N. 65 SENTENZA 19 marzo - 19 aprile 2024

Giudizio su conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. 
 
Autodichia - Controversie tra Camera dei deputati  e  soggetti  terzi
  (nel caso di specie: assegnazione di appalti di servizi)  -  Organo
  competente a deciderle - Giurisdizione del  giudice  comune  (nella
  specie:  amministrativo),  affermata  dal  Consiglio  di  Stato   e
  confermata dalla Corte  di  cassazione,  in  luogo  di  quella  del
  Consiglio di giurisdizione, organo previsto dal «Regolamento per la
  tutela giurisdizionale relativa agli atti della Camera dei deputati
  non concernente i  dipendenti»  -  Conflitto  di  attribuzione  tra
  poteri dello Stato promosso dalla Camera dei deputati nei confronti
  della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato - Spettanza alla
  Corte  di  cassazione  e  al  Consiglio  di  Stato  del  potere  di
  affermare, nelle rispettive sentenze, la giurisdizione del  giudice
  comune nella controversia da cui origina il conflitto. 
- Sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 12 maggio
  2022, n. 15236; sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 31
  maggio 2021, n. 4150. 
- Costituzione, artt. 64, primo comma, e 55 e seguenti. 
(GU n.17 del 24-4-2024 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta da: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici  :Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI
  GRIFFI, Marco D'ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella  SCIARRONE
  ALIBRANDI, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito delle sentenze della  Corte  di  cassazione,  sezioni
unite civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e  del  Consiglio  di  Stato,
sezione quinta, 31 maggio 2021, n. 4150, promosso  dalla  Camera  dei
deputati, con ricorso notificato il 22 settembre 2023, depositato  in
cancelleria il  9  ottobre  2023,  iscritto  al  n.  4  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2023  e  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2023, fase di merito. 
    Visti l'atto di costituzione del Consiglio di Stato e  l'atto  di
intervento del Senato della Repubblica; 
    udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 2024 il Giudice relatore
Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Massimo Luciani per la  Camera  dei  deputati,
Francesco Saverio Marini e Vinicio Settimio Nardo per il Senato della
Repubblica; 
    deliberato nella camera di consiglio del 19 marzo 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe, la Camera  dei  deputati
ha promosso confitto di  attribuzione  fra  poteri  dello  Stato  nei
confronti della Corte di cassazione  e  del  Consiglio  di  Stato  in
riferimento  alle  sentenze,  rispettivamente,  delle  sezioni  unite
civili, 12 maggio 2022, n. 15236, e della sezione quinta,  31  maggio
2021, n. 4150. 
    1.1.- Riferisce la  ricorrente  che  nel  2017  l'amministrazione
della Camera dei deputati aveva avviato una  procedura  ristretta  di
rilievo comunitario per l'appalto di diversi servizi di  monitoraggio
di contratti  Information  and  Communication  Technology  (ICT).  La
graduatoria finale della procedura, quale risultante al termine delle
attivita' della commissione  giudicatrice,  vedeva  classificarsi  al
primo posto il raggruppamento temporaneo di imprese (RTI)  costituito
da P. srl e H. spa. Tuttavia, con provvedimento dell'11 ottobre  2019
il Servizio amministrazione della Camera,  rilevate  talune  anomalie
nell'offerta, deliberava l'esclusione di detto RTI dalla procedura. 
    Il provvedimento di esclusione, cosi' come i verbali e  documenti
che motivavano tale esclusione e il provvedimento  di  aggiudicazione
conclusivo della procedura, venivano quindi impugnati  congiuntamente
dalle due  societa'  facenti  parte  del  RTI  innanzi  al  Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio. 
    Di   fronte   al    giudice    amministrativo    si    costituiva
l'amministrazione della Camera dei deputati,  che  formulava  in  via
pregiudiziale eccezione di inammissibilita' del ricorso  per  difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo  nonche'  di  ogni  altro
giudice esterno alla Camera stessa, stante l'esclusiva  competenza  a
conoscere della controversia del  Consiglio  di  giurisdizione  della
Camera,  quale  organo  di  autodichia.  In  particolare,  la  Camera
rilevava che il «Regolamento per la tutela  giurisdizionale  relativa
agli  atti  di  amministrazione  della  Camera   dei   deputati   non
concernente i dipendenti»,  approvato  in  attuazione  dell'art.  12,
comma 3, lettera f), del regolamento della  Camera  dei  deputati  18
febbraio 1971 e s.m.i.,  di  cui  all'art.  64,  primo  comma,  della
Costituzione, attribuisce all'organo  di  autodichia  il  compito  di
decidere in primo grado sui «ricorsi e qualsiasi  impugnativa,  anche
presentata da soggetti esterni  alla  Camera,  avverso  gli  atti  di
amministrazione della Camera medesima» (art. 1). 
    Con sentenza del 24 aprile 2020, n. 4183, il TAR Lazio respingeva
nel merito il ricorso, ma  contesualmente  rigettava  l'eccezione  di
inammissibilita'   formulata   dall'amministrazione   della   Camera,
affermando la propria giurisdizione. Richiamate le  sentenze  n.  120
del 2014 e n. 262 del 2017  di  questa  Corte,  infatti,  il  giudice
amministrativo rilevava che «[a]lla luce delle suddette pronunce deve
ritenersi  che  la  previsione  regolamentare  invocata   non   possa
estendersi alle controversie in materia di appalti, le quali hanno la
loro disciplina in atti di normazione statale  e  comunitaria  e  non
riguardano questioni interne all'organo costituzionale». 
    Nel giudizio di appello  instaurato  dalle  societa'  soccombenti
innanzi il Consiglio di Stato si costituiva  l'amministrazione  della
Camera dei deputati, chiedendo il rigetto del  ricorso  e  proponendo
appello incidentale nei confronti  della  sentenza  di  primo  grado,
nella parte in cui aveva ritenuto sussistente  la  giurisdizione  del
giudice amministrativo. 
    Con la sentenza n. 4150 del 2021 il Consiglio di Stato respingeva
l'appello incidentale della Camera  e  accoglieva  il  ricorso  delle
societa' appellanti in via principale.  In  particolare,  il  giudice
amministrativo affermava che la giurisdizione domestica della  Camera
dovesse essere limitata «alle controversie che  abbiano  per  oggetto
non qualsiasi atto di amministrazione della Camera  dei  deputati  ma
esclusivamente quegli atti adottati in una  materia  in  ordine  alla
quale, all'organo costituzionale, e' costituzionalmente  riconosciuta
una sfera di autonomia normativa». Le altre controversie -  fra  cui,
come nel caso di specie, quelle  aventi  a  oggetto  l'affidamento  a
terzi di contratti di lavori, servizi e forniture - sarebbero  invece
sottoposte, «secondo la "grande regola" dello Stato di diritto ed  il
conseguente  regime  giurisdizionale  al   quale   sono   normalmente
sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici
e tutti i diritti (artt. 24, 112 e  113  della  Costituzione)»,  alla
giurisdizione comune. 
    Avverso  tale  pronuncia,  la  Camera   proponeva   ricorso   per
cassazione per motivi  inerenti  alla  giurisdizione,  lamentando  in
particolare la lesione delle proprie  attribuzioni  costituzionali  e
affermando che le norme regolamentari che escludono la  giurisdizione
di qualsiasi giudice esterno alla Camera  stessa  sulle  controversie
come quella in esame possiedono rango primario, equiparato  a  quello
delle norme di legge, e non possono pertanto essere  disapplicate  da
parte di un giudice  esterno  alla  Camera.  Il  Consiglio  di  Stato
avrebbe pertanto dovuto prendere atto dell'autodichia della Camera  e
dichiarare  l'inammissibilita'  del  ricorso   introduttivo,   o   in
alternativa, sollevare conflitto di  attribuzione  innanzi  a  questa
Corte. 
    Con la sentenza n.  15236  del  2022,  la  Corte  di  cassazione,
sezioni unite civili, respingeva il ricorso della Camera,  affermando
che «[r]iconoscendo la propria giurisdizione  e  decidendo  il  fondo
della controversia, il Consiglio  di  Stato  non  ha  disapplicato  i
Regolamenti parlamentari, ma ne  ha  solo  interpretato  la  portata,
correttamente  escludendo  che  le  disposizioni   da   esse   recate
giustificassero   l'attrazione,    nell'ambito    della    cognizione
dell'Organo  di  autodichia,  dell'impugnazione  del   provvedimento,
adottato dal Servizio Amministrazione  della  Camera,  di  esclusione
dell'offerta del costituendo raggruppamento dalla procedura  di  gara
di rilievo comunitario per l'affidamento dell'appalto». 
    1.2.- Tanto premesso, la Camera promuove ricorso per conflitto di
attribuzione nei confronti della Corte di cassazione e del  Consiglio
di Stato, in riferimento alle menzionate sentenze, chiedendo a questa
Corte di «dichiarare che non spettava al Consiglio di  Stato  e  alla
Corte di cassazione, in quanto  organi  della  giurisdizione  comune,
giudicare della controversia descritta in narrativa, con  conseguente
annullamento» di entrambe le sentenze. 
    Esse avrebbero infatti affermato  la  giurisdizione  del  giudice
amministrativo in luogo di quella  dell'organo  di  autodichia  della
Camera «con sostanziale medesimezza  di  argomentazioni»,  risultando
pertanto entrambe  lesive  delle  attribuzioni  costituzionali  della
Camera. Precisa inoltre la ricorrente che il ricorso  in  esame  «non
intende certo rivendicare la  sottrazione  a  qualsivoglia  sindacato
giurisdizionale  esterno,   bensi'   [...]   ottenere   la   puntuale
definizione dei confini fra le giurisdizioni, rimuovendo  le  ragioni
di incertezza  derivanti  da  alcuni  punti  rimasti  in  ombra»  nei
precedenti arresti di questa  Corte.  E  cio'  anche  «nell'interesse
generale del sistema istituzionale». 
    1.2.1.-   Dopo   aver   ampiamente    argomentato    in    ordine
all'ammissibilita' del  ricorso,  nel  merito  la  ricorrente  rileva
anzitutto che le sentenze oggetto del  conflitto  avrebbero  leso  la
sfera di attribuzione  riservata  alla  Camera  dall'art.  64,  primo
comma, Cost., il quale  prevede  che  «[c]iascuna  Camera  adotta  il
proprio regolamento a  maggioranza  assoluta  dei  suoi  componenti»,
nonche' gli artt. 55 e seguenti Cost., che «attribuiscono  specifiche
funzioni e una posizione di particolare  indipendenza  alle  Camere»,
asseritamente violata dalle sentenze in questione. 
    Rammenta  la  ricorrente  che  l'autodichia  «designa  il  potere
attribuito agli  organi  costituzionali  di  esercitare  la  funzione
giudicante relativamente a particolari tipologie di controversie  che
direttamente o  indirettamente  coinvolgono  l'esercizio  delle  loro
funzioni», e  dunque  il  potere  di  «giurisdizione  domestica»  che
consiste   «nel   decidere   direttamente,   tramite    articolazioni
organizzative interne, ogni controversia interferente con l'esercizio
delle funzioni proprie,  senza  che  organi  giurisdizionali  esterni
siano abilitati a esercitare forme di sindacato o di controllo». Tale
potere si giustificherebbe in relazione alla  «esigenza  di  tutelare
l'indipendenza e  il  buon  andamento  degli  organi  costituzionali,
garantendo la non intromissione degli altri poteri dello Stato  nella
loro organizzazione». 
    In quest'ottica,  l'autonomia  normativa  garantita  alle  Camere
dall'art. 64, primo  comma,  Cost.,  non  si  limiterebbe  alla  sola
disciplina  del  procedimento  legislativo,  ma  riguarderebbe  anche
l'organizzazione interna (sono citate le sentenze n. 262 del  2017  e
n. 120 del 2014 di questa Corte). Coerentemente  con  tali  principi,
l'art. 12,  comma  3,  regol.  Camera  dispone  che  «[l]'Ufficio  di
Presidenza adotta i regolamenti e le altre norme  concernenti:  [...]
e) i criteri per l'affidamento a soggetti  estranei  alla  Camera  di
attivita' non direttamente strumentali all'esercizio  delle  funzioni
parlamentari [...]», e «f) [...] i ricorsi e  qualsiasi  impugnativa,
anche presentata da soggetti estranei alla Camera, avverso gli  altri
atti di amministrazione della Camera medesima». La ricorrente ricorda
che questa Corte ha piu' volte affermato che l'autonomia degli organi
costituzionali «non si esaurisce nella normazione, bensi' comprende -
coerentemente - il momento applicativo delle norme stesse, incluse le
scelte  riguardanti  la  concreta  adozione  delle  misure  atte   ad
assicurarne l'osservanza»  (cosi'  la  sentenza  n.  129  del  1981),
precisamente in tale momento  applicativo  esprimendosi  l'autodichia
degli organi costituzionali stessi. 
    Ricostruita    quindi    l'evoluzione    della     giurisprudenza
costituzionale sul tema, la ricorrente rileva che la legge 28 gennaio
2016, n. 11 (Deleghe al  Governo  per  l'attuazione  delle  direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di
concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli
enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti  e
dei servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente
in materia  di  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e
forniture)  dispone,  all'art.  1,  comma  7,   che   «[g]li   organi
costituzionali  stabiliscono   nei   propri   ordinamenti   modalita'
attuative dei principi e criteri direttivi  previsti  dalla  presente
legge nell'ambito delle prerogative costituzionalmente riconosciute». 
    In armonia con tale disposizione, nonche' con il citato art.  12,
comma 3, lettera e), del regol. Camera, l'Ufficio  di  Presidenza  ha
adottato - osserva la ricorrente - il «Regolamento di amministrazione
e contabilita' della Camera dei deputati». Quest'ultimo,  agli  artt.
39 e seguenti, disciplina le «procedure di selezione dei contraenti e
[le] altre  attivita'  amministrative  della  Camera  in  materia  di
contratti di lavori, servizi e forniture». Lo stesso  art.  39,  poi,
prevede espressamente che ad esse si applichino «le norme dell'Unione
europea con diretta efficacia vincolante» e,  solo  «per  quanto  non
diversamente stabilito dal presente regolamento, le  disposizioni  di
legge in vigore per i contratti dello Stato». 
    E' in tale contesto che si inquadrerebbe il bando  oggetto  della
gara de qua, il quale  ribadisce  l'applicabilita'  delle  norme  del
suddetto regolamento (art. 7, comma 1, del capitolato d'oneri)  e  la
giurisdizione  del  Consiglio  di  giurisdizione  della  Camera   dei
deputati  su  ogni   ricorso   o   impugnativa   avverso   gli   atti
amministrativi della Camera concernenti tale procedura (art. 7, comma
2, del capitolato d'oneri e, analogamente, punto VI.4.1 del bando). 
    La  ricorrente  rammenta,  quindi,  una  recente  pronuncia   del
Consiglio di Stato in cui si e' affermato non solo che la  Camera  e'
pienamente  legittimata  a  adottare  norme  in  materia  di  appalti
pubblici, ma anche che esse  prevalgono  su  quelle  dell'ordinamento
generale, ove contrastanti (e' citata  Consiglio  di  Stato,  sezione
quinta, sentenza 15  marzo  2021,  n.  2173),  osservando  che  «[i]l
Giudice (quale che esso sia) deve necessariamente  applicare  (e,  in
primis, interpretare) tali  fonti  per  risolvere  ogni  controversia
attinente a qualsivoglia procedura di affidamento di servizi  bandita
dalla Camera dei deputati. Pertanto, stante il nesso con  l'autonomia
normativa, sulle suddette controversie non  puo'  che  sussistere  la
giurisdizione del Consiglio di giurisdizione;  giurisdizione  che  il
Consiglio di Stato, decidendo nel merito la controversia, ha  invaso,
col successivo avallo della Corte di cassazione». 
    Tutto cio' troverebbe conferma nella sentenza  del  Consiglio  di
Stato, sezione quinta (recte: quarta), 18 novembre 2014, n. 5657,  in
cui il giudice amministrativo ha si' affermato la  sussistenza  della
propria giurisdizione sugli atti di una procedura di gara indetta dal
Segretariato  generale  della   Presidenza   della   Repubblica   per
l'affidamento del servizio di cassa ed annesso sportello  interno  al
Segretariato,  ma  sul  presupposto  che,  nel  caso  di  specie,  la
Presidenza della Repubblica non avrebbe esercitato il suo  potere  di
normazione in materia, «diversamente da quanto  hanno  disposto,  con
specifici regolamenti, Camera e Senato». 
    1.2.2.- La Camera sottolinea inoltre  che  gli  atti  oggetto  di
impugnazione  di   fronte   al   TAR   hanno   pacificamente   natura
amministrativa e sarebbero in quanto tali oggetto  della  riserva  di
autodichia in forza dell'art. 12, commi  3,  lettera  f),  e  6,  del
regol. Camera, in attuazione dei quali  e'  stato  adottato  il  gia'
citato «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli  atti
di amministrazione  della  Camera  dei  deputati  non  concernente  i
dipendenti». Quest'ultimo, agli artt. 1 e 2, prevede infatti  che  il
Consiglio di giurisdizione e' competente a decidere  in  primo  grado
sui «ricorsi e qualsiasi impugnativa, anche  presentata  da  soggetti
estranei alla Camera,  avverso  gli  atti  di  amministrazione  della
Camera medesima». 
    1.2.3.-  La  sottrazione  delle  controversie   in   esame   alla
cognizione del giudice amministrativo non violerebbe, d'altra  parte,
il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva dei  terzi,  poiche'
quest'ultimo  sarebbe   pienamente   rispettato   dagli   organi   di
autodichia, come avrebbe affermato anche questa Corte nella  sentenza
n. 262 del 2017. Ne' al Consiglio di giurisdizione  difetterebbero  i
poteri del giudice amministrativo, potendo esso tanto  annullare  gli
atti dell'amministrazione della Camera, quanto disapplicarli  qualora
ne sussistano i presupposti, in particolare in caso di contrasto  con
il  diritto  dell'Unione,  quanto,  infine,  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    1.2.4.-   Ne'   potrebbe   obiettarsi   che,   facendo   derivare
l'autodichia dall'autonomia normativa, la Camera sarebbe  autorizzata
a estendere a dismisura l'ambito di applicazione della  giurisdizione
domestica,   attraverso   un   uso   «largheggiante»    del    potere
regolamentare. Cio' in quanto tale potere normativo  dovrebbe  sempre
essere esercitato in osservanza della Costituzione,  sicche'  un  suo
uso strumentale potrebbe essere  sindacato  da  questa  Corte,  nelle
forme del giudizio per conflitto di  attribuzione  fra  poteri  dello
Stato (e' citata la sentenza n. 120 del 2014). 
    1.2.5.- Contestando  le  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  di
cassazione nella pronuncia che  ha  dato  origine  al  conflitto,  la
Camera evidenzia poi che il provvedimento di esclusione impugnato  di
fronte al TAR  Lazio  «si  colloca  nella  fase  pubblicistica  della
procedura, finalizzata all'individuazione del contraente»,  spettante
alla giurisdizione esclusiva del giudice  amministrativo,  e  non  in
quella privatistica, che vede  attribuite  al  giudice  ordinario  le
controversie relative all'esecuzione del contratto. 
    Al riguardo, la ricorrente sottolinea come la Camera non  si  sia
mai  sottratta  alla  giurisdizione  del  giudice  ordinario  per  le
controversie in materia di esecuzione di contratti di  appalto  o  di
fornitura di servizi, stipulati a seguito di gara  pubblica,  essendo
«assolutamente pacifico che competa al giudice comune (nella  specie,
ordinario) conoscere delle controversie in materia di esecuzione  dei
contratti stipulati tra la Camera stessa e i soggetti  individuati  a
seguito dell'aggiudicazione di una gara pubblica e che, dunque, nella
fase di esecuzione  del  contratto  non  vi  sia  alcuno  spazio  per
l'autodichia». Il presente  conflitto,  pertanto,  atterrebbe  invece
«alla diversa e autonoma fase pubblicistica che  precede  la  stipula
del contratto». In questa  fase,  la  competenza  a  conoscere  delle
controversie relative a procedure di evidenza pubblica bandite  dalla
Camera, regolate dalle fonti di autonomia, apparterebbe unicamente al
Consiglio di giurisdizione della Camera  medesima  anziche'  al  TAR,
riunendosi dopo la conclusione  del  contratto  in  capo  al  giudice
ordinario. 
    A tal proposito,  la  Camera  afferma  che  la  stessa  Corte  di
cassazione, a sezioni unite, in altra  occasione  avrebbe  dato  «per
scontato che le controversie che a tali  atti  si  riferiscono  siano
attratte  alla  giurisdizione  domestica»   (e'   citata   Corte   di
cassazione, sezioni unite, sentenza [recte:  ordinanza]  10  novembre
2020, n. 25211). 
    Quanto al passaggio della sentenza n.  262  del  2017  di  questa
Corte, che annovera fra le controversie escluse  dalla  giurisdizione
domestica quelle «relative ad appalti e forniture di servizi prestati
a favore  delle  amministrazioni  degli  organi  costituzionali»,  la
ricorrente ritiene che  con  tale  affermazione  questa  Corte  abbia
inteso riferirsi «proprio alle controversie in materia di  esecuzione
dei contratti di appalto  e  forniture  di  servizi».  Comparando  la
diversa formulazione dell'art. 133, comma 1, lettera e),  numero  1),
del codice del processo amministrativo - il  quale  discorre  di  «e)
[...]  controversie:  1)  relative  a  procedure  di  affidamento  di
pubblici lavori, servizi,  forniture,  svolte  da  soggetti  comunque
tenuti» al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica - la Camera
ritiene  infatti  che,  qualora  questa  Corte  «avesse  inteso   far
riferimento  [...]   alla   giurisdizione   esclusiva   del   Giudice
amministrativo nella fase pubblicistica  precedente  la  stipula  del
contratto, avrebbe  parlato  di  controversie  relative  a  procedure
svolte  dagli  organi  costituzionali  e  non  gia'  di  controversie
relative ad appalti e forniture di  servizi  prestati  in  favore  di
questi ultimi». Da cio' la conclusione secondo cui, nella sentenza n.
262  del  2017,  questa  Corte   avrebbe   «semplicemente   attestato
l'esistenza di un dato (l'assenza di spazi di autodichia  nella  fase
di esecuzione dei contratti stipulati dagli organi  costituzionali  a
seguito di procedura  di  evidenza  pubblica)  che  [...]  anche  per
l'odierna ricorrente e' pacifico». 
    1.2.6.- A ulteriore sostegno della illegittimita'  costituzionale
della  pretesa  di  assoggettare  alla  giurisdizione   del   giudice
amministrativo gli atti della Camera dei deputati adottati nella fase
pubblicistica dell'affidamento, la ricorrente rileva che l'art.  133,
comma 1, lettera e), cod. proc. amm. estende tale giurisdizione anche
«alla  dichiarazione  di  inefficacia  del  contratto  a  seguito  di
annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative», cosi'
in  ipotesi  consentendo  al  giudice  amministrativo  di  «annullare
un'aggiudicazione disposta  dalla  Camera  dei  deputati,  dichiarare
inefficace il contratto da quest'ultima stipulato e  obbligarla  alla
stipula con  un  altro  soggetto»,  cio'  che  la  ricorrente  reputa
incompatibile  con  le  prerogative  di  autonomia   di   un   organo
costituzionale. 
    La ricorrente sottolinea inoltre che il  giudice  amministrativo,
quando e'  chiamato  a  stabilire  se  dichiarare  l'inefficacia  del
contratto, ai sensi degli artt. 121 e 122 cod. proc. amm. «gode di un
notevole  potere  discrezionale,  giacche'  finisce  per   effettuare
direttamente una comparazione tra gli  interessi  pubblici  e  quelli
privati in gioco». Tale potere, se ben  puo'  essere  esercitato  nei
confronti delle pubbliche amministrazioni  di  cui  all'art.  7  cod.
proc. amm., inciderebbe invece in  maniera  eccessiva  sull'autonomia
costituzionalmente garantita alla Camera. 
    1.2.7.-  La  ricorrente  si  sofferma  quindi  sul  rapporto  fra
giurisdizione concernente il personale e giurisdizione concernente le
gare, rilevando come non  possa  affermarsi  che  nelle  controversie
sulle gare non siano in gioco apparati serventi delle Camere. Cio' si
evincerebbe dalla sentenza n. 129 del 1981 di questa  Corte,  nonche'
da molte norme vigenti che  danno  testimonianza  del  fatto  che  le
pubbliche amministrazioni operano impiegando un complesso di  risorse
finanziarie, umane e strumentali, tutte necessarie  al  perseguimento
dei loro scopi istituzionali. 
    La tesi  secondo  cui  il  concorrente  in  gara  rimane  "terzo"
assoggettato alla giurisdizione comune fin quando non  si  aggiudichi
il contratto sarebbe chiaramente in contraddizione  con  la  pacifica
soggezione   all'autodichia   dei   concorrenti    nelle    procedure
assunzionali,  i  quali  ugualmente  sarebbero  meri  "aspiranti"  al
rapporto d'impiego, e  che  pure  non  potrebbero  agire  innanzi  al
giudice comune. 
    Non fondata sarebbe peraltro anche la tesi, fatta  propria  dalla
sentenza della Corte di cassazione oggetto  del  presente  conflitto,
secondo cui l'applicazione del diritto comune degli appalti  (e,  con
esso,  la   sottoposizione   del   contenzioso   alla   giurisdizione
amministrativa) non sarebbe «suscettibile di  intaccare  il  pieno  e
libero svolgimento da parte della Camera della sua alta funzione  ne'
di  interferire  negativamente   sull'amministrazione   dei   servizi
interni».  Secondo   la   ricorrente,   infatti,   «[i]l   fondamento
dell'autonomia normativa, organizzativa e contabile delle  Camere  si
rinviene nell'esigenza di consentire agli  organi  costituzionali  di
dettare (e vedere applicate) le norme piu' opportune  (non  solo  per
garantire una corretta gestione delle somme loro affidate, ma  anche)
per consentire un libero  ed  efficiente  esercizio  delle  funzioni,
assicurando in tal modo la loro indipendenza da  altri  poteri  dello
Stato». Il che sarebbe  stato  riconosciuto  da  questa  Corte  nella
stessa  sentenza  n.  262  del  2017,  attraverso  il  richiamo  alla
precedente sentenza n. 129 del 1981. 
    1.2.8.-  Infine,  la  Camera  si  confronta  estesamente  con  il
passaggio motivazionale della sentenza n. 262  del  2017,  nel  quale
questa Corte avrebbe, secondo il Consiglio di Stato  e  la  Corte  di
cassazione, escluso dalla giurisdizione domestica le controversie  in
materia di appalti. La ricorrente contesta, in particolare,  la  tesi
espressa dalla Corte  di  cassazione  nella  pronuncia  che  ha  dato
origine al conflitto, secondo cui rispetto alle  sentenze  di  questa
Corte la «distinzione tra ratio decidendi e obiter  dictum  perde  di
significato, giacche' le affermazioni di  principio  contenute  nelle
motivazioni di quelle pronunce,  da  considerare  sempre  nella  loro
totalita', hanno  di  mira  la  tutela  di  norme,  di  valori  e  di
attribuzioni costituzionali, in una continua dialettica tra  astratto
e concreto». 
    Secondo la Camera, dovrebbe innanzitutto considerarsi  che  anche
questa Corte e' vincolata al rispetto del principio di corrispondenza
fra chiesto e pronunciato, sicche' a passare in  giudicato  sarebbero
soltanto «le statuizioni giudiziali che hanno strettamente a che fare
con  l'oggetto  della  lite»,   mentre   tutte   «le   considerazioni
eventualmente svolte nello sviluppo della  motivazione,  incidentali,
esemplificative, ad abudantiam, di richiamo storico o  ricostruttivo,
per loro stessa natura  non  possono  passare  in  giudicato  e  sono
comunemente dette obiter dicta». 
    Inoltre,  l'affermazione  della  indistinguibilita'   fra   ratio
decidendi e obiter dictum nelle  sentenze  di  questa  Corte  sarebbe
contraddetta da altre affermazioni di segno opposto  della  Corte  di
cassazione (sono citate Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza
17 maggio 2018, n. 12108 e ordinanza 30 maggio 2018, n. 13678). 
    Infine,  nella  stessa  giurisprudenza  costituzionale  sarebbero
rinvenibili pronunce in cui questa  Corte,  relativamente  a  proprie
sentenze, distingue  fra  obiter  dicta  e  rationes  decidendi,  sia
escludendo il carattere di obiter dictum di talune statuizioni  (sono
richiamate le sentenze n. 191 del 2006, n. 7 del 1982  e  n.  62  del
1981), sia derubricando a mero obiter dictum cio' che le difese delle
parti costituite in  giudizio  avevano  considerato  ratio  decidendi
(sono richiamate la sentenza n. 102 del 1986 e l'ordinanza n. 397 del
2000). 
    Nel caso di specie,  il  passaggio  controverso  contenuto  nella
sentenza n. 262 del 2017  di  questa  Corte  dovrebbe  per  l'appunto
considerarsi quale mero obiter  dictum,  che  «non  [potrebbe]  certo
significare abbandono di un consolidato indirizzo giurisprudenziale e
nemmeno [valere] come autentico precedente». 
    2.- Con ordinanza n. 179  del  2023,  questa  Corte  ha  ritenuto
sussistenti i presupposti soggettivi e oggettivi del conflitto  e  lo
ha dichiarato ammissibile ai sensi dell'art. 37, primo  comma,  della
legge 11 marzo 1953, n. 87 del 1953 (Norme sulla costituzione  e  sul
funzionamento   della   Corte   costituzionale),    dispondendo    la
notificazione  del   ricorso   introduttivo   e   dell'ordinanza   di
ammissibilita' al Consiglio di Stato, alla Corte di cassazione  e  al
Senato della Repubblica. 
    L'ordinanza e il ricorso sono stati tempestivamente e ritualmente
notificati. 
    3.- Con atto depositato il 9 novembre 2023, si e'  costituito  in
giudizio il  Consiglio  di  Stato,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore;  lo   stesso,   nel   proprio   atto   di   costituzione   e
controdeduzioni, dichiara di rimettersi alle determinazioni di questa
Corte, formulando osservazioni in questa sede nella mera «qualita' di
amicus curiae». 
    3.1.- Il Consiglio di Stato  ricostruisce  la  giurisprudenza  di
questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 262 del 2017, n. 120 del
2014 e n.  154  del  1985),  osservando  come  le  sue  piu'  recenti
statuizioni  avrebbero  consentito  di  individuare   un   punto   di
equilibrio  tra  autodichia  e  tutela  giurisdizionale  del  diritto
inviolabile alla difesa.  Dalla  piu'  recente  sentenza  citata,  il
Consiglio di Stato deduce che il «primo e fondamentale principio»  in
materia  sia  costituito  dalla  «connessione  biunivoca   che   deve
sussistere  tra  autonomia  normativa  (autocrinia)  e   autodichia»,
osservando   che   «l'autodichia    e'    la    logica    conseguenza
dell'autocrinia: dato il potere normativo di disciplinare un  assetto
di rapporti, ne consegue il potere di dirimere  le  controversie  che
possono insorgere nell'ambito di quei rapporti tra i soggetti interni
all'organo, risultando la sottrazione alla giurisdizione  comune  una
conseguenza logica del potere normativo». 
    Il Consiglio di Stato, dunque, rimette alla valutazione di questa
Corte  l'interrogativo  se  «l'autodichia  possa  far  escludere   la
sussistenza della giurisdizione  "comune"»  e  se  «le  Camere  siano
abilitate a disciplinare i rapporti con i terzi nella  materia  degli
appalti pubblici». 
    3.2.- Da parte sua,  il  Consiglio  di  Stato  rammenta  di  aver
ritenuto, nella propria sentenza alla base  del  conflitto,  che  «la
materia dell'affidamento a terzi dei contratti di lavori,  servizi  e
forniture    -    pur    involgendo    l'acquisizione,    da    parte
dell'amministrazione  della  Camera,  di  beni  e  servizi   per   lo
svolgimento delle sue funzioni - non puo' rientrare  nella  sfera  di
autonomia  normativa  costituzionalmente  riconosciuta,  dovendo   le
relative   controversie   rimanere   sottratte   alla   giurisdizione
domestica». Infatti, come evidenziato anche dalle Sezioni unite della
Corte  di  cassazione,  il  provvedimento  all'origine  del  giudizio
afferirebbe ad una procedura per la scelta del contraente privato che
trova la sua disciplina prevalentemente nella normativa nazionale  ed
europea. Tale contraente privato, nella fase  di  gara,  non  sarebbe
inserito  negli  apparati  serventi  dell'organo  costituzionale,  ma
aspirerebbe a diventarlo,  qualificandosi  dunque  «alla  stregua  di
"terzo" non ancora legato alla Camera da un rapporto di servizio». 
    3.3.- Nel risolvere la questione in esame, questa  Corte  sarebbe
dunque chiamata a tracciare un corretto bilanciamento del  potere  di
autodichia  con  gli  altri  valori  costituzionali  (costituiti  dal
diritto inviolabile alla difesa in giudizio, dal diritto a non essere
distolti dal giudice naturale precostituito per legge e dal principio
di uguaglianza), nonche' con  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
unionale. A tale ultimo riguardo,  il  Consiglio  di  Stato  richiama
anzitutto la  direttiva  2007/66/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio,  dell'11  dicembre  2007,  che   modifica   le   direttive
89/665/CEE  e  92/13/CEE  del  Consiglio,  per  quanto  riguarda   il
miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione  degli   appalti   pubblici.   Tale   atto   normativo
obbligherebbe  gli   Stati   membri   ad   assicurare   «una   tutela
giurisdizionale  effettiva  ed  omogenea  su  tutto   il   territorio
dell'Unione, in relazione a tutti gli operatori economici,  nazionali
o comunitari, che partecipano ad una procedura ad evidenza pubblica»,
stabilendo «le  condizioni  minime  ed  indispensabili  affinche'  la
tutela giurisdizionale in  tema  di  appalti  pubblici  possa  essere
esercitata  in  maniera  piena,  effettiva  e  celere,  su  tutto  il
territorio dell'Unione». 
    Il legislatore italiano avrebbe dato attuazione a quanto disposto
dall'ordinamento  dell'Unione  europea  attraverso  il   codice   del
processo amministrativo, e in particolare  attraverso  le  previsioni
degli articoli da 120 a 123 cod. proc. amm., prevedendo  «una  tutela
cautelare e di merito piena e tendenzialmente "immediata" in tema  di
procedure  ad  evidenza  pubblica»,  «un'articolata  disciplina   che
consente al giudice amministrativo di pronunciare la dichiarazione di
inefficacia del  contratto  e  di  comminare  sanzioni  alternative»,
nonche' una tutela cautelare monocratica ed ante causam. 
    La peculiare conformazione del rito in materia di appalti  e  gli
specifici   poteri   conferiti   in   tale    ambito    al    giudice
rappresenterebbero   un   elemento   caratterizzante    della    sola
giurisdizione amministrativa, non rinvenendosi strumenti analoghi  di
tutela in altre giurisdizioni, ivi  compresa  quella  esercitata  dal
Consiglio di giurisdizione della Camera, che si esplica attraverso le
forme del relativo regolamento. Ne conseguirebbe che l'attrazione del
contenzioso sugli appalti pubblici  alla  giurisdizione  del  giudice
amministrativo  rappresenterebbe  uno  strumento  irrinunciabile   di
tutela per tutti gli operatori economici dell'Unione. 
    4.- L'8 novembre 2023 il Senato della Repubblica, in persona  del
Presidente  pro  tempore,  ha  depositato  un  atto  di   intervento,
chiedendo a questa Corte di accogliere il  ricorso  depositato  dalla
Camera dei deputati, «dichiarando che non spettava  al  Consiglio  di
Stato  e  alla  Corte  di  Cassazione,   in   quanto   organi   della
giurisdizione comune,  giudicare  della  controversia  descritta  nel
citato ricorso con il quale e' stato promosso il  presente  conflitto
di attribuzione, con conseguente annullamento  delle  sentenze  della
Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 12 maggio 2022, n.  15236,
e del Consiglio di Stato, Sezione V, 31 maggio 2021, n. 4150». 
    Il 26 febbraio 2024 il Senato della Repubblica ha depositato  una
memoria nella  quale  ha  illustrato  le  ragioni  a  sostegno  della
fondatezza del ricorso presentato dalla Camera dei deputati. 
    4.1.- Il Senato chiarisce  anzitutto  che  i  propri  regolamenti
prevedono, con riguardo alle procedure di appalto,  norme  del  tutto
corrispondenti a quelle poste dalla Camera  alla  base  del  ricorso,
cosi' che i due organi si trovano  in  una  posizione  costituzionale
identica rispetto alla questione sottoposta a questa Corte. 
    4.2.- Sottolinea poi il Senato che una prima «lesione del potere,
costituzionalmente garantito, di autonomia  normativa  delle  Camere»
deriverebbe «gia', sotto il profilo processuale (e ancor prima  della
questione di merito relativa alla loro legittimita' in relazione alle
disposizioni  costituzionali  che   ne   delimitano   la   sfera   di
competenza)» dalla circostanza  che  la  giurisdizione  comune  abbia
disapplicato  i  regolamenti  parlamentari  -   costituenti   «"fonti
dell'ordinamento generale della Repubblica" (sent.  n.  120/2014)  e,
pertanto, di  rango  primario»  -  senza  sollevare  essa  stessa  un
conflitto di attribuzione davanti a questa Corte. 
    4.3.-  Tanto  premesso,  il  Senato   ricorda   che   l'autonomia
normativa, e di conseguenza l'autodichia, investe «anche gli  aspetti
organizzativi, ricomprendendovi cio' che  riguarda  il  funzionamento
degli apparati amministrativi "serventi", che consentono agli  organi
costituzionali di adempiere liberamente, e in modo  efficiente,  alle
proprie funzioni costituzionali» (e' citata la sentenza  n.  129  del
1981 di questa Corte). 
