corte,  ossia  se  ritiene
necessaria  l'integrale  caducazione  della  disposizione   censurata
oppure un intervento di tipo manipolativo, con conseguente incertezza
ed ambiguita' del petitum. 
    7.2.- Quanto al merito, la parte argomenta  in  ordine  alla  non
fondatezza delle questioni sollevate. 
    7.2.1.- In ordine alla censura di violazione dell'art.  3,  primo
comma, Cost., evidenzia l'erroneita' del presupposto dal quale  muove
il rimettente, secondo cui sia l'indennita' di mobilita'  corrisposta
ratealmente, sia quella corrisposta una tantum e  in  via  anticipata
sarebbero utilizzabili dal beneficiario non solo  per  finanziare  lo
svolgimento di un'attivita' di lavoro autonomo, ma  anche  per  altre
finalita' del tutto estranee a tale scopo. 
    Tra le due misure, a giudizio dell'INPS, vi sarebbe una  profonda
differenza, che sarebbe stata evidenziata anche da questa Corte nella
sentenza n. 194 del 2021: la corresponsione  rateale  dell'indennita'
sarebbe una tipica misura di sicurezza sociale volta a  sostenere  il
reddito del lavoratore in mobilita'; l'anticipazione  dell'indennita'
sarebbe volta, invece, a consentire ed incentivare  l'inizio  di  una
attivita' di lavoro autonomo (o  di  un'impresa),  sicche'  essa  non
potrebbe essere utilizzata per finalita' diverse  rispetto  a  questo
scopo. 
    Inoltre, non potrebbe  considerarsi  irragionevole  -  e  neppure
lesiva del principio di uguaglianza - la scelta  del  legislatore  di
concedere   un   determinato   contributo   economico    a    domanda
dell'interessato, e di negarlo, invece, a quanti «per  scelta  o  per
dimenticanza» tale richiesta non abbiano presentato. A tal proposito,
viene evidenziato che il diritto all'anticipazione dell'indennita' di
mobilita' non sorge in maniera automatica al ricorrere dei prescritti
presupposti,  essendo  necessario  che  l'interessato  ne  chieda  il
riconoscimento per il tramite della presentazione di apposita domanda
amministrativa all'INPS che, in base all'art. 1, comma 2, del decreto
del Ministro del lavoro e della previdenza sociale  del  17  febbraio
1993, n. 142 (Regolamento di attuazione dell'art. 7, comma  5,  della
legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di corresponsione anticipata
dell'indennita'  di   mobilita'),   deve   essere   corredata   dalla
documentazione  necessaria  ad  attestare  la   concreta   assunzione
dell'iniziativa di svolgere attivita' di  lavoro  autonomo  da  parte
dell'istante. Cio' dimostrerebbe la natura di finanziamento di  scopo
- e non di sostegno generico al reddito - dell'anticipazione  di  cui
si tratta. 
    7.2.2.- Il sospetto di contrasto con  l'art.  3,  secondo  comma,
Cost., e' ritenuto, prima ancora che non fondato,  inammissibile  per
difetto di motivazione, essendo «solo enunciato,  ma  in  alcun  modo
spiegato e, tantomeno, motivato». 
    Nel merito, l'INPS osserva che la censura «invade il campo  delle
valutazioni discrezionali riservate al legislatore»,  senza  che  sia
oltrepassato  il  limite  della  manifesta   irragionevolezza   della
previsione di un trattamento differenziato. 
    7.2.3.- Rispetto alla prospettata violazione dell'art. 41,  primo
comma,  Cost.,  infine,  l'INPS   ne   eccepisce   in   primo   luogo
l'inammissibilita', per difetto  di  motivazione  sulle  ragioni  del
contrasto con il parametro evocato. 
    Nel  merito,  osserva  che  non  sarebbe  certo  la  disposizione
censurata ad introdurre «un  vincolo  all'azione  dell'imprenditore»,
quanto il mero fatto, imputabile allo stesso interessato, di non aver
esercitato il proprio diritto nelle  forme  e  secondo  le  modalita'
previste dall'ordinamento previdenziale, dettate  in  relazione  alle
diverse «esigenze pubblicistiche»  alla  base  delle  due  differenti
misure messe a confronto. 
    8.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    L'interveniente,  ricostruiti  la  parabola   argomentativa   del
rimettente e il contesto normativo  di  riferimento,  ha  chiesto  di
dichiarare inammissibili o non fondate tutte le questioni sollevate. 
    8.1.- In primo luogo, l'Avvocatura  ha  eccepito  l'insufficiente
ricostruzione della fattispecie concreta, che  non  consentirebbe  di
comprendere la rilevanza delle questioni sollevate. 
    Ha poi evidenziato l'intervenuta abrogazione  della  disposizione
censurata ad opera dell'art. 2, comma 71, lettera b), della legge  n.
92 del 2012, con la quale il rimettente non si sarebbe confrontato. 
    Infine,  a  parere  dell'interveniente,  le   censure   sarebbero
inammissibili  perche'  incentrate,  piu'  che  sul  contenuto  della
disposizione     sospettata     d'illegittimita'      costituzionale,
«sull'interpretazione data alla medesima dal diritto vivente»,  dalla
quale  il  rimettente  «ben  potrebbe   discostarsi,   con   adeguata
motivazione»,  scegliendo,  tra  gli  orientamenti  di   legittimita'
discordanti  -  pure  evidenziati  nell'ordinanza  introduttiva   del
giudizio - quello conforme ai parametri evocati, senza necessita'  di
richiedere a questa Corte un inammissibile avallo interpretativo. 
    8.2.- Quanto al merito, anche l'Avvocatura generale  dello  Stato
evidenzia  la  ratio  sottesa  alla  liquidazione  anticipata   della
indennita' di mobilita', diretta a  favorire  la  ricollocazione  del
lavoratore involontariamente inoccupato al di fuori del  mercato  del
lavoro subordinato, secondo  modalita'  che  il  legislatore  avrebbe
dettato  esercitando  la  sua  discrezionalita',   in   maniera   non
sproporzionata, ne' manifestamente irragionevole. 
