N. 179 SENTENZA 10 - 17 novembre 1971

                                 N. 179
                        SENTENZA 10 NOVEMBRE 1971
               Deposito in cancelleria: 17 novembre 1971.
       Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 297 del 24 novembre 1971.
                     Pres. FRAGALI - Rel. BONIFACIO
     Frodi alimentari - Produzione e vendita delle sostanze alimentari e
 delle  bevande  -  Disciplina  igienica - Legge 30 aprile 1962, n. 283,
 art. 1,  terzo  comma  -  Accertamento  della  non  corrispondenza  dei
 campioni  prelevati  ai  requisiti  fissati dalla legge - Comunicazione
 dell'esito dell'analisi - Destinatari -  Mancata  previsione  anche  di
 quei  soggetti  che  in  base  agli  atti  di  polizia giudiziaria gia'
 compiuti risultino indiziati di reato - Violazione degli artt. 3 e  24,
 secondo  comma,  della  Costituzione  -  Illegittimita'  costituzionale
 parziale.
     Diritto  di  difesa  -  Costituzione,  art.  24,  secondo  comma  -
 Interpretazione  -  Garanzia decorrente dal momento in cui l'indizio di
 reato si soggettivizza nei confronti di una determinata persona.
(GU n.297 del 24-11-1971 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori: Prof. MICHELE  FRAGALI,  Presidente  -  Prof.
 COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE CHIARELLI - Dott. GIUSEPPE VERZI' -
 Dott.  GIOVANNI  BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO -
 Dott. LUIGI OGGIONI - Dott. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE  ROCCHETTI  -
 Prof.  ENZO  CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO
 CRISAFULLI - Dott. NICOLA REALE - Prof.  PAOLO ROSSI, Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  terzo
 comma,  della  legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla "disciplina igienica
 della produzione e della vendita  delle  sostanze  alimentari  e  delle
 bevande",  promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 1969 dal pretore
 di Bitonto nel procedimento penale a carico  di  Lovero  Antonia  e  La
 Fortuna  Luigi,  iscritta  al  n.  444  del  registro  ordinanze 1969 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 7 gennaio
 1970.
     Visti gli atti di costituzione di Luigi La Fortuna  e  d'intervento
 del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore
 Francesco Paolo Bonifacio;
     udito  il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
 per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Antonia Lovero
 e di Luigi La Fortuna - imputati della contravvenzione  prevista  dagli
 artt. 5, lett. d, ultimo comma, e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283,
 sulla  "disciplina  igienica  della  produzione  e  della vendita delle
 sostanze alimentari e  delle  bevande"  -  il  pretore  di  Bitonto  ha
 ritenuto  rilevante  e  non  manifestamente  infondata una questione di
 legittimita' costituzionale, sollevata dalla  difesa  del  La  Fortuna,
 concernente l'art. 1, terzo comma, della predetta legge.
     Nell'ordinanza di rimessione, emessa il 7 novembre 1969, si osserva
 che  la  disposizione,  in quanto non impone che, qualora l'analisi del
 prodotto accerti la sua non corrispondenza ai requisiti  fissati  dalla
 legge, il risultato venga comunicato, oltre che all'esercente presso il
 quale  e'  stato  effettuato  il prelievo, anche ad altri esercenti che
 possano essere ritenuti responsabili della irregolarita',  pone  questi
 ultimi  in  condizione  di  non poter esercitare quel mezzo di difesa -
 l'istanza di revisione dell'analisi - che il quarto comma  prevede  per
 tutti  gli  interessati, con la conseguente violazione del principio di
 eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto inviolabile  di  difesa  (art.
 24, secondo comma, Cost.).
     2.  -  Nel  presente  giudizio  si  e'  costituito, con atto del 22
 novembre 1969, il signor Luigi La Fortuna ed e' intervenuto,  con  atto
 del  20  gennaio  1970,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
     3. - La difesa del La Fortuna, premessa un'esposizione dei fatti di
 causa,  mette  in  evidenza  che  il  suo   assistito,   sottoposto   a
 procedimento  penale  con  l'imputazione  di aver venduto all'esercente
 Lovero la partita di formaggio dalla  quale  erano  stati  prelevati  i
 campioni, non ricevette alcuna comunicazione del risultato dell'analisi
 e,  quindi, non fu posto in grado di impugnarla attraverso la richiesta
 di revisione, con la conseguenza di trovarsi poi di fronte ad  un  gia'
 compiuto  atto  processuale  del  quale  e'  consentita  la  lettura in
 dibattimento e che costituisce legittima  fonte  di  convincimento  del
 giudice.    Tutto  cio'  -  cosi'  prosegue  la  difesa - determina una
 disparita' di trattamento fra l'esercente  presso  il  quale  e'  stato
 fatto il prelievo e gli altri soggetti che pur sarebbero interessati ad
 impugnare  la  prima  analisi,  in  contrasto  sia con l'art. 3 che con
 l'art. 24 della Costituzione: la violazione di quest'ultimo e' di tutta
 evidenza in base ai principi affermati da  questa  Corte  e  secondo  i
 quali all'indiziato di reato deve essere assicurato un minimo di difesa
 personale e tecnica.
     L'atto  di  costituzione  si  conclude  con  la  richiesta  che  la
 questione  proposta  dall'ordinanza  di  rimessione  sia   riconosciuta
 fondata.
     4.  -  L'Avvocatura dello Stato, dopo aver espresso, sulla base dei
 dati desumibili dalla rubrica di imputazione premessa all'ordinanza  di
 rinvio,  qualche  dubbio  sulla rilevanza della questione, sostiene che
 questa e' infondata. A conforto di tale tesi si richiama il principio -
 enunciato in via generale nella sentenza n. 86  del  1968  e  ribadito,
 proprio  a proposito dalla legge n. 283 del 1962, nella sentenza n. 149
 del 1969 - secondo il quale  la  linea  di  demarcazione  fra  indagini
 generiche  ed  atti  istruttori coincide col momento in cui un soggetto
 risulti  indiziato  di  reato:  a  tale  principio   e'   conforme   la
 disposizione  ora  impugnata,  perche'  l'esito sfavorevole della prima
 analisi fa sorgere un indizio solo nei confronti dell'esercente  presso
 il  quale e' stato effettuato il prelievo e, se si tratti di confezione
 originale, nei confronti del  produttore.  Indizi  a  carico  di  altri
 soggetti   possono   sorgere   attraverso   ulteriori   indagini,   non
 disciplinate dalla  legge  speciale  e  dal  relativo  procedimento  di
 prelievo,  analisi e revisione: ne' riguarda la denunziata disposizione
 il piu' ampio problema del valore e dell'efficacia  degli  accertamenti
 generici  di  polizia  giudiziaria  nei  confronti  di  coloro che solo
 successivamente risultino indiziati.  Per  queste  ragioni,  ad  avviso
 dell'Avvocatura,  la  questione  risulta  infondata  sia in riferimento
 all'art. 24 che all'art. 3 della Costituzione,  essendo  evidente,  per
 quanto riguarda quest'ultimo, che la posizione dell'esercente presso il
 quale  e'  stato effettuato il prelievo e' diversa da quella di chi gli
 ha fornito la merce, perche' solo nei confronti del primo il  risultato
 dell'analisi fa sorgere un indizio di reita'.
     5.  -  Nell'udienza  pubblica l'Avvocatura dello Stato ha insistito
 nelle sue deduzioni e conclusioni.
                         Considerato in diritto:
     1. - L'art. 1, terzo comma, della legge 30  aprile  1962,  n.  283,
 sulla  "disciplina  igienica  della  produzione  e  della vendita delle
 sostanze alimentari e delle  bevande"  prescrive  che,  ove  attraverso
 l'analisi  compiuta dai competenti laboratori si accerti che i campioni
 prelevati non  corrispondono  ai  requisiti  fissati  dalla  legge,  il
 risultato  venga comunicato "all'esercente presso cui e' stato fatto il
 prelievo" e, se si  tratti  di  merce  "in  confezioni  originali",  al
 produttore.
     Ad  avviso del giudice a quo, tale disposizione, nella parte in cui
 esclude che la  predetta  comunicazione  venga  fatta  anche  ad  altri
 esercenti  che  possano essere ritenuti responsabili dell'irregolarita'
 del prodotto, ingiustificatamente non pone  costoro  in  condizione  di
 esercitare quel mezzo di difesa (istanza di revisione dell'analisi) che
 il  quarto  comma  dello  stesso articolo mette a disposizione di tutti
 "gli interessati": con cio' violando sia il  principio  di  eguaglianza
 (art.  3  Cost.)  sia  il  diritto  di  difesa (art. 24, secondo comma,
 Cost.).
     2.  -  Questa  Corte  in  numerose  pronunzie  ha   ritenuto   che,
 nell'osservanza  del  precetto  enunciato  dall'art. 24, secondo comma,
 della Costituzione, la legge deve garantire  il  diritto  di  difesa  a
 partire  dal  momento  in  cui l'indizio di reato "si soggettivizza nei
 confronti di una determinata  persona".  Di  tale  principio  fu  fatta
 specifica  applicazione proprio a proposito della legge n. 283 del 1962
 (sent. n. 149 del 1969) e ad esso si ispirano  le  modifiche  apportate
 dalla  legge  5  dicembre  1969,  n.    932,  all'art. 78 del codice di
 procedura penale.
     Posta questa premessa e rilevato che quando l'analisi del  prodotto
 alimentare  ne  accerta l'irregolarita' sorge un indizio di reato (cfr.
 sent. n. 149 del 1969),  occorre  verificare  se  la  disposizione  ora
 impugnata  metta  tutti  gli  indiziati  in condizione di esercitare la
 propria difesa attraverso l'istanza  di  revisione.  E'  ovvio  che  la
 questione  non  investe  il  problema, al quale accenna la difesa dello
 Stato, dell'efficacia degli atti di polizia giudiziaria  nei  confronti
 dei  soggetti che solo successivamente al loro compimento acquistino la
 posizione di indiziati  di  reato:  piu'  limitatamente,  invece,  essa
 riguarda  la  ipotesi  nella  quale,  nel  momento  in  cui si conclude
 l'analisi, venga a risultare indiziato  di  reato,  secondo  i  criteri
 fissati  dall'art.  78  cod.  proc.  pen.,  anche  un  soggetto diverso
 dall'esercente presso il quale era stato  effettuato  il  prelievo  del
 prodotto alimentare.
     Cosi'  delimitata, la questione appare fondata. Si puo' prescindere
 dal risolvere il dubbio se  la  legge,  conferendo  agli  "interessati"
 (art.   1,   quarto   comma)   il  diritto  di  chiedere  la  revisione
 dell'analisi,  si  riferisca  solo  ai  soggetti  indicati  nel   comma
 precedente   come   destinatari   della   comunicazione  del  risultato
 dell'analisi ovvero, piu' in generale, a chiunque possa aver  interesse
 alla  revisione.  Anche  se  si  potesse  accogliere  questa piu' larga
 interpretazione, resterebbe  pur  sempre  certo  che  solo  l'esercente
 presso  il quale e' stato fatto il prelievo ed il produttore in caso di
 alimenti "in confezioni originali" vengono informati della  riscontrata
 irregolarita'  e  sono  posti  in  grado  di  richiedere, in un termine
 perentorio,   che  si  proceda  alla  revisione,  con  quelle  garanzie
 processuali che la citata sent. n.  149 del 1969 ha assicurato. Di modo
 che qualsiasi altro,  diverso  soggetto,  anche  se  in  base  ai  gia'
 compiuti  atti  di  polizia  giudiziaria  sia coinvolto nell'indizio di
 reita', vien  messo  in  condizione  di  ignorare  l'esito  sfavorevole
 dell'analisi  e  di  non poter esercitare quella difesa che si realizza
 attraverso la richiesta di revisione. Per questa parte, dunque, non  e'
 dubbio   che   la  disposizione  denunziata  opera  una  ingiustificata
 discriminazione fra i soggetti  indiziati  di  reato,  con  conseguente
 violazione  dell'art.  3 Cost., e non assicura a tutti quel diritto che
 l'art. 24, secondo comma, Cost. definisce  come  "inviolabile  in  ogni
 stato e grado del procedimento".
     3.  -  I limiti entro i quali la disposizione impugnata, per quanto
 innanzi  si   e'   detto,   risulta   costituzionalmente   illegittima,
 impediscono   di   dichiarare,   come   richiede   il  giudice  a  quo,
 l'illegittimita' delle parole "presso cui e' stato fatto il  prelievo",
 giacche'   con   tale   dichiarazione,   imponendosi   l'obbligo  della
 comunicazione  all'"esercente"  senza   adeguata   specificazione,   si
 andrebbe  al di la' di quanto e' necessario per garantire il diritto di
 difesa, in condizione di parita', a tutti coloro - e solo ad essi - che
 nel momento in  cui  l'analisi  accerta  l'irregolarita'  del  prodotto
 vengono  a  risultare,  allo  stato  degli  atti, indiziati di reato. E
 pertanto l'art. 1, comma terzo, della legge 30  aprile  1962,  n.  283,
 deve  essere  dichiarato  illegittimo  solo  nella parte in cui esclude
 l'obbligo della comunicazione a tutti coloro  che  in  base  agli  atti
 risultino indiziati di reato.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma terzo,
 della legge 30 aprile  1962,  n.  283  (contenente  disposizioni  sulla
 "disciplina  igienica  della  produzione e della vendita delle sostanze
 alimentari e delle bevande"), limitatamente alla parte in  cui  esclude
 l'obbligo  della  comunicazione  dell'esito  dell'analisi  anche a quei
 soggetti che in base agli atti di  polizia  giudiziaria  gia'  compiuti
 risultino indiziati di reato.
     Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1971.
                                   MICHELE FRAGALI - COSTANTINO  MORTATI
                                   -   GIUSEPPE   CHIARELLI  -  GIUSEPPE
                                   VERZI' - GIOVANNI BATTISTA  BENEDETTI
                                   -  FRANCESCO  PAOLO BONIFACIO - LUIGI
                                   OGGIONI - ANGELO DE  MARCO  -  ERCOLE
                                   ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
                                   MICHELE  TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
                                   - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.