N. 196 SENTENZA 21 - 25 maggio 1987
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale - artt. 9 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194: Maternita' - interruzione volontaria della gravidanza - richiesta fatta da minore - procedura prevista per l'assenso - intervento del giudice tutelare - facolta' di sollevare obiezione di coscienza - esclusione - assunta violazione degli artt. 2, 3, 19 e 21 della Costituzione - Non fondatezza della questione(GU n.25 del 17-6-1987 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Antonio LA PERGOLA; Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott. Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza), promosso con ordinanza emessa il 24 settembre 1984 dal giudice tutelare di Napoli, sulla richiesta proposta da Mangiapia Silvia, iscritta al n. 1236 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 71- bis dell'anno 1985. Udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1987 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino. Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa il 24 settembre 1984 (R.O. n. 1236 del 1984) il giudice tutelare di Napoli, nel procedimento promosso da Mangiapia Silvia, ha proposto, in riferimento agli artt. 2, 3, 19 e 21 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 9 e 12 della l. 22 maggio 1978 n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza) nei limiti in cui tali disposizioni non consentono al giudice tutelare medesimo di sollevare obiezione di coscienza relativamente alle procedure di cui all'art. 12 ed in particolare in relazione al potere di autorizzare la minore a decidere l'interruzione della gravidanza. Il giudice a quo, dato atto che nella specie appaiono espletati i compiti e le procedure di cui all'art. 5 della legge medesima e rilevato che - in considerazione della volonta' della minore, delle ragioni da essa addotte, nonche' delle risultanze della relazione della struttura socio-sanitaria - sussistono gli estremi per autorizzare l'interruzione della gravidanza, osserva che la legge in questione consente l'esercizio dell'obiezione di coscienza solo al personale sanitario od esercente le attivita' ausiliarie e non al giudice tutelare che pur e' chiamato dalla legge a svolgere un'attivita' rilevante nella procedura abortiva. Espresso "il proprio profondo e radicato convincimento, fondato su motivi scientifici, filosofici e religiosi che con l'aborto viene soppressa volontariamente la vita di un essere umano, tale dovendo essere ritenuto il concepito, riconosciuto peraltro destinatario della tutela costituzionale nella nota sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 1975", il giudice remittente afferma che "i propri convincimenti trovano ampia tutela negli articoli 21 e 19 della Costituzione, che garantiscono i diritti di liberta' di coscienza e manifestazione del pensiero nonche' il diritto di liberta' religiosa, indubbiamente da annoverarsi tra i diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Costituzione". Anche a far rientrare l'attivita' in questione fra quelle tipiche della funzione giudiziaria, secondo il remittente le liberta' sopramenzionate devono essergli riconosciute al pari di qualsiasi altro cittadino; ne' e' dato esigere dal giudice tutelare che, per converso, rassegni le dimissioni e rinunci alle funzioni di magistrato, con conseguente compressione della libera espressione della sua personalita'. Considerato in diritto 1. - L'art. 12, secondo comma, della legge 22 maggio 1978 n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza) prevede che la richiesta di interruzione, se fatta da minore, debba ottenere l'assenso di chi esercita la patria potesta' o la tutela. Tuttavia, nei casi che impediscano o sconsiglino la consultazione dei predetti soggetti, ovvero se questi rifiutino l'assenso ovvero esprimano pareri tra loro difformi, il giudice tutelare competente puo' autorizzare la richiedente a decidere l'interruzione medesima. Il giudice tutelare di Napoli ravvisa, in presenza di tale normativa, che ove sussista, per convincimento profondo e radicato in lui contro l'aborto, "conflitto insanabile tra la propria coscienza e gli obblighi derivantigli dalle funzioni" debba essergli accordata facolta' di sollevare obiezione di coscienza; ma tanto non e' positivamente previsto, all'incontro di quanto disposto (art. 9) per il personale sanitario (od esercente le attivita' ausiliarie) che intervenga nelle procedure abortive. In conseguenza, ha sollevato d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dei predetti artt. 9 e 12 legge n. 194 del 1978, in riferimento - oltre che all'art. 3 Cost. per disparita' di trattamento col personale sanitario e paramedico - agli artt. 2, 19 e 21, ritenuti complessivamente inerenti alla garanzia di tutela dei propri diritti inviolabili, sia di professione di fede religiosa che di liberta' di manifestazione del pensiero. 2. - La questione non e' fondata. Occorre ricordare che la normativa dettata dalla legge in discorso conferisce rilievo alla salute psico-fisica della gestante, essendo la condizione di questa del tutto particolare (sent. n. 27 del 1975). In presenza percio', entro i primi novanta giorni, di "serio pericolo" (art. 4) maggiore o minore di eta' che la donna sia, secondo parametri ben individuati e circoscritti nella legge (stato di salute, condizioni economiche, o sociali o familiari, circostanze del concepimento, ovvero previsioni di anomalie nel concepito) viene accordata facolta' alla richiedente di adire le esistenti strutture socio-sanitarie (art. 5). Gli accertamenti necessari si concludono col rilascio di un documento, di cui la gestante e' resa compartecipe, abilitante alla interruzione volontaria presso una delle sedi all'uopo autorizzate. Stante i richiamati scopi del contesto di legge, nessuna differenza v'e' nelle procedure suddette - ne' puo' ovviamente esservi - tra donna maggiore o minore degli anni diciotto; tant'e' che in caso di urgenza, rivelandosi cioe' "grave" pericolo per la salute (connotazione ben piu' specifica ed incisiva del "serio" pericolo di cui gia' si e' detto) la posizione della minorenne viene parificata in toto (art. 12, penultimo comma) con quella della gestante maggiore d'eta', nel senso che non e' piu' richiesto assenso di sorta. In ogni altro caso occorre per la donna minore l'assenso degli aventi titolo: sostituibile da quella "autorizzazione a decidere", disposta dal giudice tutelare e di cui si e' piu' sopra riferito. Ancorche' sui generis sia perche' fatto salvo da reclamo, cosi' come di regola previsto, invece, per effetto dell'art. 739 c.p.c., sia perche' non decisorio bensi' meramente attributivo della facolta' di decidere, il menzionato provvedimento rientra pur sempre nell'ambito degli schemi autorizzatori adversus volentem: unicamente di integrazione, cioe', della volonta' della minorenne, per i vincoli gravanti sulla sua capacita' d'agire (sent. n. 109 del 1981). Dunque, esso rimane esterno alla procedura di riscontro, nel concreto, dei parametri previsti dal legislatore per potersi procedere all'interruzione gravidica. Ed una volta che i disposti accertamenti siansi identificati quale antefatto specifico e presupposto di carattere tecnico, al magistrato non sarebbe possibile discostarsene; intervenendo egli, come si e' chiarito, nella sola generica sfera della capacita' (o incapacita') del soggetto, tal quale viene a verificarsi per altre consimili fattispecie (per gli interdicendi, ad es., a sensi dell'art. 414 cod. civ.). Ne' potrebbe, peraltro, indurre a diversa considerazione la dizione della norma secondo cui il giudice "puo'" autorizzare la donna, poiche' il termine e' piuttosto da riferire, in particolare, alla attivita' sostitutiva, anche in presenza di rifiuto da parte della patria potesta'. Tali essendo i ben circoscritti e non cospicui margini di intervento del giudice tutelare (ed integre restando, comunque, le successive valutazioni della gestante abilitata essa sola a decidere) non sussiste disparita' col personale sanitario, al quale soltanto - come riconosce la stessa ordinanza di remissione - competono gli accertamenti intesi alla previsione d'aborto: nessuna lesione, percio', per difetto di omogeneita' nei differenti stadi della procedura, ricorre nei confronti dell'art. 3 Cost. 3. - La questione si incentra cosi' nell'assunto contrasto dell'art. 12 della legge n. 194 del 1978 (l'art. 9 reca soltanto, infatti, gli elementi per il precedente raffronto) con gli artt. 2, 19 e 21 Cost., venendo in rilievo la denunciata contrapposizione, nella coscienza del remittente, dei suoi convincimenti interni virtutis et vitiorum rispetto alla esistente doverosita' di satisfacere officio. Gli invocati parametri indubbiamente rivestono in fattispecie una connotazione unitaria, poiche' se i principi di cui all'art. 2 assumono a valore primario i diritti inviolabili dell'uomo, le garanzie di liberta' della coscienza religiosa (secondo i contenuti resi gia' ostensivi da questa Corte con sentenza n. 117 del 1979) e di altrettanta liberta' della manifestazione del pensiero (nei suoi molteplici aspetti) restano avvinti da una complementarieta' d'intenti. A ben vedere, trattasi di comporre un potenziale conflitto tra beni parimenti protetti in assoluto: quelli presenti alla realta' interna dell'individuo, chiamato poi, per avventura, a giudicare, e quelli relativi alle esigenze essenziali dello jurisdicere (ancorche' intra volentes). Orbene, a parte i contenuti di doverosita' presenti nell'art. 54, secondo comma, Cost., un indice rimarchevole, sia pure a fronte della liberta' di associazione, emerge dal dettato del successivo art. 98, terzo comma, la' dove tale estrinsecazione di una fondamentale liberta' individuale soffre per il magistrato di limitazioni, avuto riguardo al dover questi pronunciare, tra l'altro, proprio sulle questioni familiari. E' peraltro, ancora, l'inamovibilita' garantita al magistrato (art. 107) che come lo pone al riparo da qualsivoglia interferenza ab externo, cosi' comporta - salvi i casi ex artt. 51 e 52 c.p.c. di sopravvenuto difetto nella neutralita' propria del decidere - l'indeclinabile e primaria realizzazione della esigenza di giustizia, interesse d'ordine generale il cui rilievo costituzionale questa Corte ha ripetutamente riconosciuto (cfr. sentenza n. 1 del 1981). Il magistrato e' tenuto ad adempiere con coscienza appunto (art. 4 legge 23.12.1946, n. 478) ai doveri inerenti al suo ministero: si ricompongono in tal modo, nella realta' oggettiva della pronuncia, e i suoi convincimenti e la norma obiettiva da applicare. E' propria del giudice, invero, la valutazione, secondo il suo "prudente" apprezzamento: principio questo proceduralmente indicato, che lo induce a dover discernere - secondo una significazione gia' semantica della prudenza - intra virtutes et vitia. Cio' beninteso in quei moduli d'ampiezza e di limite che nelle singole fattispecie gli restano obiettivamente consentiti realizzandosi, in tal guisa, l'equilibrio nel giudicare. E comunque a che siano evitate abnormi distorsioni all'enunciato equilibrio, fisiologico al giudice, l'ordinamento appronta, d'altronde, opportuni rimedi anche sul piano soggettivo dell'esercizio delle funzioni: alla odierna fattispecie resta estranea, tuttavia, ogni disamina del genere, interna alla strutturazione giudiziaria, alla quale pure compete - nei casi di particolare difficolta' - la possibile adozione di adeguate misure organizzative (cfr. sentenza n. 57 del 1985).
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 9 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria della gravidanza), sollevata, con riferimento agli artt. 2, 3, 19, 21 Cost. dal giudice tutelare di Napoli con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1987. Il Presidente: LA PERGOLA Il Redattore: BORZELLINO Depositata in cancelleria il 25 maggio 1987. Il direttore della cancelleria: VITALE 87C0498