    Cio'  escluderebbe  anche  «qualsiasi  ipotesi   di   trattamento
disparitario tra situazioni oggettivamente diverse». 
    Mancando l'apposizione di «barriere reddituali» per  l'accesso  a
tale contributo, inoltre, sarebbe manifestamente infondata  anche  la
censura di violazione dell'art. 41, primo comma, Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice  del  lavoro,
solleva questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  7,  comma
5, della legge n. 223 del 1991, ai sensi del quale «[i] lavoratori in
mobilita' che ne facciano richiesta  per  intraprendere  un'attivita'
autonoma o per associarsi in cooperativa in  conformita'  alle  norme
vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell'indennita'
nelle misure indicate nei commi 1  e  2,  detraendone  il  numero  di
mensilita' gia' godute». 
    Censura, altresi', ma solo «ove ritenuto  necessario»  da  questa
Corte, l'art. 77 del r.d.l. n. 1827 del  1935,  come  convertito,  il
quale,  in  riferimento  al  diverso  istituto   dell'indennita'   di
disoccupazione e per quanto qui interessa, prevede al comma terzo che
«[n]el regolamento sono stabilite le norme  per  il  controllo  della
disoccupazione, per l'accertamento delle condizioni  per  il  diritto
all'indennita'  e  per  la  sospensione  del  diritto  medesimo».  La
disposizione regolamentare richiamata e' contenuta nell'art.  52  del
r.d. n. 2270 del 1924, pure censurato «ove ritenuto  necessario»,  il
quale dispone, nella parte rilevante in questa sede:  «[l]'assicurato
cessera' dal percepire il sussidio: [...]  b)  quando  abbia  trovato
nuova occupazione; [...]». 
    Tali disposizioni sono considerate contrastanti con gli artt.  3,
primo e secondo comma, e 41, primo comma, Cost., nella parte in  cui,
«nell'interpretazione datane  dal  diritto  vivente  della  Corte  di
cassazione»,  «esclud[ono]  la  compatibilita'  della  indennita'  di
mobilita' ricevuta ratealmente e periodicamente con lo svolgimento di
un'attivita' lavorativa autonoma, imponendo al lavoratore autonomo la
necessita' della richiesta  di  corresponsione  anticipata,  pena  la
perdita del diritto». 
    2.-  Nel  giudizio  principale  si  controverte  dell'opposizione
proposta  da  un  lavoratore,  licenziato  per  giustificato   motivo
oggettivo e iscritto nelle liste di  mobilita',  avverso  il  decreto
recante l'ingiunzione a restituire  all'INPS  gli  importi  percepiti
mensilmente a titolo di indennita' di mobilita', in  un  periodo  nel
quale l'ex dipendente avrebbe svolto  attivita'  di  lavoro  autonomo
come coadiutore di impresa  familiare  di  carattere  commerciale  in
titolarita' del coniuge. 
    A  parere  dell'INPS,  infatti,  l'unica   forma   possibile   di
erogazione dell'indennita' di mobilita' in favore dell'ex  lavoratore
subordinato  che  intenda  intraprendere  un'attivita'   autonoma   o
imprenditoriale sarebbe quella anticipata in unica soluzione prevista
dall'art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991. Tale anticipazione
una tantum, che comporta la cancellazione dalle liste  di  mobilita',
presuppone  pero'  un'apposita  domanda,  in  mancanza  della   quale
sarebbe,  appunto,  indebita  la  percezione  rateale  degli  importi
proseguita durante lo svolgimento dell'attivita' di lavoro autonomo. 
    3.- Secondo il rimettente, questa  lettura  troverebbe  ormai  il
solido  avallo  della  giurisprudenza  di  legittimita',  la   quale,
nonostante  un  iniziale  contrasto,   si   sarebbe   definitivamente
assestata - assurgendo, cosi', al rango  di  diritto  vivente  -  nel
senso di ritenere lo svolgimento di attivita' autonoma  incompatibile
con la percezione dell'indennita' di mobilita', salvo  il  solo  caso
(diverso da quello oggetto del  giudizio  a  quo)  dello  svolgimento
dell'attivita' autonoma gia' in epoca anteriore all'iscrizione  nelle
liste di mobilita'. Al di fuori di questa  limitata  eccezione,  l'ex
lavoratore  che  intendesse  intraprendere   attivita'   autonoma   o
imprenditoriale  non   avrebbe   altra   scelta   che   chiedere   la
corresponsione  anticipata  dell'indennita'  di  mobilita',  pena  la
perdita del relativo diritto. 
    Poiche' l'illustrata ricostruzione delle  disposizioni  censurate
si sarebbe ormai imposta all'interprete come vero e  proprio  diritto
vivente, l'opposizione spiegata nel giudizio principale  non  avrebbe
alcuna possibilita' di essere accolta e cio' fonderebbe la  rilevanza
delle questioni sollevate. 
    4.- In punto di  non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale  di
Ravenna ritiene che l'approdo ermeneutico assurto a  diritto  vivente
sia lesivo dei parametri costituzionali evocati. 
    4.1.- La norma modellata dalla giurisprudenza di legittimita', in
primo  luogo,  sarebbe  «illogica  e  priva  di  ragionevolezza»,  in
violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  farebbe
dipendere la spettanza o meno  dell'indennita'  di  mobilita'  da  un
requisito - la  richiesta  di  anticipazione  -  «del  tutto  neutro»
rispetto agli elementi costitutivi del diritto (ossia la  provenienza
da un  esubero  rispetto  al  lavoro  dipendente  e  l'intrapresa  di
un'attivita' autonoma). 
    Neppure potrebbe essere sopravvalutata la natura di finanziamento
che l'indennita' assumerebbe, solo se corrisposta in unica soluzione,
esistendo altre forme di  finanziamento  erogate  periodicamente,  in
base ai bisogni e alle richieste del soggetto  finanziato,  quali  «i
finanziamenti su carta commerciale salvo buon  fine»,  il  factoring,
l'apertura di credito oppure lo scoperto senza affidamento. 
    4.2.- L'art. 3, primo comma, Cost., sarebbe leso anche  sotto  il
profilo  dell'ingiustificata  disparita'  di   trattamento,   poiche'
risulterebbe incomprensibile la  ragione  per  la  quale  l'incentivo
all'autoimprenditorialita' sarebbe erogato solo a colui che  presenti
domanda di anticipazione dell'indennita', e non  anche  a  chi,  «per
scelta o per dimenticanza», non adempia a tale onere,  pur  a  fronte
dell'identica necessita' di finanziare la propria attivita'. 
    Sotto altro profilo, il principio di uguaglianza sarebbe  violato
anche dalla riconosciuta spettanza dell'indennita'  di  mobilita'  in
forma rateale ai soli ex lavoratori dipendenti che abbiano continuato
a svolgere attivita' di lavoro autonomo avviata prima dell'iscrizione
nelle liste di mobilita'. 
    4.3.- Tale interpretazione, impostasi come  diritto  vivente,  si
porrebbe in contrasto anche con la  «liberta'  di  impresa»  tutelata
dall'art. 41,  primo  comma,  Cost.,  essendo  stato  introdotto  «un
vincolo all'azione dell'imprenditore», al di fuori delle condizioni e
dei limiti dettati dall'evocato parametro. 
    4.4.-  Infine,  sarebbe  leso  il   principio   di   «eguaglianza
sostanziale» fissato nell'art. 3, secondo comma, Cost.,  dal  momento
che la disposizione censurata porrebbe  ingiustificati  ostacoli  «di
ordine economico e sociale» al «pieno sviluppo della persona  umana»,
in cui si sostanzierebbe  «la  possibilita'  di  divenire  lavoratori
autonomi». 
    5.- Nel giudizio si e' costituito l'INPS,  il  quale,  dopo  aver
ripercorso i passaggi salienti della  motivazione  dell'ordinanza  di
rimessione ed aver ricostruito il  pertinente  quadro  normativo,  ha
eccepito l'inammissibilita'  di  tutte  le  questioni  sollevate.  In
subordine, ha chiesto di dichiararne la non fondatezza. 
    In particolare, l'ordinanza non identificherebbe  chiaramente  le
specifiche   disposizioni   censurate   e    sarebbe    viziata    da
un'insufficiente motivazione in punto di rilevanza, attesa l'avvenuta
abrogazione dell'art. 7, comma  5,  della  legge  n.  223  del  1991.
Inoltre, dovendosi escludere la reale esistenza di un diritto vivente
nei termini prospettati dal giudice a quo, il rimettente non  avrebbe
esplorato   in   modo   adeguato   la   possibilita'   di    adottare
un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    Non sarebbe  stato  neppure  precisamente  indicato  l'intervento
richiesto a questa Corte, in una  materia  caratterizzata  dall'ampia
discrezionalita' riconosciuta al legislatore. 
    Infine, eccessivamente generiche sarebbero le  censure  mosse  al
metro degli artt. 3, secondo comma, e 41,  primo  comma,  Cost.,  non
avendo il rimettente  sufficientemente  esplicitato  le  ragioni  del
presunto contrasto con i suddetti parametri costituzionali. 
    Nel merito, l'INPS ha chiesto a questa Corte  di  dichiarare  non
fondate tutte le questioni sollevate. 
    6.- Nel giudizio e' intervenuto anche il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo di dichiarare inammissibili o non fondate  tutte  le
questioni sollevate, per motivazioni largamente  sovrapponibili  alle
difese spiegate in giudizio dall'INPS. 
    7.- Anche alla luce degli argomenti addotti dalle parti in causa,
appare opportuna una sintetica  ricostruzione  del  quadro  normativo
rilevante. 
    Prima dell'abrogazione disposta dall'art. 2,  comma  71,  lettera
b), della legge n. 92 del 2012, gli artt. 7, 8 e 9 della legge n. 223
del 1991 disciplinavano l'indennita' di mobilita', prevista in favore
dei  lavoratori  occupati  in  imprese  operanti  in  alcuni  settori
produttivi ed aventi determinati requisiti dimensionali,  purche'  in
possesso dell'anzianita' aziendale fissata dalla legge.  L'erogazione
era prevista per il caso in cui essi  avessero  perso  il  lavoro  in
conseguenza dell'impossibilita' da parte dell'impresa, che  si  fosse
avvalsa  dell'intervento  straordinario  della   Cassa   integrazione
guadagni, di reimpiegare tutti i lavoratori sospesi (con  conseguente
avvio della procedura di  mobilita');  oppure  per  il  caso  in  cui
fossero   stati   coinvolti   in   un    licenziamento    collettivo,
indipendentemente  dall'intervento  di  integrazione  salariale,  per
riduzione o trasformazione  di  attivita'  o  di  lavoro.  Tali  (ex)
lavoratori venivano iscritti in apposite liste, appunto di mobilita',
compilate ai sensi  dell'art.  6  della  medesima  legge,  acquisendo
diritti di precedenza e di riserva nelle successive assunzioni (anche
presso le pubbliche amministrazioni) e andando a costituire un bacino
di forza lavoro dal quale altri imprenditori avrebbero potuto (e,  in
certi casi, dovuto) "attingere" per assumere unita' di personale, con
il godimento di benefici fiscali e contributivi (art. 8, commi da 1 a
5). 
    L'indennita' in  parola  sostituiva  ogni  altra  prestazione  di
disoccupazione (art. 7, comma 8) ed era erogata dall'INPS,  a  fronte
di  una  contribuzione  preventiva  posta  a  carico  delle   imprese
rientranti  nel  campo  di  applicazione  della  cassa   integrazione
guadagni straordinaria. 