    In quest'ottica, non potrebbe dubitarsi dell'estensione  di  tali
prerogative costituzionali anche alle «procedure di  selezione  e  di
affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, posto che  per
natura l'indizione di una  procedura  di  affidamento  presuppone  la
preventiva individuazione di un bisogno da parte dell'Amministrazione
finalizzato  al  migliore  esercizio   delle   proprie   funzioni   e
all'assolvimento dei propri  compiti  istituzionali».  «Del  pari»  -
prosegue l'interveniente - «la disciplina relativa alla procedura  da
utilizzare, ai criteri e alle modalita' di valutazione dei candidati,
o alla qualificazione dei commissari, ecc., in altri termini la  fase
"pubblicistica"  relativa  all'affidamento  all'esterno  di   lavori,
servizi  e  forniture  attraverso  contratti   di   appalto,   rimane
prettamente interna all'organo  costituzionale  ed  e'  funzionale  a
garantire l'efficiente  soddisfacimento  dell'esigenza  pubblicistica
manifestata con la decisione di indire la procedura  di  affidamento.
La scelta degli organi costituzionali di disciplinare le procedure di
appalto si conferma quindi pienamente funzionale alla  piu'  completa
garanzia  della  relativa  autonomia,  nei  termini   ammessi   dalla
giurisprudenza di questa Corte». 
    Da cio' deriverebbe  la  piena  sussistenza  del  «corrispondente
potere» delle Camere «di attrarre  alla  giurisdizione  domestica  le
controversie relative alla suddetta fase pubblicistica concernente lo
svolgimento   della   procedura   di    affidamento».    L'autodichia
costituirebbe infatti «un  corollario  indispensabile  dell'autonomia
normativa, giacche' garantisce, al pari di  essa,  l'indipendenza  da
poteri esterni, e nello  specifico  garantisce  la  non  interferenza
degli organi giurisdizionali  esterni  quanto  all'interpretazione  e
all'applicazione delle norme interne di organizzazione» (sono  citate
le sentenze n. 379 del 1996 e n. 129 del 1981 di questa Corte). 
    4.4.- Il Senato  si  confronta  quindi  con  il  passaggio  della
sentenza n. 262 del 2017  di  questa  Corte  relativo  agli  appalti,
sostenendo  che  esso  si  riferisca  «alla  disciplina  della   fase
contrattuale e paritetica del rapporto giuridico, dunque,  alla  fase
esecutiva di rapporti giuridici gia' conclusi, e non alla  precedente
fase pubblicistica di selezione del soggetto  con  cui  contrattare»:
fase, questa, caratterizzata  dall'esercizio  di  poteri  lato  sensu
«autoritativi  e  pubblicistici»,  e  pertanto  senz'altro  attinente
«all'esercizio delle  funzioni  dell'organo  costituzionale,  essendo
funzionale  a  detto  esercizio»,  rimanendo   «prettamente   interna
all'organo stesso, diversamente dalla fase  esecutiva  del  contratto
stipulato,  in  cui  le  parti  sono  in  posizione   paritetica   (e
l'affidatario dell'appalto rimane  esterno  all'organico  dell'organo
costituzionale)». 
    Il  riconoscimento  dell'autonomia  normativa  e,  dunque,  della
giurisdizione domestica  in  relazione  alla  fase  pubblicistica  di
svolgimento della procedura di affidamento,  si  giustificherebbe  in
definitiva «anche in ragione del fatto  che  l'organo  costituzionale
esercita, in questa fase, poteri autoritativi e pubblicistici, dunque
poteri  senz'altro  piu'  vicini  alla  funzione  svolta,  e   quindi
certamente esercizio della propria autonomia». 
    A tal proposito il Senato, al pari della Camera, sostiene di  non
essersi mai sottratto alla giurisdizione  comune  con  riferimento  a
controversie sorte per la fase esecutiva dei contratti di appalto. 
    4.5.- D'altronde, che non possa ritenersi  decisivo  il  criterio
della terzieta' sarebbe dimostrato dal fatto che anche chi  partecipa
ad una procedura di selezione  del  personale,  fino  alla  presa  di
servizio, resterebbe un  soggetto  esterno  alle  Camere.  Del  tutto
irragionevole sarebbe quindi  distinguere  queste  due  ipotesi,  che
avrebbero evidenti analogie sia dal punto di vista soggettivo sia dal
punto di vista oggettivo. 
    4.6.- Infine, la possibilita' di scegliere tra  esternalizzazione
di un servizio  attraverso  un  appalto  e  assunzione  di  personale
sarebbe  un   presupposto   essenziale   dell'autonomia   dell'organo
costituzionale. Tale  autonomia  sarebbe  tuttavia  condizionata  dal
«regime giuridico dell'impugnazione», con la prospettata  conseguenza
che «la possibilita' per il concorrente di ricorrere  ad  un  giudice
comune piuttosto che  agli  organi  di  autodichia,  fisiologicamente
rappresentera' un forte (e poco giustificabile) disincentivo  per  le
Camere a esternalizzare i propri servizi, in controtendenza  rispetto
alle normali dinamiche che  si  vanno  sviluppando  nel  mercato  del
lavoro e a detrimento della funzionalita' degli organi  e  dei  costi
dei servizi». 
    5.- Il 27 febbraio  2024  ha  depositato  una  memoria  anche  la
ricorrente Camera dei  deputati,  al  fine  di  «effettuare  doverose
precisazioni» in relazione ad alcune  considerazioni  rassegnate  dal
Consiglio di Stato nel suo atto di costituzione. 
    5.1.-  Chiarisce  anzitutto  la  Camera  che   il   ricorso   non
chiederebbe in alcun modo a questa Corte  di  operare  un  revirement
nella sua giurisprudenza, ma meramente di delucidare ulteriormente il
contenuto dei precedenti rispetto ad un tema finora non apertamente e
specificamente affrontato. 
    5.2.- Nella memoria si riprende e si  approfondisce  quanto  gia'
contenuto nel ricorso in relazione alla disciplina sostanziale che  i
regolamenti  della  Camera  riservano  alla  materia  degli  appalti,
ribadendo il rapporto biunivoco tra autonomia normativa e  autodichia
giurisdizionale  sulla  base   della   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale che ha affermato come  l'interpretazione  delle  norme
tanto regolamentari quanto sub-regolamentari  «non  puo'  che  essere
affidata in via esclusiva alle Camere stesse» (e' citata la  sentenza
n. 120 del 2014). 
    5.3.- Si osserva poi, in risposta alle affermazioni del Consiglio
di Stato, che il concorrente della gara di  appalto  sarebbe  in  una
situazione  del  tutto  equivalente  a  quella   dei   soggetti   che
partecipino a procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli  della
Camera, per i quali si riconosce pacificamente l'autodichia. 
    5.4.- La memoria si  sofferma,  infine,  sul  livello  di  tutela
assicurato ai privati dagli organi  di  autodichia,  osservando  come
questi ultimi dispongano di tutti i poteri previsti  dalla  direttiva
2007/66/CE richiamata dal Consiglio di Stato, che  risultano  a  loro
volta   «esattamente   coincidenti    con    quelli    del    giudice
amministrativo», si' da rendere indubitabile la pienezza della tutela
assicurata ai  privati  medesimi  dagli  organi  della  giurisdizione
domestica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe, la Camera  dei  deputati
ha promosso conflitto di attribuzione  fra  poteri  dello  Stato  nei
confronti della Corte di cassazione  e  del  Consiglio  di  Stato  in
riferimento  alle  sentenze,  rispettivamente,  delle  sezioni  unite
civili, n. 15236 del 2022, e della sezione quinta, n. 4150 del 2021. 
    Come dettagliatamente riferito nel Ritenuto in fatto,  la  Camera
sostiene anzitutto che la menzionata sentenza del Consiglio di  Stato
abbia leso le proprie attribuzioni  costituzionali,  confermando  una
precedente  statuizione  del  TAR  Lazio  che   aveva   ritenuto   la
giurisdizione  del  giudice  amministrativo   in   una   controversia
concernente  un  provvedimento  dell'amministrazione   della   Camera
medesima, con il quale un raggruppamento temporaneo  di  imprese  era
stato escluso da una procedura di rilievo comunitario per un  appalto
di servizi bandito dalla stessa Camera. 
    Identica lesione sarebbe stata causata dalla successiva  sentenza
delle sezioni unite civili della Corte di cassazione che,  rigettando
il ricorso della Camera, aveva ribadito la giurisdizione del  giudice
amministrativo in quella controversia. 
    Ad  avviso   della   ricorrente,   tali   statuizioni   avrebbero
disconosciuto il potere di  autodichia  costituzionalmente  spettante
alla Camera dei deputati nelle controversie relative all'assegnazione
di appalti di servizi a terzi. 
    Tale potere - deducibile, secondo la ricorrente, dalla  posizione
di indipendenza da ogni altro potere riconosciuta alla  Camera  dagli
artt. 55 e seguenti Cost., e in particolare dalla sfera di  autonomia
garantitale dall'art. 64, primo  comma,  Cost.  -  sarebbe  stato  in
concreto esercitato tramite gli artt. 1 e 2 del «Regolamento  per  la
tutela giurisdizionale relativa agli atti  di  amministrazione  della
Camera dei deputati non concernente i dipendenti», che  attribuiscono
- in  via,  secondo  la  ricorrente,  esclusiva  -  al  Consiglio  di
giurisdizione della Camera il compito di decidere in primo grado  sui
«ricorsi  e  qualsiasi  impugnativa,  anche  presentata  da  soggetti
esterni alla Camera, avverso gli atti di amministrazione della Camera
medesima» (diversi da quelli concernenti i dipendenti, per i quali e'
applicabile un distinto regolamento). Tale organo  di  autodichia  e'
composto da  tre  deputati  in  carica,  che  siano  in  possesso  di
determinati requisiti professionali attestanti la  loro  preparazione
in materie giuridiche  e  che  non  facciano  parte  dell'Ufficio  di
Presidenza. Contro le sue decisioni  e'  ammesso  ricorso  avanti  al
Collegio d'appello, a  sua  volta  composto  da  cinque  deputati  in
carica, aventi i medesimi requisiti. 
    Il regolamento in questione sarebbe stato  adottato,  secondo  la
ricorrente, in attuazione dell'art. 12, comma 3, lettera  f),  regol.
Camera (a sua  volta  approvato  nelle  forme  direttamente  previste
dall'art. 64, primo comma, Cost.),  che  attribuisce  all'Ufficio  di
Presidenza  il  potere  di  adottare  regolamenti  concernenti,   tra
l'altro, «i ricorsi e  qualsiasi  impugnativa,  anche  presentata  da
soggetti  estranei  alla  Camera,   avverso   gli   altri   atti   di
amministrazione della Camera medesima». 
    Conseguentemente,  la  ricorrente  chiede  a  questa   Corte   di
dichiarare «che non spettava al Consiglio di Stato e  alla  Corte  di
cassazione, in quanto organi della  giurisdizione  comune,  giudicare
della  controversia   descritta   in   narrativa,   con   conseguente
annullamento» di entrambe le sentenze controverse. 
    2.-  In  via  preliminare,  va  anzitutto  confermata,  ai  sensi
dell'art. 37  della  legge  n.  87  del  1953,  l'ammissibilita'  del
presente conflitto, per le ragioni gia' esposte nell'ordinanza n. 179
del 2023, qui da intendersi integralmente richiamate. 
    3.- Sempre in via preliminare, e' necessario precisare  il  thema
decidendum deferito a questa Corte mediante il ricorso introduttivo. 
    Innanzi a questa Corte  la  ricorrente  lamenta  direttamente  il
mancato riconoscimento, da parte del Consiglio di Stato e  poi  della
Corte  di  cassazione,  del  proprio   potere   -   a   suo   avviso,
costituzionalmente garantito - di esercitare l'autodichia in  materia
di  controversie  relative  all'affidamento  di   appalti   pubblici,
escludendo  la  giurisdizione  amministrativa;   e   conseguentemente
sollecita una pronuncia che faccia chiarezza su questo tema. 
    Intervenendo nel presente giudizio, peraltro, il Senato  sostiene
che una prima «lesione del potere, costituzionalmente  garantito,  di
autonomia normativa delle Camere» deriverebbe gia', sotto il  profilo
processuale, dalla circostanza  che  la  giurisdizione  comune  abbia
disapplicato  i  regolamenti  in  questione   -   costituenti   fonti
dell'ordinamento generale della  Repubblica  e,  pertanto,  di  rango
primario - senza sollevare essa stessa un conflitto  di  attribuzione
davanti a questa Corte. 
    La medesima doglianza era stata dedotta dalla Camera dei deputati
nelle proprie difese innanzi  alla  giurisdizione  amministrativa  e,
poi, innanzi alle sezioni unite della Corte  di  cassazione,  ove  la
ricorrente  aveva  parimenti  sottolineato  che  le   proprie   norme
regolamentari possiedono rango  primario  e  non  possono,  pertanto,
essere meramente disapplicate dal giudice. 
    In effetti, tali  principi  sono  stati  ripetutamente  affermati
dalla giurisprudenza di questa Corte. Da un lato si e'  costantemente
esclusa la sindacabilita' dei  regolamenti  parlamentari  nell'ambito
del giudizio incidentale di legittimita'  costituzionale  (a  partire
almeno dalla sentenza n. 154 del 1985, punto 5.1. del Considerato  in
diritto, seguita dalle sentenze n.  120  del  2014,  punto  4.2.  del
Considerato  in  diritto  e  n.  237  del  2022,  punto  5.2.5.   del
Considerato  in  diritto).   Dall'altro   lato,   questa   Corte   ha
sottolineato come cio' non comporti la loro sottrazione al  controllo
di compatibilita' con la Costituzione, che ben puo' essere effettuato
nella «sede naturale in cui trovano soluzione le  questioni  relative
alla  deliminazione  degli  ambiti  di   competenza»   degli   organi
costituzionali, e cioe'  nel  conflitto  tra  i  poteri  dello  Stato
(sentenza n. 120 del 2014, punto 4.4. del Considerato in diritto). 
    E' infatti  in  tale  sede  che  questa  Corte  e'  in  grado  di
assicurare - anche con riferimento al concreto esercizio  del  potere
regolamentare attribuito alle Camere dalla Costituzione - il rispetto
del corretto confine tra «i  due  distinti  valori  (autonomia  delle
Camere,  da  un  lato,  e  legalità-giurisdizione,  dall'altro)»,  su
impulso del «potere che si ritenga  leso  o  menomato  dall'attivita'
dell'altro»  (cosi'  la  sentenza  n.  379  del  1996,  punto  7  del
Considerato in diritto, citata dalla sentenza n. 120 del 2014). 
    Cio' che, invece, non puo' ammettersi  e'  che  la  giurisdizione
comune semplicemente ignori, o comunque  disapplichi,  la  disciplina
posta dai regolamenti delle Camere nella decisione delle controversie
sottoposte al suo esame (sentenza n. 126 del 2023, punti 4  e  6  del
Considerato in diritto), trattandosi di fonti di  rango  primario.  E
cio' tanto con riferimento ai regolamenti (cosiddetti  "maggiori",  o
"generali") disciplinati  direttamente  dall'art.  64,  primo  comma,
Cost., quanto con riferimento a quelli cosiddetti  "minori"  -  come,
appunto, il «Regolamento per la tutela giurisdizionale relativa  agli
atti di amministrazione della Camera dei deputati non  concernente  i
dipendenti» -, i quali «trovano in quelli maggiori la  propria  fonte
di legittimazione» (sentenza  n.  237  del  2022,  punto  5.2.2.  del
Considerato in diritto). 
    Le stesse sezioni unite della Corte di cassazione, nella sentenza
che ha dato origine al presente conflitto, dichiarano la  loro  piena
adesione allo schema procedurale appena rammentato. Proprio  muovendo
da tali condivise premesse, esse ritengono tuttavia che il  Consiglio
di Stato - contrariamente a quanto lamentato dalla Camera nel ricorso
per cassazione - non abbia in realta' disapplicato, ne' tenuto in non
cale  il  regolamento  "minore"  controverso,  ma  ne  abbia  fornito
semplicemente una interpretazione restrittiva  (e  costituzionalmente
orientata, alla luce della sentenza n. 262 del 2017 di questa Corte),
ritenendo che dal  suo  campo  di  applicazione  restino  escluse  le
controversie  relative  agli  affidamenti  dei  contratti   pubblici.
Controversie  che   dovrebbero   intendersi   come   sottratte   alla
giurisdizione  domestica  della   Camera,   ricadendo   cosi'   nella
fisiologica giurisdizione del giudice amministrativo. 
    La questione se una tale interpretazione delle Sezioni unite sia,
o meno, corretta  esula  pero'  dal  thema  decidendum  del  presente
giudizio, che e' unicamente fissato  dal  ricorso  per  conflitto  di
attribuzione promosso dalla Camera  dei  deputati.  A  differenza  di
quanto argomentato dal Senato  nel  proprio  atto  di  intervento  ad
adiuvandum, la  Camera  non  individua,  infatti,  la  lesione  delle
proprie attribuzioni costituzionali nella sostanziale disapplicazione
dei propri regolamenti  da  parte  del  potere  giurisdizionale  -  e
conseguentemente nell'omessa  proposizione,  da  parte  dello  stesso
potere, di un conflitto avente a oggetto un  asseritamente  improprio
esercizio del potere regolamentare da parte della Camera -.  In  sede
di udienza pubblica, la difesa della Camera ha, anzi,  precisato  sul
punto di non avere interesse a una ipotetica pronuncia  che,  in  via
preliminare, si limitasse ad accertare la  violazione  delle  proprie
attribuzioni    costituzionali    in    conseguenza    del    mancato
riconoscimento, da parte della giurisdizione  comune,  del  rango  di
fonte primaria dei propri regolamenti. 
    Pertanto, questa  Corte  -  in  un  processo  di  parti  come  il
conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,   come   tale
strettamente vincolato al principio generale della corrispondenza tra
il chiesto  e  il  pronunciato  -  e'  ora  chiamata  a  pronunciarsi
esclusivamente sul profilo del mancato riconoscimento alla Camera dei
deputati,  da  parte  del  Consiglio  di  Stato  e  della  Corte   di
cassazione, del potere  di  esercitare  l'autodichia  in  materia  di
controversie relative all'affidamento di appalti pubblici. 
    4.- Il ricorso non e' fondato. 
    4.1.- La costante giurisprudenza  di  questa  Corte  afferma  che
l'autodichia «costituisce manifestazione tradizionale della sfera  di
autonomia riconosciuta agli  organi  costituzionali,  a  quest'ultima
strettamente  legata  nella   concreta   esperienza   costituzionale»
(sentenza n. 262 del 2017, punto 7.1. del Considerato in diritto). 
    Tale sfera di autonomia ha, per quanto concerne  le  Camere,  una
base costituzionale espressa nell'art. 64, primo comma, Cost.,  e  ha
fondamento costituzionale implicito per quanto riguarda il Presidente
della Repubblica (sentenze n. 129 del 1981, punto 4  del  Considerato
in diritto,  nonche',  ancora,  n.  262  del  2017,  punto  7.2.  del
Considerato in diritto) e la stessa Corte costituzionale.  Il  potere
regolamentare degli  organi  costituzionali  -  si  e'  ulteriormente
precisato - «logicamente investe  anche  gli  aspetti  organizzativi,
ricomprendendovi cio' che riguarda il  funzionamento  degli  apparati
amministrativi "serventi", che consentono agli organi  costituzionali
di adempiere liberamente, e in modo efficiente, alle proprie funzioni
costituzionali» (sentenza n. 262 del 2017, punto 7.2. del Considerato
in diritto). 
    Autonomia    significa,    anzitutto,    potesta'     dell'organo
costituzionale di produrre norme relative al proprio funzionamento. A
tale potesta' e' tradizionalmente associata quella di  autodichia,  e
cioe' quella di giudicare  direttamente,  attraverso  propri  organi,
delle controversie relative all'applicazione di tali norme;  potesta'
che la giurisprudenza di questa Corte ha  costantemente  riconosciuto
agli organi costituzionali  all'interno  delle  rispettive  sfere  di
autonomia, allo scopo di sottrarre a qualsiasi ingerenza esterna - in
particolare del potere giudiziario - non solo la disciplina, ma anche
la concreta gestione dei loro apparati serventi (ancora, sentenza  n.
262 del 2017, punto 7.3. del Considerato in diritto, e ivi  ulteriori
precedenti). 
    4.2.- Nella piu' volte  menzionata  sentenza  n.  262  del  2017,
questa   Corte   ha   peraltro   sottolineato   che   il   fondamento
dell'autonomia   -   la   tutela   dell'indipendenza   degli   organi
costituzionali da ogni altro potere, a  sua  volta  strumentale  alla
garanzia del libero ed efficiente esercizio delle loro funzioni - «ne
rappresenta anche il confine: giacche', se e' consentito agli  organi
costituzionali disciplinare  il  rapporto  di  lavoro  con  i  propri
dipendenti, non spetta invece loro, in via  di  principio,  ricorrere
alla  propria  potesta'  normativa,  ne'  per  disciplinare  rapporti
giuridici con soggetti  terzi,  ne'  per  riservare  agli  organi  di
autodichia la decisione di eventuali controversie che ne  coinvolgano
le situazioni soggettive (si pensi,  ad  esempio,  alle  controversie
relative ad appalti e forniture di servizi prestati  a  favore  delle
amministrazioni  degli  organi  costituzionali).  Del  resto,  queste
ultime controversie,  pur  potendo  avere  ad  oggetto  rapporti  non
estranei all'esercizio delle funzioni dell'organo costituzionale, non
riguardano in principio questioni puramente interne  ad  esso  e  non
potrebbero percio' essere sottratte alla giurisdizione comune» (punto
7.2. del Considerato in diritto). 
    La  Camera  dei  deputati  da'  conto  puntualmente   di   queste
affermazioni; e tuttavia sollecita questa Corte a  una  rimeditazione
della questione, sulla base di quattro essenziali argomenti. 
    In primo luogo, le affermazioni in  parola  costituirebbero  meri
obiter dicta nel contesto della sentenza n.  262  del  2017,  che  si
occupava non gia' di controversie relative ad appalti e forniture  di
servizi (come nel caso oggi all'esame), ma di  controversie  relative
ai dipendenti degli organi costituzionali,  rispetto  alle  quali  la
decisione e' stata nel senso di confermare la sussistenza del  potere
di autodichia degli organi medesimi. 
    In secondo luogo, la Camera ritiene che il  riferimento  testuale
di questa Corte alle «controversie relative ad appalti e forniture di
servizi  prestati  a  favore  delle  amministrazioni   degli   organi
costituzionali» debba intendersi come circoscritto alle  controversie
in materia di esecuzione dei contratti  medesimi,  per  le  quali  la
ricorrente dichiara  di  riconoscere  la  giurisdizione  del  giudice
civile. Con esclusione, dunque, di quelle (che invece vengono qui  in
considerazione) relative alla fase pubblicistica delle  procedure  di
affidamento di  lavori  o  servizi,  fase  che  e'  in  via  generale
sottoposta alla giurisdizione  amministrativa  (art.  133,  comma  1,
lettera e,  numero  1,  cod.  proc.  amm.),  e  che  dovrebbe  invece
considerarsi esclusivamente  affidata  alla  giurisdizione  domestica
delle Camere per quanto riguarda le procedure da esse bandite. 
    In terzo luogo, la Camera lamenta  che  il  riconoscimento  della
giurisdizione   amministrativa   sulle    controversie    in    esame
comporterebbe necessariamente la sottoposizione della Camera stessa a
significative ingerenze da parte del potere giudiziario nelle  scelte
relative alla gestione dei propri servizi. Tali  ingerenze  sarebbero
incompatibili con la ratio di tutela dell'indipendenza e  del  libero
ed efficiente svolgimento delle funzioni dell'organo  costituzionale,
sulla quale questa Corte ha fondato il riconoscimento dei  poteri  di
autonomia e di autodichia in relazione alle controversie relative  ai
dipendenti. 
    In quarto e  ultimo  luogo,  queste  stesse  esigenze  di  tutela
sussisterebbero in egual  misura  tanto  rispetto  alle  controversie
relative ai dipendenti, quanto rispetto a quelle in materia di scelta
dei contraenti nelle procedure pubbliche per l'appalto  di  lavori  o
servizi bandite dalle Camere, giacche' anche tali  lavori  e  servizi
risulterebbero  essenziali  per  il  buon  funzionamento  dell'organo
costituzionale. L'argomento e' ulteriormente corroborato dalla difesa
del Senato della Repubblica, la quale rileva,  da  un  lato,  che  la
negazione dell'autodichia delle Camere in materia  di  selezione  dei
contraenti  nelle  procedure  relative  ad  appalti   finirebbe   per
incentivare le Camere medesime a servirsi di propri dipendenti  anche
per la gestione di servizi che ordinarie esigenze di funzionalita'  e
contenimento dei costi consiglierebbero invece  di  "esternalizzare";
e, dall'altro, che il criterio discretivo fondato  sulla  "terzieta'"
dell'impresa  che  aspiri  all'aggiudicazione  di  un   appalto,   in
contrapposizione alla "posizione  interna"  del  dipendente,  non  e'
logicamente sostenibile, dal momento che anche chi  partecipa  a  una
procedura di selezione del personale e' (ancora) estraneo,  e  dunque
"terzo", rispetto all'organo  costituzionale  che  abbia  bandito  la
procedura. 
    4.3.- Questa Corte, tuttavia, non condivide tali argomenti. 
    4.3.1.- Va anzitutto osservato che le affermazioni contenute  nel
punto 7.2. del Considerato in diritto della sentenza n. 262 del  2017
sono, a ben guardare, intimamente connesse alla sua ratio  decidendi:
che  era  quella   di   preservare   uno   spazio   per   l'esercizio
dell'autodichia da parte degli  organi  costituzionali  -  in  deroga
rispetto ai principi, di rango costituzionale, che affidano la tutela
dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei  singoli  alla
giurisdizione civile o amministrativa - nei soli limiti in  cui  cio'
risultasse necessario a consentire agli stessi organi  costituzionali
di adempiere liberamente, e in modo efficiente, alle proprie funzioni
costituzionali. Obiettivo il cui conseguimento, secondo  la  sentenza
n. 262 del 2017, «dipende in misura decisiva dalle modalita'  con  le
quali e'  selezionato,  normativamente  disciplinato,  organizzato  e
gestito il personale», ma non comporta - per converso - la necessita'
di «riservare agli organi di autodichia  la  decisione  di  eventuali
controversie che  [...]  coinvolgano  le  situazioni  soggettive»  di
soggetti terzi, come gli aspiranti all'aggiudicazione di appalti. 
    4.3.2.- La considerazione che  precede  inficia,  d'altra  parte,
anche l'argomento secondo cui la sentenza n.  262  del  2017  avrebbe
inteso riferirsi soltanto alle controversie  relative  all'esecuzione
di appalti gia' affidati, rispetto ai quali e' competente il  giudice
ordinario, e non gia' a quelle relative alla fase pubblicistica della
procedura,  avente   a   oggetto   l'affidamento   dell'appalto.   Il
riferimento  testuale  della  sentenza  alla  posizione  di  "terzi",
infatti, si attaglia alla fase di selezione dei contraenti, piuttosto
che a quella di eventuali controversie tra la stazione  appaltante  e
l'appaltatore. In questa successiva fase, infatti, l'appaltatore  non
e'   piu'   -   a   rigore   -   un   qualsiasi   "terzo"    rispetto
all'amministrazione, bensi' la sua controparte contrattuale. 
    4.3.3.-  Quanto  poi  all'allegata  esigenza  di   tutela   della
posizione costituzionale delle Camere contro  ingerenze  del  giudice
(in particolare amministrativo) nelle scelte relative  alla  gestione
dei propri servizi, occorre sottolineare come le esigenze  di  tutela
degli interessi legittimi - anch'esse fondate sulla  Costituzione,  e
in particolare sull'art. 103 - implichino sempre, per forza di  cose,
significative limitazioni dei poteri pubblici con  i  quali  essi  si
trovino a interagire: sia  che  si  tratti  della  generalita'  delle
pubbliche   amministrazioni,   sia   che   si   tratti   di    organi
costituzionali, come nel caso ora all'esame. 
    Tant'e' vero che ne' la Camera ne' il Senato sostengono di  dover
restare immuni, sul piano sostanziale, da tali possibili limitazioni,
assumendo pero' che esse debbano poter  essere  operate  soltanto  da
organi di giurisdizione domestica, come tali  "interni"  allo  stesso
organo  costituzionale.  Ma  l'argomento  diviene,  a  questo  punto,
scivoloso: giacche', come meglio  si  dira'  (infra,  punto  4.3.4.),
l'imperativo  costituzionale  di  effettiva  tutela  degli  interessi
legittimi (e dei diritti soggettivi)  contro  condotte  non  conformi
alla   legge   e   agli   stessi   regolamenti   interni   da   parte
dell'amministrazione delle Camere esige a sua volta un elevato  grado
di indipendenza degli organi di giurisdizione domestica. 
    Per converso, tanto la Camera  quanto  il  Senato  dichiarano  di
considerare non  problematici  i  possibili  interventi  del  giudice
civile a tutela dei  diritti  soggettivi  degli  aggiudicatari  degli
appalti,  rispetto  alle  controversie  insorte   con   le   relative
amministrazioni nella fase dell'esecuzione dei  contratti:  mostrando
cosi' (giustamente) di considerare come fisiologiche, in uno stato di
diritto, le "ingerenze"  del  potere  giudiziario  sull'attivita'  di
qualsiasi amministrazione pubblica. 
    4.3.4.- Quanto, infine, agli invocati profili di analogia tra  la
posizione dei dipendenti (gia' assunti, o meramente aspiranti tali) e
quella delle imprese  che  aspirino  all'aggiudicazione  di  appalti,
occorre qui ribadire - e anzi sottolineare con particolare  enfasi  -
il  carattere  eccezionale  del  riconoscimento  di  una   sfera   di
autodichia  agli   organi   costituzionali   con   riferimento   alle
controversie concernenti i propri dipendenti, rispetto alla  «"grande
regola"  dello  Stato  di  diritto   ed   [al]   conseguente   regime
giurisdizionale al quale  sono  normalmente  sottoposti,  nel  nostro
sistema costituzionale, tutti i beni  giuridici  e  tutti  i  diritti
(artt. 24, 112 e 113 della Costituzione)» (sentenza n. 379 del  1996,
punto 7 del Considerato in diritto): "grande  regola"  evocata  anche
dalla sentenza n. 120 del  2014  proprio  in  materia  di  autodichia
(punto  4.4.  del  Considerato  in  diritto),  e  che  si  sostanzia,
anzitutto, nel diritto inviolabile di ciascuno di agire  in  giudizio
per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, davanti a  un
giudice "indipendente" e "naturale". 
    Tali principi sono, oggi, affermati con  particolare  incisivita'
anche dalla  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea e  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  le  quali
insistono in particolare sull'assoluta centralita',  nell'ambito  dei
rispettivi ordinamenti, dell'obbligo a carico di  ciascuno  Stato  di
assicurare a tutti una «tutela giurisdizionale effettiva»  (art.  19,
paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea), da attuarsi  mediante
la garanzia del diritto all'accesso di  ogni  persona  a  un  giudice
«indipendente»  (art.  47,  paragrafo  2,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali  dell'Unione  europea,   certamente   applicabile   alle
controversie in materia  di  appalti;  art.  6,  paragrafo  1,  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo) (Corte  di  giustizia  UE,
grande  sezione,  sentenza  27  febbraio  2018,  in  causa   C-64/16,
Associação Sindical dos Juizes Portugueses, paragrafo 32 e  seguenti;
Corte EDU, grande camera,  sentenza  15  marzo  2022,  Grzęda  contro
Polonia, paragrafo 301; grande camera,  sentenza  1°  dicembre  2020,
Gudmundur  Andri   Astradsson   contro   Islanda,   paragrafo   239).
Indipendenza che richiede, tra l'altro, «l'equidistanza [del giudice]
dalle parti  della  controversia  e  dai  loro  rispettivi  interessi
riguardo all'oggetto di quest'ultima» (Corte di giustizia UE,  grande
sezione, sentenza 24 giugno  2019,  in  causa  C-619/18,  Commissione
europea contro Polonia, paragrafi 73 e 74). 
    Su   questo   sfondo,   il   mantenimento   della    tradizionale
giurisdizione domestica degli  organi  costituzionali  rispetto  alle
controversie concernenti i propri dipendenti e' stato considerato  da
questa  Corte  non  in  contrasto  con  la  Costituzione,  in  quanto
necessario per garantire la tutela dell'indipendenza dell'organo e il
libero ed efficiente esercizio delle sue funzioni costituzionali.  Il
che e', in effetti, predicabile rispetto a questa peculiare tipologia
di    controversie,     che     coinvolgono     persone     "interne"
all'amministrazione  dell'organo  costituzionale  (o   che   comunque
aspirano a diventarlo). Cio', peraltro, alla condizione - sulla quale
gia' ha posto l'accento la sentenza n. 262 del 2017 - che gli  organi
di giurisdizione interna «risult[i]no costituiti secondo regole volte
a garantire la loro indipendenza ed imparzialita'»  (punto  7.4.  del
Considerato  in  diritto),  nonche'  la  loro  stessa  apparenza   di
indipendenza e imparzialita' rispetto all'organo  costituzionale  nel
cui ambito hanno il compito di assicurare a ogni persona  una  tutela
giurisdizionale effettiva (Corte EDU, sezione  seconda,  sentenza  21
febbraio 2023, Catană contro Moldavia, paragrafo 77 e  giurisprudenza
ivi citata, nonche'  -  con  riferimento  specifico  agli  organi  di
autodichia del Presidente della Repubblica italiana - sezione  prima,
sentenza 23 settembre 2021, Varano contro Italia, paragrafo 43). 
    Estendere, tuttavia, tale deroga  oltre  la  sfera  dei  soggetti
"interni" (o aspiranti  tali)  agli  organi  costituzionali,  sino  a
comprendere le imprese che concorrano  per  aggiudicarsi  un  appalto
bandito   dagli   organi   stessi,   comporterebbe   un    sacrificio
sproporzionato al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, nel
senso ampio appena precisato, a carico di soggetti del tutto estranei
alla struttura organizzativa degli organi  costituzionali  stessi,  e
titolari come qualsiasi altro soggetto del  diritto  di  accedere  al
giudice  "naturale"  stabilito  dall'ordinamento,  sulla   base   dei
principi costituzionali. 
    Ne' vale in proposito obiettare, come fanno la Camera e il Senato
nelle rispettive difese, che  anche  i  servizi  oggetto  di  appalto
possono in concreto risultare essenziali per  il  buon  funzionamento
degli organi costituzionali, e  addirittura  per  lo  svolgimento  di
funzioni esse stesse di  immediata  rilevanza  costituzionale.  Ferma
restando,   infatti,   l'ovvia   possibilita'   per    le    relative
amministrazioni di provvedere a tali funzioni attraverso  il  proprio
personale (soggetto come  tale  alla  giurisdizione  domestica),  una
volta che l'organo costituzionale abbia, invece,  liberamente  scelto
di  avvalersi  di  persone   esterne   all'amministrazione   per   lo
svolgimento di determinati servizi, esso dovra' necessariamente anche
assumersi il relativo onere di tollerare i fisiologici  controlli  di
legittimita' da parte della giurisdizione amministrativa. E  cio'  in
doveroso omaggio alle contrapposte istanze di tutela, a loro volta di
immediato rilievo costituzionale, degli  interessi  legittimi  e  dei
diritti dei soggetti interessati. 
    4.4.- Quanto sin qui argomentato  non  esclude,  infine,  che  la
corrispondenza tra autonomia e autodichia degli organi costituzionali
debba essere intesa come mero criterio di massima, potendo gli organi
costituzionali  esercitare  poteri  di   autonormazione,   attraverso
appositi regolamenti, anche in ambiti - come l'affidamento di appalti
pubblici -  rispetto  ai  quali  non  spetti  loro  alcun  potere  di
autodichia. 
    Cio', in particolare,  con  riferimento  a  esigenze  di  rilievo
organizzativo,  in  relazione  alle  quali  non  sussistano   vincoli
discendenti  dal  diritto  dell'Unione   europea   o   dai   principi
costituzionali,  le  quali  possono  in  concreto   giustificare   la
sottoposizione  delle  procedure  in  parola  a  regole  piu'  snelle
rispetto  a  quelle  vigenti  per  la  generalita'  delle   pubbliche
amministrazioni, e comunque piu'  adeguate  alle  peculiarita'  delle
funzioni e del modus  operandi  del  singolo  organo  costituzionale.
Regole la cui interpretazione e applicazione restera' cosi'  affidata
alla stessa giurisdizione amministrativa. 
    Il che riflette, del resto, quanto  lo  stesso  legislatore  oggi
espressamente  riconosce  all'art.  224,   comma   7,   del   decreto
legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei  contratti  pubblici  in
attuazione dell'articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante
delega al Governo in materia  di  contratti  pubblici),  secondo  cui
«[g]li  organi  costituzionali  adeguano  i  propri  ordinamenti   ai
principi e criteri  di  cui  al  presente  codice  nell'ambito  della
propria  autonomia  organizzativa  e  delle   prerogative   ad   essi
costituzionalmente riconosciute» (ma gia', in senso  analogo,  l'art.
1, comma 7, della legge n. 11 del 2016). 
    4.5.- Da tutto quanto precede  discende  che  le  sentenze  della
Corte di cassazione e del Consiglio di Stato che hanno  dato  origine
al presente conflitto non hanno determinato una lesione  della  sfera
di  attribuzioni  della  Camera  dei  deputati  nel  riconoscere   la
giurisdizione  del  giudice  comune   (nella   specie,   il   giudice
amministrativo)  nella  controversia  da  cui  origina  il   presente
conflitto. 
    Il ricorso promosso dalla Camera  dei  deputati  deve,  pertanto,
essere rigettato. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara che spettava alla Corte di cassazione e al Consiglio  di
Stato  affermare,  con  le  sentenze   indicate   in   epigrafe,   la
giurisdizione del giudice comune nella controversia da cui origina il
presente conflitto. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2024. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2024 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA