N. 147 SENTENZA 14 - 27 luglio 1972

                                 N. 147
                         SENTENZA 14 LUGLIO 1972
                Deposito in cancelleria: 27 luglio 1972.
         Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 201 del 2 agosto 1972.
                     Pres. CHIARELLI - Rel. MORTATI
     Regione  Lombardia  - Prima costituzione degli uffici e dei servizi
 regionali - Legge  regionale  9  dicembre  1971,  n.  3  -  Trattamento
 economico  del personale comandato Ricorso del Presidente del Consiglio
 dei ministri senza previa deliberazione consiliare - Giustificazione  -
 Ammissibilita' nella specie.
     Giudizio   di  legittimita'  costituzionale  in  via  principale  -
 Rappresentanza e difesa del Governo  -  Validita'  delle  stesse  norme
 dettate  per  l'intervento  nei  giudizi incidentali - Necessita' di un
 mandato o di  uno  specifico  atto  da  cui  risulti  la  volonta'  del
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri - Esclusione. (Legge 11 marzo
 1953, n. 87, art. 20, terzo comma).
     Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale -  Potere
 del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri di presentare il ricorso
 senza  previa  deliberazione  consiliare  per  ragioni  di  urgenza   -
 Esclusione.  (Costituzione,  art.  127,  ultimo comma, e legge 11 marzo
 1953, n. 87, art. 31, primo comma).
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  principale   -
 Controllo dello Stato sulle leggi regionali - Deliberazione governativa
 di  rinvio  -  Non esaurisce i suoi effetti con la riapprovazione della
 legge regionale - Implica predeterminazione da parte del Governo  delle
 linee  essenziali  dell'eventuale  ricorso alla Corte e del conseguente
 giudizio di legittimita' - Estensione  della  volonta'  governativa  di
 opposizione  anche  nei  confronti  della legge regionale riapprovata -
 Mancanza di una formale constatazione di tale volonta'  all'atto  della
 presentazione  del  ricorso  da  parte  del  Presidente del Consiglio -
 Successivo atto consiliare di conferma - Sana ogni eventuale vizio  del
 ricorso Ammissibilita' di questo.
     Regione  Lombardia  - Prima costituzione degli uffici e dei servizi
 regionali - Legge  regionale  9  dicembre  1971,  n.  3  -  Trattamento
 economico  del  personale  comandato  -  Disciplina, altresi', lo stato
 giuridico  e  il  trattamento  di  personale  anche  non  regionale   -
 Violazione degli artt. 97, 117 e VIII disp. trans. della Costituzione -
 Illegittimita' costituzionale.
     Giudizio   di  legittimita'  costituzionale  in  via  principale  -
 Promulgazione e  pubblicazione  di  legge  regionale  in  pendenza  del
 giudizio  -  Difetto assoluto di poteri i Illegittimita' costituzionale
 dichiarata nei confronti della legge.
(GU n.201 del 2-8-1972 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori: Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Presidente -  Prof.
 MICHELE  FRAGALI  -  Prof. COSTANTINO MORTATI - Dott.  GIUSEPPE VERZI'-
 Prof.  FRANCESCO PAOLO BONIFACIO - Dott. LUIGI OGGIONI -  Dott.  ANGELO
 DE  MARCO  -  Avv.  ERCOLE  ROCCHETTI  -  Prof.  ENZO CAPALOZZA - Prof.
 VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI - Don. NICOLA REALE
 - Prof.  PAOLO ROSSI, Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio  di  1egittimita'  costituzionale  della  legge  della
 Regione  Lombardia  9  dicembre  1971,  n. 3, riapprovata il 3 febbraio
 1972, recante "Norme concernenti il trattamento economico del personale
 comandato  per  la  prima  costituzione  degli  uffici  e  dei  servizi
 regionali",  promosso  con  ricorso  del  Presidente  del Consiglio dei
 ministri, notificato il 19 febbraio 1972, depositato in cancelleria  il
 26 successivo ed iscritto al n.  11 del registro ricorsi 1972.
     Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione lombarda;
     udito  nell'udienza  pubblica del 9 maggio 1972 il Giudice relatore
 Costantino Mortati;
     uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele  Savarese,
 per  il ricorrente, e gli avvocati Leopoldo Elia e Feliciano Benvenuti,
 per la Regione lombarda.
