N. 63 SENTENZA 1 - 10 giugno 1966
N. 63 SENTENZA 1 GIUGNO 1966 Deposito in cancelleria: 10 giugno 1966. Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 143 dell'11 giugno 1966. Pres. AMBROSINI - Rel. BRANCA Lavoro - Retribuzioni corrisposte a periodi non superiori o superiori al mese - Prescrizione quinquennale e presuntiva - Codice civile, artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1 - Consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro - Mancato esercizio del diritto per timore di licenziamento - Sostanziale equiparabilita' all'ipotesi di rinuncia di cui e' sancita l'invalidita' dell'art. 36 della Costituzione - Illegittimita' costituzionale parziale. Diritti soggettivi - Garanzia costituzionale - Non ne esclude l'estinzione per prescrizione. Diritti soggettivi - Diritto della personalita' - Imprescrittibilita' delle pretese in esso comprese - Pretese patrimoniali derivanti dalla lesione del diritto - Prescrittibilita' - Fattispecie - Diritto alla retribuzione "sufficiente" e diritto agli alimenti. Lavoro - Diritto alle prestazioni salariali - Costituzione, art. 36, ultimo comma - Non implica l'indisponibilita' e l'imprescrittibilita' del diritto - Asserito fondamento di questa negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione - Esclusione - Limite al regime della prescrizione desumibile dall'art. 36. Lavoro - Diritto alla retribuzione - Costituzione, art. 36 - Interpretazione - Non consente la decorrenza della prescrizione del diritto finche' permane il rapporto di lavoro - Giustificazione. Lavoro - Diritto alla retribuzione - Codice civile, art. 2948, n. 5 - Indennita' spettante per la cessazione del rapporto di lavoro - Preteso contrasto con gli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione - Insussistenza - Esclusione di illegittimita' costituzionale.(GU n.143 del 11-6-1966 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2948, nn. 4 e 5, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1964 dal Tribunale di Ancona nel procedimento civile vertente tra Giacchetta Evaristo e Boldrini Cesira ed altri, iscritta al n. 28 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 3 aprile 1965. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Giacchetta Evaristo; udita nell'udienza pubblica del 20 aprile 1966 la relazione del Giudice Giuseppe Branca; uditi l'avv. Giuseppe Di Stefano, per il Giacchetta, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto: 1. - In una causa promossa per rivendicazione salariali contro la signora Cesira Boldrini e altri, presso il Tribunale di Ancona, l'attore Evaristo Giacchetta sollevava eccezione di legittimita' costituzionale degli artt. 2948, nn. 4 e 5, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile in riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione. Il Tribunale, dubitando della compatibilita' della prescrizione, prevista in quegli articoli, con la natura del diritto alla retribuzione quale risulta dai principi costituzionali, accoglieva la eccezione proponendo questione di legittimita' costituzionale con ordinanza del 16 ottobre 1964. 2. - Il Giacchetta, costituitosi con atto depositato presso questa Corte il 15 marzo 1965, ricorda che la dottrina moderna considera il "diritto alla retribuzione sufficiente", garantito dall'art. 36 della Costituzione, come un diritto della personalita': se ne dovrebbe dedurre che per volonta' del costituente esso e' indisponibile, opponibile erga omnes e imprescrittibile e che quindi le norme denunciate, poiche' lo sottopongono a prescrizione "presuntiva o sostanziale", sono incostituzionali. La giurisprudenza della Corte costituzionale e quella della Cassazione avvalorerebbero questo rilievo poiche' hanno affermato la natura immediatamente precettiva dell'art. 36 della Costituzione e l'indisponibilita' di quel diritto intesa nel senso che le leggi ordinarie possano disciplinarne l'esercizio ma non possono sopprimerlo. Si tratterebbe in sostanza d'uno di quei diritti "dell'uomo" che l'art. 2 della Costituzione dichiara inviolabili e che dunque non possono mai "essere perduti". E' come disconoscere questa inviolabilita' - si chiarisce in una memoria depositata, fuori termine, l'8 aprile 1966 - ammettere con la Cassazione che il diritto al salario, una volta sorto e acquisito al patrimonio del lavoratore, sia soggetto a prescrizione: con cio' lo si rende di fatto violabile e disponibile vanificando la garanzia derivante dalla Costituzione come per ogni altro diritto sociale. Durante il rapporto di lavoro il lavoratore non e' in condizioni materiali di difendersi, mentre la prescrizione decorre regolarmente. Percio' il datore di lavoro, che ha retribuito con salario insufficiente il lavoratore, sfuggira' alla norma costituzionale per tutti quegli anni che sono coperti dalla prescrizione: cioe' le norme impugnate gli consentono - conclude il Giacchetta - di violare impunemente un diritto che invece, per la Costituzione, e' inviolabile. Le norme denunciate contrasterebbero infine con l'art. 3 della Costituzione: trattano diversamente il datore di lavoro dal lavoratore poiche' la "prestazione" del primo e' prescrittibile, mentre non lo e' materialmente quella del secondo; di piu' non consentono al lavoratore un'adeguata difesa contro la prescrizione presuntiva: se e' deceduto il datore di lavoro, si deferira' il giuramento all'erede, ma questi giurera' normalmente l'avvenuta estinzione del debito poiche', estraneo al rapporto di lavoro, non potra' essere incolpato di spergiuro. 3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenendo con atto depositato l'11 marzo 1965, osserva innanzi tutto che l'art. 3 della Costituzione non viene certamente violato da norme contenenti sulla prescrizione una disciplina uniforme per tutti i titolari d'un medesimo diritto. Rileva inoltre che l'art. 4 della Costituzione, garantendo il diritto al lavoro, costituisce un prius rispetto al rapporto di lavoro, di cui la retribuzione e' parte essenziale, e percio' non e' in questo caso adducibile. Quanto, infine, all'art. 36 della Costituzione, esso, esigendo una retribuzione giusta e sufficiente, non e' tale che il relativo diritto venga sottratto ai limiti, come quello della prescrizione (sentenza n. 57 del 1962 della Corte costituzionale), che sono normalmente propri di tutti i diritti. L'imprescrittibilita' d'alcuni di questi - prosegue l'Avvocatura dello Stato - deriva non da norme costituzionali, ma dalla loro stessa natura (diritti indisponibili) o dalla legge: cosa che non puo' dirsi del diritto alla retribuzione, la cui indisponibilita' non risulta ne' dalla sua speciale natura ne' dalle norme costituzionali ne' da quelle del Codice civile (se ne veda anzi l'art. 2113); del resto esso, secondo la memoria depositata dall'Avvocatura il 28 marzo 1966, non e' un diritto della personalita', poiche' non attribuisce uno status protetto erga omnes, e, se lo fosse, non sarebbe per cio' solo imprescrittibile: anche taluni diritti relativi allo status delle persone sono soggetti a prescrizione (artt. 117, 120, 121 ecc. del Codice civile). Quanto, poi, alla prescrizione presuntiva disciplinata nella seconda e nella terza delle tre norme impugnate (artt. 2955 e segg. del Codice civile), i suoi effetti possono essere evitati (oltreche' con l'"ammissione" dello stesso debitore) con la delazione del giuramento consentita dalla legge al creditore: diritto di cui non avrebbe tenuto conto il giudice a quo e che invece toglierebbe ogni rilevanza alla proposta questione di legittimita' costituzionale. Del resto - conclude l'Avvocatura dello Stato - se il debitore, a cui e' stato deferito il giuramento, giura il falso, egli puo' essere perseguito penalmente e civilmente (art. 2738 del Codice civile) anche oltre il termine della prescrizione presuntiva: con cio' sarebbe esclusa l'incostituzionalita' delle norme poiche' esse nell'insieme offrirebbero al creditore un'efficace tutela sulla cui intensita' non sarebbe ammissibile il sindacato della Corte costituzionale (citata sentenza n. 57 del 1962 della Corte costituzionale). 4. - Nella discussione orale si sono svolti i punti essenziali della controversia. Considerato in diritto: 1. - Sono stati denunciati gli artt. 2948, nn. 4 e 5, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile per contrasto con gli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione: la prescrizione quinquennale e quella presuntiva, previste per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori o superiori al mese, sarebbero incompatibili con la natura del diritto al salario qual'e' garantito dalla Costituzione. Presa nella sua assolutezza la denuncia non puo' essere accolta. Dato che la prescrizione e' modo generale d'estinzione dei diritti, la garanzia costituzionale d'un diritto non vieta, di per se', che esso si estingua per il decorso del tempo: la tutela costituzionale da' al diritto soggettivo una forza maggiore di quella che gli deriverebbe dalla legge ordinaria; ma non lo rende necessariamente perpetuo poiche', se alla base della prescrizione sta un'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, questa tocca di regola qualunque diritto, compresi quelli costituzionalmente garantiti. La parte privata nelle sue deduzioni si richiama a una dottrina che qualifica il diritto alla retribuzione "sufficiente" come diritto della personalita': ne deriverebbe che, alla pari di tutti questi diritti, esso sarebbe imprescrittibile; ma, accettata la premessa, non se ne puo' sottoscrivere la deduzione, una cosa essendo il diritto al salario, che secondo questa dottrina spetterebbe erga omnes, ed altra il diritto alle prestazioni salariali dovute periodicamente dal datore di lavoro: il diritto della personalita' e' imprescrittibile solo nel senso che le facolta', di cui si compone, potranno sempre esercitarsi per un lunghissimo periodo di tempo; non nel senso che anche le pretese patrimoniali, derivanti di volta in volta dalla lesione di quel diritto, possano farsi valere in perpetuo. Dissociazione, questa, che si produce anche in altri rapporti, come accade per il diritto agli alimenti, che e' imprescrittibile mentre si prescrivono in un quinquennio le singole annualita' delle prestazioni alimentari. 2. - Vero e' che nel nostro ordinamento non sono soggetti a prescrizione i diritti indisponibili (art. 2934 del Codice civile); ma l'indisponibilita' del diritto alle prestazioni salariali non e' sancita nell'art. 36 ne' si ricava da altre norme della Costituzione: ad esso il lavoratore non puo' rinunciare, come si desume a fortiori dall'ultimo comma dello stesso art. 36, che stabilisce l'irrinunciabilita' del diritto alle ferie e al riposo settimanale; ma l'irrinunciabilita', essendo concetto meno ampio dell'indisponibilita' richiamata dal Codice civile, non basta a rendere perpetuo un diritto soggettivo. Infine la denuncia contenuta nell'ordinanza di rinvio non trova conforto neanche nell'art. 4 della Costituzione, che garantisce il diritto al lavoro ma, alla pari dell'art. 3, non contiene precetti od insegnamenti sulla sorte delle singole prestazioni salariali; ne' lo trova nell'art. 2 poiche' l'inviolabilita' dei diritti dell'uomo non esclude che il tempo consumi le pretese di carattere patrimoniale ad essi collegati. 3. - Pero', se il diritto alle prestazioni salariali puo' prescriversi, non tutto il regime della prescrizione e' compatibile colla speciale garanzia che deriva dall'art. 36 della Costituzione. In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, cioe' del licenziamento, spinge o puo' spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti; dimodoche' la rinuncia, quando e' fatta durante quel rapporto, non puo' essere considerata una libera espressione di volonta' negoziale e la sua invalidita' e' sancita dall'art. 36 della Costituzione: lo stesso art. 2113 del Codice civile, che la giurisprudenza ha gia' inquadrato nei principi costituzionali, ammette l'annullamento della rinuncia proprio se questa e' intervenuta prima della cessazione del rapporto di lavoro o subito dopo. In sostanza si e' voluto proteggere il contraente piu' debole contro la sua propria debolezza di soggetto interessato alla conservazione del rapporto. Le norme impugnate, in verita', non si riferiscono al negozio di rinuncia; pero' consentono che la prescrizione prenda inizio dal momento in cui matura il diritto a ogni singola prestazione salariale: se si eccettua il n. 5 dell'art. 2948, il termine prescrizionale decorre fatalmente anche durante il rapporto di lavoro poiche' non vi sono ostacoli giuridici che impediscano di farvi valere il diritto al salario. Vi sono tuttavia ostacoli materiali, cioe' la situazione psicologica del lavoratore, che puo' essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte e' portato a rinunciarvi, cioe' per timore del licenziamento; cosicche' la prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio quell'effetto che l'art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia: anche quella che, in particolari situazioni, puo' essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione. Entro questi limiti la questione e' fondata: il precetto costituzionale, pur ammettendo la prescrizione del diritto al salario, non ne consente il decorso finche' permane quel rapporto di lavoro durante il quale essa maschera spesso una rinuncia.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la illegittimita' costituzionale degli artt. 2948 n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro; dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2948, n. 5, del Codice civile proposta, in riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione, con l'ordinanza citata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1966. GASPARE AMBROSINI - NICOLA JAEGER - GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI - COSTANTINO MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.