N. 127 SENTENZA 21 - 28 maggio 1975

                                 N. 127
                         SENTENZA 21 MAGGIO 1975
                Deposito in cancelleria: 28 maggio 1975.
         Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 145 del 4 giugno 1975.
                     Pres. BONIFACIO - Rel. ROSSANO
     Procedure  concorsuali  -  Fallimento  - R.D. 16 marzo 1942, numero
 267, art. 147, secondo comma - Nega  al  fallito  la  legittimazione  a
 chiedere  la  dichiarazione  di  fallimento  dei  soci  illimitatamente
 responsabili - Violazione degli artt.  3  e  24  della  Costituzione  -
 Illegittimita' costituzionale in parte qua.
     Procedure  concorsuali  -  Fallimento  - R.D. 16 marzo 1942, numero
 267, art. 22 - Non legittima il fallito a proporre  reclamo  contro  la
 pronuncia  del tribunale che ha respinto l'istanza per la dichiarazione
 di fallimento del socio  a  termini  dell'art.  147,  secondo  comma  -
 Illegittimita' costituzionale conseguenziale in parte qua.
(GU n.145 del 4-6-1975 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori: Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Presidente -
 Dott.  LUIGI  OGGIONI  - Avv. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI -
 Prof. ENZO CAPALOZZA - Prof.  VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Dott. NICOLA
 REALE - Prof. PAOLO  ROSSI  -  Avv.  LEONETTO  AMADEI  -  Dott.  GIULIO
 GIONFRIDA  -  Prof.    EDOARDO  VOLTERRA  -  Prof. GUIDO ASTUTI - Dott.
 MICHELE ROSSANO, Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 147,  secondo
 comma,  del  r.d.  16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promosso
 con ordinanza  emessa  il  15  ottobre  1973  dalla  Corte  suprema  di
 cassazione  -  sezione  prima civile - nel procedimento civile vertente
 tra Raccuglia Michele  e  il  fallimento  della  societa'  Raccuglia  e
 Maltese,  iscritta  al  n.  53 del registro ordinanze 1974 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 75 del 20 marzo 1974.
     Udito nella camera di consiglio del 20  febbraio  1975  i1  Giudice
 relatore Michele Rossano.
                           Ritenuto in fatto:
     Con  istanza 20 ottobre 1969 Raccuglia Michele, socio della fallita
 societa' di fatto Raccuglia Michele e Maltese Laura, chiese al  giudice
 delegato di promuovere l'estensione del fallimento a Signorelli Nicola.
 Il  giudice  delegato rigetto' l'istanza. Il Raccuglia propose ricorso,
 che venne rigettato dal tribunale di Napoli con decreto 6 luglio  1970.
 Contro  questo  decreto  il  Raccuglia  propose  reclamo  alla Corte di
 appello di Napoli, la quale, con decreto 19 gennaio 1971, confermo'  il
 provvedimento  impugnato,  avendo ritenuto inammissibile il reclamo del
 fallito per difetto di legittimazione, dato che solo  il  curatore  del
 fallimento,  quale  unico  titolare del potere di chiedere l'estensione
 del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, era legittimato ad
 impugnare il  decreto  di  rigetto  della  domanda  di  estensione  del
 fallimento.    Avverso tale decreto della Corte di appello il Raccuglia
 propose ricorso per cassazione.
     La Corte suprema di cassazione, con ordinanza  15  ottobre  1973  -
 ritenuta  l'ammissibilita' del ricorso straordinario ai sensi dell'art.
 111 della Costituzione - ha sollevato,  di  ufficio,  la  questione  di
 legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 147 della legge
 fallimentare  -  in  riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione -
 sotto  il  profilo  che  tale  norma  non  attribuisce  al  fallito  la
 legittimazione  a proporre istanza al tribunale per la dichiarazione di
 fallimento dei soci illimitatamente responsabili.
     Dopo  avere richiamato la sentenza 16 luglio 1970, n.  142 - con la
 quale questa Corte ha dichiarato la illegittimita'  costituzionale  del
 citato  art.  147  della  legge  fallimentare  nella  parte  in cui non
 consentiva al creditore di chiedere la  estensione  del  fallimento  ai
 soci illimitatamente responsabili - ha osservato che l'evoluzione degli
 orientamenti  giurisprudenziali e' nel senso di maggiore riconoscimento
 e, in definitiva, di un ampliamento della tutela giurisdizionale  della
 situazione  giuridica  del  fallito, con la soppressione di limitazione
 derivante da una concezione assoluta della  compressione  subita  dallo
 stesso per effetto della dichiarazione di fallimento. Ha, poi, rilevato
 che  al  fallito,  nella  ipotesi  della sua ammissione ad esercitare i
 diritti di istanza ex art. 147 della legge fallimentare,  non  verrebbe
 concessa, in via immediata e diretta, la possibilita' di incidere sulla
 sua   situazione  patrimoniale,  il  che  sarebbe  assai  difficilmente
 conciliabile con il sistema del diritto positivo, ma verrebbe  soltanto
 attribuita   la   facolta'   di  interloquire  circa  l'estensione  del
 procedimento   fallimentare   con   azione   dall'esterno,   volta   ad
 identificare  le  dimensioni oggettive e soprattutto soggettive di tale
 procedimento.
     Ha aggiunto che la suddetta facolta', eventualmente  attribuita  al
 fallito,  costituirebbe,  in  definitiva, solo il perpetuarsi di quella
 libera facolta' che il  debitore,  non  ancora  fallito,  ha,  in  base
 all'art.  6  della legge fallimentare, di chiedere la dichiarazione del
 proprio fallimento o del fallimento di una ritenuta societa'  di  fatto
 tra  esso  debitore  ed  altri  soggetti.  Ha concluso rilevando che e'
 seriamente  dubitabile  che  il  sistema  degli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione  sia  rispettato  dal  menzionato  art.  147  della  legge
 fallimentare, che  inibisce,  senza  giustificazione  ne'  morale,  ne'
 tecnico-  giuridica,  la  difesa  giurisdizionale  di un sicuro diritto
 sostanziale quale quello  di  affermare  la  esistenza  di  condebitori
 solidali,  sui  quali  anche  incombe  il  dovere  di  pagare  i comuni
 creditori, per di piu' con un chiaro rapporto  interno,  in  forza  del
 quale  puo'  dirsi  che  il  fallito  si  presenti  ufficialmente  come
 creditore di quei soggetti.
     L'ordinanza e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 75  del
 20 marzo 1974. Nel giudizio davanti a questa Corte le parti non si sono
 costituite,   ne'  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
                         Considerato in diritto:
     1. - La questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 147,
 secondo comma, del. r.d. 16 marzo 1942, n.  267  (legge  fallimentare),
 "sotto  il  profilo  che tale norma nega al fallito la legittimazione a
 proporre istanza al tribunale  fallimentare  per  la  dichiarazione  di
 fallimento  dei  soci  illimitatamente responsabili" e' stata sollevata
 dalla Corte di cassazione con riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  rilevando che questa Corte, con sentenza 16 luglio 1970,
 n. 142, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale di detta norma  nella
 parte  in  cui  negava  "al  creditore  interessato la legittimazione a
 proporre  istanza  di  dichiarazione  di  fallimento  di   altri   soci
 illimitatamente   responsabili   nelle   forme  dell'art.  6  del  r.d.
 predetto".
     2. - Il riferimento alla citata sentenza n. 142 del 1970 postula la
 precisazione  dei  limiti  della  questione  in  essa  decisa  quali si
 desumono dal dispositivo alla luce della motivazione. In tale  sentenza
 questa   Corte,  nell'interpretare  il  secondo  comma  dell'art.  147,
 osservo':  "la disposizione si suole ricondurre al criterio che  domina
 il  processo fallimentare, per cui, messo questo in movimento, non v'e'
 azione del creditore che non vi si debba inserire; ma l'applicazione di
 tale principio non deve  togliere  al  creditore  la  legittimazione  a
 proporre   istanze   al  giudice  fallimentare  a  tutela  del  proprio
 interesse, compatibilmente con la struttura del processo fallimentare".
     Ora la distinzione tra "azione che non debba  essere  inserita  nel
 processo"  e  "legittimazione  a  proporre istanze a tutela del proprio
 interesse, compatibilmente con la struttura del processo  fallimentare"
 esclude  che  tale legittimazione abiliti il creditore a proporre prove
 come in un processo ordinario.   Questa Corte,  in  coerenza  con  tale
 premessa,  preciso'  che "la istanza del creditore non sbocca in una di
 quelle azioni esecutive individuali, che, per il carattere generale del
 concorso fallimentare, sono vietate dall'art. 51 legge fallimentare, ma
 intende dare al procedimento concorsuale la sua giusta dimensione; deve
 necessariamente esercitarsi mediante ricorso al tribunale,  cosi'  come
 e'  prescritto  nell'art.  6  della legge stessa, e non viene percio' a
 turbare le linee del procedimento o a  modificarne  i  principi,  cosi'
 come non turba queste linee e non ne modifica i principi la domanda del
 curatore ammessa nella stessa norma denunciata".
     Escluso, dunque, che la istanza del creditore, ai sensi del secondo
 comma  dell'art.  147,  abbia  carattere di azione, che permetta, nella
 fase sommaria del procedimento in cui e' consentita a termini dell'art.
 6, l'ammissibilita' di prove - deve ritenersi che  il  tribunale  possa
 pronunciare   a   termini   dell'articolo  5  (legge  fallimentare)  la
 dichiarazione di fallimento ogni qualvolta, ma soltanto, gli  risultino
 esistenti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla legge per
 tale   pronuncia.   E,   se  e'  consentita  una  sommaria  delibazione
 sull'esistenza di requisiti che rivelino, per  la  loro  manifestazione
 nei  confronti  di terzi, una responsabilita' patrimoniale del soggetto
 alla stregua della disciplina  del  fallimento,  dell'impresa  e  delle
 societa',  non  puo'  ritenersi  senza  violazione  dell'art.  24 della
 Costituzione  e  della  disciplina  menzionata  una  dichiarazione   di
 fallimento   che   ritenga   accertata,   in  mancanza  di  un'indagine
 probatoria, l'esistenza di requisiti che non  rivelino,  con  esteriore
 manifestazione, il loro carattere qualificante.
     Con  la  precisazione  di  tali  limiti  deve  ritenersi fondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147,  secondo  comma
 (legge fallimentare), sollevata dalla Corte di cassazione e concernente
 l'ammissibilita'  dell'istanza  di fallimento proposta dal fallito. Gli
 effetti, che gli artt. 42 e 43  (legge  fallimentare)  importano  sulla
 disponibilita' dei beni da parte del fallito e sulla sua legittimazione
 processuale  attiva  e  passiva  relativamente ai rapporti patrimoniali
 compresi nel fallimento, giustificano, a termini degli  artt.  3  e  24
 della  Costituzione,  la pronuncia di illegittimita', come ritenuto per
 l'ammissibilita' dell'istanza proposta dal creditore con la  suindicata
 sentenza di questa Corte.
     In  conseguenza  della decisione adottata deve anche dichiararsi, a
 termini  dell'art.  27  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   sulla
 costituzione  e  sul  funzionamento  di  questa Corte, l'illegittimita'
 dell'art. 22 (legge fallimentare), nella parte in cui non legittima  il
 fallito  a  proporre  reclamo  contro la pronuncia del tribunale che ha
 respinto l'istanza per la  dichiarazione  di  fallimento  del  socio  a
 termini del secondo comma dell'art. 147 (legge fallimentare).
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  147, secondo
 comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (cosiddetta legge  fallimentare),
 nella  parte  in  cui  nega  al fallito la legittimazione a chiedere la
 dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili;
     dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,
 la illegittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge fallimentare,
 nella parte in cui nega al fallito la legittimazione a proporre reclamo
 contro  la  pronuncia  del  tribunale  che ha respinto l'istanza per la
 dichiarazione di fallimento di socio illimitatamente responsabile.
     Cos' deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte
 costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1975.
                                   FRANCESCO  PAOLO  BONIFACIO  -  LUIGI
                                   OGGIONI  -  ANGELO  DE MARCO - ERCOLE
                                   ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO
                                   MICHELE TRIMARCHI -  NICOLA  REALE  -
                                   PAOLO   ROSSI  -  LEONETTO  AMADEI  -
                                   GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA -
                                   GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO.
                                   ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere