N. 170 SENTENZA 25 giugno - 1 luglio 1986

                                 N. 170
                         SENTENZA 25 GIUGNO 1986
                 Deposito in cancelleria: 1 luglio 1986.
      Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 32/1 s.s. del 9 luglio 1986.
                      Pres. LA PERGOLA - Rel. SAJA
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Contratti agrari - R.D. 7 febbraio 1926, n. 426, art. 10 -  Domanda  di
 affrancazione   di   prestazioni   perpetue   -   Condizioni   per   la
 proponibilita' - Assunta  violazione  degli  artt.  3,  24,  113  della
 Costituzione  -  Imposizione  di  oneri  processuali - Discrezionalita'
 legislativa  -  Non  arbitrarieta'  -  Esclusione   di   illegittimita'
 costituzionale.
     Giudizio  di  legittimita' costituzionale in via incidentale - Atti
 impugnabili (art. 134 Cost.) - R.D.  7 febbraio 1926, n. 426 - Asserita
 natura regolamentare - Esclusione - Ha natura  di  decreto  delegato  -
 Fattispecie   -   Contratti   agrari   -  Disposizioni  transitorie  di
 coordinamento in materia di affrancazione dei canoni.
     Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
 Ordinanza del giudice a quo - Esame della domanda formulata dalla parte
 in via principale e istanze subordinate - Motivazione della rilevanza -
 Sussistenza  - Ammissibilita' - Fattispecie - Contratti agrari - R.D. 7
 febbraio  1926,  n.  426,  art.  10  -  Domanda  di  affrancazione   di
 prestazioni perpetue.
     Tutela  giurisdizionale  - Diritto di azione - Oneri collegati alla
 pretesa dedotta in giudizio - Criteri di giustificazione -  Conformita'
 ai principi della Costituzione - Limite della ragionevolezza.
(GU n.32 del 9-7-1986 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     composta  dai signori: Prof. ANTONIO LA PERGOLA, Presidente - Prof.
 VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott.   FRANCESCO  SAJA  -
 Prof.  GIOVANNI  CONSO  -  Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO CORASANITI -
 Prof. GIUSEPPE BORZELLINO - Dott.   FRANCESCO GRECO  -  Prof.  GABRIELE
 PESCATORE  -  Avv.  UGO  SPAGNOLI  -  Prof.   FRANCESCO PAOLO CASAVOLA,
 Giudici,
     ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  10,  secondo
 comma,  ultimo  periodo,  del r.d. 7 febbraio 1926 n. 426 (Disposizioni
 transitorie e di attuazione della l. 11  giugno  1925  n.  998  per  la
 riforma  delle  vigenti  disposizioni  sulla  affrancazione dei canoni,
 censi ed altre prestazioni perpetue), promosso con ordinanza emessa  il
 25  febbraio  1982 dal Tribunale regionale delle acque pubbliche presso
 la Corte d'appello di Roma nel procedimento civile  vertente  tra  ENEL
 (Ente  nazionale per l'energia elettrica) e Gentilozzi Franco ed altri,
 iscritta al n. 770 del  registro  ordinanze  1982  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 dell'anno 1982.
     Visto l'atto di costituzione dell'ENEL nonche' l'atto di intervento
 del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito  nell'udienza pubblica del 20 maggio 1986 il Giudice relatore
 Francesco Saja;
     uditi l'avv. Ernesto Conte per  l'ENEL  e  l'Avvocato  dello  Stato
 Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  - Con ricorso del 18 luglio 1980 diretto al Tribunale regionale
 delle  acque  pubbliche  presso  la  Corte  d'appello  di  Roma  l'Ente
 nazionale  per  l'energia  elettrica  esponeva che Gentilozzi Franco ed
 altri erano succeduti in un contratto, stipulato nell'anno 1909, da cui
 essi  asserivano  essere  derivato  a loro favore, in corrispettivo del
 trasferimento della proprieta' di un immobile, un diritto perpetuo alla
 fornitura di un determinato quantitativo annuo  di  energia  elettrica.
 Debitrice  originaria  era l'impresa Celso Grifi e c., alla quale erano
 succeduti prima l'Unione esercizi elettrici  (Unes)  e  poi  lo  stesso
 Enel.  Tanto  premesso, il ricorrente chiedeva in via principale che il
 detto contratto  fosse  dichiarato  nullo,  sia  perche'  contrario  ai
 principi  generali sulle concessioni di beni demaniali, sia perche' con
 oggetto giuridicamente impossibile; in subordine chiedeva che ne  fosse
 dichiarata   l'inefficacia   per   impossibilita'  sopravvenuta  e,  in
 ulteriore subordine, che fosse  disposto  il  riscatto  della  predetta
 prestazione ai sensi degli artt. 1865 e 1866 cod. civ.
     I convenuti, costituitisi, eccepivano tra l'altro che la domanda di
 riscatto  doveva ritenersi improponibile per omesso deposito del prezzo
 di affrancazione di cui all'art. 10 r.d. 7 febbraio 1926 n. 426.
     Con ordinanza del 25 febbraio 1982 (reg. ord. n.  770 del 1982)  il
 Tribunale,  ritenuto di non poter accogliere le domande proposte in via
 principale,  sollevava   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  10 cit., secondo comma, ultimo periodo, ossia della parte in
 cui era disposto che, nelle cause di affrancazione dei canoni, censi ed
 altre prestazioni perpetue, il mancato  deposito  del  prezzo  suddetto
 rende improponibile la domanda.
     Osservava  in proposito il collegio che la norma impugnata sembrava
 in contrasto coi principi di eguaglianza e di difesa  in  giudizio,  in
 quanto impositiva di un ostacolo processuale non giustificato da motivi
 di interesse pubblico e di funzionalita' del processo stesso.
     2.  -  La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuta,
 eccepiva che la norma impugnata doveva ritenersi legittima,  in  quanto
 intesa a permettere l'esercizio del diritto di affrancazione solo a chi
 fosse  in grado di sostenere effettivamente il relativo peso economico;
 la norma era quindi, in definitiva, giustificata da motivi di  serieta'
 processuale.
     3.  -  L'Enel  si  costituiva  e  chiedeva  preliminarmente  che la
 questione fosse dichiarata inammissibile per insufficiente  motivazione
 sulla  sua  rilevanza  nel  giudizio  a quo, giacche' il riscatto della
 rendita perpetua era stato chiesto soltanto in via "subordinatissima".
     Nel merito, l'Ente riteneva che la questione fosse fondata. Infatti
 nel sistema civilistico  si  trovavano  ipotesi  di  subordinazione  di
 pronunce  costitutive  al pagamento di una controprestazione in denaro,
 ma tale pagamento costituiva tutt'al piu'  condizione  di  accoglimento
 della  domanda  e  non  presupposto  processuale: da cio' conseguiva la
 disparita' di trattamento tra questi casi e quello di specie, in cui il
 diritto di difesa in giudizio appariva ingiustificatamente sacrificato.
     Le dette considerazioni venivano ulteriormente svolte dall'Ente  in
 una memoria depositata in prossimita' dell'udienza.
                         Considerato in diritto:
     1. - Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale regionale delle acque
 pubbliche  presso  la  Corte  d'appello  di  Roma  ha  denunciato,  per
 contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 Cost., la disposizione dell'art. 10
 r.d.  7  febbraio  1926  n.  426.  nella  parte  in  cui  subordina  la
 proponibilita'  della  domanda di affrancazione di prestazioni perpetue
 al preventivo  deposito  del  prezzo.  Rilevato  che  l'imposizione  di
 determinati oneri, i quali condizionano la tutela giurisdizionale, deve
 considerarsi   legittima   soltanto   se   ricorrono   valide   ragioni
 giustificative, il giudice a  quo  ritiene  che  nell'ipotesi  suddetta
 mancherebbe  ogni  fondamento  razionale, con la conseguente violazione
 dei parametri costituzionali indicati.
     2. - La Corte osserva preliminarmente che deve escludersi la natura
 regolamentare del cit. r.d. 7 febbraio 1926  n.  426,  trattandosi  per
 contro  di  un decreto delegato, il quale come tale ha forza di legge e
 rientra quindi nella previsione dell'art. 134, primo comma,  Cost.  Per
 vero,  esso venne emanato in base all'art. 20 l. 11 giugno 1925 n.  998
 (contenente la conversione in legge del r.d. l.    15  luglio  1923  n.