    Tale tutela mirava a  garantire,  a  chi  avesse  incolpevolmente
perso il reddito da lavoro subordinato, la percezione di un  sostegno
economico per contrastare  il  conseguente  e  inevitabile  stato  di
bisogno, nel tempo ragionevolmente occorrente per la  ricerca  di  un
nuovo impiego. La regola era la corresponsione mensile di  una  somma
per dodici mesi, termine elevato a ventiquattro mesi per i lavoratori
che avessero compiuto i quaranta anni di eta' e a trentasei mesi  per
i lavoratori che avessero compiuto i cinquanta anni  (art.  7,  comma
1). 
    L'art. 8, comma 6, consentiva al lavoratore in mobilita' - previa
apposita comunicazione all'INPS - di  svolgere  attivita'  di  lavoro
subordinato, ma solo a tempo parziale, oppure  a  tempo  determinato,
mantenendo l'iscrizione  nella  lista.  Per  le  giornate  di  lavoro
svolte, tuttavia, i trattamenti  e  le  indennita'  venivano  sospesi
(art. 8, comma 7). 
    In  ipotesi   particolari,   concernenti   lavoratori   che,   in
determinate aree svantaggiate e in possesso di determinati  requisiti
di eta' e contribuzione, avessero  ottenuto  il  prolungamento  della
indennita' di mobilita' fino al pensionamento  (cosiddetta  mobilita'
lunga), il comma 9 dell'art. 9 attribuiva  la  facolta'  di  cumulare
parzialmente l'indennita' di mobilita'  con  il  reddito  proveniente
dall'attivita' di lavoro (non solo subordinato, ma  anche)  autonomo,
nei limiti della retribuzione spettante al  momento  della  messa  in
mobilita', rivalutata secondo gli indici ISTAT. 
    L'art.  9  regolava  anche  la  cancellazione  dalla   lista   di
mobilita', con conseguente perdita del diritto all'indennita'. 
    Il  comma  1,  in  particolare,  prevedeva  cinque   ipotesi   di
cancellazione - alle lettere a, b, c, d e d-bis) - come sanzione  nei
confronti di lavoratori che avessero  tenuto  comportamenti  ritenuti
non adeguati e contrari alle finalita' dell'indennita'  di  mobilita'
stessa, in quanto caratterizzati  dalla  mancanza  di  collaborazione
rispetto a nuove opportunita' di lavoro. 
    Il comma 6 dell'art. 9  prevedeva,  poi,  altre  tre  ipotesi  di
cancellazione  dalle  liste  di   mobilita',   prive   di   carattere
sanzionatorio,  ma  collegate  a  determinate  evenienze,  quali   la
successiva assunzione del lavoratore con contratto a  tempo  pieno  e
indeterminato, la scadenza del periodo di godimento dei trattamenti e
delle indennita', e la corresponsione dell'indennita' di mobilita' in
unica soluzione, ai sensi dell'art. 7, comma 5. 
    Quest'ultima  disposizione,  censurata  nel  presente   giudizio,
disciplinava uno dei  principali  strumenti  di  "riallocazione"  nel
mondo       del       lavoro,        costituito        dall'incentivo
all'autoimprenditorialita',   nella   forma   della    corresponsione
anticipata dell'indennita' di mobilita' in unica soluzione,  detratte
le mensilita' eventualmente gia' godute. 
    Infine, il comma 12 dell'art. 7  disponeva  un  esplicito  rinvio
alla normativa che disciplinava l'assicurazione  obbligatoria  contro
la disoccupazione involontaria, «in quanto applicabile». 
    8.- Cio' premesso, vanno ora affrontate le eccezioni  preliminari
sollevate dall'INPS e dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    8.1.- In primo  luogo,  la  parte  lamenta  la  scarsa  chiarezza
nell'indicazione  delle  disposizioni  censurate,   con   conseguenti
riflessi negativi sul percorso logico  della  motivazione  sulla  non
manifesta infondatezza. 
    L'eccezione non puo' essere  accolta,  dal  momento  che  risulta
nitidamente come il bersaglio delle doglianze avanzate dal giudice  a
quo  sia  l'art.  7,  comma  5,  della  legge  n.   223   del   1991,
nell'interpretazione - a  suo  dire  «insuperabile»  -  che  di  tale
disposizione avrebbe offerto il diritto vivente. 
    E' pur vero che il giudice a quo rimette a questa Corte la scelta
(«ove  ritenuto  necessario»)  di  coinvolgere  nello  scrutinio   di
legittimita' anche le due disposizioni dettate in tema di  indennita'
ordinaria di disoccupazione - l'art. 77 del r.d.l. n. 1827 del  1935,
come convertito, e l'art. 52 del r.d. n.  2270  del  1924  -  che  il
prospettato diritto vivente evoca a sostegno dell'approdo ermeneutico
raggiunto. Ma tali disposizioni rappresentano, come meglio  si  dira'
in  seguito,  semplici  argomenti  utilizzati  dall'orientamento   di
legittimita' ritenuto consolidato per sostenere le conclusioni cui e'
giunto, in relazione alla portata della disposizione di cui al citato
comma 5 dell'art. 7,  che  rappresenta,  dunque,  l'unica  fonte  del
vulnus  lamentato  dal  rimettente  e  anche  l'unico  oggetto  della
sollevata questione di legittimita' costituzionale. 
    Pertanto, il  thema  decidendum  va  limitato  al  solo  comma  5
dell'art. 7 della legge n. 223 del 1991 (sentenza n. 114 del 2018). 
    8.2.-  L'INPS  lamenta  poi  l'insufficiente  motivazione   sulla
rilevanza, proponendo un'eccezione che  si  lega  a  quella  avanzata
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  in  punto  di  insufficiente
descrizione della fattispecie concreta. 
    Entrambe le eccezioni risultano prive di fondamento. 
    Il Tribunale di Ravenna, in maniera sintetica, ma  esaustiva,  ha
ricostruito  la   fattispecie   concreta,   motivando,   in   termini
condivisibili, in ordine all'applicabilita', ratione temporis,  della
disposizione sospettata d'illegittimita' costituzionale,  trattandosi
di vicende tutte anteriori  all'abrogazione  dell'art.  7,  comma  5,
della legge n. 223 del 1991 ad opera della legge n. 92 del  2012.  Il
rimettente, quindi, ha spiegato, in modo  non  implausibile,  perche'
soltanto l'accoglimento delle questioni  sollevate  consentirebbe  di
rigettare  l'opposizione  spiegata  contro  il   decreto   ingiuntivo
ottenuto dall'INPS. 
    Anche in considerazione del controllo meramente esterno spettante
a questa Corte (da ultimo, sentenze n. 192,  n.  164  e  n.  145  del
2023), non puo' dubitarsi che  la  motivazione  sulla  rilevanza  sia
formulata correttamente e sulla base di una  ricostruzione  in  fatto
adeguata. 
    8.3.- Sempre a giudizio dell'INPS, il giudice a quo  non  avrebbe
chiarito la portata dell'intervento richiesto a questa Corte,  se  di
tipo puramente ablatorio oppure anche manipolativo. 
    Neanche questa eccezione merita accoglimento. 
    Il Tribunale di Ravenna, dopo aver dedotto, sulla base  di  ampia
motivazione, che la disposizione  censurata  "vive"  nell'ordinamento
nei   termini    espressi    dall'interpretazione    offerta    dalla
giurisprudenza di legittimita', chiede, in termini  molto  espliciti,
di dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 7, comma 5, della
legge n. 223 del 1991, nella parte in cui esclude «la  compatibilita'
della indennita' di mobilita' ricevuta ratealmente e  periodicamente»
con l'intrapresa di un'attivita' lavorativa autonoma, prevedendo come
unica eccezione il caso della richiesta di corresponsione  anticipata
e una tantum. 
    8.4.- Va ora affrontata  l'eccezione  imperniata  sulla  presunta
insufficienza dello sforzo profuso  dal  rimettente  in  ordine  alla
ricerca di una soluzione costituzionalmente conforme, anche alla luce
del dubbio, sollevato sia dalla parte sia  dall'interveniente,  circa
la reale esistenza di un diritto vivente nei termini prospettati  dal
Tribunale di Ravenna. 
    Secondo la giurisprudenza costituzionale, la configurabilita'  di
un diritto vivente e' condizionata dalla reiterazione  e  conseguente
stabilita'  dell'interpretazione  fornita  dalla  giurisprudenza   di
legittimita': solo il consolidamento della ricostruzione  offerta  da
quest'ultima permette,  infatti,  di  ritenere  certo  che  la  norma
desunta da una determinata disposizione, per l'uso ripetuto nel tempo
e il grado di consenso raccolto, sia qualificabile  ormai  come  tale
(sentenza n. 54 del 2023). 
    Compete a questa Corte, tuttavia, soprattutto in mancanza  di  un
arresto nomofilattico delle Sezioni unite, «verificare se  decisioni,
pur  rese  dalla  Corte  di  cassazione,  possano  o  meno  ritenersi
espressive di quella  consolidata  interpretazione  della  legge  che
rende la norma, che ne e' stata ritratta,  vero  e  proprio  "diritto
vivente"  nell'ambito  e  ai  fini  del  giudizio   di   legittimita'
costituzionale, atteso che la "vivenza" della norma costituisce  "una
vicenda per definizione aperta"» (sentenza n. 202 del 2023). 
    Nel caso di specie, la verifica restituisce  un  esito  positivo,
nei termini che si andranno a precisare. 
    Il giudice  rimettente  ha  evidenziato  che,  durante  il  primo
periodo di vigenza della disposizione censurata, nella giurisprudenza
di legittimita'  sono  emerse  due  letture  divergenti  del  sistema
normativo compendiato al precedente punto 7. 
    Un primo indirizzo - di cui e' principale  espressione  Corte  di
cassazione, n. 6463 del 2004 - ha sostenuto le  ragioni  della  piena
compatibilita'  tra   corresponsione   rateale   dell'indennita'   di
mobilita'  e  svolgimento  di  attivita'  autonoma,  muovendo   dalla
constatazione  che,  la'  dove  il  legislatore  ha  voluto   sancire
l'incompatibilita' dell'indennita' di mobilita' percepita mensilmente
con altro tipo di occupazione, lo ha previsto espressamente. Cio'  e'
accaduto con l'art. 8 della legge n. 223 del 1991 che, da un lato, al
comma 6, attribuisce al lavoratore iscritto nelle liste di  mobilita'
la facolta' di svolgere lavoro subordinato a tempo parziale, ovvero a
tempo determinato, mantenendo l'iscrizione nella  lista;  dall'altro,
prevede, al successivo comma 7,  la  corrispondente  sospensione  del
trattamento per le giornate di  lavoro  svolte  al  predetto  titolo.
Ancora, l'art. 9, comma 6, lettera a), prevede la cancellazione dalle
liste di mobilita' solo nel caso di assunzione con contratto a  tempo
pieno  e  indeterminato.  Argomentando  a  contrario,  secondo   tale
indirizzo, nel silenzio della legge, in caso di svolgimento di lavoro
autonomo, il lavoratore conserverebbe il diritto all'iscrizione nella
lista  di  mobilita'  e  quello  alla   percezione   della   relativa
indennita'. La conferma sarebbe offerta  proprio  dalla  disposizione
censurata  che,  nell'attribuire  la  possibilita'  di  ottenere,   a
domanda, la corresponsione  anticipata  di  siffatta  indennita',  in
un'unica  soluzione,  ai  lavoratori  che   intendano   intraprendere
un'attivita' di lavoro autonomo, configurerebbe la mera  facolta'  di
determinare la modalita' temporale dell'erogazione. 