                           Ritenuto in fatto:
     Con ricorso notificato il  19  febbraio  1972,  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
 dello  Stato, promuoveva questione di legittimita' costituzionale della
 legge della Regione lombarda 9 dicembre 1971,  n.  3,  riapprovata  dal
 Consiglio  regionale  a  maggioranza assoluta dei suoi componenti nella
 seduta del 3 febbraio 1972, per  contrasto  con  gli  artt.  117,  VIII
 disposizione  transitoria  e 97 della Costituzione, 6, n. 6, e 47 dello
 Statuto, nonche' 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62.
     Osservava che, con la legge impugnata, la  Regione  lombarda  aveva
 stabilito  il  trattamento  economico  da  corrispondere  al  personale
 comandato dallo Stato e dagli enti locali, per  la  prima  costituzione
 degli  uffici e servizi regionali, in via transitoria fino al 30 giugno
 1972, e  cosi'  disponendo  appariva  viziata  nel  suo  complesso  per
 incompetenza  assoluta  della  Regione  a  provvedere  sul  trattamento
 economico e sullo status giuridico di personale  appartenente  a  ruoli
 organici   dello  Stato  e  degli  enti  locali,  ancorche'  dipendente
 funzionalmente dalla Regione. Subordinatamente poi altro  vizio  doveva
 essere  ravvisato  nella  violazione dell'art. 67 della legge n. 62 del
 1953 per avere attribuito al  personale  in  questione  un  trattamento
 economico  notevolmente  superiore  a  quello  previsto  pel  personale
 statale. Ed infatti, tanto l'art. 117 della  Costituzione,  quanto  gli
 artt.  6,  n.  6,  e  47  dello  Statuto,  nell'attribuire alla Regione
 competenza per l'ordinamento degli uffici, degli enti amministrativi  e
 del  personale  dipendente  dalla  Regione, farebbero riferimento a una
 dipendenza organica e non funzionale, secondo  quanto  stabilito  dalla
 Corte  costituzionale  con  la  sentenza 10 luglio 1968, n. 93. In tale
 prospettiva, lo  status  giuridico  ed  il  trattamento  economico  del
 personale  comandato  devono continuare ad essere quelli dei rispettivi
 ruoli  di  provenienza  fino  a  quando  leggi  della  Repubblica   non
 detteranno   norme   in  proposito,  ai  sensi  dell'VIII  disposizione
 transitoria della  Costituzione.  Per  giustificare  la  disparita'  di
 trattamento  cosi'  introdotta  tra  il  personale comandato e le altre
 categorie di dipendenti statali e di enti locali, non si  potrebbe  far
 leva  sulla  transitorieta'  della  legge.  Anzi,  poiche' il personale
 comandato puo' essere in  ogni  momento  richiamato,  anche  d'ufficio,
 presso l'ente di provenienza, l'avere ad esso attribuito un trattamento
 autonomo  -  e  nella  specie, a vari livelli, superiore a quello degli
 status originari -, potrebbe costituire un attentato al buon  andamento
 dell'amministrazione  rendendo  psicologicamente  difficile  una scelta
 obbiettiva tra la permanenza presso la Regione  e  l'eventuale  rientro
 presso l'ente di provenienza.
     Si  costituiva  in  giudizio  la  Regione lombarda, rappresentata e
 difesa dagli avvocati Benvenuti, Elia e Lorenzoni. La Regione sollevava
 pregiudizialmente  eccezione  di  inammissibilita'  del   ricorso,   in
 considerazione  della circostanza che questo non era stato preceduto da
 una deliberazione del Consiglio dei ministri e nemmeno da  una  formale
 determinazione  del Presidente del Consiglio dei ministri, che, benche'
 incompetente, avesse deliberato la  proposizione  del  ricorso  in  via
 d'urgenza.  In  tale  situazione l'impugnativa era meramente apparente,
 perche' proposta dalla sola Avvocatura dello Stato, e come tale affetta
 da  assoluta  nullita'  ed  inammissibilita',  nonostante  la   tardiva
 conferma  del  Consiglio  dei ministri deliberata nella riunione del 22
 febbraio  1972,  essendo  da  escludere  che  la  conferma  o  ratifica
 potessero sanare l'originario vizio.
     Venendo  quindi al merito del ricorso, la Regione rilevava in primo
 luogo  che  la  legge  impugnata  regolava  transitoriamente  il   solo
 trattamento economico del personale comandato. Essa era espressione del
 fondamentale  principio  di  eguaglianza perche' intesa a parificare il
 trattamento economico di personale che, pur con  diverse  qualifiche  e
 diversa  provenienza,  si  era trovato a svolgere lo stesso lavoro e le
 stesse mansioni, perdendo, per di piu', quella  parte  di  retribuzione
 reale  costituita  da  indennita',  gettoni di presenza e emolumenti di
 altra natura, gia' variamente percepita presso gli enti di provenienza.
     Quanto al secondo profilo della asserita incompetenza della Regione
 a disciplinare il trattamento economico di personale da essa dipendente
 solo funzionalmente, si rilevava dapprima che male era  stato  invocato
 l'art.  97  della Costituzione, poiche' il buon andamento (che, secondo
 la disposizione richiamata, deve essere assicurato) si  riferisce  alla
 singola  Amministrazione,  nella  specie  alla  Regione  lombarda; buon
 andamento che certo non si sarebbe avuto con  il  sistema  dei  diversi
 emolumenti concessi al personale comandato.
     Apodittico era poi ritenere che la Regione non potesse migliorare a
 fini  perequativi  il trattamento economico di personale funzionalmente
 dipendente che restava determinato fondamentalmente dallo Stato o dagli
 altri enti pubblici.  Ed infatti, se e' vero che  gli  emolumenti  sono
 collegati   con  il  grado  rivestito,  e'  anche  vero  che  al  grado
 corrispondono determinate funzioni, sicche' sarebbe proprio il  momento
 della  dipendenza funzionale, piu' di quello della dipendenza organica,
 a definire la causa degli emolumenti.
     Quanto alla legge n. 62 del 1953, essa all'art. 65 vieta agli  enti
 di  provenienza di attribuire indennita' al personale comandato, ma non
 pone alcuna norma che inibisca alla Regione di attribuire indennita'  o
 attraverso  premi  in deroga ed analoghe "provvidenze", o predisponendo
 un sistema  obbiettivo  di  compensi  corrispondenti  al  valore  delle
 funzioni  esercitate.  Ne'  infine si poteva richiamare l'art. 67 della
 legge n. 62 del t953, poiche' questa  disposizione  non  dava  luogo  a
 norme  di  principio  in  ordine  al trattamento economico, non ponendo
 procedure per la determinazione di tale trattamento o parametri  minimi
 in relazione a determinate funzioni.
     Concludeva   pertanto  per  la  reiezione  del  ricorso  in  quanto
 inammissibile e infondato nel merito.
     Nella memoria successivamente depositata, l'Avvocatura dello Stato,
 dopo  aver  richiamato  la  sentenza  n.  6  del   1969   della   Corte
 costituzionale  al  fine di dimostrare la irrilevanza di una ricerca di
 una formale deliberazione del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
 resisteva  all'eccezione  di  inammissibilta'  del ricorso per l'omessa
 previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Al proposito, deduceva
 che  l'art. 127 della Costituzione (unica norma di rango costituzionale
 che disciplina la materia)  non  richiede  tale  previa  deliberazione,
 prescritta,  invece, solo dalla legge ordinaria (art. 31 legge 11 marzo
 1953, n. 87). Ne ricavava che alla rigida applicazione della  legge  n.
 87  del  1953  si  sarebbe  potuta contrapporre un'interpretazione piu'
 conforme a situazioni eccezionali come quella di  specie.  Era  infatti
 accaduto che, durante la pendenza del termine per impugnare, il Governo
 dimissionario era stato sostituito da un nuovo Governo, che peraltro si
 era  completamente  formato,  con  il  giuramento  del  Ministro per il
 lavoro,  solo  nel  giorno  stesso  della  scadenza  del  termine   per
 l'impugnazione.  Pertanto,  mentre  al Governo dimissionario non poteva
 muoversi alcun addebito per non aver  proposto  il  ricorso,  il  nuovo
 Governo  non  si sarebbe potuto riunire, perche' non formato, prima del
 giuramento del Ministro  del  lavoro,  giuramento  che,  tuttavia,  era
 intervenuto   in  un  momento  in  cui  era  materialmente  impossibile
 notificare il ricorso. Nell'evidente impossibilita' giuridica, politica
 e di fatto, di convocare  un  Consiglio  dei  ministri  ad  horas,  per
 deliberare  a  Roma  sulla  proposizione  di un atto, che doveva essere
 notificato a Milano, il Presidente del Consiglio dei ministri,  in  via
 di  urgenza,  diede corso all'impugnativa e sottopose la questione, per
 la ratifica e conferma, al primo Consiglio dei  ministri  (22  febbraio
 1972), che approvo'.
     Nessun  precedente  della  Corte  si  attagliava,  quindi,  a  tale
 situazione,  per  la  quale   conveniva   adottare   un'interpretazione
 razionale  e  conservativa dei diritti della parte ricorrente, come era
 stato fatto nella sentenza n. 39  del  1971.  Nel  merito  l'Avvocatura
 ribadiva   le  argomentazioni  precedentemente  svolte  per  dimostrare
 l'incompetenza della Regione a disciplinare lo status giuridico  ed  il
 trattamento economico di personale non organicamente dipendente.
     La  Regione  lombarda,  a  sua  volta,  insisteva nell'eccezione di
 inammissibilita', sottolineando, dopo aver richiamato precedenti  della
 Corte  in  materia,  che  la  richiesta di una previa deliberazione del
 Consiglio  dei  ministri  e'  gia'  contenuta   nell'art.   127   della
 Costituzione che attribuisce a questo organo il potere di deliberare il
 ricorso,  come la Corte costituzionale aveva ritenuto nella sentenza n.
 8 del 1967.  La stessa Corte, inoltre, nella sentenza n. 119  del  1966
 aveva  opposto  il  principio  della  inderogabilita'  delle competenze
 costituzionali all'opinione che situazioni eccezionali legittimerebbero
 il Presidente del Consiglio ad adottare provvedimenti di urgenza, salva
 ratifica del Consiglio dei ministri.
     Del  resto  era  dubbio  che  la  situazione  fosse  nella   specie
 eccezionale,  poiche'  anche  il  Governo  dimissionario avrebbe potuto
 proporre il ricorso.   Una  deroga  al  principio  della  collegialita'
 costituirebbe,  comunque,  un grave precedente che potrebbe condurre ad
 una prassi tale da vanificare il dettato costituzionale, tanto piu' che
 la  ratifica  o  conferma  dell'iniziativa   presidenziale   diverrebbe
 automatica o quasi, per la menomazione del prestigio del Presidente che
 si avrebbe ove il Consiglio dei ministri non ratificasse il ricorso.
     Nel  merito  la  Regione  si  riportava  a  quanto  precedentemente
 dedotto.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Con ricorso del 19 febbraio 1972 il Presidente del Consiglio
 dei ministri ha promosso la questione  di  legittimita'  costituzionale
 della  legge approvata il 9 dicembre 1971 dal Consiglio regionale della
 Regione Lombardia e, a seguito di rinvio,  riapprovata  il  3  febbraio
 1972  a  maggioranza  assoluta  dei  componenti dello stesso Consiglio,
 recante norme concernenti il trattamento economico del personale per la
 prima costituzione degli uffici e dei servizi regionali, per violazione
 dell'art. 117, dell'VIII disposizione transitoria e dell'art. 97  della
 Costituzione,  nonche'  dell'art. 6, comma quinto, n. 6, e dell'art. 47
 dello Statuto approvato con legge 22 maggio 1971, n. 339.
     2. - Per la Regione Lombardia il ricorso  proposto  dal  Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri  sarebbe  apparente, inesistente o nullo,
 perche' non sarebbe stato preceduto da una -  anche  se  illegittima  -
 formale   determinazione  di  esso  Presidente  e  sarebbe  stato  solo
 sottoscritto da un Avvocato dello Stato, che, per la  mancanza  di  una
 qualsiasi  deliberazione,  non  avrebbe  la  veste  di rappresentare il
 Governo.
     Sulle ragioni poste a fondamento delle eccezioni e sviluppate nella
 memoria di costituzione, la  resistente  non  si  sofferma  piu'  nella
 memoria difensiva, senza peraltro rinunciarvi: e' quindi necessario che
 la Corte se ne occupi.
     Risulta  in  punto  di  fatto  che  il Presidente del Consiglio dei
 ministri ha promosso la questione di legittimita' costituzionale  sopra
 specificata,  a  mezzo  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato;  e dal
 ricorso non  emerge  se  vi  sia  stata  una  formale  deliberazione  o
 determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri.
     Non  vi  e'  dubbio  pero' che la redazione e la sottoscrizione del
 ricorso da parte dell'Avvocato generale dello Stato e per  esso  da  un
 sostituto   Avvocato   generale,   siano   state   precedute   da   una
 determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri.
     Per l'esistenza ed operativita' di un atto del genere  non  occorre
 una  particolare  forma,  ma basta, come osserva l'Avvocatura generale,
 che la volonta' del Presidente del Consiglio si esprima,  di  volta  in
 volta,  attraverso  i  canali  necessari  e sufficienti in relazione al
 contenuto dell'atto stesso.
     Nella specie,  essendoci  stata  la  volonta'  del  Presidente  del
 Consiglio  di  impugnare  davanti  alla  Corte  la  legge  de qua, come
 inequivocabilmente  e'  dimostrato  dal  comportamento   dello   stesso
 Presidente   ed   indirettamente   e'  comprovato  dalla  deliberazione
 consiliare del 22 febbraio 1972, di cui infra, ed  essendo  stata  tale
 volonta'  portata utilmente a conoscenza dell'Avvocatura generale dello
 Stato,  questa  legittimamente  ha  proposto  il  ricorso  a   nome   e
 nell'interesse del Presidente del Consiglio dei ministri.
     Nei  giudizi  in  via  d'azione  valgono  circa la rappresentanza e
 difesa del Governo le norme  che  sono  dettate  per  l'intervento  nei
 giudizi  incidentali (art.  20, comma terzo, della legge 11 marzo 1953,
 n. 87), e sono applicabili i principi  riconosciuti  validi  da  questa
 Corte  (sentenza  n. 6 del 1969) a proposito della non necessarieta' di
 un mandato o di uno specifico atto  da  cui  risulti  la  volonta'  del
 Presidente del Consiglio dei ministri.
     Stante cio', la sopraddetta eccezione e' infondata.
     3.  - La Regione Lombardia eccepisce altresi' ed in modo preminente
 che il ricorso sarebbe  inammissibile  perche'  la  proposizione  della
 questione  operata  dal  Presidente  del  Consiglio  non  sarebbe stata
 preceduta da una conforme deliberazione del Consiglio  dei  ministri  e
 perche'  al  riguardo non sarebbe consentito al Presidente, neppure per
 ragioni di urgenza, di sostituirsi al Consiglio.
     Invero,  alla  proposizione  del  ricorso  entro  il termine di cui
 all'art. 127, comma quarto, della Costituzione  e  all'art.  31,  comma
 primo,  della  legge  n. 87 del 1953, ha fatto seguito, al di la' della
 scadenza del termine stesso, una deliberazione con cui il Consiglio dei
 ministri ha confermato l'impugnativa dinanzi alla Corte  costituzionale
 proposta in via d'urgenza dal Presidente del Consiglio dei ministri.
     Ed  a  queste premesse si riporta la tesi sostenuta dall'Avvocatura
 dello Stato, per cui, in caso di necessita' ed urgenza, il  Presidente,
 salvo  ratifica o conferma del Consiglio dei ministri, e' legittimato a
 sostituirsi al  Consiglio  stesso  nell'iniziativa  di  promuovere  una
 questione    di   legittimita'   costituzionale   in   via   principale
 relativamente ad una legge regionale.
     Tale tesi, pero', in linea di principio, non puo' essere condivisa.
     Questa Corte ha piu' volte (sentenze n. 76 del 1963, n.    119  del
 1966  e  n.  8  del  1967) precisato che il potere di proporre la detta
 impugnativa spetti al Governo, che sia  il  Consiglio  dei  ministri  a
 dover  deliberare  al  riguardo  e  che il Presidente del Consiglio sia
 legittimato ad agire se ed in quanto sussista la  detta  determinazione
 del  Consiglio dei ministri, e correlativamente che neppure per ragioni
 di urgenza il Presidente si possa sostituire  in  sede  decisionale  al
 Consiglio dei ministri.
     Ed  ora  ritiene  che  non  ricorrono  nuove  ragioni per mutare il
 proprio convincimento. In particolare, non e'  dell'avviso  che  l'art.
 127,  ultimo comma, come invece si legge nella difesa dello Stato, "non
 esclude, di per se', che, osservato il termine perentorio  di  quindici
 giorni,  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri si assuma, in via
 d'urgenza, i poteri del Gabinetto, di cui  egli  rappresenta  (art.  95
 della  Costituzione)  la  sintesi dell'attivita' politica generale e di
 quella di indirizzo politico, salva la successiva conferma  o  ratifica
 da  parte  del  Consiglio  dei  ministri".    E' vero che solo la legge
 ordinaria (art.  31  citato)  prescrive  la  previa  deliberazione  del
 Consiglio  dei  ministri,  ma  tale  norma  non  si  presta  ad  essere
 interpretata nel senso ora detto, perche' e' proprio l'art.  127  della
 Costituzione a ricollegare al Governo e cioe' al Consiglio dei ministri
 i  poteri  in  ordine alla proposizione del ricorso.  Senonche', con il
 mancato accoglimento della tesi difensiva del Presidente del  Consiglio
 dei ministri, non si perviene, come vorrebbe la Regione Lombardia, alla
 dichiarazione di inammissibilita' del ricorso.
     Bisogna anzitutto porre mente al fatto che l'art. 127 si occupa del
 controllo dello Stato nei confronti delle leggi regionali, prevedendone
 l'esercizio  nei  modi  del  visto e del rinvio per riesame. E che tale
 controllo puo' essere fine a se stesso ovvero,  per  quanto  in  questa
 sede  rileva,  puo'  presupporre  e  comportare che venga instaurato il
 giudizio di legittimita' costituzionale.
     In questa seconda ipotesi, qualora, come  nel  caso  in  esame,  la
 legge regionale venga riapprovata nell'identico testo, non appare utile
 distinguere,  nel procedimento di controllo latamente inteso, due fasi,
 e ritenere che la prima finisca con la riapprovazione della legge (come
 implicitamente ammesso con la sentenza n. 8 del 1967). E  cio'  perche'
 il  rinvio della legge al Consiglio regionale deve essere preceduto dal
 controllo del Consiglio dei ministri, e quando questo rinvia  con  atto
 motivato,  esso  rileva vizi di legittimita' costituzionale della legge
 ed invita il Consiglio regionale a considerarli ed a rimuoverli in sede
 di nuova approvazione.
     Tale  atto  ha  una  sua  componente di volonta' in relazione ad un
 comportamento immediatamente successivo (rinvio) o futuro ed  eventuale
 (ricorso per illegittimita' costituzionale alla Corte). E come tale non
 e' istantaneo, ma perdurante, sia pure a date condizioni (e soprattutto
 a  quella  della  riapprovazione  della legge); per cui appare, siccome
 rilevato in dottrina, come predeterminazione da parte del Governo delle
 linee essenziali dell'eventuale ricorso alla Corte  e  del  conseguente
 giudizio di legittimita'.
     La  valutazione  e  il giudizio espressi dal Consiglio dei ministri
 non si caducano per decorso di tempo,  ma  vengono  meno  solo  per  il
 formarsi di una differente determinazione dello stesso Consiglio.
     E  per  cio'  all'atto  in cui la legge, con lo stesso contenuto di
 prima,  viene  riapprovata,  in  relazione  ad  essa  esistono   quella
 valutazione e quel giudizio.
     Di  conseguenza,  quando  l'art. 127 dice che entro 15 giorni dalla
 comunicazione della nuova approvazione della  legge  il  Governo  della
 Repubblica  puo'  promuovere  la questione di legittimita' davanti alla
 Corte costituzionale e quando l'art.  31, primo e secondo comma,  della
 legge  n.  87  del 1953 dispone che la questione puo' essere promossa e
 sollevata  "previa  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri,   dal
 Presidente  del Consiglio", si vuole che a fronte dell'atto di rinvio e
 del ricorso alla Corte esista una volonta' attuale di  opposizione  per
 ragione   di  legittimita',  del  Governo  nei  confronti  della  legge
 regionale perche' eccedente la competenza della Regione, e che  codesta
 volonta'  (gia'  formatasi ed espressa prima della negazione del visto)
 venga constatata dallo stesso Consiglio dei ministri come esistente  al
 tempo della proposizione del ricorso.
     Se  pero'  per  ragioni  eccezionali  tale formale constatazione di
 attuale esistenza della volonta' del Consiglio dei  ministri  non  puo'
 aver luogo, deve ammettersi che sulla base di quella volonta' per altro
 non  modificata,  il  Presidente  del  Consiglio  abbia  il  potere  di
 promuovere il giudizio ed il Consiglio dei ministri, almeno  prima  del
 deposito  del  ricorso  davanti alla Corte, abbia quello di riaffermare
 con una formale deliberazione la detta volonta', in modo diretto  o  in
 modo   indiretto   (ratificando  o  confermando  il  comportamento  del
 Presidente del Consiglio), e di fornire di cio' la prova  nella  debita
 sede.
     Nella specie, come risulta dall'atto di rinvio, il cui contenuto e'
 riportato nella memoria di costituzione della Regione, il Consiglio dei
 ministri   ha   utilmente   e   regolarmente  effettuato  il  controllo
 spettantegli sulla legge regionale de qua ed ha  partecipato  i  motivi
 (del  proprio convincimento e della propria determinazione ai fini) del
 rinvio al Consiglio regionale.
     La  volonta'  di  opposizione  del  Governo  alla  promulgazione  e
 pubblicazione  della legge non ha subito alcuna modifica ne' tanto meno
 si e' esaurita, per cui se ne puo' ritenere l'esistenza  alla  data  in
 cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto il ricorso.
     Questo   atto,   pertanto,   proviene   da  un  organo  legittimato
 specificamente a sensi dell'art. 31, comma secondo, della legge  n.  87
 del  1953,  a  seguito  della  precedente  e  perdurante  (almeno negli
 effetti) deliberazione del Consiglio dei ministri.
     E'  mancata, e' vero, in fatto la constatazione della perduranza di
 codesta volonta' all'atto della proposizione del  ricorso,  ma  a  tale
 omissione si e' ovviato con il successivo atto di conferma.
     Da tutto cio' consegue che il ricorso, essendo stato legittimamente
 proposto  ed  essendo  stato  comunque sanato ogni suo eventuale vizio,
 debba dirsi pienamente ammissibile.
     4. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
     La  legge  in  questione  si  riferisce  non  solo  al  trattamento
 economico ma anche allo stato giuridico del personale comandato.
     Non  appare  sostenibile l'assunto della Regione secondo cui non si
 e' voluto modificare lo stato giuridico del detto  personale  e  si  e'
 inteso  solo incidere sul suo trattamento economico, e non si e' voluto
 dar vita ad un ruolo a parte ed attribuire  qualifiche  e  mansioni  in
 contrasto con le qualifiche che i singoli dipendenti avevano presso gli
 enti di appartenenza.
     E'  vero  che  il  titolo della legge fa riferimento al trattamento
 economico, e che nello stesso senso e' il disposto dell'art.  1,  comma
 primo,  e  dell'art. 2, cpv., ma non deve trascurarsi in contrario che,
 come ammette la stessa Regione, si e' posto in essere un  "mansionario"
 valido  per  tutto il personale (compreso quello comandato) e quindi si
 sono sostanzialmente modificate le qualifiche originarie, e tra l'altro
 e  soprattutto  si  e'  operata  un'integrazione   della   retribuzione
 percepita   rivalutata   attraverso   la   costruzione  della  carriera
 pregressa.
     Stante cio', la legge e' illegittima:
     a) Perche' la Regione non ha il potere  di  disciplinare  lo  stato
 giuridico  del  personale che non sia regionale ma semplicemente presso
 di essa comandato (e tuttavia appartenente ai ruoli dello Stato o degli
 enti locali).
     Non basta al detto fine che nella mancanza di un rapporto organico,
 vi sia un semplice rapporto funzionale.
     Nulla puo' ricavarsi in contrario (come  vorrebbe  invece  fare  la
 Regione)  dall'art.  117  della Costituzione e dal citato art. 6, n. 6,
 dello Statuto regionale. Che' anzi da tali testi emerge chiaramente  la
 necessita',  perche'  la  Regione  possa  provvedere all'organizzazione
 degli uffici e dei servizi, che tale attivita' si  rivolga,  sul  piano
 dei soggetti, nei confronti di personale regionale.
     b)  Inoltre,  la  Regione non puo' dettare un trattamento economico
 (qualsiasi)  per  il  personale  non  regionale  ancorche'   dipendente
 funzionalmente da essa.
