N. 32 SENTENZA 27 febbraio - 17 marzo 1969

                                  N. 32
                        SENTENZA 27 FEBBRAIO 1969
                 Deposito in cancelleria: 17 marzo 1969.
        Pubblicazione in "Gazz. Uff.le" n. 78 del 26 marzo 1969.
                     Pres. SANDULLI - Rel. DE MARCO
     Sicurezza pubblica - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 1 e 2 -
 Potere  del  questore  di diffidare persone che si presumono pericolose
 per la sicurezza e la pubblica moralita' - Discrezionalita' limitata  e
 rivolta  al conseguimento di fini per i quali la legge l'ha conferita -
 Violazione dell'art. 3 della Costituzione - Insussistenza -  Esclusione
 di illegittimita' costituzionale.
     Sicurezza pubblica - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 1 e 2 -
 Potere  del  questore  di diffidare persone che si presumono pericolose
 per la sicurezza e la pubblica moralita' - Elenco  delle  categorie  di
 persone che si presumono pericolose - Appartenenza ad esse del soggetto
 - Insufficienza - Apprezzamento ulteriore della pericolosita' specifica
 desumibile  dal  comportamento  - Accertamento di merito sindacabile in
 sede giurisdizionale.
     Sicurezza pubblica - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 1 e 2 -
 Potere del questore di diffidare persone che  si  presumono  pericolose
 per  la  sicurezza  e  la  pubblica  moralita'  -  Discrezionalita' non
 sconfinante in arbitrio -  Sindacabilita'  in  sede  giurisdizionale  -
 Violazione   dell'art.     13,  secondo  comma,  della  Costituzione  -
 Insussistenza - Esclusione di illegittimita' costituzionale.
(GU n.78 del 26-3-1969 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori:  Prof.  ALDO  SANDULLI,  Presidente  -  Prof.
 GIUSEPPE  BRANCA  - Prof.  MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
 Prof. GIUSEPPE CHIARELLI -  Dott.  GIUSEPPE  VERZI'  -  Dott.  GIOVANNI
 BATTISTA  BENEDETTI  -  Prof.  FRANCESCO  PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI
 OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv.  ERCOLE ROCCHETTI -  Prof.  ENZO
 CAPALOZZA  - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof.  VEZIO CRISAFULLI
 - Dott. NICOLA REALE, Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt.  1 e
 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle  misure  di  prevenzione
 nei  confronti  delle  persone  pericolose  per  la  sicurezza e per la
 pubblica moralita', promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 20 luglio 1967 dal pretore  di  Firenze  nel
 procedimento  penale a carico di Cecconi Romano, iscritta al n. 198 del
 Registro ordinanze 1967 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967;
     2)  ordinanze  emesse  il 1 febbraio 1968 dal pretore di Genova nei
 procedimenti penali rispettivamente a carico di Motta Mario e di Scioni
 Francesco, iscritte ai nn. 34  e  35  del  Registro  ordinanze  1968  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 102 del 20
 aprile 1968;
     3) ordinanza emessa il 13  febbraio  1968  dal  pretore  di  Sestri
 Ponente  nel procedimento penale a carico di Dell'Amico Bruna, iscritta
 al n. 51 del  Registro  ordinanze  1968  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968;
     4)  ordinanza  emessa  il  28 marzo 1968 dal pretore di Lentini nel
 procedimento penale a carico di Sambasile Cirino, iscritta  al  n.  135
 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968.
     Visto   l'atto   d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
     udita nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1969  la  relazione  del
 Giudice Angelo De Marco;
     udito  il  sostituto  avvocato generale dello Stato Cesare Soprano,
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con ordinanza 20 luglio  1967,  pronunziata  nel  procedimento
 penale a carico di Romano Cecconi, imputato del reato di cui all'art. 9
 della  legge  27  dicembre  1956,  n.  1423,  per  avere reiteratamente
 contravvenuto alla prescrizione - impostagli dal tribunale di  Firenze,
 quale   persona  sottoposta  a  sorveglianza  speciale  dalla  pubblica
 sicurezza - di non uscire di casa fra le ore  20  e  le  ore  7,30,  il
 pretore  di  Firenze sollevava questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1 e "di ogni  altra  conseguenziale  questione  sulla  stessa
 legge  (in  particolare  l'art.  9)"  in  relazione agli artt. 3, primo
 comma, e 13, secondo comma, della Costituzione.
     Piu' precisamente, il pretore rilevava che dalla  dizione  "possono
 essere  affidate  dal  questore..."  contenuta  nel  denunziato  art. 1
 risulta chiaramente che la diffida ed i conseguenziali provvedimenti da
 emanare, sia pure dal tribunale, in caso di inosservanza della  diffida
 stessa,  dipendono,  in sostanza, da un apprezzamento discrezionale del
 questore, per effetto del quale, soltanto alcune e non tutte le persone
 appartenenti alle categorie, tassativamente indicate nello stesso  art.
 1,  sarebbero  assoggettate alla misura nell'articolo stesso proveduta,
 con evidente violazione del principio di eguaglianza sancito  dall'art.
 3 della Costituzione.
     Non  solo,  ma,  dato  che  la diffida e' il presupposto necessario
 delle altre misure, comprese quelle la cui adozione  e'  devoluta  alla
 competenza   del   tribunale,   la   dichiarazione   di  illegittimita'
 costituzionale della diffida travolgerebbe tutte le norme della  stessa
 legge che la presuppongono.
     Di  qui  anche  la  violazione  dell'art.  13, secondo comma, della
 Costituzione, in quanto la restrizione della liberta' personale, per il
 fatto di dipendere dalla discrezionalita' del questore e' non  da  atto
 legislativo, violerebbe il principio della riserva di legge.
     La  rilevanza, poi, risulterebbe evidente dato che ove la questione
 fosse riconosciuta fondata verrebbe a  cadere  anche  l'art.  9,  nella
 violazione del quale consisterebbe il reato attribuito all'imputato.
     2.  -  Con  due distinte ordinanze, in data 1 febbraio 1968, emesse
 nei procedimenti penali a carico di Mario Motta e di Francesco  Scioni,
 entrambi imputati di contravvenzione all'art. 2 della legge 27 dicembre
 1956, n. 1423, rispettivamente, il primo per aver omesso di consegnare,
 nel  termine  prescritto,  alla  questura  di  Genova  il foglio di via
 obbligatorio rilasciatogli dal questore di Imperia, il secondo per  non
 aver  ottemperato  al  divieto  di  rientrare in Genova, impostogli dal
 questore di detta citta', il pretore di Genova sollevava  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre
 1956, n. 1423, in relazione agli artt. 3 e 13  della  Costituzione,  in
 quanto  sia  la formula usata dall'art. 1 "possono essere diffidati dal
 questore" sia quella usata dall'art. 2 "il questore puo'  rimandarvele"
 dimostrano  il  conferimento al questore del potere discrezionale tanto
 di impartire  la  diffida,  quanto  di  rilasciare  il  foglio  di  via
 obbligatorio,  potere  che si risolve in una scelta orientata da motivi
 di opportunita', scelta che puo' venire  a  creare  una  disparita'  di
 trattamento  nei  confronti  di persone che in eguale misura si trovano
 nelle condizioni previste dai citati artt. 1 e 2.
     3. - Con ordinanza 13 febbraio 1968, emessa nel procedimento penale
 a carico di Bruna Dell'Amico, imputata del  reato  di  cui  all'art.  2
 della  legge  n.  1423 del 1956, per non aver ottemperato all'esplicito
 divieto di rientrare in Genova, impostole dal questore di detta citta',
 il pretore di Sestri  Ponente,  sempre  sotto  il  profilo  del  potere
 discrezionale attribuito da tali norme al questore, sollevava questione
 di  legittimita' costituzionale degli artt.  1 e 2 della ripetuta legge
 del 1956, n. 1423, in relazione, peraltro, al solo art. 3, primo comma,
 della Costituzione.
     4. - Infine, con ordinanza 28 marzo 1968, emessa  nel  procedimento
 penale  a carico di Cirino Sambasile, imputato della contravvenzione di
 cui all'articolo  9  della  legge  n.  1423  del  1956,  per  non  aver
 ottemperato  agli  obblighi  impostigli  dal tribunale di Siracusa, con
 decreto 8  marzo  1966,  di  sottoposizione  a  sorveglianza  speciale,
 uscendo  nottetempo  e  senza  necessita'  dalla propria abitazione, il
 pretore di Lentini sollevava questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'articolo  1 della legge n.  1423 del 1956, in relazione agli artt.
 3, primo comma, e 13, secondo comma, della Costituzione,  sempre  sotto
 il profilo che il potere discrezionale accordato al questore dal citato
 articolo   1   potesse   dar  luogo  a  disparita'  di  eguaglianza  e,
 rispettivamente, fosse in contrasto con il principio della  riserva  di
 legge.
     Dopo  le  notificazioni,  comunicazioni  e pubblicazioni di legge i
 cinque  giudizi  venivano  fissati  per  la  trattazione   nell'udienza
 odierna.
     Nel solo giudizio di cui al n. 1 si e' costituito il Presidente del
 Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
 dello Stato.
     Sia con la memoria di costituzione sia con altra memoria depositata
 il  16  gennaio 1969, l'Avvocatura dello Stato deduce, in sostanza, che
 la sollevata questione  vorrebbe  trovar  fondamento  su  una  inesatta
 nozione  del  contenuto e dei limiti della discrezionalita' nel diritto
 amministrativo, la quale, lungi da  ogni  sorta  di  arbitrarieta',  va
 concepita    ed    esercitata   dall'autorita'   amministrativa   entro
 l'osservanza  di  precisi  e  molteplici  limiti,  la  cui   violazione
 determina  il  vizio  dell'eccesso  di  potere  sotto  i  profili della
 disparita'  di  trattamento  e  della  manifesta  ingiustizia.  Inoltre
 sottolinea  che la diffida esula dai provvedimenti di restrizione della
 liberta' personale che costituiscono il contenuto della  norma  di  cui
 all'art.  13  della  Costituzione,  e  chiede,  in  conseguenza, che la
 proposta questione di costituzionalita' venga dichiarata manifestamente
 infondata.
                         Considerato in diritto:
     1. - Anzitutto e' manifesta  l'opportunita'  di  riunire  i  cinque
 giudizi,   data  la  sostanziale  identita'  delle  questioni  in  essi
 proposte.
     2. - Comune a tutti i detti giudizi e' la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956,  n.  1423,  in
 riferimento   all'art.   3  della  Costituzione,  la  quale,  peraltro,
 nell'ordinanza 20 luglio 1967 del pretore  di  Firenze  viene  motivata
 piu'  ampiamente  che  nelle altre, ma sempre sotto il medesimo profilo
 che, come si e' esposto in narrativa, puo' essere cosi' riassunto:
     L'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423,  nel  primo  comma,
 dispone:  "Possono"  -  (e  non  devono o sono) - "essere diffidati dal
 questore". A questo comma  segue,  poi,  l'elenco  delle  categorie  di
 persone  che  si  presumono  pericolose  per la sicurezza e la pubblica
 moralita'.
     Pertanto, al questore verrebbe attribuito un  potere  discrezionale
 che  gli  permetterebbe  di  sottoporre  soltanto alcune e non tutte le
 persone contemplate dall'art. 1 alla  diffida,  presupposto  necessario
 per l'applicazione delle misure di prevenzione prevedute dai successivi
 articoli  della  legge, con una evidente disparita' di trattamento, che
 si risolve nella violazione del principio di eguaglianza.
     3. - La questione, nei medesimi termini, e'  gia'  stata  esaminata
 dalla Corte con riferimento peraltro alla identificazione delle persone
 che  possono essere comprese nelle categorie elencate nei numeri da 1 a
 5 dello stesso art.  1, ma e' stata dichiarata infondata  (sentenze  n.
 23 e n. 68 del 1964).
     Anche se la diversa prospettazione esclude che le questioni possano
 considerarsi   del  tutto  identiche,  cosicche'  non  e'  il  caso  di
 dichiarare  senz'altro,  con  ordinanza,  manifestamente  infondata  la
 questione  nei  presenti giudizi sollevata, non puo' sfuggire che vi e'
 una notevole analogia.
     Tanto chiarito si rileva:
     anzitutto  la  discrezionalita'   non   implica   arbitrio:   anche
 nell'esercizio  del potere discrezionale l'autorita' amministrativa non
 e' libera nelle sue determinazioni; comunque essa deve aver  sempre  di
 mira   il  conseguimento  dei  fini  ad  essa  assegnati,  e  non  puo'
 discostarsene, e deve operare ponderando adeguatamente e imparzialmente
 i diversi interessi, pubblici e privati, implicati nella fattispecie.
     Nel caso presente vi e' qualche cosa di piu', in quanto  nel  testo
 stesso dell'art. 1 impugnato, risulta chiaramente che anche il criterio
 e'   notevolmente   limitato,   dato   che   il   potere   si   risolve
 nell'accertamento di una specifica maggiore pericolosita'  di  persone,
 che gia', in potenza, sono da considerare pericolose per la sicurezza e
 per la pubblica moralita'.
     Riconosciuta, infatti (come risulta dalle citate sentenze di questa
 Corte)    la   legittimita'   costituzionale   del   provvedimento   di
 identificazione concreta di coloro che vanno compresi  nelle  categorie
 di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita', non
 si puo' disconoscere che tale elencazione e', bensi', tassativa, ma non
 anche vincolante, nel senso che il solo fatto di essere compresi in una
 di  quelle  categorie renda obbligatoria, nei confronti di tutti coloro
 che vi appartengono, l'adozione di misura di prevenzione.
     L'appartenenza a quelle categorie e' invero condizione  necessaria,
 ma  non  sufficiente  per  la  sottoposizione  a misure di prevenzione:
 perche' in concreto  tali  misure  possano  essere  adottate,  occorre,
 infatti,  anche  un  particolare  comportamento  che  dimostri  come la
 pericolosita' sia effettiva ed attuale e non meramente potenziale.
     L'accertamento di questa specifica pericolosita'  -  la  quale  tra
 l'altro realizza una differenza tra le persone comprese nelle categorie
 genericamente   ritenute  pericolose  -  si  raggiunge  necessariamente
 attraverso un apprezzamento di merito.
     Che, poi, come in sostanza e' stato ritenuto con le citate sentenze
 di  questa Corte, in ogni apprezzamento di merito, diretto ad accertare
 la sussistenza degli estremi per l'applicazione di una norma di  legge,
 vi  e'  sempre un certo margine affidato alla discrezionalita', non per
 questo, chiarita  quale  sia  la  natura  funzionale  dell'accertamento
 affidato  al  questore,  si puo' parlare di violazione del principio di
 eguaglianza, tanto  piu'  che  in  ogni  caso  l'esercizio  del  potere
 discrezionale   e'   soggetto   al  controllo  del  giudice,  il  quale
 sicuramente si estende alla irrazionalita',  alla  imparzialita',  alla
 parita' di trattamento.
     Si  deve,  quindi,  concludere  che  sotto  questo primo profilo la
 sollevata questione risulta infondata.
     4. - Per le stesse ragioni  deve  essere  dichiarata  infondata  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della stessa legge
 n.  1423  del  1956,  in  riferimento  all'art.  3  della Costituzione,
 sollevata con le due ordinanze, entrambe in data 1 febbraio  1968,  del
 pretore  di  Genova  e  con  ordinanza  13 febbraio 1968 del pretore di
 Sestri  Ponente,  sempre  sotto  il  profilo  che  la  discrezionalita'
 conferita  al  questore  con la dizione "Il questore puo' rimandarvele"
 sia suscettibile a creare una disparita' di trattamento  nei  confronti
 di  persone  che egualmente si trovino nelle condizioni da detto art. 2
 prevedute.
     5. - Comune a tutti i giudizi, tranne quello instaurato per effetto
 dell'ordinanza 13 febbraio 1968 del  pretore  di  Sestri  Ponente,  e',
 infine,  la  questione  di  illegittimita'  tanto  dell'art.  1  quanto
 dell'art. 2 della citata legge, in  riferimento  all'art.  13,  secondo
 comma, della Costituzione.
     Come si e' posto in rilievo in narrativa, tale questione poggia sul
 presupposto  della  arbitrarieta' dei poteri attribuiti al questore con
 le norme suddette.
     Poiche' questo presupposto, dato quanto precede, viene  a  mancare,
 anche  sotto  il  profilo  del  contrasto con l'art. 13, secondo comma,
 della Costituzione, la questione di legittimita' dei ripetuti artt. 1 e
 2 risulta infondata.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara non fondate:
     a) la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  1  della
 legge  27  dicembre  1956,  n.  1423,  sulle  misure di prevenzione nei
 confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per  la  pubblica
 moralita',  in  riferimento  agli  artt.  3  e 13, secondo comma, della
 Costituzione, sollevata con ordinanza 20 luglio  1967  del  pretore  di
 Firenze e con ordinanza 28 marzo 1968 del pretore di Lentini;
     b)  la  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2
 della legge suddetta, in riferimento agli artt. 3 e 13, secondo  comma,
 della  Costituzione,  sollevata  con  due distinte ordinanze, in data 1
 febbraio 1968, del pretore di Genova;
     c) la questione di legittimita' costituzionale degli artt.  1  e  2
 della  ripetuta  legge,  in  riferimento all'art. 3 della Costituzione,
 questione sollevata con ordinanza  13  febbraio  1968  del  pretore  di
 Sestri Ponente.
     Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte Costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1969.
                                   ALDO SANDULLI  -  GIUSEPPE  BRANCA  -
                                   MICHELE  FRAGALI - COSTANTINO MORTATI
                                   -  GIUSEPPE  CHIARELLI   -   GIUSEPPE
                                   VERZI'  - GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
                                   - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO  -  LUIGI
                                   OGGIONI  -  ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
                                   MICHELE TRIMARCHI - VEZIO  CRISAFULLI
                                   - NICOLA REALE.