    La pronuncia appena citata ha sviluppato argomenti gia' abbozzati
in precedenti arresti (Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenze
20 giugno 2002, n. 9007; 21 aprile 2001, n. 5951; 27  febbraio  2001,
n. 2854), secondo una linea di pensiero alimentata  anche  da  quelle
pronunce (Corte di cassazione, sezione  lavoro,  sentenze  21  luglio
2004, n. 13562; 28 gennaio 2004,  n.  1587;  10  settembre  2003,  n.
13272; 12 giugno 2003, n. 9469; 8 gennaio  2003,  n.  93)  che  hanno
escluso la necessita' di presentare l'istanza  di  anticipazione  una
tantum  prima  dell'inizio  dell'attivita'  autonoma,  ammettendo  la
possibilita' di chiederla anche successivamente,  ad  attivita'  gia'
iniziata, ossia in costanza di iscrizione alle liste (e dunque  anche
di percezione rateale del trattamento economico). 
    Un secondo indirizzo - che trova una prima esplicita enunciazione
in Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15  maggio  2001  n.
6679 - ha valorizzato,  invece,  l'esistenza,  nell'ordito  normativo
della legge n.  223  del  1991,  di  particolari  ipotesi,  legate  a
specifiche situazioni territoriali  e  condizioni  anagrafiche  e  di
anzianita' contributiva, in cui  il  legislatore,  nel  prevedere  un
prolungamento della corresponsione dell'indennita' di mobilita'  fino
al compimento dell'eta' pensionabile - cosiddetta  "mobilita'  lunga"
-, ha eccezionalmente consentito lo svolgimento di attivita' autonoma
in costanza di iscrizione alle liste di mobilita' (art. 9, comma  9).
Anche in tal caso argomentando a contrario, si e'  sostenuto  che  la
regola  generale  sarebbe  quella  dell'incompatibilita'  tra  lavoro
autonomo e percezione rateale dell'indennita' di mobilita'. 
    La tesi e' stata poi  ripresa  da  numerose  sentenze  successive
(Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 9  febbraio  2005,  n.
2566; 14 agosto 2004, n. 15890; 1°  settembre  2003,  n.  12757),  le
quali hanno specificato che, al di fuori delle ipotesi tassativamente
previste dalla stessa legge,  il  regime  delle  incompatibilita'  e'
governato - in forza del rinvio operato dall'art. 7, comma 12,  della
legge  n.  221  del   1993   -   dalla   normativa   che   disciplina
l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria e,
in particolare, dai principi fissati in linea generale  dall'art.  77
del r.d.l. n. 1827 del 1935, come  convertito,  e  dagli  art.  52  e
seguenti del r.d. n. 2270 del 1924, i quali sanciscono la  cessazione
del godimento della indennita' di  disoccupazione  nel  caso  in  cui
l'assicurato  abbia  trovato  una  nuova  occupazione  (di  qualsiasi
genere). 
    Il contrasto, a lungo latente, ha cominciato a  riassorbirsi  con
le sentenze della medesima sezione lavoro della Corte di cassazione 2
ottobre 2014, n. 20826 e n. 20827. 
    Queste ultime pronunce hanno ribadito e sviluppato gli  argomenti
fino ad allora esibiti dall'orientamento  restrittivo,  facendo  leva
soprattutto  sulla  funzione  svolta  dall'anticipazione  una  tantum
dell'indennita':  non  piu'  quella  di  aiutare  l'ex  lavoratore  a
fronteggiare lo stato di  bisogno  conseguente  alla  disoccupazione,
bensi' quella di riconoscergli - anche con l'obiettivo di  promuovere
il "decongestionamento" del  mercato  del  lavoro  subordinato  -  un
contributo finanziario destinato a far  fronte  alle  spese  iniziali
dell'attivita' che il lavoratore in mobilita' svolgera'  in  proprio.
Dalla disposizione in discorso, di carattere  speciale,  non  sarebbe
quindi possibile desumere un  principio  generale,  nel  senso  della
compatibilita' della  percezione  dell'indennita'  in  esame  con  lo
svolgimento di lavoro autonomo. 
    A conferma  dell'assunto,  anche  tali  pronunce  evidenziano  il
riferimento operato dall'art. 7, comma 12, della  legge  n.  223  del
1991 alla  disciplina  dettata  per  l'indennita'  di  disoccupazione
ordinaria, che sancisce in termini espressi l'incompatibilita'  della
percezione rateale di quel trattamento  con  lo  svolgimento  di  una
qualsiasi attivita' suscettibile di redditivita'. 
    Tale orientamento si e' andato via via  consolidando  negli  anni
successivi al 2014, tanto che non si registrano  pronunce  successive
che  abbiano  ripreso  espressamente  il  diverso  e  piu'  risalente
indirizzo. 
    Le sentenze degli ultimi dieci anni, infatti, hanno  ribadito  la
posizione assunta dalle  pronunce  del  2014  (Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, sentenze 16 aprile 2018, n. 9321 e 1° febbraio  2018,
n.  2497),  sottolineando  altresi'  l'irrilevanza  del   fatto   che
l'attivita' non  sia  prevalente  o  non  sia  retribuita  (Corte  di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 13 ottobre 2015, n. 20520). 
    A tale filone va ascritta anche Corte di cassazione, sentenza  n.
6943 del 2020, che ha ribadito la regola secondo cui  lo  svolgimento
di attivita' di lavoro autonomo e' incompatibile  con  la  percezione
rateale dell'indennita' di mobilita', pur ammettendo una deroga,  nel
peculiare caso di specie, in cui l'ex lavoratore  dipendente  si  era
limitato a proseguire, dopo l'iscrizione nelle  liste  di  mobilita',
un'attivita' autonoma che gia'  svolgeva  in  precedenza,  in  quanto
compatibile con il lavoro subordinato poi cessato. 
    Cio'  premesso,  va  ricordato  come  questa  Corte  abbia   gia'
riconosciuto  la  sussistenza  di  un  diritto  vivente  al  cospetto
dell'interpretazione  di  una  disposizione  affermatasi  in  seguito
all'abbandono di un determinato approccio interpretativo  -  gia'  in
precedenza contrastato (sentenza n. 266 del 2006)  -  e  attestatasi,
all'attualita' (ordinanza n. 128 del 1988), in termini di stabilita',
uniformita' e continuita' su un'unica lettura (ordinanza  n.  33  del
1990), secondo «una tendenza ormai uniforme da molti anni»  (sentenza
n. 225 del 1984). 
    Anche  nel  caso  di   specie   l'illustrata   evoluzione   della
giurisprudenza di legittimita' dimostra come, almeno a far  data  dal
2014, l'indirizzo piu' restrittivo abbia soppiantato  definitivamente
l'altro, radicandosi in termini di uniformita' e stabilita'. 
    Cio'  consente  di  enucleare  un   ben   riconoscibile   approdo
interpretativo ormai consolidatosi nella  giurisprudenza,  quantomeno
in ordine al principio generale dell'incompatibilita'  tra  attivita'
di lavoro autonomo avviato successivamente all'iscrizione nelle liste
e percezione rateale dell'indennita' di mobilita': in  tali  termini,
dunque, puo' essere identificata la norma espressa dalla disposizione
su  cui  questa  Corte  e'  chiamata  a  svolgere  il  sindacato   di
legittimita' costituzionale. 
    Potendosi ritenere sorto un solido diritto vivente, il giudice  a
quo, pur rimanendo libero di non uniformarvisi e di proporre una  sua
diversa  ricostruzione  (sentenza  n.  95  del  2020),   ha   percio'
legittimamente  esercitato  la  facolta',   che   la   giurisprudenza
costituzionale costante gli riconosce in via alternativa, di assumere
l'interpretazione censurata in termini di diritto vivente e, su  tale
presupposto,  richiederne  il  controllo  di  compatibilita'  con   i
parametri costituzionali evocati (sentenza  n.  243  del  2022).  Non
puo', quindi, essere censurato per  avere  omesso  di  seguire  altra
interpretazione, piu' aderente ai parametri stessi - sussistendo tale
onere solo in assenza di un contrario diritto  vivente  (sentenza  n.
180 del 2021) -, poiche' la norma vive ormai nell'ordinamento in modo
cosi' tenace da essere difficilmente ipotizzabile  una  modifica  del
sistema senza l'intervento del legislatore o di questa  stessa  Corte
(sentenza n. 141 del 2019). 
    8.5.- Meritano accoglimento, invece, le eccezioni con le quali si
lamenta  l'eccessiva  genericita'  delle   questioni   sollevate   in
riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 41, primo comma, Cost. 
    Le argomentazioni addotte dal rimettente a sostegno delle censure
si rivelano, infatti, del tutto apodittiche e assertive,  riducendosi
a una sostanziale riproposizione in termini solo formalmente  diversi
degli enunciati contenuti nei  precetti  costituzionali  evocati,  in
assenza di adeguata spiegazione in ordine alle ragioni  dell'asserita
violazione. Cio'  impone  di  arrestare  lo  scrutinio  sulla  soglia
dell'ammissibilita' (tra le ultime, sentenze n. 186 e n. 32 del 2023,
n. 136 e n. 128 del 2022). 
    9.- Cosi' perimetrato il thema decidendum, le  questioni  residue
si rivelano non fondate. 
    Per  giungere  a  tale  conclusione,  occorre  muovere   da   una
considerazione  ricorrente   nella   giurisprudenza   costituzionale,
secondo cui il diritto alla percezione dell'indennita'  di  mobilita'
rappresenta soltanto una tra le molteplici conseguenze  dello  status
che i lavoratori acquisiscono con l'iscrizione nelle relative  liste.
In tale momento,  infatti,  si  radica  «"un  complesso  di  rapporti
interconnessi,  dei  quali  quello  avente  ad  oggetto  l'erogazione
dell'indennita'  di  mobilita'  costituisce  il  principale  ma   non
l'unico"» (sentenza n. 6 del 1999; nello stesso  senso,  sentenza  n.
402 del 1996). Basti considerare che ai lavoratori  in  mobilita'  e'
riconosciuto (ex art. 8, comma 1, della legge n.  223  del  1991)  il
diritto di precedenza nelle successive assunzioni, proprio al fine di
facilitarne il reimpiego per favorire la piu' rapida cessazione della
(onerosa) erogazione del trattamento in  seguito  alla  cancellazione
dalla lista di mobilita' (sentenza n. 413 del 1995). 
    Cio' premesso, va evidenziato, in primo  luogo,  che  la  lettura
fornita dalla giurisprudenza di  legittimita'  assurta  al  rango  di
diritto vivente si pone in armonia con la  giurisprudenza  di  questa
Corte che  ravvisa  diverse  funzioni  negli  istituti  disciplinati,
rispettivamente, dai commi 1 e 5 dell'art. 7 della legge n.  223  del
1991. 
    Quanto all'indennita' di  mobilita'  erogata  in  forma  rateale,
anche nella giurisprudenza costituzionale e' costante  l'affermazione
secondo cui essa rientra nel piu'  ampio  genus  delle  assicurazioni
sociali contro la disoccupazione e, in particolare,  nell'ambito  dei
cosiddetti "ammortizzatori sociali" (sentenze n. 215 del  2014  e  n.
184 del 2000), essendo finalizzata a favorire il  ricollocamento  del
lavoratore in altre imprese in conseguenza di una crisi irreversibile
del datore di lavoro. Tale indennita', quindi, deve  considerarsi  un
vero e proprio trattamento di disoccupazione  (sentenza  n.  234  del
2011),  rispondendo  all'esigenza  di  provvedere  ai   bisogni   dei
lavoratori,  dipendenti  da   imprese   rientranti   nel   campo   di
applicazione dell'intervento straordinario di integrazione salariale,
i quali provengano da un esubero e non possano percio'  mantenere  il
posto di lavoro (ordinanza n. 18 del 2007). 
    Quanto all'incentivo all'autoimprenditorialita',  invece,  questa
Corte  -  pur  se  con  riferimento  all'analogo  istituto   previsto
dall'art. 8 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni
per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori  sociali
in caso  di  disoccupazione  involontaria  e  di  ricollocazione  dei
lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10  dicembre  2014,
n. 183) - ha affermato, in sintonia  con  la  lettura  fornita  dalla
Corte di cassazione rispetto al precedente istituto di  cui  all'art.
7, comma 5, della legge n. 223 del 1991, che la finalita'  perseguita
dal legislatore e' quella di favorire  il  reimpiego  del  lavoratore
"disoccupato"  in  un'attivita'   diversa   da   quella   di   lavoro
subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo  mercato
(sentenza n. 194 del 2021). Si  tratta,  insomma,  di  una  sorta  di
finanziamento destinato a  uno  scopo,  quello  dell'investimento  in
un'attivita' autonoma  o  di  impresa,  per  far  fronte  alle  spese
iniziali dell'attivita' che il lavoratore in mobilita'  svolgera'  in
proprio, cosi' fuoriuscendo dal mercato del lavoro dipendente. 
    In questa prospettiva, lungi dal rivestire un  carattere  neutro,
le modalita'  di  erogazione  dell'indennita',  volte  a  incentivare
l'autoimprenditorialita', sono state non irragionevolmente  modellate
dal legislatore. E', infatti, solo la  forma  dell'anticipazione  una
tantum, cui di necessita' si accompagna la cancellazione dalle liste,
a  consentire  l'immediata  decongestione  del  settore  del   lavoro
dipendente  nonche'  la  riduzione  degli  oneri  economici  in  capo
all'ente  previdenziale,  anche  in  un'ottica  di  razionalizzazione
dell'impiego delle risorse economiche pubbliche. 
    La soluzione adottata dal diritto vivente -  che  circoscrive  la
compatibilita' dell'indennita' di mobilita'  con  lo  svolgimento  di
attivita' autonoma alla sola ipotesi in cui la  corresponsione  della
prima sia chiesta in forma anticipata e una tantum  -  appare  quindi
coerente con l'obiettivo che il legislatore, nell'esercizio della sua
ampia discrezionalita' in materia (sulla quale, da  ultimo,  sentenza
n. 194 del 2021), ha inteso perseguire, ossia la riduzione del numero
degli iscritti alla  lista  di  mobilita'  e  degli  oneri  economici
gravanti sull'intero sistema degli ammortizzatori sociali. 
    Una  volta  intrapreso  un  lavoro  autonomo,  risulta,  infatti,
ingiustificata la permanenza dell'iscrizione nelle liste, dalla quale
conseguono, oltre alla percezione rateale  dell'indennita',  numerosi
altri  vantaggi  (come  la  contribuzione  figurativa,   nonche'   le
preferenze e le riserve nelle assunzioni), la  cui  permanenza  certo
non riduce la pressione esercitata sul settore del lavoro dipendente. 
    Ne deriva la  non  fondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate in relazione all'art. 3, primo comma, Cost.,
per asserita violazione del principio di ragionevolezza. 
    La  differente  funzione  svolta  dall'anticipazione  una  tantum
dell'indennita' di mobilita' rispetto alla  sua  erogazione  rateale,
lungi  dal  costituire  quello  che  il   rimettente   definisce   un
artificioso «eldorado interpretativo», giustifica  appieno  anche  il
differente trattamento riservato all'iscritto alle liste di mobilita'
che presenti domanda di anticipazione  del  trattamento,  rispetto  a
chi, pur avendo intrapreso un lavoro  autonomo,  «per  scelta  o  per
dimenticanza», non abbia adempiuto a tale onere. 
    Le  differenti  rationes  che  caratterizzano  le  due  forme  di
erogazione,  cui  corrispondono  finalita'  altrettanto  diverse   ed
entrambe legittimamente perseguite dal  legislatore,  rendono  dunque
non assimilabili le situazioni  poste  a  confronto,  consentendo  di
giudicare non fondata anche la questione sollevata  in  relazione  al
principio di eguaglianza presidiato dall'art. 3, primo  comma,  Cost.
(sentenze n. 161, n. 108 e n. 67 del 2023). 
    La stessa conclusione si impone con  riferimento  alla  posizione
dei  lavoratori  che  gia'  svolgevano   attivita'   autonoma   prima
dell'iscrizione nelle liste di mobilita'.  Invero,  sulla  deroga  al
principio  generale  dell'incompatibilita'  tra  percezione   rateale
dell'indennita' di mobilita' e  svolgimento  di  attivita'  autonoma,
l'affermazione fatta da Corte di cassazione,  sentenza  n.  6943  del
2020, e' rimasta isolata nel recente panorama  giurisprudenziale.  Ma
cio' che piu' conta e' che il rimettente pone a raffronto  situazioni
di fatto  differenti,  come  tali  non  equiparabili  ai  fini  dello
scrutinio  di  legittimita'  costituzionale  sollecitato   ai   sensi
dell'art. 3, primo comma, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 5, della legge 23 luglio  1991,  n.
223 (Norme in materia di cassa integrazione,  mobilita',  trattamenti
di disoccupazione, attuazione di direttive della  Comunita'  europea,
avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato  del
lavoro), sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 41,
primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di  Ravenna,
in funzione di  giudice  del  lavoro,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 5, della legge  n.  223  del  1991,
sollevate,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  dal
Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di  giudice  del  lavoro,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2024. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
              Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2024 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA