N. 37 SENTENZA 13 - 21 marzo 1969

                                  N. 37
                         SENTENZA 13 MARZO 1969
                 Deposito in cancelleria: 21 marzo 1969.
        Pubblicazione in "Gazz. Uff.le" n. 78 del 26 marzo 1969.
                      Pres. SANDULLI - Rel. OGGIONI
     Giudizio  di legittimita' costituzionale in via incidentale - Legge
 impugnata - Questioni che la investono globalmente o solo  in  parte  -
 Ordine di esame - Priorita' delle prime.
     Contratti  agrari  -  Enfiteusi  -  Legge 22 luglio 1966, n.  607 -
 Preteso eccesso di potere legislativo  -  Limiti  del  sindacato  della
 Corte  costituzionale - Illegittimita' costituzionale dell'intero testo
 legislativo - Esclusione.   (Costituzione, art.  134;  legge  11  marzo
 1953, n. 87, art. 28).
     Contratti  agrari  -  Enfiteusi  -  Legge 22 luglio 1966, n.  607 -
 Pretesa violazione dei diritti inviolabili dell'uomo - Insussistenza  -
 Esclusione di illegittimita' costituzionale.
     Diritti   inviolabili   dell'uomo   -   Costituzione,   art.   2  -
 Interpretazione - Contenuto.
     Contratti agrari - Enfiteusi - Legge 22 luglio 1966, n.  607, artt.
 1 e 3 - Non si riferiscono alle  enfiteusi  urbane  ne'  a  quelle  "ad
 aedificandum"    -   Pretesa   uniformita'   normativa   per   rapporti
 differenziati dai rapporti enfiteutici tipici  -  Insussistenza  -  Non
 viola  il  principio  di  eguaglianza  -  Esclusione  di illegittimita'
 costituzionale. (Costituzione, art. 3).
     Contratti agrari - Enfiteusi - Legge 22 luglio 1966, n.  607, artt.
 2 e segg. - Procedimento di affrancazione -  Natura  giurisdizionale  -
 Pretesa  violazione  del diritto di difesa - Insussistenza - Esclusione
 di  illegittimita'  costituzionale.  (Costituzione,  art.  24,  secondo
 comma).
     Contratti  agrari - Enfiteusi - Legge 22 luglio 1966, n.  607, art.
 1 - Determinazione  del  canone  e  del  capitale  di  affrancazione  -
 Riferimento  al  reddito  dominicale  calcolato  a norma della legge 29
 giugno  1939,  n.  976  -  Violazione  dell'autonomia  contrattuale   -
 Esclusione.
     Contratti  agrari - Enfiteusi - Legge 22 luglio 1966, n.  607, art.
 1 - Determinazione  del  canone  e  del  capitale  di  affrancazione  -
 Riferimento  al  reddito  dominicale  calcolato  a norma della legge 29
 giugno 1939, n. 976 - Contratti stipulati prima dell'entrata in  vigore
 del  libro  della  proprieta'  del nuovo Codice civile - Violazione del
 diritto di proprieta' - Insussistenza -  Esclusione  di  illegittimita'
 costituzionale.
     Contratti  agrari - Enfiteusi - Contratti stipulati dopo la data di
 entrata in vigore del libro della proprieta' del nuovo Codice civile  -
 Sostanza  economica  -  Elementi nuovi che vi hanno influito - Legge 22
 luglio 1966, n. 607, art. 1 - Riferimento alla qualificazione catastale
 del 1939 ai fini della determinazione dei canoni annuali e del capitale
 di affrancazione - Induce  ingiustificate  sperequazioni  -  Violazione
 dell'art.   42   della  Costituzione  -  Illegittimita'  costituzionale
 parziale.
     Contratti agrari - Enfiteusi -  Affrancazione  -  Prevalenza  della
 devoluzione  nei  casi  previsti  dall'art.  972,  ultimo comma, Codice
 civile - Abrogazione per effetto dell'art.  8  della  legge  22  luglio
 1966,  n.  607  -  Preteso contrasto con l'art. 41 della Costituzione -
 Esclusione.
     Contratti agrari - Enfiteusi - Legge 22 luglio 1966, n.  607 - Art.
 15: decorrenza retroattiva dei nuovi canoni dall'annata agraria 1962-63
 - Esclusione dei casi in cui il versamento sia stato gia' effettuato  -
 Pretesa violazione del principio di eguaglianza - Esclusione.
     Contratti  agrari - Enfiteusi - Art. 15 della legge n. 607 del 1966
 - Retroattivita' - Preteso contrasto  con  l'art.  25,  secondo  comma,
 della   Costituzione   -   Sussistenza  di  un  principio  generale  di
 irretroattivita' delle leggi - Esclusione.
     Contratti agrari -  Enfiteusi  -  Revisione  decennale  dei  canoni
 istituita  con  l'art.  962 del Codice civile - Abrogazione per effetto
 dell'art. 18 della legge 22 luglio 1966, n. 607 - Preteso contrasto con
 l'art. 42, terzo comma, della Costituzione - Esclusione.
(GU n.78 del 26-3-1969 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori:  Prof.  ALDO  SANDULLI,  Presidente  -  Prof.
 GIUSEPPE  BRANCA  - Prof.  MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
 Prof. GIUSEPPE CHIARELLI -  Dott.  GIUSEPPE  VERZI'  -  Dott.  GIOVANNI
 BATTISTA  BENEDETTI  -  Prof.  FRANCESCO  PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI
 OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv.  ERCOLE ROCCHETTI -  Prof.  ENZO
 CAPALOZZA  -  Prof.  VINCENZO  MICHELE TRIMARCHI - Dott.  NICOLA REALE,
 Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale della  legge  22
 luglio  1966,  n.  607,  recante  "Norme  in  materia  di  enfiteusi  e
 prestazioni fondiarie perpetue", promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 15 dicembre 1966 dal pretore di Spoleto  nel
 procedimento  civile vertente tra Mantucci Domenico ed altri e la Mensa
 vescovile di Norcia, iscritta al n. 17 del Registro  ordinanze  1967  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 51 del 25
 febbraio 1967;
     2)  ordinanze  emesse  il  23  dicembre   1966   dal   pretore   di
 Civitacastellana  nei procedimenti civili vertenti tra Formini Vincenza
 ed altri e Paolucci Pietro, iscritte ai nn.  32, 33, 34, 35,  36  e  37
 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 77 del 25 marzo 1967;
     3)  ordinanza emessa il 9 febbraio 1967 dal pretore di Vitulano nei
 procedimenti  civili  riuniti  vertenti  tra  Borselleca  Salvatore   e
 Marcarelli  Cosimo  e  tra gli eredi di De Mezza Pietro e Sala Ermanno,
 iscritta al n. 65  del  Registro  ordinanze  1967  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967;
     4)  ordinanza emessa il 2 gennaio 1967 dal pretore di Benevento nel
 procedimento civile vertente tra Cardillo Amelia e  Latino  Claudio  ed
 altro, iscritta al n. 74 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 del 13 maggio 1967;
     5)  ordinanza  emessa  il  13  febbraio 1967 dal pretore di Lercara
 Friddi nel procedimento civile vertente tra Lucania  Salvatore  e  Lima
 Mancuso  Salvatore,  iscritta  al  n.  80 del Registro ordinanze 1967 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  132  del  27
 maggio 1967;
     6)  ordinanza  emessa  il  7  aprile 1967 dal pretore di Mazara del
 Vallo nel procedimento civile vertente  tra  Sala  Rosaria  e  Cusumano
 Leonarda  ed  altri,  iscritta  al  n. 95 del Registro ordinanze 1967 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  157  del  24
 giugno 1967;
     7)  ordinanze  emesse  il 5 aprile 1967 dal pretore di Velletri nel
 procedimento civile vertente tra Masella Nello e Cianfriglia  Adele  ed
 altri,  l'11  aprile  1967  dal  pretore  di  Guardia  Sanframondi  nel
 procedimento civile vertente tra Di  Paola  Filomena  e  Serrapochiello
 Agnese,  il  1  aprile  1967  dal pretore di Terracina nel procedimento
 civile vertente tra Del Monte Lorenzo ed altri e Bona Emma ed altri, il
 3 maggio  1967  dal  pretore  di  Bisacquino  nel  procedimento  civile
 vertente  tra Starrabba Gaetano e Di Giovanna Antonino, l'11 marzo 1967
 dal pretore di Sezze  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Spirito
 Salvatore  e  Bernetti  Maria  Felice  ed altri e il 20 maggio 1967 dal
 pretore di  Trapani  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Schifano
 Filippa  e  Scio Antonio, iscritte ai nn. 101, 104, 108, 110, 111 e 113
 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1967;
     8) ordinanze emesse il 20 maggio 1967 dal  pretore  di  Napoli  nel
 procedimento   civile  vertente  tra  Giordano  Francesca  e  Venturino
 Giuseppa ed altri e  il  6  maggio  1967  dal  pretore  di  Alatri  nei
 procedimenti  civili  riuniti vertenti tra Boccardi Ambrogio ed altri e
 l'Ospedale San Benedetto di Alatri ed altri, iscritte ai nn. 123 e  127
 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 190 del 29 luglio 1967;
     9)  ordinanze  emesse  il 20 e il 28 febbraio, 1 e 6 marzo 1967 dal
 pretore di Anagni nei procedimenti civili vertenti tra Castigli  Pio  e
 Ciangola  Amedeo  ed  altri,  Pellegrini  Teresa  e Di Fabio Adalberto,
 Morgia Salvatore e Apolloni Fernando, Giancone Amedeo e Ciangola Amedeo
 ed altri; il 18 maggio 1967 dal pretore di S. Stefano di  Camastra  nel
 procedimento  civile vertente tra Aragona Pignatelli Anna Maria e Buono
 Francesco ed altri; il 7  giugno  1967  dal  pretore  di  Pozzuoli  nel
 procedimento  civile  vertente  tra Pisano Biagio ed altri e Del Gaudio
 Luigi e il 1 giugno 1967 dal pretore di Paliano nei procedimenti civili
 riuniti vertenti tra Nori Pietro ed altri e D'Ottavi  Mario  ed  altri,
 iscritte  ai  nn.  131,  132,  133,  134,  137,  144 e 146 del Registro
 ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 n. 208 del 19 agosto 1967;
     10)  ordinanze emesse il 3 febbraio 1967 dal pretore di Palermo nel
 procedimento civile vertente tra Cipri' Stefano ed  altri  e  Imbornone
 Aurelio  ed  altri;  il  6  aprile  e  il 21 giugno 1967 dal pretore di
 Frosinone nei procedimenti civili vertenti tra Cestra Luigi ed altri  e
 Cestra  Alessandro  ed  altri e tra Capogna Orlando e Pietro e Galluzzi
 Genio; il 23 marzo 1967 dal pretore di Reggio Calabria nel procedimento
 civile vertente tra Maiolino Giacomo e Marciano' Giuseppe ed altri e il
 19 maggio  1967  dal  tribunale  di  Palermo  nel  procedimento  civile
 vertente tra Cacciatore Giuseppina ed altro e Pottino Gaetano, iscritte
 ai  nn.  148,  154,  155,  158  e  160  del  Registro  ordinanze 1967 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  221  del  2
 settembre 1967;
     11)  ordinanze  emesse  il  13  giugno  1967 e l'11 luglio 1967 dal
 pretore di Solopaca nei procedimenti  civili  vertenti  rispettivamente
 tra  Ciervo  Michele  e  Di  Mezza  Filomena e Maria Teresa e tra Volpe
 Antonio e Borruto Domenica; il 16 giugno 1967  dal  pretore  di  Albano
 Laziale  nel  procedimento civile vertente tra Puccini Torello ed altri
 ed il Capitolo della Basilica di San Giovanni in Laterano; il 18 luglio
 1967 dal  pretore  di  Bianco  nel  procedimento  civile  vertente  tra
 Strangio  Francesco  ed altri e la Prebenda parrocchiale di Santa Maria
 della Pieta' di San Luca, iscritte ai nn.  174,  175,  183  e  197  del
 Registro  ordinanze  1967  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 258 del 14 ottobre 1967;
     12) ordinanze emesse il 14 luglio 1967 dal pretore di  Isernia  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Rosselli  Michele  ed  altri  e la
 Parrocchia di San Michele Arcangelo di Monterodeni ed il 18 luglio 1967
 dal pretore di Torre Annunziata nel procedimento  civile  vertente  tra
 Matrone  Costantino  e  la  Parrocchia  di  Santa  Maria  del  Soccorso
 all'Arenella di  Napoli,  iscritte  ai  nn.  205  e  211  del  Registro
 ordinanze  1967  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 271 del 28 ottobre 1967;
     13) ordinanza emessa il 22 giugno 1967 dal tribunale  di  Agrigento
 nel  procedimento  civile vertente tra Urso Pasquale e Casa Giuseppe ed
 altri, iscritta al n. 224 del  Registro  ordinanze  1967  e  pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 282 dell' 11 novembre
 1967;
     14) ordinanze emesse il 5 luglio 1967  dal  pretore  di  Marano  di
 Napoli   nel   procedimento   civile  vertente  tra  l'Opera  nazionale
 combattenti e la Mensa vescovile di Aversa ed il  20  luglio  1967  dal
 pretore  di  Ramacca  nel  procedimento  civile  vertente  tra Cannizzo
 Gaetano e Oliveri Giuseppe ed altri, iscritte ai  nn.  228  e  233  del
 Registro  ordinanze  1967  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 295 del 25 novembre 1967;
     15) ordinanze emesse il 2 agosto 1967 dal pretore di Terracina  nel
 procedimento  civile  vertente  tra l'Opera nazionale combattenti ed il
 Comune di Terracina; il 30 giugno 1967 dal pretore di Ariano Irpino nel
 procedimento civile  vertente  tra  Schiavo  Giovanni  e  gli  Ospedali
 riuniti  di  Napoli e il 16 ottobre 1967 dal pretore di Genzano di Roma
 in tre procedimenti  civili  vertenti  tra  Bernardi  Regina,  Bernardi
 Isolina,  Savini  Filippo  ed  il  Capitolo  di San Pietro in Vaticano,
 iscritte a nn. 232, 236, 247, 248 e 249 del Registro ordinanze  1967  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n.   307 del 9
 dicembre 1967;
     16) ordinanze emesse il 7 ottobre 1967 dal  pretore  di  Erico  nel
 procedimento  civile vertente tra Virgilio Giovanni Battista ed altro e
 Catania Salvatore; il 3  maggio  1967  dal  tribunale  di  Trapani  nel
 procedimento  civile vertente tra Piazza Nicolo' ed altri e Sammaritano
 Salvatore ed  il  6  settembre  1967  dal  pretore  di  Bisacquino  nel
 procedimento  civile  vertente tra Starrabba Gaetano e Borzi' Giuseppe,
 iscritte ai nn. 252, 253 e 261 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 321 del 23 dicembre 1967;
     17) ordinanza emessa il 17 ottobre 1967 dal tribunale di  Mistretta
 nel  procedimento  civile  vertente tra Pignatelli Aragona Anna Maria e
 Maiorana Giuseppe ed altri, iscritta al n. 262 del  Registro  ordinanze
 1967  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del
 27 gennaio 1968;
     18) ordinanza emessa il 20 ottobre 1967 dal  tribunale  di  Palermo
 nel  procedimento  civile  vertente  tra  Severino  Filippo  e  Barbera
 Giovanna, iscritta al n. 277 del Registro ordinanze 1967  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968;
     19)  ordinanza  emessa  il  1  marzo 1968 dal pretore di Bojano nel
 procedimento civile vertente tra Di Iorio Costanza e Di Sisto  Luigi  e
 Carmine,  iscritta  al  n.  44 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 113 del 4 maggio 1968;
     20)  ordinanza  emessa  il  22 maggio 1968 dal pretore di Torre del
 Greco nel procedimento civile vertente tra Garzilli Francesco ed  altri
 e  la  Mensa  arcivescovile  di Napoli ed altro, iscritta al n. 117 del
 Registro ordinanze 1968 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;
     21)  ordinanza  emessa  il  22 luglio 1968 dalla Corte d'appello di
 Catania nel procedimento civile  vertente  tra  Impellizzeri  Lucia  ed
 altri  e  Saglimbene  Sebastiano,  iscritta  al  n.  187  del  Registro
 ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 n. 261 del 12 ottobre 1968.
     Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri e di costituzione della Mensa vescovile di Norcia, della Mensa
 arcivescovile di Napoli, di Paolucci Pietro,  Marcarelli  Cosimo,  Sala
 Ermanno, Lima Mancuso Salvatore, Starrabba Gaetano, Ciangola Amedeo, Di
 Fabio  Adalberto,  Apolloni  Fernardo,  Aragona  Pignatelli Anna Maria,
 Imbornone Aurelio ed altri, Cestra Vincenzo ed altri,  Galluzzi  Genio,
 Marciano'  Giuseppe e Giuseppa, Pottino Gaetano e Impellizzeri Lucia ed
 altri (concedenti) e dell'Opera nazionale  combattenti,  di  Borselleca
 Salvatore,  eredi  di  De  Mezza  Pietro,  Masella Nello, Piori Biagio,
 Ciancone Amedeo,  Nori  Pietro  ed  altri,  Cipri'  Stefano  ed  altri,
 Mastrantoni  Vincenzo,  Velecchia  Assunta, Mastracci Natale, Mastracci
 Umberto,  Casa  Giuseppe  ed  altri  e  Garzilli  Francesco  ed   altri
 (enfiteuti);
     udita  nell'udienza  pubblica  del 4 dicembre 1968 la relazione del
 Giudice Luigi Oggioni;
     uditi gli avvocati Salvatore  Orlando  Cascio,  Vincenzo  Panuccio,
 Riccardo  Leone,  Giuseppe  Todini, Giuseppe Abbamonte, Alberto Melito,
 Sebastiano Mastrobuono ed  Alfredo  Marziano,  per  i  concedenti,  gli
 avvocati  Pietro  Gasparri,  Alessandro  De  Feo,  Mario  Diana,  Guido
 Trapani, Antonio Ptzolu, Corrado Noulian, Achille Prinzivalli e Rosario
 Mazzone, per gli enfiteuti, e  il  sostituto  avvocato  generale  dello
 Stato Francesco Agro', per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Con  legge  22 luglio 1906, n. 607, furono stabilite nuove norme in
 materia di enfiteusi  e  prestazioni  fondiarie  perpetue,  rapporti  e
 miglioria  e  contratti  agrari  atipici  con  prevalenti  elementi del
 rapporto enfiteutico, norme con le quali, tra l'altro, si fissarono  le
 misure  massime  dei  canoni  ragguagliate  all'ammontare  del  reddito
 dominicale del fondo relativo, determinato ai sensi del D.L.  4  aprile
 1939, n. 589, e moltiplicato per 12 giusta il decreto 12 maggio 1947, e
 si  stabili'  il  prezzo  di affrancazione in una somma pari a quindici
 volte il canone annuo cosi' determinato. Si istitui' anche una speciale
 procedura  che  prevede  una  fase  iniziale  nella  quale  il  pretore
 competente, su domanda dell'affrancante e dietro esibizione anche di un
 semplice   atto   di   notorieta'   a   comprova  dell'esistenza  della
 prestazione, determina il capitale di affranco e, previo il deposito di
 questo capitale, dispone, con ordinanza non revocabile e da trascrivere
 a cura della cancelleria, l'affrancazione del fondo con la  conseguenza
 dell'estinzione   dell'enfiteusi  o  della  prestazione  fondiaria  nei
 confronti di  chiunque,  limitandosi  a  dare  atto  sommariamente  nel
 provvedimento delle osservazioni, delle riserve e delle eccezioni delle
 parti.  Entro tre mesi dalla notifica dell'ordinanza e' ammesso ricorso
 degli interessati alla sezione speciale  per  i  contratti  agrari  del
 tribunale  per  la  contestazione del diritto all'affrancazione, per la
 riduzione o l'integrazione del capitale d'affranco e per l'attribuzione
 dell'intera somma o di parte di essa.
     Con  un  folto  gruppo  di  ordinanze  sono  state sollevate in via
 incidentale, nel corso  di  procedimenti  civili,  varie  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  della  detta  legge,  sia  nel  suo testo
 intero, sia in singole disposizioni.
     Si e' anzitutto lamentato che la  legge  stessa  sarebbe,  nel  suo
 complesso,  viziata da eccesso di potere perche', pur senza affermarlo,
 mirerebbe  tuttavia  praticamente,  ed  in  contrasto  con  l'indirizzo
 legislativo  precedente,  alla soppressione degli istituti contemplati,
 stabilendo condizioni di affrancazioni inique a danno dei concedenti, e
 si porrebbe altresi' in contrasto con quei fini di utilita' sociale che
 gli istituti stessi potrebbero seguitare a svolgere.
     L'art. 1 della legge, poi, stabilendo il limite massimo dei  canoni
 e  delle  prestazioni  perpetue  si porrebbe anzitutto in contrasto con
 l'art.  2  della  Costituzione  perche',  sovrapponendosi  alla  libera
 volonta'  delle  parti,  finirebbe  col vulnerare i diritti inviolabili
 dell'uomo.  Inoltre la disposizione in esame sarebbe in  contrasto  col
 principio  di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione perche',
 dovendosi applicare ai canoni enfiteutici perpetui o temporanei ed alle
 prestazioni fondiarie perpetue,  finirebbe  col  sottoporre  ad  eguale
 disciplina  situazioni  diverse. E tale vizio si paleserebbe ancor piu'
 evidente in relazione alla disparita' di trattamento che  la  norma  in
 parola   sanzionerebbe  in  genere  a  favore  degli  enfiteuti,  e  in
 particolare  nel  caso  delle  enfiteusi  urbane,  per  gli   squilibri
 collegati agli enormi aumenti di valore delle aree fabbricabili.
     La  nuova  disciplina, poi, sarebbe specificamente lesiva sia della
 liberta' di iniziativa economica privata garantita dall'art.  41  della
 Costituzione,  perche'  si  sovrapporrebbe con effetto retroattivo alle
 pattuizioni liberamente stipulate  dalle  parti,  sia  del  diritto  di
 proprieta'  privata,  garantito  dall'art.  42,  secondo  comma,  della
 Costituzione,   perche'   rappresenterebbe   una   vera    e    propria
 espropriazione,  senza  il  concorso di motivi di interesse generale, e
 dietro corresponsione di un indennizzo irrisorio, essendo  ragguagliato
 al reddito dominicale come sopra determinato e cioe', concretamente, ad
 una  somma  grandemente  inferiore  a  quella risultante dal precedente
 sistema.
     Censure di illegittimita', per contrasto con la garanzia di  difesa
 di   cui  all'art.  24  Cost.,  sono  state  poi  sollevate  contro  il
 procedimento  previsto  dalla  legge  per   ottenere   l'ordinanza   di
 affrancazione del pretore.
     Invero, escludendo l'esame delle eventuali deduzioni dei concedenti
 in quella sede, e trasferendolo nella fase successiva, che si svolge su
 ricorso   dell'interessato   avanti   alla  sezione  specializzata  del
 tribunale,  la  nuova   procedura   inciderebbe   sul   principio   del
 contraddittorio   e   invertirebbe  l'onere  della  prova,  attribuendo
 peraltro all'ordinanza  emessa  dal  pretore  efficacia  immediatamente
 abolitiva del diritto del concedente.
     La  procedura  in  esame e' stata anche censurata per contrasto col
 principio di eguaglianza, in quanto si risolverebbe in un vantaggio per
 l'enfiteuta, che  vedrebbe  prese  in  considerazione  le  sue  istanze
 immediatamente,  a  differenza del concedente, che potrebbe azionare il
 proprio diritto solo nell'ulteriore corso  del  giudizio;  nonche'  per
 contrasto  con  gli  artt.  111  Cost., concretantesi in relazione alla
 pretesa inoppugnabilita' dell'ordinanza di affrancazione, e  113  Cost.
 per  la pretesa esclusione della garanzia di tutela giurisdizionale dei
 diritti.
     La prevalenza dell'affrancazione sulla  devoluzione  sancita  dagli
 artt.  8  e  9  della  legge  poi,  secondo  alcune ordinanze, dovrebbe
 interpretarsi come una sostanziale espropriazione, anche  sotto  questo
 aspetto  disposta  in  contrasto  con  gli  interessi  generali, mentre
 dovrebbe altresi' ravvisarsi, nelle limitazioni che con cio' verrebbero
 apportate ai diritti quesiti dei concedenti, un contrasto non solo  con
 l'art.  41  Cost. ma anche con gli artt. 3 e 24, per la denegata difesa
 che la suddetta indiscriminata prevalenza comporterebbe a danno  sempre
 dei concedenti.
     L'art.  13  della  legge,  che  estende espressamente la disciplina
 degli articoli precedenti agli altri rapporti a miglioria e agli  altri
 rapporti  atipici con prevalenza degli elementi dell'enfiteusi, sarebbe
 particolarmente in  contrasto  col  principio  di  eguaglianza  perche'
 unificherebbe  irrazionalmente  sotto  una eguale disciplina situazioni
 sostanzialmente diverse.
     L'art. 15,  connesso  con  l'art.  1,  sarebbe  suscettibile  delle
 medesime  censure  e,  inoltre,  violerebbe il principio di eguaglianza
 anche  perche',  disponendo  che  i  nuovi  canoni   sono   applicabili
 dall'annata   agraria  1962-1963  salvo  i  casi  in  cui  il  relativo
 versamento sia gia' stato effettuato, concreterebbe una discriminazione
 collegata  ad  un  elemento  di  fatto  puramente   casuale   e   cioe'
 all'avvenuto pagamento o meno del canone.
     Infine anche l'art. 18 concernente l'abolizione della rivedibilita'
 periodica  del  canone,  in  quanto  connesso  con  gli  artt.  1 e 15,
 contrasterebbe per le stesse ragioni con l'art. 3 Cost.  ed  attuerebbe
 una  inammissibile  limitazione  della liberta' di iniziativa economica
 privata, contrastante con l'art. 41 Cost.
     I profili di illegittimita' teste' delineati, sono stati ampiamente
 sviluppati nelle difese di quei concedenti che  si  sono  costituiti  e
 precisamente  dalla  Mensa  vescovile di Norcia, rappresentata e difesa
 dall'avv. Giorgio Fermanelli nel giudizio promosso  con  ordinanza  del
 pretore   di   Spoleto  del  15  dicembre  1966;  da  Paolucci  Pietro,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Giuseppe  Zappala',  nel  giudizio
 promosso  con ordinanze del pretore di Civitacastellana del 23 dicembre
 1966; da Imbornoni Aurelio, rappresentato e difeso dall'avv.  Salvatore
 Orlando  Cascio  nel  giudizio  promosso  con  ordinanza del pretore di
 Palermo del 3 febbraio 1967;  da  Marcarelli  Amelia  e  Sala  Ermanno,
 rappresentati  e  difesi  dall'avv.  prof.  Luigi  Cariota Ferrara, nel
 giudizio promosso con ordinanza del pretore di Vitulano del 9  febbraio
 1967;  da Lima Mancuso Salvatore, rappresentato e difeso dagli avvocati
 prof.  Salvatore Orlando Cascio e Giuseppe Lopes, nel giudizio promosso
 con ordinanza del pretore di Lercara Friddi del 13 febbraio 1967; da Di
 Fabio  Adalberto  e  Ciangola  Amedeo,  rappresentati  e  difesi  dagli
 avvocati  prof.    Giuseppe  Abbamonte,  Virgilio  Andrioli,  Salvatore
 Orlando Cascio e Giuseppe Todini, e da Apolloni Fernando, rappresentato
 e difeso dall'avv. Alberto Melito, nel giudizio  promosso  con  quattro
 ordinanze  del pretore di Anagni del 20 e 28 febbraio, dell'1 e 6 marzo
 1967; da Marciano' Giuseppe ed  altri,  rappresentati  e  difesi  dagli
 avvocati  prof.  Salvatore  Orlando  Cascio  e  Vincenzo  Panuccio, nel
 giudizio promosso con ordinanza del pretore di Reggio Calabria  del  23
 marzo  1967;  da Cestra Vincenzo ed altri, rappresentati e difesi dagli
 avvocati Giuseppe Abbamonte, Salvatore Orlando Cascio, Giuseppe  Todini
 e Virgilio Andrioli, nel giudizio promosso con ordinanza del pretore di
 Frosinone  del  6  aprile  1967;  da Starrabba Gaetano, rappresentato e
 difeso dall'avv. Salvatore Orlando Cascio e dall'avv.  Giuseppe  Lopes,
 nel  giudizio  promosso  con  ordinanza del pretore di Bisacquino del 3
 maggio 1967; da Aragona Pignatelli Anna Maria, rappresentata  e  difesa
 dall'avv.  Giovanni  Orgera,  nel  giudizio  promosso con ordinanza del
 pretore di S. Stefano di  Camastra  del  18  maggio  1967;  da  Pottino
 Gaetano,  rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Leone, nel giudizio
 promosso con ordinanza del tribunale di Palermo del 19 maggio 1967;  da
 Galluzzi   Genio,   rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  Giuseppe
 Abbamonte,  Salvatore  Orlando  Cascio,  Giuseppe  Todini  e   Virgilio
 Andrioli,  nel giudizio promosso con ordinanza del pretore di Frosinone
 del 21 giugno 1967.
     Particolarmente si e' riaffermato l'assunto  vizio  di  eccesso  di
 potere  legislativo,  ravvisando  una  palese difformita' tra gli scopi
 apparenti della  legge,  relativi  al  conseguimento  di  una  maggiore
 equita'  nei  rapporti  agrari,  e  quelli  che  in  realta' verrebbero
 conseguiti facilitando di fatto la speculazione edilizia  e  procurando
 vantaggi  a  favore di enfiteuti grandi imprenditori e dando luogo alla
 inevitabile conseguenza  di  una  prevedibile  eliminazione  dal  mondo
 giuridico dell'istituto dell'enfiteusi.
     La  violazione del principio di eguaglianza si porrebbe in evidenza
 in particolare, tra l'altro, per l'attribuzione al colono miglioratario
 della proprieta' del fondo alle stesse  condizioni  dell'enfiteuta,  il
 quale  acquisterebbe  il  diritto  ad  un prezzo maggiore di quanto non
 faccia il primo e per la varieta' stessa delle convenzioni che regolano
 le colonie miglioratarie, che si differenzierebbero per la misura e  il
 tipo  dei canoni, e per la durata e la natura dei diritti del colono. A
 proposito della censura  in  esame  si  e'  fatto  anche  ripetutamente
 richiamo  alla sentenza n. 30 del 1966 della Corte, che ha riconosciuto
 la particolare natura dei rapporti a miglioria e la loro peculiarita' e
 varieta' per quanto riguarda apporto economico  dei  concedenti  e  dei
 coloni.
     La  violazione  della  liberta'  di  iniziativa  economica  privata
 garantita dall'art. 41 Cost. si renderebbe altresi'  manifesta  per  la
 mancanza  nella  legge  di  qualsiasi  programma  o indirizzo economico
 generale, nel qual caso soltanto sarebbero ammissibili  le  limitazioni
 disposte dalla legge impugnata.
     Sotto  un  profilo  opposto,  si  sostiene  dalla  difesa di alcuni
 concedenti, giungendo tuttavia ad analoga conclusione, che la legge  in
 esame  sarebbe  l'ultima  di  una  serie (15 settembre 1964, n. 756; 26
 maggio 1965, n. 590; 25 febbraio 1963, n. 327; 22 luglio 1966, n.  607)
 tutte tendenti a limitare la liberta' di iniziativa economica sul campo
 dei  rapporti  agrari. Si tratterebbe quindi di una legge facente parte
 di un vero e proprio programma economico, ma in difetto  di  quei  fini
 sociali  cui  a  norma  dell'art.  41,  terzo  comma,  leggi del genere
 dovrebbero tendere. E si dovrebbe ravvisare altresi' una violazione del
 diritto di proprieta' garantito dall'art. 42 Cost., nella  compressione
 della   liberta'   contrattuale,   che   del   diritto  stesso  sarebbe
 espressione.
     Nei riguardi dello speciale procedimento statuito nella  legge  per
 l'affrancazione si e' osservato, fra l'altro, che l'affrancante sarebbe
 abilitato,  in  virtu'  della ordinanza pretorile, ad alienare il fondo
 anche prima della eventuale pronuncia della sezione  specializzata  del
 tribunale di cui all'art. 5 della legge impugnata.
     Aspetti  particolarmente  anomali  della procedura stessa sarebbero
 poi costituiti dalla esiguita' del termine di tre mesi concesso per  la
 detta  contestazione,  che  sarebbe comunque di gran lunga inferiore ai
 termini della prescrizione ordinaria che condizionano in  via  generale
 l'esercizio  dell'azione;  dal  valore  non  recuperatorio ma meramente
 risarcitorio dell'eventuale contestazione del diritto dell'enfiteuta, e
 dalla presunzione assoluta di fondatezza della pretesa del  colono  che
 la legge avrebbe sanzionato.
     Sono  stati  altresi'  prospettati taluni aspetti di illegittimita'
 costituzionale non compresi nelle ordinanze di rinvio di  cui  sopra  e
 precisamente  si e' sostenuta la violazione degli artt. 2, 4 e 35 della
 Costituzione per il contrasto che la nuova disciplina comporterebbe con
 la funzione sociale del lavoro che  ogni  cittadino  ha  il  dovere  di
 svolgere  e  con  la  esigenza  volta ad assicurare la proprieta' della
 terra a chi la lavora.
     Si e' altresi' sostenuta ,tra l'altro, la  violazione  degli  artt.
 25, 46 e 47 della Costituzione con riferimento al principio del giudice
 naturale ed a quello della tutela del risparmio.
     L'Avvocatura  dello  Stato,  nei  giudizi  in cui si e' costituita,
 osserva, quanto all'assunto vizio di eccesso di potere legislativo, che
 trattasi di  critiche  mosse  dalla  legge  contrastante  col  criterio
 essenzialmente  discrezionale ed incensurabile del Parlamento. Obbietta
 poi la non pertinenza del richiamo all'art. 2 della  Costituzione,  che
 riguarderebbe  i  diritti  della  persona umana in quanto tali, e non i
 diritti di natura esclusivamente economica come quelli  in  esame.  Per
 negare poi la sussistenza delle violazioni del principio di eguaglianza
 dedotte,  con  riferimento  alla differenza di trattamento che la legge
 farebbe fra l'enfiteuta ed il concedente, l'Avvocatura riafferma che la
 disciplina  in  esame  sarebbe  il  risultato   di   un   apprezzamento
 discrezionale  del  legislatore  sulla essenziale diversita' delle loro
 situazioni,  come  tale  incensurabile  in  questa  sede,  e   comunque
 rifletterebbe  una regolamentazione applicabile per tutti i destinatari
 in modo eguale.
     Per quanto concerne la violazione dello stesso principio dedotta in
 relazione alla uniformita' di trattamento che,  in  forza  della  legge
 impugnata,  verrebbe  ad  applicarsi  a  rapporti  giuridici di diversa
 natura, osserva che l'assimilazione delle  colonie  miglioratarie  alle
 enfiteusi  trarrebbe  origini  dall'art. 1 della legge n. 327 del 1963,
 che a certe condizioni aveva dichiarato perpetui i rapporti  stessi  in
 uso  nel Lazio, estendendo ad essi le norme contenute nel titolo IV del
 libro terzo del codice civile, e nella legge 11 giugno  1925,  n.  998,
 sulle  affrancazioni  dei  canoni, censi ed altre prestazioni perpetue.
 Pertanto,   coerentemente    il    legislatore    avrebbe    dichiarato
 l'applicabilita'  della nuova disciplina ai rapporti stessi, tanto piu'
 che dalla citata sentenza n. 30 del 1966 della  Corte,  la  quale,  pur
 pronunciando  l'illegittimita'  parziale  della detta legge, ha escluso
 dalla pronunzia  l'art.  1  suddetto,  dovrebbe  desumersi  che  si  e'
 riconosciuto  al  legislatore  il  potere  di  dettare  una  disciplina
 unitaria dei rapporti in esame.
     Quanto  alla  censura  concernente  la  pretesa  violazione   della
 liberta'  di iniziativa economica, anche sotto il profilo della mancata
 rispondenza della legge ad interessi sociali, l'Avvocatura  rileva  che
 la  nuova disciplina non muterebbe la struttura giuridica dell'istituto
 enfiteutico,   che   gia'   prevedeva   il  diritto  di  affrancazione,
 limitandosi   a   diminuire   l'onere   economico   dell'enfiteuta   in
 considerazione   del   suo   preponderante   apporto  di  lavoro  e  di
 investimento di capitali, ed opererebbe con cio'  una  valutazione  dei
 fini sociali perseguiti di natura essenzialmente politica ed ovviamente
 incensurabile in questa sede.
     In   relazione   poi  all'assunta  violazione  dell'art.  42  Cost.
 l'Avvocatura rileva che la legge, mediante la  riduzione  della  misura
 dei  canoni  e  dei capitali di affranco, tenderebbe alla attuazione di
 una maggiore giustizia a favore dell'enfiteuta, effettivamente presente
 sulla terra, a differenza del concedente, ed in conformita' quindi  coi
 principi  della  funzione  della  proprieta' di cui alla invocata norma
 costituzionale, nonche'  della  instaurazione  di  piu'  equi  rapporti
 sociali, del razionale sfruttamento del suolo e dell'aiuto alla piccola
 e  media  proprieta' di cui all'art. 44 Cost., anche qui attraverso una
 valutazione comunque riservata all'ambito  della  discrezionalita'  del
 legislatore.   D'altra parte l'enfiteuta sarebbe titolare di un diritto
 reale sul  fondo  mentre  il  concedente  godrebbe  di  un  diritto  di
 proprieta'  molto  limitato,  situazione  questa che gia' si rifletteva
 sulla disciplina  dell'affrancazione  dettata  dal  codice  civile  con
 indubbio  favore  di questa rispetto alla devoluzione al concedente. La
 nuova disciplina, in altri termini, non inciderebbe sostanzialmente sul
 diritto di godimento del concedente dato che nel  rapporto  enfiteutico
 e'  insita  la  facolta'  di  affrancazione.  Accanto  a  tali rilievi,
 l'Avvocatura precisa che, comunque,  nella  specie,  tratterebbesi  non
 gia'  di  espropriazione,  bensi'  di  regolamentazione  di un rapporto
 sinallagmatico, ed in proposito richiama la sentenza  n.  46  del  1959
 della  Corte  costituzionale  con  la  quale  si  e'  affermato  che la
 riduzione dei canoni livellari veneti disposta con  legge  15  febbraio
 1958,  n. 74, non costituiva privazione senza corrispettivo dei diritti
 di una categoria di cittadini a favore  di  un'altra  ma  rappresentava
 solo riduzione ad equita' della misura dei canoni. Inoltre l'Avvocatura
 obbietta che, in ogni caso, il prezzo di affrancazione rappresenterebbe
 il  corrispettivo  di  una  prestazione periodica, e non gia' del fondo
 concesso in enfiteusi, onde sarebbero arbitrari i riferimenti al valore
 di quest'ultimo per inferire la sussistenza di un'espropriazione  senza
 equo indennizzo.
     Passando   a   ribattere   le   censure  mosse  alla  procedura  di
 affrancazione prevista dalla legge impugnata, sostiene  che  (anche  se
 dovesse   aderirsi   alla   tesi  secondo  cui,  perche'  si  verifichi
 l'affrancazione, occorre il consenso del concedente o, in difetto,  una
 sentenza  di  natura costitutiva, e non invece all'opinione che ravvisa
 nel diritto di  affrancazione  dell'enfiteuta  un  diritto  potestativo
 sostanziale,  al  cui  esercizio  male  si adatterebbero le forme della
 giurisdizione contenziosa) tratterebbesi nella specie pur sempre di  un
 procedimento  sommario  che non si porrebbe in contrasto con i principi
 dell'art. 24 Cost.   Invero,  dopo  il  provvedimento  pretorile,  puo'
 instaurarsi  un regolare procedimento innanzi alla sezione speciale del
 tribunale, che garantirebbe lo svolgersi di un diritto  di  difesa  nei
 modi  ordinari.  In  proposito l'Avvocatura pone in particolare rilievo
 una  presunta  analogia  tra   l'efficacia   attribuita   dalla   legge
 all'ordinanza  pretorile  di affrancazione e l'esecutivita' del decreto
 penale  di  condanna  non  opposto,  che  tale  diviene   non   perche'
 l'ordinamento  dia valore ad una pronuncia giurisdizionale emessa senza
 le dovute garanzie di difesa, ma perche' la parte, non opponendosi alla
 condanna,  dimostra  di  non  aver  motivi  da  far  valere  contro  il
 provvedimento,  cosi'  come avrebbe appunto chiarito la sentenza n. 170
 del 1963 della Corte costituzionale che ha escluso il contrasto fra  il
 procedimento  per  decreto  e  l'art. 24 Cost. D'altra parte, soggiunge
 l'Avvocatura, se l'ordinanza pretorile di affrancazione va  trascritta,
 altrettanto  deve  dirsi pero' per la eventuale sentenza difforme della
 sezione del tribunale che si pronunci  sul  diritto  all'affrancazione,
 per cui non sarebbe ragionevole il timore che l'ordinanza possa attuare
 un fatto compiuto irreversibile.
     Nel contestare poi le censure sollevate contro l'art. 8 della legge
 l'Avvocatura  precisa  che  l'abrogazione ivi prevista limiterebbe solo
 parzialmente i diritti  del  concedente,  investendo  solo  un  aspetto
 marginale  del diritto del proprietario alla devoluzione che, nella sua
 essenza, resterebbe pur  sempre  garantito,  salvo  il  rispetto  della
 esigenza  di  eliminare  la  prevalenza della domanda di devoluzione su
 quella di affrancazione, avvertita dal  legislatore  a  seguito  di  un
 apprezzamento discrezionale, incensurabile in questa sede.
     Infondata sarebbe infine la censura sollevata in relazione all'art.
 111  Cost.,  giacche'  tale  precetto,  col  termine  di  sentenza,  si
 riferisce a tutti i provvedimenti a contenuto decisorio contro i  quali
 pertanto,  anche  se aventi forma di ordinanza, e' sempre consentito il
 ricorso in Cassazione.
     Si sono costituiti anche alcuni  enfiteuti  e  precisamente  Cipri'
 Stefano e altri, rappresentati e difesi dall'avv.  Achille Prinzivalli,
 nel  giudizio  promosso  con  ordinanza  del  pretore  di Palermo del 3
 febbraio 1967; De Mezza Angelo e Borselleca Salvatore, rappresentati  e
 difesi  dall'avv.  Antonio Putzolu, nel giudizio promosso con ordinanza
 del  pretore  di  Vitulano  del  9  febbraio  1967;  Ciancone   Amedeo,
 rappresentato e difeso dall'avv. Mario Diana, nel giudizio promosso con
 ordinanza  del  pretore  di  Anagni  del  6  marzo 1967; Masella Nello,
 rappresentato e difeso dall'avv. Corrado Noulian, nel giudizio promosso
 con ordinanza del pretore di Velletri del 5 aprile  1967;  Mastrantonio
 Vincenzo  e  altri,  rappresentati  e difesi dall'avv. Mario Diana, non
 che' Pomente Maria, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro De Feo,
 nel giudizio promosso con ordinanza del  pretore  di  Frosinone  del  6
 aprile  1967;  Piori  Biagio,  rappresentato  e  difeso dall'avv. Mario
 Diana, nel giudizio promosso con ordinanza del pretore di Alatri del  6
 maggio  1967;  Non  Pietro  ed  altri, rappresentati e difesi dall'avv.
 Mario Diana, nel giudizio promosso con ordinanza del pretore di Paliano
 del 1 giugno 1967.
     Le  rispettive  difese  hanno  ampiamente  svolto  le  ragioni  che
 militerebbero a favore della conservazione della disciplina dettata con
 la legge impugnata, sviluppando argomentazioni analoghe a quelle teste'
 accennate.
     In  particolare  per  escludere  che la legge impugnata disponga un
 livellamento  irrazionale  di  situazioni  diverse,  si  e'   osservato
 anzitutto  che  le differenze fra i vari rapporti non sarebbero tali da
 richiedere una disciplina differenziata e che  comunque  le  diversita'
 stesse  troverebbero  concreta  rispondenza  nella  determinazione  del
 reddito dominicale di ciascun fondo, assunto dalla legge come base  per
 la determinazione del prezzo di affrancazione.
     La parificazione disposta dalla legge non potrebbe ritenersi lesiva
 del  principio  di  eguaglianza neppure per il fatto che non si sarebbe
 tenuto conto delle aree divenute fabbricabili perche',  anche  a  norma
 della  precedente  disciplina,  tali incrementi di valore non sarebbero
 egualmente venuti in considerazione ai fini dell'affrancazione. Neppure
 varrebbe  ad  integrare  l'asserita  violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione   l'omessa   considerazione   delle  particolari  clausole
 contrattuali dei vari rapporti che, ove  realmente  portassero  ad  una
 diversa  caratterizzazione del contratto, condurrebbero alla esclusione
 dell'applicabilita' della legge da parte del giudice. Inoltre  dovrebbe
 anche   escludersi  in  particolare  la  violazione  del  principio  di
 eguaglianza per effetto degli artt. 8 e 9 impugnati, perche'  la  legge
 non  avrebbe  fatto  altro  che porre un limite temporale all'esercizio
 della devoluzione, la quale presenterebbe caratteristiche  analoghe  ad
 una risoluzione per inadempimento.
     Inoltre  si  e'  affermato che il diritto di proprieta' e' tutelato
 dalla Costituzione con espresso riferimento alla funzione  sociale  dei
 beni,  in  vista  cioe'  dell'uso  che  il  singolo  ne  fa ai fini del
 conseguimento  di  interessi  socialmente  rilevanti,   per   cui   non
 meriterebbe  tutela  il  concedente,  che  ha ceduto il proprio bene ad
 altri, disinteressandosene in modo da lasciare agevolmente  considerare
 ne' valido ne' operante il suo diritto di proprieta'. Il che renderebbe
 del  pari manifesta l'inidoneita' dell'istituto stesso dell'enfiteusi a
 soddisfare le attuali esigenze sociali  di  ordine  generale  e  quelle
 specifiche  di  incentivazione  della produzione agricola, e fornirebbe
 ampia base  giustificatrice  alla  legge  in  esame  che  in  sostanza,
 annullando    le    sperequazioni    sopra   accennate,   provvederebbe
 all'attuazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 41  e  42,
 secondo  e  terzo  comma,  eliminando  ostacoli  di  ordine economico e
 sociale alla partecipazione dei  lavoratori  alla  vita  economica  del
 Paese.
     Siccome   poi   l'affrancazione   dovrebbe   qualificarsi  come  un
 particolare modo di  acquisto  della  proprieta',  le  norme  impugnate
 andrebbero  valutate  alla  stregua  dell'art. 42, secondo comma, della
 Costituzione,  e  si  resterebbe  fuori  del  campo   di   applicazione
 dell'invocato  terzo comma dello stesso articolo. Cio', senza dire che,
 in ogni caso, non potrebbe ravvisarsi  nella  descritta  determinazione
 del  prezzo  di  affranco una sostanziale espropriazione perche', cosi'
 facendo, si finirebbe con l'ammettere che e'  espropriazione  qualunque
 fissazione di prezzo di imperio.
     Per   quanto   riguarda   la   censura   mossa  alla  procedura  di
 affrancazione, si e' osservato anzitutto che il pretore non svolgerebbe
 un'azione  meramente  passiva  che   debba   necessariamente   giungere
 all'accoglimento   della   richiesta  ma,  attraverso  l'audizione  del
 concedente e la valutazione degli elementi probatori, si formerebbe  un
 convincimento  circa  il  diritto  dell'affrancazione  e  l'entita' del
 relativo prezzo. In ogni caso lo spostamento dell'esercizio  di  difesa
 alla  seconda  fase  non  conculcherebbe il diritto stesso, regolandone
 solo le modalita' di espletamento entro i limiti che ne  garantirebbero
 lo scopo e la funzione essenziale.
     In  particolare poi la censura si dimostrerebbe infondata dovendosi
 escludere  di  massima  l'ipotesi  della  alienabilita'  del  fondo  in
 pendenza  del  termine  per adire la sezione del tribunale, e dovendosi
 escludere  comunque  la   natura   giurisdizionale   del   procedimento
 pretorile,    che    dovrebbe    piuttosto   ritenersi   di   carattere
 amministrativo.     Dal  che,  secondo  alcuni  difensori,  deriverebbe
 altresi'  l'irricevibilita'  della  questione,  che   potrebbe   essere
 sollevata solo nel corso di un procedimento giurisdizionale.
     Anche  le  particolari  forme  probatorie  previste dalla legge non
 violerebbero  il  principio  di  difesa,  rientrando  certamente  nelle
 facolta'  del  legislatore  l'adeguamento dei mezzi di prova ai diritti
 che si fanno valere ed ai  relativi  procedimenti.  Comunque,  anche  a
 voler   ammettere   l'inutilita'  della  pronuncia  della  sezione  del
 tribunale, per avvenuta alienazione del fondo nel frattempo,  cio'  non
 significherebbe  vanificazione  del  diritto  di difesa, soccorrendo il
 risarcimento del danno. L'ipotesi sarebbe pero' da escludere,  giacche'
 la   stessa   legge  prevede  la  trascrizione  anche  della  eventuale
 contestazione, e quindi la inefficacia delle alienazioni.
     All'udienza del 7 novembre 1967, i giudizi promossi  con  le  prime
 trentuno  ordinanze sopra indicate, regolarmente notificate, comunicate
 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  come  in  epigrafe,  sono  stati
 congiuntamente discussi e le difese delle parti costituite hanno svolto
 ed illustrato le tesi gia' prospettate.
     Il  12  dicembre  successivo la Corte ha emesso un'ordinanza con la
 quale, riuniti i giudizi di legittimita' costituzionale della legge  22
 luglio  1966,  n.  607,  ha  richiesto  al Ministero dell'agricoltura e
 foreste di fornire dati concernenti la situazione dei rapporti  di  cui
 agli  artt. 1 e 13, lett. a, b, c, della legge stessa, nonche' elementi
 di fatto riguardanti il contenuto economico, in  relazione  ai  singoli
 tipi   negoziali,   della   nuova   disciplina   dei   canoni  e  delle
 affrancazioni. Il Ministero ha elaborato  una  relazione  al  riguardo,
 depositata in cancelleria il 12 aprile 1968.
     Nelle  more  del giudizio e' pervenuto un altro gruppo di ordinanze
 di rinvio che, in tutto o in  parte,  ripropongono  sostanzialmente  le
 questioni gia' dianzi accennate concernenti le citate norme della legge
 n.  607  del 1966, profilando peraltro anche qualche diverso aspetto di
 illegittimita'.
     Si  e'  prospettata  la  violazione  dell'art.  25  Cost.,  che  si
 concreterebbe per effetto della particolare procedura di affrancazione,
 la  quale  in  sostanza opererebbe un rinvio ad un giudice speciale, in
 contrasto con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge;
 si e' lamentato un particolare profilo del vizio di eccesso  di  potere
 legislativo   che   dovrebbe   ravvisarsi   nella  circostanza  che  il
 legislatore avrebbe  perseguito  un  fine  oblatorio  della  proprieta'
 conclamando  invece di voler regolamentare l'istituto dell'enfiteusi ed
 usando quindi il suo potere normativo in materia, per attuare  il  fine
 diverso  della  espropriazione, "riservando ad altra disciplina"; si e'
 prospettata la violazione del principio di eguaglianza in  vista  della
 discriminazione  che,  per  effetto  delle  norme impugnate, verrebbe a
 crearsi fra i concedenti e coloro che non avendo concesso in  enfiteusi
 i loro beni, manterrebbero integra la loro liberta' contrattuale; si e'
 ravvisata  nell'abolizione  dell'istituto  della  revisione dei canoni,
 disposta dall'art. 18 della legge, una causa ulteriore di  iniquita'  a
 danno   di  una  delle  parti  contraenti,  in  quanto  in  difetto  di
 adeguamento al costante divenire economico, si assisterebbe nel caso di
 svalutazione monetaria, ad uno squilibrio a favore degli  enfiteuti,  e
 nel  caso,  improbabile  ma  non  impossibile, di rivalutazione, ad uno
 squilibrio a favore dei concedenti.
     Anche  le ordinanze predette, regolarmente notificate e comunicate,
 sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  come
 indicato in epigrafe.
     Fra  i  concedenti  si  e' costituita nel procedimento promosso con
 ordinanza del pretore di Torre del Greco in  data  22  maggio  1968  la
 Mensa arcivescovile di Napoli, rappresentata e difesa dall'avv. Elio de
 Martino, che ha insistito nel sostenere l'illegittimita' della legge in
 esame  per  motivi  coincidenti  con parte di quelli sopra esposti, non
 senza  indicare  particolari  motivi  di  illegittimita'  non  compresi
 nell'ordinanza  di  rinvio  e  consistenti  nel preteso contrasto della
 legge con l'art. 7 della Costituzione, per l'incidenza che  avrebbe  la
 nuova   regolamentazione   sulla  disciplina  del  godimento  dei  beni
 ecclesiastici  prevista  dal  Concordato,  e  con   l'art.   81   della
 Costituzione,  per le nuove spese senza indicazione di copertura che si
 renderebbero necessarie per corrispondere la congrua agli ecclesiastici
 che vedrebbero decurtare le loro entrate per  effetto  della  legge  in
 esame.  Nel  procedimento promosso con ordinanza della Corte di appello
 di Catania del 22 luglio 1968, si sono costituiti Impellizzeri Lucia ed
 altri, rappresentati e difesi dagli  avvocati  Edoardo  di  Giovanni  e
 Alfredo  Marziano  che  si  sono richiamati ai motivi di illegittimita'
 fatti valere contro gli artt. 1, 15 e  18  della  legge  nell'ordinanza
 della  Corte  di  appello  e  che  riproducono  in  parte quelle che in
 proposito si e' gia' avuto modo di illustrare.
     Fra gli enfiteuti si sono costituiti, nel procedimento ora  citato,
 proveniente  dalla  pretura  di  Torre  del  Greco Garzilli Giuseppe ed
 altri, rappresentati e difesi dall'avv. Guido Trapani; nei procedimenti
 promossi con ordinanze del pretore di Marano di Napoli  del  15  luglio
 1967  e  di  Terracina del 2 agosto 1967 l'Opera nazionale combattenti,
 rappresentata e difesa, in entrambi, dall'avv.  prof. Rosario  Mazzone;
 nel  procedimento promosso con ordinanza del tribunale di Agrigento del
 22 luglio 1967 Casa Giuseppe ed altri, rappresentati e difesi dall'avv.
 Alessandro De Feo.
     Nel  sostenere  l'infondatezza   delle   sollevate   questioni   di
 legittimita',  le  suddette  parti  private  ribadiscono,  svolgendoli,
 taluni argomenti analoghi a quelli piu' sopra enunciati a difesa  della
 nuova disciplina.
     In  particolare  si  e'  sviluppata l'argomentazione secondo cui il
 procedimento avanti al pretore non avrebbe  carattere  giurisdizionale,
 in difetto di provvedimenti decisori in tal senso da parte del giudice.
 Si  e' inoltre negato il contrasto con la garanzia del giudice naturale
 affermandosi che per tale deve intendersi anche  quello  che,  per  una
 determinata  categoria  di  rapporti, puo' essere indicato da una legge
 speciale, purche' con il carattere della generalita'.
     Nel  ribattere  le  censure  mosse  contro   il   procedimento   di
 affrancazione,  si  e'  anche  osservato,  che  avanti  al  pretore  si
 svolgerebbe invece un giudizio di cognizione sommaria, con l'osservanza
 dei  termini  essenziali  del  principio  del  contraddittorio,  e  che
 l'ordinanza  pretorile,  la  quale  dovrebbe  essere  motivata anche in
 relazione alle eccezioni e riserve delle parti, avrebbe il carattere di
 un  provvedimento  giurisdizionale  provvisoriamente  esecutivo,  salvi
 quindi  gli  effetti  della  eventuale  sentenza difforme della sezione
 specializzata del tribunale,  in  analogia  con  altri  procedimenti  a
 cognizione   sommaria  previsti  dall'ordinamento  e  segnatamente  col
 procedimento monitorio e quello per la dichiarazione di fallimento.
     Si  e'  anche affermata in particolare l'infondatezza della censura
 mossa all'art. 15 della legge nella parte in cui  esclude  dalla  nuova
 disciplina  i  canoni  nei casi in cui i relativi versamenti siano gia'
 stati effettuati osservando, che, mentre  la  censura  si  fonda  sulla
 pretesa   ingiustificata   discriminazione   a  danno  degli  enfiteuti
 ossequienti all'obbligazione di pagare il canone ed a favore di  quelli
 restii   ad   adempierla,   in   realta'   la  norma  troverebbe  ampia
 giustificazione nel riconoscimento del valore  del  processo  di  lotta
 sindacale  che  avrebbe  condotto all'adozione della nuova disciplina e
 che avrebbe incluso, come mezzo di  lotta,  anche  la  sospensione  dei
 pagamenti in attesa della riforma.
     L'Avvocatura  dello  Stato,  costituitasi nel giudizio promosso con
 ordinanza  del  pretore  di  Isernia  del  14  luglio   1967,   insiste
 nell'evidenziare   il  pubblico  interesse  alla  trasformazione  delle
 strutture dell'istituto enfiteutico, in corrispondenza della evoluzione
 sociale e delle esigenze della  produzione  agricola,  e  ribadisce  le
 altre tesi gia' svolte in precedenza.
     Tempestivamente  sono  state depositate memorie illustrative, per i
 concedenti, dagli avvocati Riccardo Leone, Alfredo Marziano,  Salvatore
 Orlando  Cascio  e  Vincenzo  Panuccio,  Giuseppe  Abbamonte e Giuseppe
 Todini, Sebastiano Mastrobuono, difensore della Aragona Pignatelli Anna
 Maria, in sostituzione dell'avv.    Orgera  (deceduto),  Luigi  Cariota
 Ferrara,  Alberto  Melito.   L'avv. Cariota Ferrara ha depositato anche
 memoria difensiva per Scio Antonio ed altri contro Schifano Filippo  ed
 altri,  non  risultando  peraltro  a  suo tempo costituito nel relativo
 giudizio. Nel complesso i suddetti difensori hanno ulteriormente svolto
 le  tesi  gia'  precedentemente  illustrate  ribadendo   agli   esposti
 argomenti.
     Inoltre,  sono stati formulati rilievi alla relazione del Ministero
 dell'agricoltura, il cui contenuto e'  stato  da  piu'  parti  ritenuto
 lacunoso,  generico,  ed  impreciso,  specie  per  quanto  concerne  la
 rispondenza dei dati esposti alla  effettiva  situazione  dei  rapporti
 esaminati, con particolare riguardo alle enfiteusi urbane.
     Tuttavia,  anche  in  base  alla relazione ministeriale, sarebbe da
 ritenere dimostrata la violazione del principio di eguaglianza, per  la
 diversita'  del  contenuto  economico  e della tipologia degli istituti
 considerati,  e  l'irrisorieta'  dei   canoni   e   dei   capitali   di
 affrancazione  di cui la relazione ministeriale darebbe sostanzialmente
 la conferma, e che raggiungerebbe comunque gli aspetti piu'  clamorosi,
 anche  se,  si  afferma,  non  dovutamente  evidenziati nella relazione
 stessa, nel caso delle enfiteusi urbane. E  cio'  anche  a  prescindere
 dalla  inapplicabilita' della legge a tale ultimo tipo di contratto, su
 cui si torna ad insistere.
     Allegate a diverse memorie figurano anche documentazioni tendenti a
 corroborare ulteriormenti descritti assunti.
     Per gli enfiteuti  costituiti  sono  state  ritualmente  presentate
 memorie  dagli avvocati Rosario Mazzone, Antonio Putzolu, Alessandro De
 Feo e Achille Prinzivalli.  In sostanza, nel rifarsi, ampliandole, alle
 tesi gia'  illustrate  per  escludere  la  fondatezza  delle  questioni
 sollevate,  si rileva tra l'altro che dall'esame dei dati esposti nella
 relazione risulterebbe  dimostrata  la  riconducibilita'  al  tipo  del
 contratto  enfiteutico  di  tutti  i rapporti menzionati nella legge in
 esame la cui applicabilita' a quei tipi di contratti, che presentassero
 elementi di differenziazione troppo incisivi  potrebbe  essere  esclusa
 dal giudice di merito.
     I  dati  esposti  inoltre  porrebbero  giustamente  in  evidenza le
 sperequazioni verificatesi a danno degli enfiteuti, specie in relazione
 agli apporti da questi esclusivamente  forniti  alla  redditivita'  dei
 fondi,  e  che  appunto  la  legge  impugnata  mirerebbe fra l'altro ad
 eliminare,  anche  in  vista  dell'evoluzione  storica   dell'istituto,
 destinato  all'estinzione,  nonostante  il  tentativo  di rivalutazione
 attuato dal Codice civile del 1942.
     Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato  una  memoria
 con  cui afferma, tra l'altro, che mentre dalla relazione del Ministero
 risulterebbe ridimenzionato  il  presunto  squilibrio  che  deriverebbe
 dalla  applicazione  della  nuova legge, rimarrebbe altresi' confermata
 sia la  remota  origine  di  gran  parte  dei  rapporti  in  questione,
 probabilmente  di  natura  feudale,  per  cui  la  reductio ad unitatem
 operata dalla legge obbedirebbe a fondamentali esigenze di chiarezza ed
 uniformita', sia comunque la progressiva desuetudine dell'istituto.
                         Considerato in diritto:
     1. - Con l'ordinanza 12 dicembre 1967 sono stati riuniti i giudizi,
 allora pendenti davanti a  questa  Corte  e  riguardanti  questioni  di
 legittimita' costituzionale della legge 22 luglio 1966, n. 607.
     Nelle  more della procedura, conseguente all'ordinanza, hanno fatto
 seguito altri giudizi, elencati in epigrafe,  e  tutti  concernenti  la
 stessa legge e le stesse questioni od altre connesse.
     Va  ora disposta, per dar luogo ad unica decisione, la riunione dei
 giudizi sopravvenuti a quelli precedenti.
     2. - Le  questioni  sottoposte  all'esame  della  Corte  concernono
 motivi,   in  parte  comuni,  in  parte  proposti  soltanto  in  alcune
 ordinanze:  nonche'  motivi,  alcuni  relativi  alla  dichiarazione  di
 illegittimita' della intera legge ed altri limitati a parte delle norme
 che la compongono.
     La  Corte  procede,  nell'ordine  logico, anzitutto all'esame delle
 questioni che riguardano globalmente l'intera  legge  e  poi  all'esame
 delle questioni che la riguardano parzialmente.
     3.  -  Con  il  primo  ordine  di motivi, si pone in discussione la
 costituzionalita' dell'intero  sistema  normativo  di  cui  alla  legge
 suindicata,   sistema   che   sarebbe  viziato  da  eccesso  di  potere
 legislativo  per   disarmonia   col   precedente   sistema   favorevole
 all'istituto  dell'enfiteusi,  per  contrasto  con  i  fini di utilita'
 sociale della proprieta' privata e perche' avrebbe dato  luogo  ad  una
 sostanziale  espropriazione  dei beni dei concedenti, dissimulata sotto
 l'apparenza   pretestuosa   di    una    aggiornata    regolamentazione
 dell'istituto, risolventesi in una sua graduale soppressione.
     La questione non e' fondata.
     Si puo' osservare, anzitutto, che, a smentire un deliberato intento
 di   procedere   all'eliminazione   dell'istituto  dell'enfiteusi,  sta
 l'emanazione di altra legge coeva a quella in esame  (legge  22  luglio
 1966,  n.  606)  con  la  quale  (art. 1) si dispone che ogni affitto a
 conduttori non coltivatori  diretti  debba  cedere  di  fronte  ad  una
 concessione in enfiteusi del fondo a coltivatori diretti.
     Comunque, l'ipotizzabilita' stessa di un vizio di eccesso di potere
 legislativo, rilevabile dalla Corte, deve escludersi.
     Si puo' ricordare che, secondo giurisprudenza (sentenze 24 febbraio
 1964,  n.  14 - 8 aprile 1965, n. 30 - 1 giugno 1966, n. 65 - 22 giugno
 1966, n. 95) dal sindacato spettante alla Corte esula ogni possibilita'
 di  controllo  sulle  scelte  politiche,  in  senso  lato  operate  dal
 legislatore,  sotto  la  sua  responsabilita'. Onde, il controllo della
 Corte deve intendersi circoscritto alla verifica  se  il  provvedimento
 legislativo  sia  inficiato  da  carenza  assoluta  di  motivi logici e
 coerenti o  da  contraddizione  palese  sui  presupposti,  in  modo  da
 incidere  negativamente  nel  campo di altri diritti costituzionalmente
 garantiti (sul punto sono particolarmente da tenere presenti le  citate
 sentenze n. 14 del 1964 e n. 65 del 1966).
     Con  riferimento  alla  specifica situazione in esame, attiene alle
 scelte politiche, insindacabili in questa  sede,  il  criterio  che  ha
 orientato  il  legislatore  verso un riassetto dei rapporti enfiteutici
 agrari. Questo criterio e' palese:    correggere  il  vetusto  apparato
 dell'istituto,   conformando   il   nuovo  assetto  alla  tendenza,  di
 incentivare  lo  sfruttamento  della  terra,   riconducendo   ad   equa
 socialita'  i  rapporti  che ineriscono alla proprieta' terriera: nella
 specie, i rapporti tra chi si limita a concedere la terra  perche'  sia
 lavorata  da altri e rimane, poi, assenteista, e chi vi appresta invece
 diuturne forze di lavoro. (L'ipotesi di fatto che  enfiteuti  o  coloni
 eventualmente  non  siano personalmente coltivatori diretti, e' ipotesi
 solo marginale ed occasionale, che lascia intatta  la  regola  generale
 che non distingue l'un caso dall'altro).
     Accertare, sul terreno storico - politico, la sopraggiunta esigenza
 di un ridimensionamento dell'istituto e' e deve restare prerogativa del
 Parlamento,  esente  da controlli al riguardo: salvo, come si e' detto,
 il controllo sulla carenza assoluta di motivi, che  qui  va  ovviamente
 esclusa,  ed  il  controllo  sulla  costituzionalita'  di  alcune norme
 particolari, assunte come mezzo al fine: controllo,  quest'ultimo,  che
 esula dal profilo qui considerato.
     4.  -  Altra  questione,  che  riguarda l'incostituzionalita' della
 legge nel suo complesso, viene  proposta,  nel  senso  che  il  sistema
 adottato,  pel  favore  mostrato  verso  la  categoria degli enfiteuti,
 vulnererebbe i diritti inviolabili  dell'uomo  garantiti,  ai  fini  di
 solidarieta' economico-sociale, dall'art. 2 della Costituzione.
     Questa Corte ha gia' ritenuto (sentenze 19 giugno 1956, n. 11, e 22
 marzo  1962,  n.  29)  che  l'art.  2 enuncia, solo in via generale, la
 tutelabilita' di quei  diritti  di  base,  che  formano  il  patrimonio
 irretrattabile  della  persona  umana, mentre e' nelle norme successive
 che quei diritti sono poi, singolarmente  presi  in  considerazione  e,
 come tali, in vario modo e misura, garantiti, tutelati e tutelabili.
     Dato  il  profilo sotto cui e' proposta la questione, rapportandola
 sommariamente, nell'ambito dell'art. 2, senza collegamento, immediato e
 diretto, con una denuncia di specifiche violazioni di diritti umani, la
 questione stessa va disattesa.
     5. - Tra i motivi, frequentemente ripetuti  nelle  ordinanze,  v'e'
 quello  che  la legge in esame, dando luogo, mediante gli artt. 1 e 13,
 ad uniformita' di  normativa,  anche  per  rapporti  differenziati  dai
 rapporti  enfiteutici tipici, contrasterebbe col fondamentale principio
 di cui all'art. 3 della Costituzione.
     Nel novero dei rapporti, assimilati nel trattamento, e  sempre  sul
 presupposto,  comune  a  tutti  gli  istituti, della loro natura reale,
 figurano le prestazioni fondiarie perpetue, i rapporti a  miglioria  in
 uso  nelle  provincie  del  Lazio  e  in  altre  parti  del  territorio
 nazionale, i contratti agrari atipici, nella loro multiforme  varieta':
 ai  quali  rapporti, elencati testualmente negli artt. 1 e 13 si assume
 che  dovrebbero  aggiungersi, ritenendoli implicitamente regolati dalla
 legge, i rapporti aventi per oggetto enfiteusi urbane ed enfiteusi - ad
 aedificandum - mentre ogni loro assimilabilita' nelle conseguenze, alle
 enfiteusi  rustiche  sarebbe,  per  diversita'  di   contenuto   e   di
 caratteristiche, illegittima.
     Per  quanto concerne le enfiteusi urbane e quelle - ad aedificandum
 - considerate le prime come aventi generalmente per oggetto terreni gia
 coperti da edifici da conservare e migliorare e le seconde, come aventi
 per  oggetto  terreni  concessi  in  enfiteusi  per  essere  migliorati
 mediante  la  costruzione  di  edifici, la Corte ritiene che il sistema
 della legge, desunto dalla sua coordinazione, comporti la esclusione di
 esse dalla previsione legislativa.
     La' dove la legge (art. 1) usa i termini di enfiteusi e  di  canoni
 enfiteutici  parrebbe  riferirsi  comprensivamente  a  tutti  i tipi di
 enfiteusi, nessuno escluso.
     Ma, un esame di dettaglio fa ritenere  che  l'oggetto  della  legge
 riguarda soltanto le enfiteusi di fondi rustici a fini di miglioramento
 agrario,  cioe'  quelle  che prevalgono di gran lunga, per tradizione e
 diffusione, e che qui sono state considerate  nel  quadro  generale  di
 attuazione di riforme agrarie.
     Il calcolo prescritto per ottenere una corrispondenza tra canoni in
 danaro   e  canoni  in  derrate  (art.  1);  la  ricorribilita'  contro
 l'ordinanza di affranco alla  Sezione  speciale  del  tribunale  per  i
 contratti agrari (art. 5); le agevolazioni agli affrancanti coltivatori
 diretti  in  relazione  alle  disposizioni  sulla  proprieta' contadina
 (artt. 11 e 12);  il  riferimento  della  misura  dei  canoni  e  delle
 prestazioni  all'annata agraria (art. 15): sono tutte disposizioni che,
 non accompagnate da  altre  relative  a  fondi  non  rustici,  denotano
 l'ambito esclusivo della legge.
     Vero  che,  nelle  discussioni  in  sede  parlamentare, e' sembrata
 prevalere  la  tendenza  a  considerare  onnicomprensiva   la   formula
 dell'art. 1.
     Ma  le  tutt'altro  che  univoche opinioni soggettive in tale senso
 manifestate, non valgono a sovrapporsi al senso naturale e  logico  che
 risulta  dal  testo  della  legge, sistematicamente considerato; con la
 conseguenza che il giudizio della Corte va circoscritto,  a  tutti  gli
 effetti  normativi,  generali  e  particolari,  entro  l'ambito segnato
 dall'oggetto della legge, delimitato, come ora si e' detto.
     Circa le prestazioni fondiarie perpetue (art. 1 della  legge)  alle
 quali sono proprio le regole sulla redimibilita' delle rendite perpetue
 (artt.  1865  e  1869  del  Codice civile) l'applicazione ad esse delle
 stesse  regole  dell'enfiteusi  e'  concetto  consolidato  per   antica
 tradizione,  che  va dalla legge 24 gennaio 1864, n. 1636 in poi (legge
 11 giugno 1925,  n.  998;  regio  decreto  7  febbraio  1926,  n.  426;
 D.L.C.P.S.  4  dicembre 1946, n. 671). Soltanto la legge 1 luglio 1952,
 n. 701, non ha compreso le rendite fondiarie perpetue  nella  revisione
 dei canoni, ma dall'iter formativo della legge risulta che l'esclusione
 fu dovuta non al disconoscimento di un principio equiparativo, bensi' a
 considerazioni di mera opportunita' contingente.
     Per  quanto  concerne i rapporti a miglioria in uso nelle provincie
 del Lazio, va tenuto presente che l'art. 13, lett. a,  della  legge  in
 esame,  nell'annoverarli,  non  si  limita  ad un richiamo generico, ma
 testualmente li identifica e, nel contempo,  li  circoscrive  a  quelli
 precisati negli artt. 1 e 2 della legge 25 febbraio 1963, n. 327: cioe'
 a  quei  rapporti  che,  dichiarati perpetui, vi sono definiti (art. 1)
 come quelli nei  quali  il  coltivatore  (possessore  ultratrentennale)
 abbia  migliorato il fondo con impianto di colture arboree o arbustive,
 od abbia pagato le migliorie esistenti all'atto dell'ingresso nel fondo
 al proprietario concedente o  al  miglioratario  nel  luogo  del  quale
 subentri, secondo convenzione od uso locale (condizione, questa ultima,
 anche  per il cumulo del periodo di durata, secondo l'art.  2). Solo al
 verificarsi di queste condizioni, da accertarsi in  fatto  dal  giudice
 ordinario   competente,  e'  sottoposta  l'applicabilita'  delle  norme
 generali  sull'enfiteusi  e   di   quelle,   speciali   e   successive,
 sull'affrancazione.
     Questa  Corte  ha  gia'  sottoposto ad esame di costituzionalita' i
 citati artt. 1 e 2 della legge del  1963,  riconoscendo  legittimi  con
 sentenza   20   marzo  1966,  n.  30  l'assimilazione,  negli  effetti,
 all'enfiteusi dei rapporti a miglioria laziali purche'  aventi  i  dati
 caratteristici  precisati nell'articolo i ed il loro assoggettamento ad
 una stessa disciplina normativa.
     Appunto  da  questa  premessa,   la   Corte   ha   fatto   derivare
 l'illegittimita' dei seguenti artt. 4 e 5, riguardanti l'applicazione a
 detti  rapporti  di  peculiari  norme di procedura sulla determinazione
 dell'equo canone di affitto di fondi rustici,  ritenute  estranee  alla
 materia  (enfiteusi  o rapporti assimilati) cui avrebbero dovuto essere
 applicati.
     Con la  stessa  sentenza,  la  Corte,  nel  delineare  l'ambito  di
 assimilazione  di istituti nei loro effetti, ha, poi, messo in evidenza
 che detti effetti vanno esclusi ove si tratti di  rapporti  di  colonie
 parziarie con clausola migliorataria (art.  2164 del Cod. civile) nelle
 quali e' prevalente il carattere associativo.
     La  Corte,  nel  determinare  il  contenuto del citato articolo 13,
 lett. a, per valutare se l'equiparazione si risolva in un inammissibile
 trattamento imposto in modo eguale per situazioni disuguali,  non  puo'
 che  adeguarsi  alla  propria succitata sentenza posto che in contrario
 non e' profilato  alcun  nuovo  argomento  decisivo.  Valido  argomento
 contrario   non   e'   quello,   ultimamente   prospettato,   che  ogni
 assimilazione dovrebbe escludersi pel  fatto  solo  che  i  rapporti  a
 miglioria   in   uso   nelle   provincie  laziali  sono  caratterizzati
 generalmente dalla limitazione dei diritti-doveri del miglioratario  al
 soprassuolo,  a differenza dei rapporti enfiteutici. Questo particolare
 rilievo, da considerarsi soprattutto sotto il riflesso della estensione
 e misura dell'esercizio  del  diritto  di  affranco,  non  e'  tale  da
 sovrapporsi  a  tutti  gli  altri  criteri  di  accostamento  tra i due
 rapporti: una volta ammesso che, anche per le colonie miglioratarie del
 tipo  in  esame,   sussiste   il   diritto   pieno   all'affrancazione,
 riconosciuto  testualmente  per esse fin dalla legge 11 giugno 1925, n.
 998, la conseguenzialita' degli effetti  di  questa  e'  inerente  alla
 natura  dell'atto  e ne discende, senza piu' consentire distinzioni tra
 soprassuolo e sottosuolo.
     Alla stessa conclusione deve coerentemente addivenirsi  per  quanto
 riguarda  i  rapporti  a  miglioria relativi a fondi rustici situati in
 altre parti del territorio  nazionale  ed  analoghi,  per  contenuto  e
 caratteristiche,  a quelli delle provincie del Lazio (art. 13, lett. b,
 ed ultimo comma) salvo al giudice di merito verificare, caso per  caso,
 la sussistenza di tutte le condizioni di analogia.
     Infine,  va  escluso alcun motivo di incostituzionalita' per quanto
 riguarda la estensione della normativa ai rapporti costituiti in base a
 contratti agrari atipici  (art.  13,  lett.  c),  Questa  categoria,  a
 contenuto  variabile  con  la  varieta'  di situazioni locali, e' stata
 espressamente considerata dall'art. 13 della legge 15  settembre  1964,
 n.  756  sui  contratti  agrari, al fine di favorire la conversione ope
 legis di questi nella sfera dei contratti  tipici,  in  dipendenza  del
 premesso  divieto  di  stipulare  per  l'avvenire  contratti  agrari di
 concessione di fondi rustici non appartenenti ad  alcuno  dei  tipi  di
 contratti  conosciuti  e  nominati  dalle  leggi. L'art.   13, lett. c,
 condizionando l'equiparazione di trattamento  all'accertamento  che  si
 tratti  di  contratti in cui siano prevalenti gli elementi del rapporto
 enfiteutico,  si  mantiene  nel  solco  della   suaccennata   direzione
 normativa.
     In  conclusione,  anche  sul  punto  riguardante  la situazione dei
 rapporti elencati alle lettere a, b, c dell'art.  13 deve ritenersi  la
 non   fondatezza   della   questione   di  legittimita'  sollevata  con
 riferimento all'art. 3 della Costituzione.
     6. - Viene sollevata, come questione d'ordine generale,  quella  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  2  e seguenti, in quanto il
 sistema procedurale per addivenire all'affrancazione violerebbe,  nella
 sua  fase  davanti  al pretore, la garanzia del diritto di difesa (art.
 24, secondo comma, Cost.).
     Si assume che l'ordinanza del pretore che  dispone  l'affrancazione
 del  fondo  viene  emessa  senza  che  delle  osservazioni,  riserve ed
 eccezioni delle parti sia fatto un esame che vada al di la' di una loro
 sommaria presa d'atto (art. 4, quarto comma), mentre l'esame  di  tutta
 la  possibile  materia  del contendere, a cominciare dal diritto stesso
 all'affrancazione, viene condizionato al futuro ed eventuale ricorso da
 proporsi alla sezione speciale dei contratti agrari presso il tribunale
 competente (art. 5, quinto comma). Per cui si darebbe luogo all'anomala
 conseguenza che basta la notifica della predetta ordinanza  a  produrre
 l'estinzione  dell'enfiteusi  (art.  5,  quarto  comma) ed a costituire
 titolo per la sua trascrizione (art. 4, sesto comma).
     La questione non e' fondata.
     E' indubbio che l'attivita' del  pretore,  nella  fase  di  cui  ai
 succitati  articoli,  dia  luogo ad un procedimento giurisdizionale. La
 procedura si apre con la  presentazione  di  una  "domanda  giudiziale"
 (art. 2): si svolge attraverso "udienze" (artt. 3, 4) nella prima delle
 quali, disposta con decreto la "comparizione personale delle parti", il
 pretore  ha  l'obbligo di "cercarne la conciliazione ai sensi dell'art.
 185  del  Codice  di  procedura   civile"   tentando,   cioe',   quella
 composizione  della  lite  che  inerisce alla fase iniziale dei giudizi
 civili: e la procedura si conclude con un provvedimento  designato  col
 nome  di ordinanza, che, anch'esso, e' proprio del giudizio. Manca solo
 al provvedimento  il  carattere  della  definitivita'  nel  senso  che,
 essendo   assegnato  ai  controinteressati  un  termine  per  adire  il
 tribunale, la definitivita' verra' a  derivare  o  dall'acquiescenza  o
 dalla  sentenza  con  la  quale  il  tribunale  perverra'  a  "decidere
 definitivamente" la controversia (art.  1 sesto comma).
     Cio' premesso sulla natura  degli  atti,  va  esclusa  la  supposta
 menomazione del diritto di difesa.
     Da  una  parte,  va  considerato che l'affrancazione e' subordinata
 alla produzione e deposito di tutti i numerosi atti probatori  elencati
 nell'art. 2 e controllabili da tutte le parti e anche dai loro patroni,
 poiche',  trattandosi  di fase giudiziale, e' regola che le parti siano
 rappresentate  e  assistite  da procuratori e da difensori (art. 82 del
 Cod.  proc. civ.) ai quali sono riconosciuti i diritti  e  gli  onorari
 (art.  10  cpv.).  La  produzione  di atti di notorieta' e' soltanto un
 surrogato  di  atti  la   cui   mancanza   dovra'   essere   ovviamente
 giustificata.
     D'altra  parte, e' riservata al pretore cognizione ampia su tutti i
 presupposti della domanda, sia  mediante  l'estensione  dell'intervento
 alla  procedura  di  altri  interessati, risultanti "da notizie e dalla
 documentazione", sia mediante i contatti diretti con le parti  (e  loro
 difensori)  ai  sensi dell'art. 185 del Codice di procedura civile, sia
 mediante l'ausilio di consulente tecnico  (art.  4),  sia  mediante  la
 determinazione del capitale d'affranco ed il controllo sul suo deposito
 preventivo  (art.  4,  secondo  e  terzo  comma).  Il provvedimento del
 pretore deve poi essere "motivato" e non puo' darsi  motivazione  senza
 che la situazione da regolare sia tenuta presente dal giudicante per lo
 meno  nelle  sue  linee essenziali, scaturenti dagli elementi probatori
 acquisiti.
     Vero che il citato art. 4 dispone che, nello stesso  provvedimento,
 il  pretore  deve  dare  "sommariamente" atto delle osservazioni, delle
 riserve e delle eccezioni  delle  parti.  Ma  tutto  cio',  se  vale  a
 conservare  traccia  scritta  da  servire  per  l'eventuale giudizio da
 svolgersi in seguito davanti al tribunale, non basta per  far  ritenere
 che  il  pretore  debba  rimanere  del  tutto  passivo,  quale semplice
 registratore di deduzioni difensive, senza delibarne la portata.
     Trattasi, in conclusione, di un  procedimento  sommario,  volto  ad
 operare,  in  vista  del  risultato sociale che la legge ha di mira, ed
 anche  in   considerazione   che   il   diritto   all'affranco   spetta
 all'enfiteuta  come diritto primario di natura potestativa, l'immediata
 estinzione del  diritto  del  concedente  e  l'affermazione  del  pieno
 diritto dell'ex enfiteuta sul fondo: salvo e riservate a tutte le parti
 il  diritto  a  conseguire  in  fase  successiva  una piu' piena tutela
 giurisdizionale.
     Si prospettano in contrario le conseguenze che potrebbero  derivare
 dal  fatto  che  la  trascrizione  dell'ordinanza  del pretore (imposta
 dall'art. 4, ultimo comma) porrebbe a libito dell'affrancante il  mezzo
 di   disporre   del   bene   prima  della  "sentenza  definitiva  sulla
 controversia".  Ma  la  facolta'  accordata  al  pretore  di   ordinare
 l'iscrizione   di  ipoteca  giudiziale  a  favore  del  concedente  per
 l'ammontare che riterra' opportuno (art. 4,  quinto  comma),  e,  ancor
 piu',  la  pubblicazione  mediante  trascrizione degli atti inerenti al
 fondo, a cominciare dalla trascrizione della domanda di affranco  (art.
 2643,  n.  7,  del  Cod. civ.) escludono la possibilita' di conseguenze
 irreparabili in danno del proprietario.
     7. - Compiuto l'esame  delle  questioni  di  costituzionalita'  che
 riguardano la legge considerata nei suoi aspetti piu' generali, occorre
 procedere  all'esame  di  particolari  questioni  che  piu'  da  vicino
 investono, pur nel quadro generale del sistema, determinate norme.
     La prima e piu' rilevante questione concerne l'art. 1 che,  per  la
 fissazione   dei   canoni,   innova   alle  norme  del  Codice  civile,
 prescrivendo (primo comma) che per  essi  debbasi  far  riferimento  al
 reddito  dominicale  calcolato,  a norma della legge 29 giugno 1939, n.
 976, oltre la rivalutazione disposta  con  il  decreto  legislativo  12
 maggio  1947,  n. 356, precisandosi per di piu' (ultimo comma) che tale
 reddito  va  riferito  alla qualifica catastale risultante al 30 giugno
 1939.   Seguono nello stesso  articolo  le  disposizioni  sul  capitale
 d'affranco  calcolato  in  una somma corrispondente a quindici volte il
 valore dei canoni come sopra determinato.
     Si assume che la imposizione in via generale di  un  canone  unico,
 diverso  da  quello  pattizio,  comprimerebbe l'autonomia contrattuale,
 contrastando con la liberta' d'iniziativa economica  privata  (art.  41
 Cost.)   e,   con  l'abbassare  notevolmente  il  livello  dei  valori,
 sovvertirebbe,  a  danno  del  concedente  e  della  utilita'  sociale,
 l'equilibrio  del  rapporto  e darebbe luogo ad un'affrancazione che di
 questa perde i caratteri per assumere  quelli  di  una  espropriazione,
 indennizzata  in  misura  irrisoria,  con violazione dell'art. 42 della
 Costituzione.
     La  Corte,  procedendo  anzitutto  all'esame  della   prima   parte
 dell'art.   1  (determinazione  del  canone)  osserva  che  l'autonomia
 contrattuale (gia' subordinata dall'art. 1322 del Cod. civ. ai  "limiti
 imposti  dalla  legge"  e  derogata  dal  seguente art. 1339 per quanto
 riguarda la sostituzione di diritto alle clausole pattizie ed ai prezzi
 di beni e servizi, di clausole imposte dalla legge)  non  riceve  dalla
 Costituzione  una  tutela diretta. Essa la riceve bensi' indirettamente
 da quelle norme della Carta fondamentale, che, come gli artt.  41 e  42
 -  riguardanti  rispettivamente  l'iniziativa economica e il diritto di
 proprieta' - si riferiscono ai possibili oggetti di  quella  autonomia.
 Comunque,  la giurisprudenza della Corte, in casi riguardanti riduzioni
 di  canoni  d'affitto  dei  fondi  rustici,  rimunerazione  del  lavoro
 colonico, fissazione di prezzi minimi di prodotti terrieri, diritti del
 mezzadro  sul  valore  delle  scorte  vive da riconsegnare (sentenze 20
 febbraio 1962, n. 7; 13 maggio 1964, n. 40; 8 aprile  1965,  n.  30;  2
 luglio  1967,  n.  118),  ha  ritenuto  che,  in  materia,  l'autonomia
 contrattuale  deve  cedere  di  fronte  a  motivi  d'ordine  superiore,
 economico e sociale, considerati rilevanti dalla Costituzione.
     Ne' vale obbiettare che i fini sociali rimangono, nel caso, incerti
 perche'  non  tradotti  in  programmi  definiti, ai sensi dell'art. 41,
 terzo  comma,  della  Costituzione.  A   parte   ogni   rilievo   circa
 l'invocabilita' di quest'ultimo precetto fuori del campo dell'attivita'
 d'impresa,  va  ricordato  ancora  una  volta  che  il  disegno  che il
 legislatore si e' proposto con la legge in  esame  e'  sufficientemente
 motivato  ed  evidenziato  nell'ambito  dell'esercizio di insindacabili
 scelte politiche.
     8. - Premessa la legittimita'  di  un  intervento  in  materia  del
 legislatore,  va  ora  esaminato se altrettanto possa dirsi del sistema
 adottato al fine di determinare il canone.
     Il riferimento al reddito dominicale,  costituito,  come  e'  noto,
 dalla  somma del reddito prodotto in modo specifico dalla terra secondo
 la  sua  fertilita'  (rendita   fondiaria   propriamente   detta)   con
 l'interesse dei capitali stabilmente investiti e incorporati nel suolo,
 costituisce   un  parametro  di  applicazione  gia'  adottato  in  casi
 analoghi. Va ricordata, particolarmente, la legge 15 febbraio 1958,  n.
 74  (art.  1)  riguardante  i  canoni livellari veneti, ai quali canoni
 l'art.  13, quarto comma, della legge attuale estende le proprie norme,
 ad eccezione di quella  dell'art.  1  gia'  regolata  dalla  legge  sui
 livelli  nel senso che, anche agli effetti del prezzo di affrancazione,
 per i canoni costituiti prima del Codice del 1865 e' fissata la  misura
 massima  nel triplo del reddito dominicale del fondo sul quale gravano,
 determinato  secondo il decreto legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito
 in legge 29 giugno 1939, n. 976.
     Quest'ultimo  sistema  di  riferimento  e  di  calcolo   e'   stato
 sottoposto  al controllo di costituzionalita' da parte di questa Corte,
 che, con sentenza 9 luglio 1959, n. 46, lo riconosceva legittimo in se'
 e nella congruita' dell'ammontare,  anche  se  in  taluni  casi  questo
 ammontare sarebbe venuto a risultare notevolmente basso.
     Vero  che sussistono alcune differenze particolari tra le due leggi
 (quella sui livelli veneti  e  quella  attuale)  poiche'  la  prima  e'
 limitata  ai  rapporti  costituiti prima del Codice del 1865 e fissa al
 triplo del reddito dominicale il limite massimo di canoni,  e  in  piu'
 non  comprende  la  rivalutazione  di cui al decreto 12 maggio 1947, n.
 356, e non fa riferimento esclusivo alla qualifica catastale risultante
 al 30 giugno 1939.
     Ma, agli effetti del punto in esame, la ragione allora adottata per
 decidere, conserva la sua validita'.
     9. - Altra questione, che si innesta su questa premessa, e'  quella
 riguardante  in concreto, in relazione alla particolarita' dei rapporti
 regolati dalla legge, la misura del canone, quale  deriva  dal  calcolo
 legalmente  imposto,  anche  in  considerazione  dei  riflessi  diretti
 sull'affranco e sulla determinazione del capitale  d'affranco.  Le  due
 prospettive,  attenendo l'una come l'altra al diritto di proprieta', ai
 suoi limiti, alla possibilita' di incidere su di esso e  suoi  rapporti
 che  ne  nascono,  si  collegano  all'art.  42 della Costituzione. Piu'
 precisamente,  risultandone  colpite  incisivamente   certe   posizioni
 giuridiche dei proprietari, senza che peraltro venga innovato il regime
 di  appartenenza  dei  beni in se' considerato (infatti il regime della
 proprieta' terriera viene, in se' conservato immutato), si collegano al
 terzo comma di tale articolo.
     Si tratta percio' di un problema di proporzione quantitativa  nella
 coordinazione  di rispettivi interessi. E, al riguardo, la relazione su
 dati obbiettivi, demandata dalla Corte al  Ministero  dell'agricoltura,
 costituisce  un  apporto  tecnico  per  la valutazione della materia di
 giudizio.
     Cio' premesso, la Corte rileva che il punto di  riferimento,  fisso
 ed  insuperabile,  alla  qualifica  ed  al  reddito  catastale del 1939
 maggiorato ai sensi del decreto legislativo n. 356 del 1947 deve essere
 valutato, a tutti i fini  sopra  indicati,  per  saggiarne  l'incidenza
 economica  sullo  svolgimento del rapporto tra le parti nel corso della
 sua durata e dal momento della sua eventuale cessazione.
     La relazione del  Ministero  dell'agricoltura,  offre  alcuni  dati
 concreti sufficientemente orientativi ed ausiliari.
     In  proposito,  la  valutazione  dei  dati  forniti dal Ministero e
 composti da elementi  indicativi  specifici  o  mediamente  prevalenti,
 consente  una  prima  conclusione:  che il divario tra canone in danaro
 pattizio e canone legale, e', in via generale, per  quanto  riguarda  i
 rapporti  di  antica  costituzione,  di  limitata  entita', tale da non
 raggiungere, nella generalita' dei casi,  quel  punto  di  rottura  che
 renderebbe  il  canone  puramente  apparente e simbolico.   Trattasi di
 canoni che, sin dall'origine lontana e nonostante i  moderati  ritocchi
 accordati  legislativamente  nel  corso  della  loro  esistenza,  hanno
 conservato la portata di una misura esigua, in molti casi sopravvissuta
 quasi per forza di inerzia, tra l'indifferenza dei concedenti.
     La  considerazione di questo sostrato di fatto e' solo un elemento,
 che integra necessariamente, ma senza esaurirla, la proposta  questione
 di costituzionalita'.
     Vi  sono altri elementi che, piu' intrinsecamente e piu' da vicino,
 riguardano la tipologia originaria dei rapporti di antica costituzione:
 particolarmente l'elemento della immutabilita' del canone.
     Il principio della revisione del canone, a seconda dell'aumentato o
 diminuito valore del fondo e notevolmente condizionato  secondo  l'art.
 962, secondo comma, del codice civile, e' stato introdotto soltanto con
 il Libro della proprieta', approvato con regio decreto 30 gennaio 1941,
 n.  15,  entrato  in vigore dal 28 ottobre 1941, trasfuso nel testo del
 codice civile approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262 e  reso
 esecutivo   dal   21   aprile  1942.  E  per  le  enfiteusi  costituite
 anteriormente  al  28  ottobre  1941,  l'art.  114  delle  disposizioni
 transitorie  al  Codice  civile  ha  bensi' consentito la presentazione
 della relativa domanda, ma solo a decorrere dal 28 ottobre 1944  ed  in
 piu'  per  la  prima revisione, con limitati effetti sulla nuova misura
 del canone.
     Il diritto a chiedere la  revisione  del  canone,  riconosciuto  al
 concedente  o all'enfiteuta ha conferito al contratto un nuovo elemento
 di rilievo, rispetto al tipo tradizionale: ma, per quanto  riguarda  le
 vecchie enfiteusi, con operativita' alquanto ridotta.
     Da  qui,  un  fondamento di ragione, nelle norme del primo e ultimo
 comma dell'art. 1 che, riferendo le valutazioni alla data del 30 giugno
 1939 in rapporto alla qualifica  catastale  e  ricavandone  un  reddito
 dominicale  rivalutato per legge, a cui adeguare il canone, realizzano,
 in tal modo, una soluzione intermedia tra quella  originaria  e  quella
 prevista  dal  codice  del  1942.  Un  simile risultato, del resto, non
 rivela  sproporzioni  tali  da  fare  considerare  ridotto   a   misura
 irrisoria,  rispetto  a  quello  iniziale,  il compenso alla proprieta'
 sacrificata:  in  qualche  caso  perfino,  come  attesta  la  relazione
 ministeriale,  maggiorandolo,  rispetto  al risultato ottenibile con la
 calcolazione di cui all'art. 971, ultimo comma, del Codice civile.
     Lo stesso, conseguentemente, deve  dirsi  per  quanto  riguarda  il
 capitale  di affranco (quarto comma dell'art. 1) ricavato moltiplicando
 per quindici volte il valore dei canoni.
     La Corte ritiene che la conclusione sia valida anche per i canoni e
 le altre prestazioni in natura,  sempre  nell'ambito  dei  rapporti  di
 origine  antica. L'art. 1 della legge in esame (secondo comma), sia per
 i versamenti in quantita' fissa di derrate, sia per quelli in quota  di
 derrate,  li riduce, previa calcolazione dell'equivalente in danaro, al
 limite della stessa somma corrispondente al reddito dominicale  di  cui
 al primo comma.
     Per  quanto  concerne  la predetta calcolazione dell'equivalente in
 danaro, l'art. 1  ha,  ai  fini  dell'affranco,  in  parte  seguito  il
 criterio  adottato dall'art. 3 comma secondo della legge 1 luglio 1952,
 n. 701, aggiornando tuttavia la rilevazione  dei  prezzi:  soltanto  la
 successiva    riduzione    al   limite   suindicato   costituisce   una
 particolarita' inerente al nuovo sistema.
     Il divario che ne risulta, secondo dati  indicativi  allegati  alla
 relazione  del  Ministero  dell'agricoltura,  e' certo, almeno in molti
 casi, maggiore di quanto non sia il divario tra i canoni in danaro.
     Ma, data la natura e le origini dei remoti rapporti in questione  e
 i  fattori  ai  quali  si  collega  il  mutare  dei prezzi dei prodotti
 agricoli, questo divario e' tale da correggere  ma  non  vanificare  la
 sostanza  economica  del  rapporto.  Il  divisamento del legislatore di
 unificare,   nella   regolamentazione,   forme   diverse  dello  stesso
 istituito, trova, nel riferimento comune al reddito dominicale, un  suo
 coerente punto d'incontro.
     10.  -  Gli  argomenti  che  si  sono  finora prospettati, trovano,
 tuttavia, la loro giustificazione, solo se riferiti alle  enfiteusi  ed
 istituti  equiparati,  di  antica  costituzione: non per quelli di piu'
 recente formazione.
     La data dell'entrata in  vigore  del  Libro  della  proprieta'  (28
 ottobre   1941)   segna,   a   giudizio  della  Corte,  una  importante
 demarcazione. Da una parte, l'accadimento di imponenti fatti storici ed
 economici ha inciso in profondita' e progressivamente  sui  valori  dei
 beni  talvolta  anche  per effetto di una modifica di destinazione e la
 svalutazione della monete ne e' stata, ad un tempo, causa  ed  effetto,
 piu'  o  meno  permanente.  Dall'altra parte, i rapporti costituiti, in
 tempi, luoghi e situazioni diversi,  dopo  la  data  suindicata,  hanno
 risentito  della strutturazione, in parte nuova, che la legge civile ha
 loro assegnato. Particolarmente,  l'assegnazione  di  un  diritto  alla
 revisione  del  canone  "in  relazione al valore attuale" (art. 962 del
 Cod. civ.) ha segnato  il  passaggio  da  una  concezione  statica  del
 rapporto  ad  una concezione dinamica: ed i nuovi rapporti sono sorti -
 ab initio - e  si  sono  svolti,  sotto  la  garanzia  della  possibile
 operativita' di quel diritto.
     Il  riferimento  alla  qualifica catastale del 1939 viene quindi ad
 assumere,  per  i  rapporti  ora  in  esame,  un  aspetto   inadeguato,
 anacronistico,   e  tale  da  creare  ingiuste  sperequazioni,  sia  se
 considerato in relazione a quei beni che abbiano avuto - medio  tempore
 -  incrementi  di valore, per cause obbiettive di trasformazione, anche
 indipendenti dagli apporti dei concessionari ed,  eventualmente,  degli
 stessi  concedenti,  sia,  ed  a  maggior  ragione,  se  considerato in
 relazione a rapporti aventi per oggetto terreni che  gia',  al  momento
 della  concessione, si trovavano per qualita' e quantita' di colture ed
 in genere, per i loro pregi intrinseci ed estrinseci, in condizione  di
 redditivita'  ben  diversa  e  maggiore di quella esistente nel lontano
 anno 1939.
     Il sistema della legge di procedere, per il calcolo, a ritroso  nel
 tempo,   viene   cosi'   a   creare   (e  la  relazione  del  Ministero
 dell'agricoltura contribuisce coi suoi dati di confronto ad evidenziare
 la situazione)  quella  dissociazione  tra  il  momento  dell'incidenza
 indennizzabile  sul  diritto  colpito  e  il momento cui va riferito il
 calcolo del valore di quest'ultimo, che questa Corte, con  sentenza  n.
 22  del  5  aprile 1965 riguardante la legge 18 aprile 1962, n.  167, e
 gia' prima con la sentenza 22  dicembre  1959,  n.  67,  ha  dichiarato
 illegittima.
     Nel  caso  in  esame, la dissociazione e' profonda ed incolmabile e
 conseguentemente ne resta viziato, limitatamente ai rapporti  temporali
 in  esame,  il  congegno della legge, sia per quanto riguarda la misura
 dei canoni  sia,  correlativamente,  per  quanto  riguarda  i  capitali
 d'affranco,  gli  uni  e  gli altri resi suscettibili di scendere al di
 sotto del livello di un'equa valutazione, dell'art.  42,  terzo  comma,
 della Costituzione.
     In   questo  senso,  e  dentro  questi  limiti,  va  dichiarata  la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1.
     11.   -   Nell'ordine  delle  norme,  singolarmente  sottoposte  al
 controllo di costituzionalita', si presenta la  norma  dell'art.  8  e,
 correlativamente  quella  dell'art. 9, che concernono l'abrogazione del
 divieto, stabilito dall'art.  972, ultimo comma, del Codice civile,  di
 ammettere  l'affrancazione qualora intervenga una domanda giudiziale di
 devoluzione per deterioramento del fondo o non adempimento dell'obbligo
 di migliorarlo.
     La Corte osserva anzitutto che la finalita' abrogativa  manifestata
 dalle  norme  in  esame rientra nell'ambito dei poteri del legislatore,
 non sindacabili in questa sede per le ragioni di principio dianzi  gia'
 indicate.
     Non  si  tratta di una immotivata e immotivabile direttiva, carente
 in modo assoluto di razionalita':  bensi'  si  tratta  di  far  entrare
 nell'alveo  del  principio  della  prevalenza  dell'affrancazione sulla
 devoluzione (principio conclamato in  termini  accentuati  anche  nella
 relazione  ministeriale  al Codice) ogni ipotesi di fatto, senza alcuna
 eccezione.  D'altra parte, l'eccezione di cui all'art. 972  del  Codice
 civile  non  era dallo stesso articolo condotta in ogni caso a rigorosa
 conseguenzialita', dappoiche' si era ritenuto  sufficiente  (art.  972,
 ultima  parte  dell'ultimo comma) l'intervento di una sentenza soltanto
 di primo grado che avesse ammesso, pur senza costituire  giudicato,  la
 affrancazione, per impedire la domanda di devoluzione.
     Trattasi, pertanto, di una eccezione marginale alla regola primaria
 dell'affrancabilita', eccezione sovente (e la norma da ultimo ricordata
 lo  conferma)  sollevata  come  tardivo rimedio ad uno stato di inerzia
 precedente.
     L'abrogazione operata con l'art. 8, non puo' dar luogo a rilievi di
 incostituzionalita'.
     12. - Viene sollevata questione di costituzionalita'  dell'art.  15
 della legge che, nel dare decorrenza retroattiva alla misura dei canoni
 e delle altre prestazioni dell'annata agraria 1962-1963, ha fatto salvi
 i casi in cui il relativo versamento sia stato gia' effettuato.
     Si  assume  che con questa norma sia stata creata una disparita' di
 conseguenze tra i partecipi del rapporto, dando luogo ad una situazione
 irreversibile, potenzialmente dannosa solo e proprio nei  casi  in  cui
 gli  obblighi  di  versamento  dei canoni siano stati puntualmente gia'
 adempiuti.
     La questione,  che  viene  posta  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione, non e' fondata.
     Per  quanto  riguarda  gli  effetti retroattivi, l'art. 25, secondo
 comma, della Costituzione ne segna il divieto limitatamente alle  norme
 punitive: conseguentemente, questa Corte ha gia' escluso l'esistenza di
 un  principio  generale  di  irretroattivita'  delle leggi (sentenze 15
 maggio 1957, n. 71, e 2 luglio 1957, n. 118).
     Per quanto riguarda gli effetti dello ius superveniens sui rapporti
 anteatti, va considerato che l'art. 15 non da' luogo ad una  disparita'
 di  trattamento  da valutare secondo l'art. 3 della Costituzione. Ma si
 uniforma al principio, riconosciuto largamente in tema  di  successione
 di  leggi, secondo cui la legge nuova non incide sui fatti esauriti, in
 tutto o in parte, sotto il vigore di quella precedente: cio' anche  per
 favorire  l'utilita'  sociale  "della  certezza dei rapporti preteriti"
 posta in evidenza nell'ora citata sentenza 2 luglio 1957, n. 118.
     13. - Va esaminata, da ultimo, la  questione  di  costituzionalita'
 relativa  all'art.  18 della legge, che dispone l'abrogazione dell'art.
 962 del Codice civile sulla revisione dei canoni relativi ad  enfiteusi
 rustiche.
     Si  assume  che,  una  volta pretermesso il motivo di questa norma,
 diretta  a  conservare  attraverso  la  fluttuazione  dei  valori,   un
 equilibrio  tra  ammontare  dei  canoni  e valori del fondo, si darebbe
 luogo  a  conseguenze  antieconomiche,  socialmente  dannose,  tali  da
 snaturare  il  rapporto e da incidere gravemente, in relazione all'art.
 42, terzo comma, della Costituzione, sulla quantificazione dei  diritti
 di proprieta'.
     La questione non e' fondata.
     La  disposizione  dell'art.  962  ha costituito una innovazione non
 solo e non tanto in relazione all'immediato precedente legislativo  del
 Codice  del  1865,  quanto in relazione alla secolare caratterizzazione
 dell'istituto, data dalla inalterabilita' del canone.
     Con l'art. 962 si e' ritenuto di apportare  un  correttivo  (ne  fa
 fede   la  relazione  ministeriale)  ad  una  situazione  che  sembrava
 conducente "a far  cadere  in  desuetudine  l'istituto":    correttivo,
 tuttavia,  poi  non  condiviso  da  autorevole  corrente di giuristi ed
 economisti,  i  quali,  al  contrario,  hanno  ritenuto   che   proprio
 l'inalterabilita'  del  canone  costituiva  il  presidio  per mantenere
 l'originalita' dell'istituto, specie a vantaggio dei  lavoratori  della
 terra.
     Ne  consegue  che  l'abrogazione  ora  disposta dal legislatore con
 l'effetto del ritorno alla tradizione, appartiene  ad  una  valutazione
 discrezionale  dei motivi, che non puo' formare oggetto di sindacato da
 parte di questa Corte.
     14. - Poiche' le enfiteusi urbane e quelle  ad  aedificandum  sono,
 come  si e' gia' detto, da considerarsi escluse dall'ambito della legge
 in  esame,  l'abrogazione  del  diritto  alla  rivendibilita'  va   qui
 considerata   in   funzione   della   materia,  propria  ed  esclusiva,
 dell'enfiteusi sui fondi rustici.
     Ogni altra questione che possa riguardare  l'estensione  ovvero  la
 non  estensione  dell'ambito  dell'abrogazione  ad  altre ipotesi al di
 fuori della normativa in  esame,  vengono  ad  incidere  negativamente,
 escludendolo,  sul  riconoscimento  di  una  loro  rilevanza  in questo
 giudizio.
     15. - Lo stesso art. 18 della legge  contiene  l'abrogazione  degli
 art. da 142 a 149 delle disposizioni transitorie al Codice civile.
     Per  quanto  riguarda  la  costituzionalita' dell'abrogazione degli
 artt. 142, 144, 147 e 149  riguardanti  rapporti  costituiti  sulla  le
 leggi  anteriori  al  Codice,  ai fini della revisione, affrancazione e
 devoluzione (e che  solamente  qui  interessano  in  derivazione  delle
 ordinanze  di  rinvio)  la  questione stessa, prospettata di scorcio in
 alcune ordinanze e difese, viene ad inserirsi direttamente  nel  quadro
 dei motivi gia' esposti per le antiche enfiteusi con la conseguenza del
 riconoscimento della loro legittimita' costituzionale.
     16.   -  In  conclusione,  la  Corte  perviene  alla  decisione  di
 illegittimita' costituzionale, concentrandola nel  solo  punto  in  cui
 l'art.  1  della  legge  in  esame consente di estendere l'applicazione
 delle relative norme anche alle enfiteusi e rapporti analoghi  conclusi
 successivamente al 28 ottobre 1941.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 22
 luglio  1966,  n.  607,  contenente "norme in materia di enfiteusi e di
 prestazioni  fondiarie  perpetue",  limitatamente  alla  parte  in  cui
 comprende  nella  normativa anche i rapporti, che formano oggetto della
 legge, conclusi successivamente alla data del 28 ottobre 1941.
     Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, fl 13 marzo 1969.
                                   ALDO  SANDULLI  -  GIUSEPPE  BRANCA -
                                   MICHELE FRAGALI - COSTANTINO  MORTATI
                                   -   GIUSEPPE   CHIARELLI  -  GIUSEPPE
                                   VERZI' - GIOVANNI BATTISTA  BENEDETTI
                                   -  FRANCESCO  PAOLO BONIFACIO - LUIGI
                                   OGGIONI - ANGELO DE  MARCO  -  ERCOLE
                                   ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
                                   MICHELE TRIMARCHI - NICOLA REALE.