     E'  quanto  mai  significativo al riguardo il precedente in materia
 offerto dalla sentenza n. 93 del 1968,  secondo  cui  "l'indispensabile
 presupposto  della  legittimita'  d'una legge regionale regolatrice del
 trattamento economico del personale di determinati uffici e' costituito
 dal fatto che essa si riferisce a dipendenti della Regione".
     E non vale  eccepire  che  quello  che  definisce  la  causa  degli
 emolumenti  sia  il  momento  della  dipendenza  funzionale  perche' e'
 evidente che collegando  formalmente  o  fittiziamente  il  trattamento
 economico  alle  mansioni,  e  modificando  queste, si viene a incidere
 sullo stato giuridico del personale che sul terreno della  retribuzione
 e' ancorato al grado e alle qualifiche secondo i ruoli di appartenenza.
     c) La Regione, ad ogni modo, si sarebbe dovuta adeguare ai principi
 a  sensi  del ripetuto art.  117 e dell'art. 67 della legge 10 febbraio
 1953, n. 62 (giusta l'interpretazione datane da  questa  Corte  con  la
 sentenza n. 40 del 1972).
     Codesti  principi non sono - come vorrebbe la Regione - solo quelli
 che impongono certe procedure per  la  determinazione  del  trattamento
 economico  o certi parametri minimi in relazione a certe funzioni. Sono
 tali anche, e tra gli altri, quelli che escludono l'automaticita' degli
 scatti di stipendio e li condizionano all'assenza di demerito.
     Contro questi ultimi principi e' volto il  "nuovo"  sistema  creato
 dalla  Regione che tra l'altro si fonda sulla concessione di uno scatto
 di classe di stipendio al quinto anno ed  in  modo  indiscriminato  per
 tutti  i  dipendenti,  e  sulla  attribuzione degli scatti di stipendio
 prescindendo dall'assenza di demerito.
     Appare quindi evidente la violazione delle citate norme.
     d) La Regione ha comunque violato direttamente il citato  art.  67,
 seconda  parte,  della  legge  n. 62 del 1953, percio' che, fissando la
 misura degli scatti al sei per cento anziche' al  2,50  per  cento,  ha
 previsto  un  trattamento  economico piu' favorevole in assoluto per il
 personale comandato presso la Regione.
     5. - Rimane cosi' assorbito l'esame delle  considerazioni  relative
 alla  denunciata  violazione  dell'art.  97  della Costituzione nonche'
 dell'VIII disposizione transitoria.
     6. - Si puo' pertanto concludere per la fondatezza del ricorso.
     Ritenuto, infine, che il Presidente della  Giunta  regionale  della
 Lombardia,  nonostante la pendenza del presente giudizio, ha promulgato
 la legge e ne ha ordinato la pubblicazione e che questa ha avuto  luogo
 nel Bollettino ufficiale n. 9 del 21 febbraio 1972, non puo' non essere
 rilevata  la gravita' di codesto comportamento posto in essere in piena
 carenza di poteri, senza attendere, in ordine al proposto  ricorso,  la
 decisione  di  questa  Corte  e  cioe'  dell'unico organo competente ad
 esprimere al riguardo determinazioni costituzionalmente valide.
     Ed essendo intervenuta la pubblicazione della legge, e'  di  questa
 che deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara  l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione
 Lombardia del 21 febbraio 1972, n. 2, contenente "norme concernenti  il
 trattamento economico del personale comandato per la prima costituzione
 degli uffici e dei servizi regionali".
     Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1972.
                                   GIUSEPPE CHIARELLI - MICHELE  FRAGALI
                                   -   COSTANTINO   MORTATI  -  GIUSEPPE
                                   VERZI' - FRANCESCO PAOLO BONIFACIO  -
                                   LUIGI  OGGIONI  -  ANGELO  DE MARCO -
                                   ERCOLE ROCCHETTI - ENZO  CAPALOZZA  -
                                   VINCENZO  MICHELE  TRIMARCHI  - VEZIO
                                   CRISAFULLI -  NICOLA  REALE  -  PAOLO
                                   ROSSI
                                   ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere