N. 26 SENTENZA 10 febbraio 1981

                                  N. 26
                        SENTENZA 10 FEBBRAIO 1981
               Deposito in cancelleria: 10 febbraio 1981.
       Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 44 del 13 febbraio  1981.
                       Pres. AMADEI - Rel. PALADIN
     Referendom  abrogativo  -  Giudizio di ammissibilita' -   Richieste
 distinte riguardanti la stessa fonte legislativa -  Riunione.
     Referendum abrogativo - Richieste distinte riguardanti la    stessa
 fonte  legislativa  -  Pericolo  di  esiti incerti o   contraddittori o
 indecifrabili - Motivo di inammissibilita'   - Esclusione  -  Eventuale
 questione   di   legittimita'  sollevata     dalla  Corte  d'ufficio  -
 Estraneita' al giudizio di  ammissibilita'.
     Referendum abrogativo - Giudizio di  ammissibilita'  -    Legge  22
 maggio  1978,  n.  194  (aborto) - Richiesta   "radicale" tendente alla
 depenalizzazione  -  Possibili    effetti  incostituzionali  della  sua
 ammissione  - Estraneita'   al giudizio - Omogeneita' della richiesta -
 Ammissibilita'.
     Referendum abrogativo - Giudizio di  ammissibilita'  -    Legge  22
 maggio  1978,  n.  194 (aborto) - Richiesta   "massimale" tendente alla
 abrogazione complessiva della  legge - Possibile abrogazione  di  norma
 che da' attuazione  all'art. 32, primo comma, della Costituzione (sent.
 n. 27  del 1975) - Inammissibilita'.
     Referendum  abrogativo  -  Giudizio  di ammissibilita' -   Legge 22
 maggio 1978, n.  194  (aborto)  -  Richiesta    "minimale"  tendente  a
 conservare  la  liceita' del solo  aborto terapeutico - Omogeneita' del
 quesito -  Ammissibilita'.
(GU n.44 del 13-2-1981 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI,    Presidente  -  Dott.
 GIULIO  GIONFRIDA  - Prof.  EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO  -
 Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO    ELIA  -  Prof.  GUGLIELMO
 ROEHRSSEN  - Avv.  ORONZO REALE - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO
 PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE -  Prof.  ANTONIO  LA  PERGOLA  Prof.
 VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei  giudizi  riuniti  sull'ammissibilita',  ai sensi dell'art. 75,
 comma secondo, della  Costituzione,  delle  richieste  di    relerendam
 popolare per l'abrogazione:
     1)  degli  articoli:  1;  4;  5;  6, lettera b), limitatamente alle
 parole:  "tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o  malformazioni
 del nascituro"; 7; 8; 9 comma primo  limitatamente alle  parole:  "alle
 procedure di cui agli  articoli 5 e 7 ed", e comma quarto limitatamente
 alle   parole: "l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7
 e", nonche' alle parole: "secondo le  modalita' previste dagli articoli
 5, 7 e  8";  10,  comma    primo,  limitatamente  alle  parole:  "nelle
 circostanze   previste dagli articoli 4 e 6,", nonche' alle parole: "di
 cui   all'articolo  8",  e  comma  terzo,  limitatamente  alle  parole:
 "secondo quanto previsto dal secondo comma  dell'articolo 5 e dal primo
 comma dell'articolo 2"; 11, comma primo (L'ente ospedaliero, la casa di
 cura  o  il  poliambulatorio nei quali l'intervento e' stato effettuato
 sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente  per territorio
 una dichiarazione con la quale il  medico    che  lo  ha  eseguito  da'
 notizia dell'intervento stesso e della  documentazione sulla base della
 quale  e'  avvenuto, senza  fare menzione dell'identita' della donna.);
 12; 13; 14; 19, comma primo (Chiunque cagiona l'interruzione volontaria
 della  gravidanza  senza  l'osservanza delle   modalita' indicate negli
 articoli 5 o 8, e' punito con la  reclusione sino a tre  anni.),  comma
 secondo  (La  donna  e'    punita con la multa sino a lire centomila.),
 comma terzo  limitatamente alle parole: "o comunque senza  l'osservanza
 delle modalita' previste  dallo  articolo  7,",  comma  quinto  (Quando
 l'interruzione  volontaria della   gravidanza avviene su donna - minore
 degli anni diciotto,  o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza
 delle  modalita' previste dagli articoli 12 e 13,  chi  la  cagiona  e'
 punito  con  le  pene  rispettivamente  previste dai commi   precedenti
 aumentate fino alla meta'. La donna non e'  punibile.) e comma  settimo
 (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la
 lesione  della    donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.);
 22,    comma  terzo  (Salvo  che   sia   stata   pronunciata   sentenza
 irrevocabile  di  condanna, non e'   punibile per il reato di aborto di
 donna consenziente chiunque  abbia commesso il fatto prima dell'entrata
 in vigore della presente  legge, se il giudice accerta che sussistevano
 le condizioni previste  dagli articoli 4 e 6.), della legge  22  maggio
 1978,  n. 194, recante: "Norme per la tutela sociale della maternita' e
 sull'interruzione volontaria della gravidanza" (n. 22 reg.  ref.);
     2) degli articoli: 4; 5; 6; 7; 8; 9; 10; 11; 12; 13;  14;  15;  19,
 primo  comma,  limitatamente  alle  parole: "senza   l'osservanza delle
 modalita'  indicate  negli  articoli  5  o  8",  terzo      comma   (Se
 l'interruzione    volontaria    della   gravidanza   avviene      senza
 l'accertamento  medico  dei  casi  previsti  dalle  lettere  a)  e   b)
 dell'articolo  6 o comunque senza l'osservanza delle modalita' previste
 dall'articolo 7, chi la cagiona e' punito con la reclusione  da  uno  a
 quattro anni.), quarto comma (La donna e' punita con la reclusione sino
 a  sei  mesi.),  quinto comma   (Quando l'interruzione volontaria della
 gravidanza  avviene su donna minore degli anni diciotto, o  interdetta,
 fuori  dei    casi  o senza l'osservanza delle modalita' previste dagli
 articoli 12 e  13, chi la cagiona e' punito con le pene rispettivamente
 previste  dai  commi precedenti aumentate fino alla meta'. La donna non
 e'   punibile.), settimo comma (Le pene  stabilite  dal  comma    prece
 dente sono aumentate se la morte o la lesione della donna  derivano dai
 fatti previsti dal quinto comma.) e degli articoli 20 e  21 della legge
 22  maggio  1978,  n. 194, recante:  "Norme per la tutela sociale della
 maternita' e sulla interruzione   volontaria della gravidanza"  (n.  23
 reg. ref.);
     3)  degli  articoli:  4;  5;  6,  limitatamente alle parole "dopo i
 primi novanta giorni", "tra cui quelli relativi a rilevanti  anomalie o
 malformazioni del nascituro", "e psichica"; 8;   12; 13;  14;  15;  19,
 primo  comma,  limitatamente alle  parole "negli articoli 5 o 8", terzo
 comma (Se   l'interruzione volontaria della  gravidanza  avviene  senza
 l'accertamento  medico  dei  casi  previsti  dalle  lettere  a)  e   b)
 dell'articolo 6 o comunque senza l'osservanza delle modalita'  previste
 dall'articolo  7,  chi la cagiona e' punito  con la reclusione da uno a
 quattro anni.), quarto comma   (La donna e' punita  con  la  reclusione
 sino  a  sei  mesi.),    quinto comma (Quando l'interruzione volontaria
 della   gravidanza avviene su donna minore  degli  anni  diciotto,    o
 interdetta,  fuori  dei  casi  o  senza  l'osservanza delle   modalita'
 previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona e' punito con  le  pene
 rispettivamente  previste  dai  commi    precedenti aumentate fino alla
 meta'. La donna non e'  punibile.), settimo comma  (Le  pene  stabilite
 dal  comma    precedente  sono aumentate se la morte o la lesione della
 donna  derivano  dai fatti previsti dal quinto comma.),  della legge 22
 maggio 1978, n. 194, recante:   "Norme per   la  tutela  sociale  della
 maternita'  e  sulla  interruzione  volontaria della gravidanza" (n. 24
 reg. ref.).
     Viste le ordinanze in data 15 dicembre 1980 con le quali  l'Ufficio
 centrale per il referendum presso la Corte di  cassazione ha dichiarato
 legittime le suddette richieste;
     udito  nella  camera  di  consiglio del 14 gennaio 1981 il  Giudice
 relatore Livio Paladin;
     uditi gli avvocati Mauro  Mellini,  Marcello  Gallo  e    Francesco
 Migliori  per  i  comitati promotori e l'avvocato   dello Stato Giorgio
 Azzariti per il Presidente del  Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con tre ordinanze, emesse il  15  dicembre  e    comunicate  a
 questa Corte il 19 dicembre 1980,l'Ufficio  centrale per il referendum,
 istituito  presso  la  Corte  di    cassazione, ha dichiarato legittime
 altrettante  richieste  di    referendum  popolare,  per  la   parziale
 abrogazione della legge 22  maggio 1978, n. 194, recante" "Norme per la
 tutela  sociale della  maternita' e sulla interruzione volontaria della
 gravidanza".
     Precisamente, la prima di  tali  richieste  (reg.  ref.  n.  22)  -
 presentata  il  26 giugno 1980 dai promotori Rippa  Giuseppe, Chernbini
 Laura, Passeri  Maria  Grazia,    Pergameno  Silvio,  Berger  Franca  -
 concerne  un    referendum da indire sul seguente quesito:  "Volete voi
 l'abrogazione degli articoli 1; 4; 5; 6 lettera b)  limitatamente  alle
 parole:  "tra cui quelli relativi a  rilevanti anomalie o malformazioni
 del nascituro"; 7; 8; 9  comma primo, limitatamente alle parole:  "alle
 procedure  di cui agli articoli 5 e 7 e", e comma quarto  limitatamente
 alle  parole: "l'espletamento delle procedure  previste dall'articolo 7
 e", nonche' alle  parole:    "secondo  le    modalita'  previste  dagli
 articoli  5,  7  e 8"; 10 comma primo limitatamente alle parole: "nelle
 circostanze  previste dagli articoli 4 e 6", nonche'  alle  parole:  di
 "cui    all'articolo  8",  e  comma  terzo  limitatamente  alle parole:
 "secondo quanto previsto dal secondo comma  dell'articolo 5 e dal primo
 comma dell'articolo 7"; 11  comma primo (L'ente ospedaliero, la casa di
 cura o il poliambulatorio nei quali l'intervento  e'  stato  effettuato
 sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente  per territorio
 una  dichiarazione  con  la  quale  il  medico   che lo ha eseguito da'
 notizia dell'intervento stesso e della  documentazione sulla base della
 quale e' avvenuto senza   fare menzione dell'identita'  della  donna.);
 12; 13; 14; 19  comma primo (Chiunque cagiona l'interruzione volontaria
 della  gravidanza  senza  l'osservanza delle   modalita' indicate negli
 articoli 5 o 8, e' punito con la  reclusione sino a tre  anni.),  comma
 secondo  (La  donna  e'    punita con la multa fino a lire centomila.),
 comma terzo  limitatamente alle parole: "o comunque senza  l'osservanza
 delle modalita' previste  dall'articolo  7,",    comma  quinto  (Quando
 l'interruzione  volontaria  della    gravidanza avviene su donna minore
 degli anni diciotto,  o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza
 delle  modalita' previste dagli articoli 12 e 13,  chi  la  cagiona  e'
 punito  con  le  pene  rispettivamente  previste dai commi   precedenti
 aumentate fino alla meta'. La donna non e' punibile.) e  comma  settimo
 (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la
 lesione della  donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.); 22
 comma  terzo (Salvo che sia stata pronunciata sentenza  irrevocabile di
 condanna,  non e' punibile per il reato di aborto di donna consenziente
 chiunque abbia commesso il fatto prima dell'entrata in    vigore  della
 presente  legge,  se il giudice accerta che  sussistevano le condizioni
 previste dagli articoli 4 e 6.)  della legge 22 maggio  1978,  n.  194,
 recante   "Norme   per      la   tutela   sociale  della  maternita'  e
 sull'interruzione  volontaria della gravidanza".
     La  seconda  richiesta  (reg.  ref.  n.  23)  -  presentata  il  29
 settembre  1980  dai  promotori  Cerletti  Giovanni Battista,   Achille
 Antonio,  De  Marinis  Pierluigi,  Montaldo    Corrado  -  mira  invece
 all'abrogazione degli articoli 4,5,  6, 7,8,9,10,11,12, 13, 14, 15, 19,
 primo  comma,    limitatamente  alle  parole: "senza l'osservanza delle
 modalita'  indicate  negli  articoli  5   o   8";   terzo   comma   "Se
 l'interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l'accertamento
 medico  dei  casi  previsti  dalle  lettere a) e   b) dell'articolo 6 o
 comunque senza l'osservanza delle  modalita' previste dall'articolo  7,
 chi  la  cagiona e' punito  con la reclusione sino a sei mesi."; quinto
 comma:  "Quando l'interruzione volontaria della gravidanza  avviene  su
 donna minore degli anni diciotto, o interdetta,  fuori dei casi o senza
 l'osservanza  delle  modalita'  previste dagli articoli 12 e 13, chi la
 cagiona e' punito   con le  pene  rispettivamente  previste  dai  commi
 precedenti  aumentate  fino  alla  meta'. La donna non e'   punibile.";
 settimo comma: "Le pene stabilite dal comma  precedente sono  aumentate
 se  la  morte o la lesione della  donna derivano dai fatti previsti dal
 quinto comma."; articoli 20,21.
     Infine,  la  terza  richiesta  (reg.  ref.  n.  24)   -   anch'essa
 presentata  il  29  settembre 1980 dai promotori Verduchi  Paolo Maria,
 Scognamiglio Simona, Cecina Angelo,  Monacchi Riccardo - ha per oggetto
 gli articoli 4,5, 6,  limitatamente alle parole "dopo i  primi  novanta
 giorni",  "tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni
 del   nascituro",   "o  psichica";     8,12,13,14,15,19,  primo  comma,
 limitatamente alle  parole "negli articoli 5 o  8";  terzo  comma:  "Se
 l'interruzione    volontaria    della    gravidanza    avviene    senza
 l'accertamento medico  dei  casi  previsti  dalle  lettere  a)  e    b)
 dell'articolo  6 o comunque senza l'osservanza delle modalita' previste
 dallo articolo 7, chi la cagiona e'  punito con la reclusione da uno  a
 quattro  anni.";  quarto   comma: "La donna e' punita con la reclusione
 sino a sei   mesi."; quinto comma:  "Quando  l'interruzione  volontaria
 della  gravidanza  avviene  su  donna  minore  degli  anni  diciotto, o
 interdetta, fuori dei  casi  o  senza    l'osservanza  delle  modalita'
 previste  dagli articoli 12 e 13,  chi la cagiona e' punito con le pene
 rispettivamente   previste dai commi  precedenti  aumentate  fino  alla
 meta'.   La donna non e' punibile."; settimo comma: "Le pene  stabilite
 dal comma precedente sono aumentate se la   morte o  la  lesione  della
 donna derivano dai fatti previsti  dal quinto comma".
     2.  -  In  tutti e tre i casi, l'Ufficio centrale per il referendum
 ha verificato in primo luogo che era stato raggiunto  e    superato  il
 numero di 500.000 sottoscrizioni, indicato  dalla legge 25 maggio 1970,
 n.352  (conformemente    all'art.75 Cost.). Circa la seconda e la terza
 richiesta,   l'Ufficio ha  anzi  sospeso,  "in  quanto  superflue",  le
 ulteriori operazioni di verifica delle firme raccolte.
     L'Ufficio  stesso,  per  stabilire  a  questo punto se   occorresse
 concentrare  o  mantenere  distinte  le  tre    richieste,  ha   quindi
 affrontato  una  serie di questioni  riguardanti l'interpretazione e la
 legittimita' costituzionale  dell'art. 32, sesto comma, della legge  n.
 352   del   1970;  ai     sensi  del  quale  si  deve  provvedere  alla
 concentrazione,  allorche' le richieste in esame "rivelano  uniformita'
 o  analogia di materia".
     Quanto  all'interpretazione,  l'Ufficio ha ipotizzato - in  base ad
 "una prima possibile lettura della norma" -  che    per  materia  debba
 intendersi   in  tal  senso  "la  disciplina    giuridica  del  settore
 dell'ordinamento, investita dalla  richiesta abrogatrice". Senonche' la
 constatazione che, a  questa stregua, dovrebbero venire "accomunate  in
 un    solo  quesito  richieste  divergenti",  il  che  concreterebbe un
 risultato "inaccettabile" e verosimilmente incostituzionale, ha indotto
 l'Ufficio  ad  accantonare  la     predetta   ipotesi   interpretativa,
 concludendo   piuttosto   che     "uniformita'  di  materia"  significa
 sostanziale "identita'   della richiesta": con la  conseguenza  che  in
 casi  come   quello in esame, nell'impossibilita' di esprimere un unico
 quesito referendario secondo il criterio della "bipolarita'"   o  della
 "formulazione    dilemmatica"   non   sarebbe   dato   procedere   alla
 concentrazione.
     Quanto alla legittimita' costituzionale dell'art. 32 sesto  comma -
 premesso che anche in un giudizio sulla   legittimita' delle  richieste
 referendarie    potrebbero    venire        sollevate   "questioni   di
 costituzionalita' delle norme della  legge n.352 del 1970 da applicare"
 nei giudizi stessi - l'Ufficio ha rilevato  che    essa  determina  una
 serie  di  dubbi,  pur  quando  le  varie    richieste (concernenti una
 medesima disciplina  normativa) siano mantenute distinte. Infatti,  "la
 giustapposizione  delle  singole  votazioni"  sarebbe   suscettibile di
 produrre  esiti  "equivoci  e  incoerenti",  risultando   "di   incerta
 decifrazione  e  persino    contraddittoria  nel  caso  estremo, ma non
 impossibile, di  approvazione di proposte di segno contrario o comunque
 non coincidenti"; ne' si potrebbero ignorare "le possibili  distorsioni
 o  alterazioni  della  volonta'  popolare  con    riguardo  al  diverso
 significato  che  le  astensioni dal voto   assumono in presenza di una
 molteplicita' di proposte referendarie relative alla  medesima  legge";
 ed  anzi    andrebbe  osservato,  prima ancora, che "l'eventualita' del
 contemporaneo svolgimento di piu' referendum abrogativi    "impedirebbe
 al  legislatore  di rispondere adesivamente  alla proposta e di evitare
 la consultazione popolare,  poiche' sarebbe impossibile armonizzare  il
 diritto  vigente   con tutte le divergenti, o comunque non coincidenti,
 proposte abrogatrici".
     Tuttavia, le tre ordinanze hanno dato atto - aderendo agli  scritti
 difensivi presentati in tal  senso  da  tutti  i  comitati    promotori
 interessati  -  "che  le incoerenze sistematiche e   le incongruenze di
 risultati cui mette capo la vigente  disciplina", pur assumendo rilievo
 sullo stesso piano   della legittimita'  costituzionale,  "incidono  su
 fasi  distinte    ed  ulteriori  del  procedimento referendario, il cui
 controllo non ricade entro la sfera delle attribuzioni  nel    presente
 momento  esercitate  dall'Ufficio  centrale per il   referendum" (salva
 ovviamente restando  "la  potesta'  di    altri  organi  competenti  di
 rilevare  -  ove  del  caso, anche di   ufficio - eventuali sospetti di
 incostituzionalita' dei   disposti della legge n.  352  del  1970,  "in
 rapporto  alla  situazione o fattispecie emergente dalla convergenza di
 una stessa serie o ciclo referendario di proposte di  segno  opposto  o
 divergenti").  Con  questo  fondamento  -  una    volta  accertato  "il
 carattere legislativo dell'atto normativo  sottoposto a  referendum"  e
 visto  che al riguardo non  erano "intervenuti atti di abrogazione, ne'
 pronunce  di    illegittimita'  costituzionale"  -  e'  stata   percio'
 dichiarata   la      legittimita'  delle  tre  richieste  referendarie,
 distintamente  prese in considerazione.
     3. - Ricevuta comunicazione delle  ordinanze,  il    Presidente  di
 questa  Corte  ha fissato per le conseguenti  deliberzioni il giorno 14
 gennaio 1981, dandone a sua volta  comunicazione ai presentatori  delle
 richieste  ed  al    Presidente  del  Consiglio  dei ministri, ai sensi
 dell'art. 33,  secondo comma, della legge n.  352  del  1970.  Si  sono
 avvalsi  della facolta' di depositare memorie - prevista  dall'art. 33,
 terzo comma - tanto i comitati promotori dei    tre  referendum  quanto
 l'Avvocatura  dello  Stato,  in    rappresentanza  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
     a) La memoria relativa alla richiesta del 26 giugno  1980  premette
 che la depenalizzazione dell'aborto nei termini  sanciti dalla legge n.
 194  del  1978, non violerebbe alcuna  disposizione costituzionale. Con
 la sentenza 18 febbraio   1975, n. 27,  la  Corte  avrebbe  in  effetti
 risolto  la  sola    questione dei limiti di punibilita' dell'aborto su
 donna  consenziente (non gia' dei limiti eventualmente frapposti   alla
 depenalizzazione  dell'aborto  stesso);  ed anche la  motivazione della
 predetta pronuncia  andrebbe  riguardata    in  vista  dello  specifico
 problema che la Corte era allora chiamata ad affrontare, per cui non si
 potrebbe  comunque  desumerne  la  necessita' di una qualche previsione
 punitiva. In linea generale, del resto, la tutela  del    nascituro  si
 presterebbe  a venire assicurata senza far  ricorso a misure repressive
 dell'aborto, che oltre tutto   sarebbero  solo  simboliche  (come  gia'
 risulterebbe  dalla  "sistematica disapplicazione dell'art. 546 C.P.").
 Ne'    sarebbe  indispensabile  che  tutti  i  beni  costituzionalmente
 garantiti   divengano   oggetto   di   apposite   sanzioni   penali:  -
 specialmente qualora si tratti - come nel caso in esame -  di "incidere
 sempre piu' evidentemente in una sfera  intima della vita della donna".
     In ogni caso, secondo la legge n. 194, l'aborto non  potrebbe dirsi
 "libero", in quanto non sarebbe  stato    concepito  come  un  "diritto
 soggettivo"   bensi'   come  un    mero  "interesse  legittimo",  "solo
 casualmente ed  eventualmente protetto", allorche'  ricorrano  tutti  i
 presupposti  indicati dalla legge stessa. Proprio in tal  senso, pero',
 una violazione delle norme costituzionali  concernenti i diritti  della
 donna  potrebbe se mai  prospettarsi nella parte in cui la legge n. 194
 priverebbe  le interessate di ogni "utile e tempestiva forma di  tutela
 giurisdizionale",  mettendo in dubbio finanche l'interesse legittimo ad
 abortire  e   pregiudicando   in   vario   senso   "la   praticabilita'
 dell'aborto":   il   quale   verrebbe,   pertanto,     rigettato  nella
 clandestinita'. Di conseguenza - si afferma - il   referendum  promosso
 dal  partito  radicale rappresenterebbe  "addirittura uno strumento per
 l'eliminazione di norme  incostituzionali".
     A1  di  la'  dei  problemi  specifici,  la  memoria  in   questione
 sottolinea  comunque  la  "tassativita'  delle  materie"  escluse   dal
 referendum  ai  sensi   dell'art.   75   Cost.;   e   critica   percio'
 l'integrazione  delle  ipotesi costituzionalmente previste,  che questa
 Corte avrebbe operato con la sentenza n. 16   del 1978.  La  Corte,  in
 effetti,  non  potrebbe arrogarsi  interventi che non fossero di pura e
 semplice "verifica"   sul piano  giuridico,  bensi'  di  "accettazione"
 delle  iniziative  referendarie;  cosi'  procedendo, ne   discenderebbe
 l'autoattribuzione di  poteri  non  previsti  da    alcuna  norma,  ne'
 costituzionale   ne'   legislativa  ordinaria,     con  il  rischio  di
 trasformare  il  sindacato    sull'ammissibilita'  delle  richieste  di
 referendum   in   un  sindacato  preventivo  sulla  legittimita'  delle
 abrogazioni    cui  potrebbero  dar  adito   le   richieste   medesime.
 D'altronde,  proprio  in  tema  di aborto, la sentenza n. 251  del 1975
 avrebbe  gia'  escluso  che,  nell'accertare     l'ammissibilita'   del
 referendum,  la  Corte  possa  valutare  la   stessa legittimita' delle
 modifiche normative suscettibili di derivarne.
     Dopo aver accennato alle ragioni della richiesta  in  esame,    con
 particolare  riguardo agli artt. 1 e 12 della legge n.  194, la memoria
 conclude insistendo nelle considerazioni   - gia' svolte  in  occasione
 del  previo  giudizio di   legittimita', spettante all'Ufficio centrale
 per il referendum   - per cui nulla  escluderebbe  l'ammissibilita'  di
 molteplici  e contemporanee richieste referendarie, sebbene concernenti
 una medesima legge.
     b) Premesso che l'effettuazione di varie consultazioni referendarie
 aventi  per  oggetto la legge n. 194 del 1978  non colliderebbe affatto
 con il principio della sovranita'   popolare (e sarebbe  in  ogni  caso
 imposta  dall'esigenza di  non alterare le regole del procedimento gia'
 in corso), il   comitato promotore del referendum  c.d.  massimale  del
 "movimento  per  la  vita", prospetta tuttavia, "per   tuziorismo", una
 serie  di  eccezioni  riguardanti  quello  che     viene  definito   il
 "referendum  radicale  sull'aborto". In  quanto ispirato ad una "totale
 indifferenza ...  rispetto    all'aborto  nei  primi  tre  mesi",  tale
 referendum  lederebbe   il "fondamento costituzionale" della tutela del
 concepito,  gia' riconosciuto dalla sentenza n. 27 del 1975, con cui la
 Corte avrebbe stabilito la necessita' di un serio   accertamento  delle
 condizioni  atte  a  giustificare  l'interruzione    della  gravidanza.
 D'altra parte - si aggiunge - non si potrebbe    richiamare,  a  favore
 dell'ammissibilita'  di  consultazioni del genere,   la sentenza n. 251
 del 1975, che dichiaro' ammissibile il   referendum  per  l'abrogazione
 degli artt.  546 - 555 cod. pen.: in  quel caso, difatti, il referendum
 tendeva  alla  riforma del codice   penale, mentre nel caso in esame lo
 scopo consisterebbe nella  "pura e semplice  abrogazione"  delle  norme
 vigenti.
     Dopo  aver  insistito sull'indispensabile tutela del  nascituro sin
 dall'atto del concepimento, la memoria in  esame sottolinea  pero'  che
 la   legge   n.  194  non    risponderebbe,  nel  complesso  delle  sue
 disposizioni, ai  precetti della Costituzione; ma  ritiene  pur  sempre
 inammissibile  il referendum "radicale" - comunque la  Corte risolva le
 questioni  di  legittimita'  costituzionale    della  legge   medesima,
 attualmente  sottoposte  al  suo   giudizio - perche' esso intenderebbe
 abrogare le  stesse    disposizioni  piu'  fondamentali,  a  cominciare
 dall'art.   1      della   legge,   che   invece  "sviluppano  principi
 costituzionali". Del resto, dovrebbe pur sempre    concludersi  che  il
 principio ispiratore di tale referendum  "conflitto con la costituzione
 piu' intensamente della  legge" n. 194.
     Per  contro,  la  memoria afferma l'ammissibilita' del   referendum
 "massimale": sia perche' la Corte dovrebbe   cogliere  l'occasione  per
 rimeditare gli assunti della  sentenza n. 27 del 1975, riconoscendo che
 la vita del  concepito non puo' "valere meno della salute della madre";
 sia  perche',  in ogni caso, la legge n. 194, pur  modificata nel senso
 voluto dai promotori del referendum  in questione, infliggerebbe  "pene
 estremamente  miti,   praticamente simboliche", e dunque ben diverse da
 quelle  gia' previste nel codice penale, in considerazione  delle quali
 la  Corte  avrebbe  allora  adottato  quella  decisione   di   parziale
 accoglimento.
     c) La memoria concernente il referendum c.d. minimale, proposto dal
 "movimento  per  la  vita",  esordisce    anch'essa  valutando se i tre
 referendum in esame siano   ammissibili,  nella  ipotesi  di  una  loro
 "contemporanea    esecuzione".  Nella memoria si riafferma, da un lato,
 l'inammissibilita'  del  referendum   "radicale"   e,   d'altro   lato,
 l'ammissibilita' del referendum c.d. massimale.  Tuttavia,  si contesta
 che  la Corte possa, in sede di giudizio sull'ammissibilita' - e dunque
 in applicazione del'art. 33 della legge n.  352  del  1970  -  ritenere
 rilevanti  questioni  di  legittimita' costituzionale "attinenti   alla
 organizzazione della fase successiva" del    procedimento  referendario
 (e,  meno ancora, questioni  relative alla fase precedente, vale a dire
 all'art. 32 l. cit.,    gia'  applicato  dalla  Corte  di  cassazione).
 D'altronde,  tali    questioni potrebbero venire sollevate a suo tempo,
 quando i loro presupposti "si  fossero  verificati",  in    conseguenza
 dell'effettuazione dei tre referendum.
     La  memoria  in  esame  esclude, comunque, che la legge n.  352 del
 1970 abbia mancato di prevedere "la possibilita'   di  piu'  referendum
 concorrenti"; il contrario sarebbe  dimostrato dagli artt.  30, secondo
 comma  (quanto alle  richieste parallelamente avanzate da vari Consigli
 regionali),  e  32   della   legge   medesima   (quanto   all'eventuale
 concentrazione  dei  quesiti).  Del  resto, l'art.   34 della legge non
 vieterebbe "un voto plurimo in piu'   domeniche  successive",  malgrado
 l'opportunita'  di  svolgere le varie operazioni in un medesimo giorno,
 anche  per  non  introdurre  nelle  consultazioni  "un    elemento   di
 casualita'"  e  per  non  determinare alcun   "effetto preclusivo". Ne'
 avrebbero peso gli inconvenienti prospettati dall'Ufficio centrale  per
 il  referendum, altro  essendo le "difficolta' politiche" inerenti alla
 contemporanea effettuazione di piu' consultazioni, altro  gli  ostacoli
 di    ordine   giuridico.   Le   ordinanze   dell'Ufficio      centrale
 trascurerebbero, poi, "che il  sistema  democratico    si  fonda  sulla
 fiducia  nelle  capacita' intellettive del   popolo", la cui sovranita'
 verrebbe anzi esaltata da una  pluralita' di quesiti (e non  terrebbero
 conto  dell'ovvio  "elemento  di  distinzione",  costituito dal diverso
 colore  delle schede). Concretamente, l'ipotesi di una   "contemporanea
 vittoria"  di  piu'  referendum  contrapposti   sarebbe dunque "di pura
 fantasia"; e la correzione di    "eventuali  anomalie"  resterebbe  pur
 sempre  affidata al  Parlamento. Cio' sarebbe tanto piu' vero per i due
 referendum proposti dal "movimento per la vita", in    quanto  il  loro
 sarebbe  un  rapporto di "coerenza logica",  tale da escludere a priori
 un "risultato indecifrabile" del  voto.
     Con riferimento specifico al referendum "minimale", la  memoria  ne
 sostiene    l'ammissibilita',    in   quanto   esso   non   chiederebbe
 "l'abrogazione delle norme che danno rilievo  alla salute della madre".
 Ne' si opporrebbe la  considerazione che il referendum minimale  incide
 sulla  tutela della "salute psichica", perche' la legge n. 194  avrebbe
 operato - in questa parte - uno "snaturamento del concetto  di salute",
 in vista  di una "qualsiasi gravidanza non desiderata". Non a caso,  il
 dispositivo  della  sentenza n. 27 del 1975 tratterebbe di  "salute" in
 generale; e la salute "fisica" comprenderebbe  pur sempre le "affezioni
 attinenti alla sfera cerebrale".
     Conclusivamente,  la memoria da' atto che il referendum minimale si
 riflette  sulle  stesse  circostanze  giustificative  dell'aborto  agli
 effetti  penali.  Ma,  anche in tal senso, essa  afferma che "il potere
 abrogativo del popolo non  puo'    ritenersi  meno  esteso  del  potere
 abrogativo del  Parlamento".
     d)  Quanto  infine  alla memoria depositata dall'Avvocatura   dello
 Stato, nella parte concernente le tre richieste in  esame, essa  rileva
 -  per  un primo verso - che le ordinanze  dell'Ufficio centrale per il
 referendum farebbero chiaro  riferimento a questa Corte,  la'  dove  si
 ipotizza  che venga  sollevata questione di legittimita' costituzionale
 relativa  alle carenze della legge n. 352 del 1970. Per un altro verso,
 la memoria aggiunge che, nel valutare   l'ammissibilita' delle  singole
 richieste,  dovrebbero  farsi    valere i principi gia' affermati dalla
 Corte nella sentenza  n. 27 del 1975, circa la  necessaria  tutela  sia
 del  concepito    sia  della  salute  della  madre  e  circa  i  "serii
 accertamenti   sulla realta'  e  gravita'  del  danno  o  pericolo  che
 potrebbe  derivare alla madre dal proseguire nella gestazione".
     4.  -  Ad  integrazione del contraddittorio espressamente  previsto
 dall'art. 33, terzo comma, della legge n. 352 del  1970 - nella  camera
 di  consiglio  del  14  gennaio  1981   sono stati uditi l'avv.   Mauro
 Mellini, per il comitato  promotore del referendum c.d.  radicale,  gli
 avv.  Francesco Migliori e Marcello Gallo per i comitati  promotori dei
 referendum  c.d.  massimale e c.d. minimale promossi dal "movimento per
 la vita", nonche' il sostituto  avvocato generale dello  Stato  Giorgio
 Azzariti, per il  Presidente del Consiglio ministri.
                         Considerato in diritto:
     1.   -   I   giudizi   sull'ammissibilita'   delle   tre  richieste
 referendarie  ("radicale",  "massimale"  e  "minimale"    descritte  in
 narrativa nonche' nel seguito della presente  sentenza) vanno riuniti e
 congiuntamente  decisi,   malgrado l'Ufficio centrale per il referendum
 abbia dovuto    mantenere  distinte  le    richieste  stesse,  anziche'
 concentrarle. Oltre ad avere per  oggetto l'abrogazione parziale di una
 medesima  fonte    legislativa,  coinvolgendo in piu' punti le medesime
 disposizioni (come quelle contenute negli artt.  4, 5, 8, 12,   13,  14
 della legge 22 maggio 1978, n. 194), le tre richieste suscitano infatti
 una  serie  di  problemi comuni o  almeno interferenti: sia relativi al
 procedimento  referendario, in vista di  un  contemporaneo  svolgimento
 di  vari referendum, miranti a realizzare - ma con finalita'  diverse o
 addirittura opposte - effetti abrogativi  suscettibili di sovrapporsi o
 sommarsi; sia concernenti i peculiari  limiti  di  ammissibilita',  che
 referendum del  genere potrebbero in ipotesi incontrare.
     2. - Nel dichiarare legittime le richieste in esame, le  rispettive
 ordinanze   dell'Ufficio  centrale  per  il    referendum  hanno  tutte
 insistito  sugli  inconvenienti  e   sui      dubbi   di   legittimita'
 costituzionale, cui darebbe luogo la  legge 25 maggio 1970, n. 352, non
 avendo  previsto    l'ipotesi  concretata  dai  tre  referendum  per la
 parziale  abrogazione della legge n. 194:  la'  dove  l'antitesi  o  il
 divario  comunque  riscontrabili  fra piu' richieste cosi'  concorrenti
 non consentissero di provvedere alla  concentrazione (in base  all'art.
 32,  quarto  e  sesto comma,   della legge n. 352 del 1970), rimarrebbe
 cioe'    insoddisfatta  l'esigenza  di  evitare  che  le  consultazioni
 referendarie  determinino  esiti  incerti  o  contradittori o   perfino
 indecifrabili, compromettendo - prima ancora - la   stessa liberta'  di
 voto  dei  singoli elettori. Ora, la parte  finale delle tre ordinanze,
 riconosce l'irrilevanza di  simili    questioni  ai  fini  dei  giudizi
 spettanti   all'Ufficio  centrale,     ma  lascia  espressamente  salva
 l'eventualita' "che norme  diverse dall'art. 32 della legge n. 352  del
 1970"  vengano    invece  impugnate e sindacate - a questi effetti - da
 parte  di "altri organi competenti": con un riferimento che la  memoria
 dell'Avvocatura  dello  Stato,  pur  non  sollevando    alcuna  formale
 eccezione di legittimita', considera    chiaramente  rivolto  a  questa
 Corte.
     Nell'ambito  degli attuali giudizi, tuttavia, la Corte e'  chiamata
 a  valutare  la  sola   ammissibilita'   delle   singole      richieste
 referendarie,   come   dichiarate  legittime  da  parte    dell'Ufficio
 centrale, in applicazione del solo art. 33,  quarto comma, della  legge
 n.  352  del 1970: verificando, cioe', se  ognuna di tali richieste non
 contrasti con le indicazioni dell'art.  75,  secondo comma, Cost. o con
 altri limiti impliciti del   referendum  abrogativo,  gia'  evidenziati
 dalla  sentenza  n.   16 del 1978. Non soltanto dalla lettera dell'art.
 33, quarto  comma ("la Corte costituzionale  ...  decide  con  sentenza
 ...    quali  tra le richieste siano ammesse e quali respinte ..."), ma
 anche e soprattutto dalla stessa natura dei giudizi  di  ammissibilita'
 si  desume  con  chiarezza  che  - non   sarebbe possibile applicare in
 blocco, costringendo in    un'artificiosa  unita'  quesiti  referendari
 autonomi  ed   inconfondibili, nessuno dei vari criteri di valutazione.
 In  particolar modo, le esigenze di omogeneita', di chiarezza,  di  non
 contraddittorieta'  dei  quesiti  non avrebbero senso  (o assumerebbero
 significati completamente diversi da   quelli che la  Corte  ha  finora
 tenuto  presenti), qualora le  richieste non fossero piu' sindacate una
 per una, ma  venissero prese in esame tutte  assieme,  in  vista  della
 coerenza   di   questo   o   di   quel   risultato   complessivo  della
 consultazione. In altre parole, richieste ritenute ammissibili  di  per
 se stesse non potrebbero essere  respinte dalla Corte per il solo fatto
 di concorrere tra  loro, proponendosi in vario senso od in varia misura
 l'abrogazione  parziale  di una medesima legge.  Conseguenze del genere
 sarebbero comunque  inaccettabili sul piano costituzionale: sia che  si
 decidesse   di respingere tutte le richieste concorrenti, producendo in
 tal modo un effetto di preclusione  reciproca;  sia  che,    viceversa,
 venissero  precluse  le sole richieste presentate  successivamente alla
 prima,   che   diverrebbero   dunque        inammissibili    a    causa
 dell'ammissibilita' della richiesta  precedente.
     Certo,  la  coesistenza  di  piu' referendum aventi per  oggetto la
 medesima  legge  rischia  di  determinare  inconvenienti,    che   sono
 attenuati  ma  non  eliminati  dal  loro necessario   svolgimento nello
 stesso giorno (da fissare in base all'art.  34,    primo  comma,  della
 legge  n.  352  del  1970). Ma i rimedi si  affidano,  da un lato, alla
 maturita' degli elettori e, d'altro lato, ai    futuri  interventi  del
 legislatore. Quanto invece alla Corte, ad essa  non compete di incidere
 sulla  vigente  disciplina del procedimento   referendario, la' dove si
 tratti - come nel caso in questione - di    optare  fra  una  serie  di
 riforme    astrattamente  ipotizzabili, nessuna delle quali si dimostri
 costituzionalmente obbligata.
     3. - Secondo l'ordine di presentazione,  va  presa  anzitutto    in
 esame la richiesta "radicale" (reg. ref. n. 22).
     Per  questa  come  anche  per  le altre richieste concorrenti,   il
 quesito risulterebbe oscuro ed anzi  incomprensibile,  se    l'elettore
 dovesse  apprezzarlo  in vista della sola formula  dichiarata legittima
 dall'Ufficio centrale.  Ma  tali    difficolta'  di  lettura  non  sono
 imputabili  ai  promotori del   referendum, bensi' discendono dall'art.
 27 della legge n.   352 del 1970, quale  esso  e'  stato  costantemente
 inteso    ed  applicato:  per  cui  si  e'  ritenuto che i "termini del
 quesito" si riducano - nel caso di "abrogazione parziale"  - alla  sola
 indicazione  numerica  degli  articoli  sottoposti    al voto popolare,
 mentre  l'integrale  trascrizione  del  "testo    letterale"   concerne
 unicamente  le  piu'  specifiche   "disposizioni di legge" da abrogare,
 comunque contenute  in singoli commi degli articoli stessi. E la  Corte
 deve    esprimere,  anche  a questo proposito, il rammarico che non sia
 stato dato alcun seguito alle sollecitazioni fatte   dalla sentenza  n.
 16  del  1978,  circa  "l'introduzione  delle    necessarie garanzie di
 semplicita', di univocita', di  completezza dei quesiti,  presentemente
 trascurate od  ignorate dal legislatore".
     Sostanzialmente  e  complessivamente,  tuttavia,  la   richiesta in
 questione corrisponde al  requisito    dell'omogeneita',  ponendo  agli
 elettori  -  secondo  la    predetta  sentenza  -  "un quesito comune e
 razionalmente  unitario". Le argomentazioni svolte  nella  memoria  del
 comitato  promotore  -  per  cui  si  tratterebbe  di    "depenalizzare
 l'aborto" e, principalmente, di far cadere  quello che  viene  definito
 il  "regime   amministrativo monopolistico" caratterizzante la legge n.
 194 del 1978 - trovano riscontro nella serie degli  effetti  abrogativi
 che obiettivamente la richiesta mira a  conseguire. Si chiede, infatti,
 che  il  corpo  elettorale    abroghi  le  dichiarazioni  di  principio
 enunciate dall'art. 1  e coerentemente renda  inefficaci  l'indicazione
 delle    "circostanze"  in  presenza  delle  quali  l'art.  4  consente
 l'interruzione volontaria della gravidanza nei primi novanta giorni, le
 corrispondenti "procedure" di cui  all'art. 5 e le "modalita'"  di  cui
 all'art.  8;  quanto  invece    al successivo periodo di gravidanza, la
 richiesta non  incide sulle "circostanze" indicate dall'art.  6  (salvo
 lo  specifico riferimento ai processi patologici "relativi a  rilevanti
 anomalie  o malformazioni del nascituro"), ma investe anche in tal fase
 le "procedure" di cui all'art. 7, nonche' i richiami agli articoli  dei
 quali  si  prospetta  l'abrogazione, contenuti negli artt. 9  e 10; del
 pari, vengono coinvolti nel quesito i referti medici imposti dal  primo
 comma dell'art. 11, le  "modalita'" che gli artt. 12 e 13 prevedono per
 le  minori    di  diciotto  anni  e  per  le donne inferme di mente, le
 informazioni che il medico e' tenuto a fornire alla donna    in  virtu'
 dell'art. 14, le corrispondenti sanzioni penali  disposte dall'art. 19,
 nonche'   dal  terzo  comma  dell'art.  22.    In  definitiva,  dunque,
 attraverso questa somma di effetti  abrogativi il referendum "radicale"
 si propone di  sopprimere tutti i procedimenti,  gli  adempimenti  e  i
 controlli  di  tipo  amministrativo  (od  anche   giurisdizionale), che
 attualmente   si   riferiscono   all'interruzione   volontaria    della
 gravidanza,  come  pure    tutte  le  sanzioni per l'inosservanza delle
 "modalita'  configurate dalla legge n. 194".
     Precisamente in tal senso, pero', l'ammissibilita' del   referendum
 "radicale"  e' stata variamente messa in  dubbio, poiche' l'abrogazione
 cosi' progettata risulterebbe  costituzionalmente illegittima. Vero  e'
 che  la legge n.  194 del 1978 rientra fra le leggi ordinarie, non gia'
 fra le   leggi costituzionali o  comunque  rinforzate.  Per  altro,  la
 memoria  dell'Avvocatura  dello  Stato  osserva che la Corte   dovrebbe
 verificare la conformita' degli effetti abrogativi,    derivanti  -  in
 ipotesi  -  dall'approvazione della richiesta in  esame, con i principi
 affermati  dalla  Corte  stessa,  nella sentenza n. 27 del 1975: vale a
 dire, con il "fondamento costituzionale"  spettante  alla  "tutela  del
 concepito" e con  il conseguente obbligo che il legislatore predisponga
 "le    cautele  necessarie  per impedire che l'aborto venga   procurato
 senza serii accertamenti sulla realta' e  la  gravita'    del  danno  o
 pericolo  che  potrebbe  derivare  alla  madre  dal    proseguire nella
 gestazione". Sul medesimo piano, ma   piu'  recisamente,  nel  giudizio
 relativo  alla richiesta  "minimale" quel comitato promotore nega - per
 il fine tuzionistico ricordato in narrativa  -  che  da  un  referendum
 abrogativo possa validamente derivare la "totale  irrilevanza giuridica
 dell'aborto  nei  primi  tre mesi di   gravidanza, ossia l'affermazione
 completa... della liberta'  di aborto, con una totale contestazione del
 diritto alla vita  del concepito"; mentre il comitato  promotore  della
 richiesta "massimale" insiste a sua volta nell'assunto che  la proposta
 "radicale"  produrrebbe,  qualora  approvata dal   corpo elettorale, un
 "insanabile contrasto" con svariate  norme costituzionali (dagli  artt.
 2  e  31,  secondo comma, fino agli artt. 3, secondo comma, 30, primo e
 secondo comma, 32, primo comma, e 37, primo comma).
     Ma una tale impostazione del problema non appare  corretta ed e' in
 ogni caso difforme dai criteri che la   Corte  ha  finora  seguito  nel
 valutare  l'ammissibilita'  dei   referendum abrogativi. Per negare che
 determinate  richieste referendarie siano ammissibili, non  rileva  che
 l'approvazione  di  esse darebbe luogo ad effetti incostituzionali: sia
 nel  senso  di  determinare  vuoti,    suscettibili  di   ripercuotersi
 sull'operativita'  di qualche   parte della Costituzione; sia nel senso
 di privare della   necessaria  garanzia  situazioni  costituzionalmente
 protette.  Cio'  e' tanto meno vero in quanto il legislatore  ordinario
 potrebbe intervenire, dettando una disciplina  sostanzialmente  diversa
 da  quella  abrogata, anche prima  del prodursi dell'effetto abrogativo
 (nell'ipotesi   che   si       ritardasse    "l'entrata    in    vigore
 dell'abrogazione",  per  il   tempo fissato dall'art.  37, terzo comma,
 della legge n.  352 del 1970).
     In realta', perche' sotto  questo  profilo  sia  dato  impedire  lo
 svolgimento  di  un referendum, occorre che il voto  popolare coinvolga
 la Costituzione stessa (ovvero altre   fonti normative  equiparate,  ai
 sensi  dell'art.  75 Cost.),  anziche' incidere sulle sole disposizioni
 legislative   ordinarie formalmente indicate  nel  quesito.    Piu'  di
 preciso,   occorre   che  la  legge  ordinaria  da  abrogare  incorpori
 determinati  principi  o  disposti  costituzionali,  riproducendone   i
 contenuti  o concretandoli nel solo  modo costituzionalmente consentito
 (anche nel senso di  apprestare quel minimo di tutela  che  determinate
 situazioni  esigano  secondo  Costituzione);  sicche' la   richiesta di
 referendum, attraverso la proposta mirante  a    privare  di  efficacia
 quella  legge,  tenda  in effetti ad  investire la corrispondente parte
 della Costituzione   stessa.   Appunto in questi  limitati  termini  la
 Corte   ha      sostenuto   -   nella   sentenza   n.  16  del  1978  -
 l'inammissibilita' dei "referendum aventi  per  oggetto    disposizioni
 legislative  ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato": senza
 dunque confondere    l'ambito  dei  giudizi  sull'ammissibilita'  delle
 richieste    referendarie  con  quello  dei  giudizi sulla legittimita'
 costituzionale delle leggi (come gia' precisato dalla  sentenza n.  251
 del 1975 e come riaffermato dalla  sentenza n. 24 di quest'anno).
     Ora,  tutto  cio'  non  si  verifica  per quelle disposizioni della
 legge n. 194 del 1978, sulle quali verte la richiesta  "radicale".
     Nel loro complesso, tali disposizioni sono il  frutto  di    scelte
 discrezionali   del  legislatore  ordinario:  cosi'  poco    imposte  o
 necessitate dal punto di vista costituzionale,    che  tanto  da  parte
 "radicale" quanto dal "movimento per  la vita" ne viene messa in dubbio
 la  legittimita'. Ne' giova  replicare che alcuni fra i disposti stessi
 darebbero   puntuale attuazione al principio  del  bilanciamento  degli
 interessi   costituzionalmente   garantiti  in  tema     d'interruzione
 volontaria della gravidanza (quali   dovrebbero desumersi  dagli  artt.
 2,  31  e  32 Cost.), su cui  la Corte ha fondato la sentenza n. 27 del
 1975: come nel   caso dell'art. 1 della  legge  n.  194,  la'  dove  si
 afferma  che  "lo Stato .. riconosce il valore sociale della maternita'
 e   tutela la vita umana dal suo  inizio";  o  come  anche  nel    caso
 dell'art. 4, la' dove l'aborto e' consentito, ma in vista  di un "serio
 pericolo  per la ... salute fisica o psichica"  della gestante. Sarebbe
 infatti arbitrario isolare simili  disposti dal contesto  normativo  in
 cui  si  collocano, per  trarne un qualche contenuto costituzionalmente
 vincolato. Quanto all'art. 1, pur senza ridurlo ad un mero    "cappello
 declamatorio"   (come  vorrebbe  la  memoria  relativa  alla  richiesta
 "radicale"), e' chiaro che  le  sue  proclamazioni  non  possono  venir
 considerate  per  se' sole,  senza ricollegarle alle opzioni effettuate
 dal legislatore   nel configurare  l'intero  complesso  delle  norme  -
 discrezionalmente  stabilite  -  sull'interruzione  volontaria    della
 gravidanza; e lo stesso vale per l'art. 4, che va   comunque letto  per
 intero,  senza  ignorare  il  rilievo  attribuito  alla  volonta' della
 gestante, nell'ambito delle  "procedure" previste dall'art. 5.
     Conclusivamente, la richiesta "radicale" non ha per    oggetto  che
 una   serie   di  disposizioni  contenute  in  una    legge  ordinaria,
 l'eventuale abrogazione delle quali non si   ripercuote  sul  principio
 costituzionale  del  bilanciamento    degli  interessi  concorrenti  in
 materia e nemmeno sugli   obblighi che ne  possano  discendere  per  il
 legislatore.   Su    questa  base,  la  Corte  deve  dunque  dichiarare
 ammissibile  la richiesta stessa.
     4. - La richiesta "massimale" (reg. ord. n. 23) prospetta  a    sua
 volta  l'abrogazione della legge n. 194 del 1978,  nell'intera parte in
 cui si disciplina e si consente - a certe  condizioni -  l'interruzione
 volontaria della gravidanza.
     La  proposta abrogativa coinvolge, cioe', le "circostanze" previste
 dagli artt. 4 e 6, tanto per il primo quanto per il secondo periodo  di
 gravidanza;  e  parallelamente investe  le "procedure" e le "modalita'"
 di cui agli artt. 5, 7 ed 8,  l'"obiezione di coscienza" del  personale
 sanitario   ed    esercente  le  attivita'  ausiliarie,  come  regolata
 dall'art. 9, i  relativi compiti che l'art. 10 assegna alle Regioni  ed
 alle   istituzioni sanitarie, i referti medici imposti dall'art. 11, le
 speciali "modalita'" configurate dagli artt. 12 e 13, circa  le  minori
 di  diciotto anni e circa le donne interdette per  infermita' di mente,
 "le informazioni e le indicazioni" di  cui all'art. 14, l'aggiornamento
 dei sanitari e degli    ausiliari  interessati,  nei  termini  previsti
 dall'art.    15.  In   contrapposto alla richiesta "radicale", si tende
 pero' ad allargare la sfera dell'illecito, sino a farla coincidere - in
 sostanza - con quella gia' determinata dal  codice  penale    del  1930
 (anche  se  viene  promossa la soppressione delle   particolari ipotesi
 criminose di cui al terzo, quarto, quinto   e settimo  comma  dell'art.
 19,  nonche'  agli  interi  disposti    degli  artt. 20 e 21). Mediante
 l'abrogazione  dell'inciso    che nel primo comma dell'art. 19 riguarda
 "l'osservanza delle modalita' indicate negli articoli 5 o 8",  si  mira
 infatti    ad una integrale ridefinizione di quella figura di reato: la
 cui fattispecie non sarebbe piu' rappresentata - una volta  intervenuto
 l'effetto abrogativo - dall'aver omesso  di    seguire  le  "modalita'"
 prescritte,   bensi'  dall'avere    comunque  cagionato  l'interruzione
 volontaria della gravidanza (al  pari  di  cio'  che  disponeva  -  pur
 differenziandosi  sul piano terminologico e per la piu'  grave sanzione
 comminata  -  il  primo  comma  dell'art.  546     cod.  pen.).   Cosi'
 ricostruita,   tuttavia,   la  richiesta     corrisponde  al  requisito
 dell'omogeneita',  in  quanto  sorretta  da  un   criterio   ispiratore
 fondamentalmente   comune (malgrado la prevista abrogazione dell'intero
 art.    15,  sia  nella  parte  concernente  le   "tecniche   ...   per
 l'interruzione della gravidanza", sia nella parte che  attiene ad altre
 forme  di  aggiornamento  professionale).  La  principale  questione di
 ammissibilita', suscitata dalla  richiesta "massimale", riguarda invece
 la completa  abrogazione dell'art. 6: vale a dire la proposta  che  sia
 resa    inefficace  la  stessa  previsione  dell'aborto terapeutico, da
 praticarsi "quando  la  gravidanza  o  il  parto  comportino  un  grave
 pericolo  per  la  vita",  oppure  "quando  siano    accertati processi
 patologici..., che determinino un grave  pericolo per la salute  fisica
 o  psichica  della  donna".  L'art.    6  della legge n. 194 del 1978 -
 considerato non gia' nei suoi    dettagli,  bensi'  nel  suo  contenuto
 normativo  essenziale  -  ha  dato    infatti attuazione al primo comma
 dell'art. 32 Cost. (per cui "la    Repubblica  tutela  la  salute  come
 fondamentale diritto  dell'individuo e interesse della collettivita'"),
 in  tema    d'interruzione  volontaria della gravidanza:   dettando una
 disciplina  che fondamentalmente si adegua, per cio'  che  riguarda  la
 tutela del  diritto alla salute della gestante, a quella risultante dal
 dispositivo   della   sentenza  n.  27  del  1975  (dove  si  "dichiara
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 546 del codice penale,  nella
 parte  in  cui  non  prevede  che  la gravidanza possa venir interrotta
 quando l'ulteriore gestazione  implichi  danno,  o  pericolo,    grave,
 medicalmente  accertato  nei  sensi  di  cui  in  motivazione  e    non
 altrimenti evitabile, per la salute  della  madre".    Per  contro,  la
 richiesta "massimale" tende non solo a sopprimere l'art. 6, ma  anche a
 restaurare  -  come  gia'  si e' notato, trattando dell'art. 19,  primo
 comma - una disciplina penale il cui precetto appare  identico a quello
 annullato dalla predetta decisione della Corte.
     Nelle deduzioni svolte per il comitato promotore della richiesta in
 esame, si risponde che gli assunti della    sentenza  n.  27  del  1975
 dovrebbero  essere  rimeditati  dalla  Corte;    e  che,  in ogni caso,
 l'abrogazione dell'art. 6 della legge n. 194 del  1978 potrebbe trovare
 rimedio attraverso una larga  applicazione    della  scriminante  dello
 stato  di  necessita',  prevista dall'art. 54 cod.   pen., Senonche' il
 richiamo dell'art. 54 non e' risolutivo.  L'argomento e' stato  infatti
 esaminato  e  respinto dalla sentenza n. 27 del 1975, la' dove la Corte
 ha chiarito   che "la condizione della  donna  gestante  e'  del  tutto
 particolare  e  non  trova  adeguata  tutela  in una norma di carattere
 generale come l'art. 54 c.p. che  esige  non  soltanto  la  gravita'  e
 l'assoluta  inevitabilita'  del  danno  o del pericolo, ma anche la sua
 attualita', mentre il danno o pericolo conseguente al protrarsi di  una
 gravidanza puo' essere previsto, ma non e'  sempre  immediato";  ed  ha
 aggiunto  che  "la salvaguardia dell'embrione   che persona deve ancora
 diventare"  non  puo' farsi prevalere ne' sul diritto alla vita ne' sul
 diritto alla salute "proprio di chi e' gia' persona,  come  la  madre".
 Con questo fondamento, se' allora affermata la necessita' di introdurre
 una  scriminante  specifica;  e  si  e' ritenuto che dall'art. 32 della
 Costituzione derivasse in tal senso un  obbligo  cosi'  stringente,  da
 rendere indispensabile una  decisione di accoglimento che ha modificato
 il  precetto  di una   norma penale.   Ora, la Corte e' dell'avviso che
 quella necessita'  sussista, anche agli effetti del presente  giudizio:
 con  la  conseguenza che l'art. 6 della  legge n. 194, in quanto tutela
 non soltanto la vita ma  anche la salute, non puo' esser ricondotto  ad
 una  scelta    discrezionale  del legislatore ordinario, ma rappresenta
 nel suo contenuto essenziale  una  norma    costituzionalmente  imposta
 dall'art. 32.
     Di  qui si ricava che l'intera richiesta "massimale" va  dichiarata
 inammissibile;  mentre  rimane  assorbita    l'ulteriore  questione  di
 ammissibilita',  che  potrebbe  porsi   in relazione all'art. 19, primo
 comma, per l'effetto  creativo di una fattispecie penale affatto  nuova
 che  la   richiesta tenderebbe in sostanza a produrre, sotto specie  di
 abrogazione parziale di una vigente figura di reato.
     5. - Quanto  alla  richiesta  "minimale"  (reg.  ref.  n.  24),  il
 quesito   che   essa   prospetta   agli   elettori  puo'  essere  cosi'
 sintetizzato: volete che sia abrogata ogni circostanza   giustificativa
 ed ogni modalita' dell'interruzione  volontaria della gravidanza, quali
 sono  previste  dalla    legge  n.  194  del  1978, fatta eccezione per
 l'aborto terapeutico?
     Al pari della richiesta  "massimale",  qui  pure  si  propone    di
 abrogare  le  "circostanze"  configurate  dall'art.  4 e le "procedure"
 prescritte dall'art. 5, relativamente  ai  primi    novanta  giorni  di
 gravidanza  (nonche'  l'intero testo degli   artt. 8, 12, 13, 14 e 15).
 Viceversa, non vengono investite  le disposizioni dell'art. 6  (ne'  le
 connesse  "procedure"  o    "modalita'"  prescritte dall'art. 7), salvo
 l'inciso   riguardante  le  "rilevanti  anomalie  o  malformazioni  del
 nascituro",  nonche'  il  riferimento  alla  salute  "psichica"   della
 gestante; ed anzi si prevede che tali disposizioni  riguardino l'intero
 periodo di gravidanza, per effetto  dell'abrogazione delle parole "dopo
 i primi novanta    giorni".  Il  conseguente  problema  delle  relative
 sanzioni    penali,  oggi  risolto per mezzo di statuizioni diverse, in
 vista del primo o del secondo  periodo  di  gestazione,  viene  infine,
 affrontato  attraverso  una  parziale   abrogazione dell'art. 19, primo
 comma (cui si aggiunge  l'abrogazione totale del terzo, quarto,  quinto
 e  settimo  comma); senza pero' configurare un nuovo tipo di reato,  ma
 sostanzialmente mantenendo la fattispecie incriminatrice  del  terzo  e
 quarto  comma, attraverso la soppressione del richiamo degli artt. 5 ed
 8,   operato nel primo comma. In questi  termini,  dunque,    anche  la
 richiesta  "minimale"  si  risolve  in  un  quesito    sufficientemente
 omogeneo.
     D'altra parte non regge la tesi che il referendum in esame    tenda
 ad  abrogare  disposizioni  legislative ordinarie   aventi un contenuto
 costituzionalmente vincolato (alla  stregua della sentenza  n.  27  del
 1975). In particolar  modo, tale non e' il caso di quel passo dell'art.
 6, lettera  b), in cui si menzionano e si tutelano distintamente salute
 "fisica"  e  salute "psichica" della gestante. Non rileva in  contrario
 che la sentenza n. 27, del 1975 abbia ritenuto   fondata una  questione
 di  legittimita'  costituzionale, posta   da un'ordinanza che impugnava
 l'art.  546  cod.  pen., in   quanto rivolto a punire l'aborto di donna
 consenziente  anche quando venisse "accertata  la  pericolosita'  della
 gravidanza":  con  distinto  riferimento  al  "benessere    fisico"  ed
 all'"equilibrio psichico" della donna stessa.  Gia'  in quella sede,  a
 proposito dei "serii accertamenti sulla  realta' e gravita' del danno o
 pericolo", il fattore  dell'"equilibrio psichico" non e' stato preso in
 specifica  e  separata considerazione dalla Corte; tanto e' vero che il
 dispositivo della ricordata decisione fa perno  sulla    "salute  della
 madre", complessivamente intesa.
     Da  questo  stesso  angolo  visuale  va  considerata la   richiesta
 "minimale": che appare pertanto ammissibile,  anche nella parte in  cui
 propone  che  si  abroghino  le    parole "o psichica", contenute nella
 lettera b) dell'art. 6.  Sul piano costituzionale rimane fermo,  pero',
 che  la  salute   della gestante dev'essere compiutamente garantita dai
 gravi pericoli che ogni effettiva malattia, di qualsiasi natura,  possa
 produrre nel corso dell'ulteriore gestazione.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     1) dichiara ammissibili:
     a)  la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione  parziale
 della legge 22 maggio 1978, n. 194, iscritta al n.  22 reg.  ref.,  nei
 termini  indicati  in epigrafe, dichiarata  legittima con ordinanza del
 15 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale  per il  referendum,  costituito
 presso la Corte di cassazione;
     b)  la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione  parziale
 della legge 22 maggio 1978, n. 194, iscritta al n.  24 reg.  ref.,  nei
 termini  indicati  in epigrafe, dichiarata  legittima con ordinanza del
 15 dicembre 1980  dell'Ufficio centrale per il  referendum,  costituito
 presso  la Corte di cassazione;
     2)  dichiara inammissibile la richiesta di referendum  popolare per
 l'abrogazione parziale della legge 22  maggio 1978, n. 194, iscritta al
 n.23 reg. ref., nei termini  indicati in epigrafe, dichiarata legittima
 con ordinanza   del 15  dicembre  1980  dell'Ufficio  centrale  per  il
 referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
     Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede  della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10  febbraio 1981.
                                   F.to:  LEONETTO   AMADEI   -   GIULIO
                                   GIONFRIDA   -   EDOARDO   VOLTERRA  -
                                   MICHELE  ROSSANO  -     ANTONINO   DE
                                   STEFANO  - LEOPOLDO ELIA -  GUGLIELMO
                                   ROEHRSSEN - ORONZO  REALE  -  ALBERTO
                                   MALAGUGINI  - LIVIO PALADIN - ARNALDO
                                   MACCARONE  -  ANTONIO  LA  PERGOLA  -
                                   VIRGILIO      ANDRIOLI   -   GIUSEPPE
                                   FERRARI.
                                   GIOVANNI VITALE - Cancelliere