 1717, per la riforma delle disposizioni sulla affrancazione dei canoni,
 censi  ed  altre  prestazioni  perpetue)  che  autorizzo' il Governo ad
 emanare  "le  disposizioni  transitorie  ed  ogni  altra   disposizione
 occorrente per l'attuazione della (suddetta) legge nonche' a coordinare
 la  medesima  con  le  altre  leggi  vigenti." Il provvedimento risulta
 quindi diretto a dettare il regime transitorio  dalla  precedente  alla
 successiva  disciplina  nonche'  ad operare il necessario coordinamento
 delle norme che regolano la materia e tale  funzione  non  puo'  essere
 svolta  se  non  da  disposizioni  aventi, nella gerarchia delle fonti,
 natura pari a quella delle norme  medesime.  Il  che,  peraltro,  trova
 conferma   negli   elementi  esteriori  e  nell'assenza  dei  requisiti
 procedimentali dei provvedimenti regolamentari,  quale  il  parere  del
 Consiglio di Stato.
     3. - L'Enel ha eccepito l'inammissibilita' della proposta questione
 per  difetto  di  motivazione  sulla rilevanza, in quanto la domanda di
 affrancazione era stata proposta solo subordinatamente  e  pertanto  il
 giudice  a  quo  avrebbe prima dovuto esaminare le domande formulate in
 via principale (nullita' originaria o  sopravvenuta  inefficacia  della
 convenzione  dedotta  in giudizio). Senonche' il detto giudice ha preso
 in   considerazione   le   indicate   istanze   principali,   rilevando
 espressamente  nell'ordinanza  di  rimessione  che  esse  non  potevano
 trovare accoglimento e proprio percio'  ha  proceduto  all'esame  della
 domanda  di affrancazione, sollevando la questione di costituzionalita'
 di cui si tratta: pertanto e'  evidente  l'insussistenza  dell'eccepito
 difetto di motivazione sulla rilevanza.
     4.  -  Nel  merito  rileva la Corte che, in tema di oneri collegati
 alla pretesa dedotta in giudizio, debbono,  tra  le  varie  fattispecie
 normative, ritenersi conformi ai principi costituzionali quelle dirette
 ad  assicurare uno svolgimento del processo aderente alla sua effettiva
 funzione, e quindi a prevenire inammissibili eccessi nell'esercizio del
 diritto di azione nonche' a stimolare il senso di responsabilita' della
 parte. Invero il diritto alla tutela giurisdizionale  non  puo'  essere
 concepito  in  maniera  cosi'  assoluta  e  illimitata  da escludere la
 legittimita' costituzionale di rimedi intesi ad evitare  uno  sviamento
 della  funzione  propria  del  processo  attraverso  la proposizione di
 domande palesemente infondate o meramente pretestuose.  Alle norme  ora
 indicate  si  contrappongono  quelle  a  cui  non  puo' riconoscersi la
 medesima finalita' perche'  prevedono  delle  limitazioni  alla  tutela
 giurisdizionale   prive   di   concreta  e  obbiettiva  giustificazione
 nell'ambito del processo, con l'intuitiva conseguenza che queste ultime
 non possono ritenersi costituzionalmente legittime.
     In tali sensi si e' gia' orientata la Corte, la quale ha  osservato
 che  alla medesima conclusione deve altresi' pervenirsi, trattandosi in
 realta' di analoga censura, in riferimento ai parametri degli artt. 3 e
 113 Cost., invocati anche in questo giudizio, (sentt.  n. 80 del  1966;
 n. 157 del 1969).
     Nel   caso  in  esame,  il  prescritto  deposito  e'  senza  dubbio
 preordinato ad assicurare preventivamente la serieta' della domanda, in
 modo da escludere  l'eventualita'  che  l'attore,  una  volta  definito
 favorevolmente   il   giudizio,   possa   non   adempiere   la  propria
 obbligazione, mettendo di fatto nel nulla sia  l'attivita'  processuale
 espletata  dalle  parti  sia  i  provvedimenti del giudice. Il deposito
 concerne infatti  la  somma  dovuta  al  creditore  dall'onerato  quale
 corrispettivo  della richiesta affrancazione, somma dall'onerato stesso
 determinata secondo  un  criterio  di  adeguatezza,  salvo  l'eventuale
 provvedimento giudiziale di integrazione, che peraltro nella specie non
 vi e' stato, essendo mancato del tutto il versamento preventivo.
     Non  e' possibile quindi considerare il deposito in questione quale
 ostacolo alla tutela giurisdizionale, costituendo esso, per contro,  lo
 strumento diretto a far si' che all'affrancazione corrisponda realmente
 e  indefettibilmente  il pagamento del prezzo, onde non sia alterato il
 sinallagma del rapporto  giuridico  esistente  tra  le  parti.  E  puo'
 aggiungersi  che la ratio della norma in questione vale non solo tra le
 parti, ma anche nei confronti dei terzi, rispetto  ai  quali  l'effetto
 sostanziale  della  sentenza  si  verifica dal momento dell'annotazione
 della medesima, proprio sul presupposto della sua efficacia  immediata,
 collegata  al  previo  deposito  del prezzo (cfr. art. 15, terzo comma,
 cit. l. 11 giugno 1925 n.  998). L'Enel ha dedotto  che  la  violazione
 dei  sopra  indicati  precetti  costituzionali  sussisterebbe non tanto
 perche' il legislatore ha disposto il preventivo deposito,  quanto  per
 il  motivo che l'ha configurato, secondo il costante orientamento della
 Corte  di  cassazione,  come  presupposto  processuale  e   non   quale
 condizione  dell'azione.  A tale deduzione la parte e' indotta poiche',
 com'e' noto, i presupposti processuali debbono sussistere  nel  momento
 della  proposizione  della  domanda,  mentre  le condizioni dell'azione
 costituiscono requisiti  per  il  suo  accoglimento  e  quindi  possono
 sopravvenire  fino  alla  pronuncia  giudiziale  di merito: sicche', se
 l'onere de quo  potesse  rientrare  in  questa  seconda  categoria,  il
 lamentato ostacolo all'attivita' processuale sarebbe meno grave (e, nel
 caso  di  specie,  l'attore  potrebbe  ancora adempiervi, trovandosi il
 giudizio principale  nella  fase  istruttoria).  Ma  neppure  sotto  il
 profilo  ora  indicato  la questione puo' trovare accoglimento. Invero,
 una volta stabilito che l'onere e' stato  correttamente  imposto  dalla
 legge,  la  sua  qualificazione  e  la  conseguente incidenza nell'iter
 procedimentale  e'   rimessa   alla   valutazione   discrezionale   del
 legislatore,  salvo  il  controllo  di  legittimita'  sotto  il profilo
 dell'arbitrarieta' o irrazionalita' della norma. E certamente non  puo'
 considerarsi  ne' arbitraria ne' irrazionale una disposizione che serve
 a disciplinare, con giustificato rigore, il processo di  affrancazione,
 in  modo  che  sin  dal  momento iniziale sia adeguatamente tutelata la
 posizione del creditore e sia nel contempo esclusa  l'eventualita'  del
 compimento   di   un'inutile   attivita'  processuale.  Non  e'  infine
 pertinente  il  richiamo  dell'Enel  a  disposizioni  di   legge,   che
 variamente  disciplinano  alcuni oneri connessi alla proposizione delle
 domande giudiziali, trattandosi di materia riservata, come  si  e'  ora
 detto,  alla  discrezionalita'  del legislatore, il quale deve adeguare
 nei singoli casi il  proprio  apprezzamento  all'istituto  considerato,
 fermo restando il detto limite costituzionale.
                            PER QUESTI MOTIVI
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
     dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 10 r.d. 7 febbraio 1926 n.   426,  sollevata  in  riferimento
 agli  artt.  3,  24  e  113  Cost.  dal Tribunale regionale delle acque
 pubbliche presso la Corte d'appello di Roma con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
     Cosi' deciso in Roma, in camera  di  consiglio,  nella  sede  della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1986.
                                   F.to:  ANTONIO  LA PERGOLA - VIRGILIO
                                   ANDRIOLI   -   GIUSEPPE   FERRARI   -
                                   FRANCESCO  SAJA  -  GIOVANNI  CONSO -
                                   ETTORE  GALLO  -  ALDO  CORASANITI  -
                                   GIUSEPPE BORZELLINO - FRANCESCO GRECO
                                   - GABRIELE PESCATORE - UGO SPAGNOLI -
                                   FRANCESCO PAOLO CASAVOLA.
                                   GIOVANNI VITALE - Cancelliere