N. 286 SENTENZA 8 - 28 luglio 1987

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale art. 1 del
 d. leg. lgt. 18 gennaio 1945, n. 39, nel testo sostituito dall'art. 7
 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e riprodotto nell'art. 24 della
 legge 30 aprile 1969, n. 153; art. 23, quarto comma, della legge 18
 agosto 1962, n.1357: Assistenza e previdenza - pensioni di
 riversibilita' - coniuge separato per con colpa con sentenza passata
 in giudicato - esclusione dal diritto - disparita' di trattamento sia
 rispetto al coniuge divorziato sia rispetto al coniuge del dipendente
 statale - violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione -
 Illegittimita' costituzionale parziale
(GU n.31 del 29-7-1987 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici: prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore
    GALLO,  dott.  Aldo  CORASANITI,  prof. Giuseppe BORZELLINO, dott.
    Francesco  GRECO,  prof.   Renato   DELL'ANDRO,   prof.   Gabriele
    PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo CASAVOLA,
    prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.l.l. 18
 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina  del  trattamento  di  riversibilita'
 delle  pensioni  dell'assicurazione obbligatoria per la invalidita' e
 la vecchiaia) nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 12  agosto
 1962,  n.  1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di
 pensione  dell'assicurazione  obbligatoria  per  la  invalidita',  la
 vecchiaia  e  i  superstiti) e riprodotto nell'art. 24 della legge 30
 aprile 1969, n. 153  (Revisione  degli  ordinamenti  pensionistici  e
 norme  in  materia di sicurezza sociale); dell'art. 23, comma quarto,
 della  legge  18  agosto  1962,  n.  1357  (Riordinamento   dell'ente
 nazionale  di  previdenza e assistenza dei veterinarri), promossi con
 le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 3 aprile 1979 dalla Corte di cassazione
 sul ricorso proposto da Cattarinich  Anna  Maria  contro  l'I.N.P.S.,
 iscritta  al  n.  134  del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 dell'anno 1980;
      2)  ordinanza  emessa l'8 gennaio 1980 dal pretore di Genova nel
 procedimento civile vertente tra Sconfienza Maria  e  Ente  nazionale
 previdenza  ed assistenza veterinari, iscritta al n. 337 del registro
 ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 20 dell'anno 1980;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  dell'I.N.P.S.  e di Sconfienza
 Maria;
    Udito nell'udienza pubblica del 1› luglio 1987 il giudice relatore
 Francesco Greco;
    Udito l'avv. Paolo Boer per l'I.N.P.S.;
                           RITENUTO IN FATTO
    1.  -  Cattarinich  Maria,  vedova  di Chifari Antonio, dipendente
 dell'E.N.E.L. deceduto il  21  marzo  1970,  dal  quale  essa  viveva
 separata  per propria colpa, giusta sentenza del Tribunale di Palermo
 in data 5 novembre 1960, passata in giudicato, chiedeva  all'I.N.P.S.
 la corresponsione della pensione di riversibilita' a carico del Fondo
 speciale per i lavoratori delle imprese elettriche.
    La domanda veniva respinta in sede amministrativa e, da ultimo, in
 sede giudiziaria con sentenza della corte di appello di Palermo.
    Con  ricorso  per  cassazione  la Cattarinich sosteneva che per la
 pensione di rivrsibilita' a carico del suddetto  Fondo  speciale  non
 trovava   applicazione   il   divieto,  posto  in  via  generale  per
 l'assicurazione obbligatoria I.V.S., di  concessione  della  pensione
 stessa  al  coniuge  separato  per  propria  colpa;  subordinatamente
 eccepiva l'illegittimita' costituzionale delle  norme  istitutive  di
 tale divieto.
    La  Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 3 aprile 1979, in
 parziale accoglimento  di  quest'eccezione,  sollevava  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma n. 1, del d.l.l.
 18 gennaio 1945 n. 39, nel testo sostituito dall'art. 7  della  legge
 12  agosto  1962,  n.  1338, e riprodotto dall'art. 24 della legge 30
 aprile 1969, n. 153, in riferimento  all'art.  3  della  Costituzione
 nella  parte  in  cui  vieta  la  corresponsione  della  pensione  di
 riversibilita' al coniuge separato per sua colpa con sentenza passata
 in giudicato.
    La    Corte   rilevava,   preliminarmente,   che   tale   divieto,
 contrariamente  all'assunto  della  ricorrente,  operava  anche   con
 riferimento  alle  pensioni  a  carico del menzionato fondo speciale,
 stante il richiamo alla disciplina comune,  comprensiva  delle  norme
 censurate,  contenuto nella legge 25 novembre 1971, n. 1079 (art. 9),
 regolatrice di tale fondo.
    Riteneva,  poi,  rilevante  l'esposta  questione,  osservando  che
 un'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  delle
 norme  censurate  avrebbe certamente comportato il riconoscimento del
 diritto della ricorrente alla rivendicata pensione, pur essendosi  la
 morte  del  dante causa verificata in epoca di vigenza del divieto in
 questione. Cio' perche' tale evento si pone soltanto come circostanza
 che  predispone alla possibile maturazione del diritto del superstite
 ove si  verifichino  tutte  le  altre  condizioni  costitutive  della
 fattispecie  normativa,  alla cui completezza e' legata la produzione
 degli  effetti.  Pertanto,  il  sopravvenire  di   una   disposizione
 soppressiva   di   quel  divieto  costituisce  completamento  di  una
 fattispecie in via di formazione, in presenza del  presupposto  della
 morte dell'assicurato.
    Nel   merito,   riteneva,  anzitutto,  la  manifesta  infondatezza
 dell'eccezione di illegittimita' costituzionale  delle  citate  norme
 sollevata  dalla  parte  privata  in  riferimento  all'art.  38 della
 Costituzione, considerando estranea  all'ambito  di  operativita'  di
 questa  norma  la  materia  delle  pensioni  ai superstiti. Rilevava,
 invece, profili di illegittimita' in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione in quanto:
       a)  mentre  al  coniuge  separato  per  sua  colpa e' negato il
 diritto alla pensione di riversibilita' gli e', invece, consentito di
 ottenere  una quota della medesima ove abbia ottenuto il divorzio: il
 che, oltre ad essere irrazionale  perche'  privilegia  situazioni  di
 crisi  irreversibili del matrimonio (quali sono appunto quelle che ne
 determinano  lo  scioglimento)  rispetto  alla  semplice  separazione
 (nella quale il rapporto e' ancora in vita), lo e' anche perche' crea
 un incentivo del coniuge separato per colpa a chiedere il divorzio  e
 cosi'  a  rendere definitiva quella crisi che, invece, il legislatore
 mira a sanare e comporre (art. 157 del codice civile);
       b) ulteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento emerge
 dal raffronto col diritto riconosciuto  alla  vedova  del  dipendente
 statale,  separata per colpa, alla quale spetta, se versa in stato di
 bisogno, un assegno alimentare (art. 11 della legge n. 46/1958);
       c)   attesa  la  natura,  almeno  in  parte,  alimentare  della
 pensione, il divieto in questione si pone in contrasto con  la  linea
 di  tendenza  dell'ordinamento  in  materia di diritto agli alimenti:
 questo e' assicurato, o sia in vita  del  debitore  indipendentemente
 dalla  colpa o addebitabilita' della separazione al coniuge (art. 156
 cod. civ. vecchio e nuovo testo), sia oltre la morte del debitore, in
 quanto  il  combinato  disposto  degli  artt. 548 e 585 del cod. civ.
 (nuovo testo) attribuisce al coniuge  cui  sia  stata  addebitata  la
 separazione  (equiparabile,  a  questi  fini,  a coniuge separato per
 colpa nel previgente regime) e che godeva degli alimenti a carico del
 coniuge  deceduto,  il  diritto  ad  un  assegno vitalizio, sia quale
 legittimario che quale successore legittimo;
       d)  dopo la riforma del diritto di famiglia (legge n. 151/1975)
 e' stato soppresso l'istituto della separazione per colpa; e, sebbene
 quello  dell'addebito  sia,  a  certi  effetti,  equiparato all'altro
 dall'art. 151, secondo comma, del cod. civ. (nuovo testo)  e'  dubbio
 che,  dopo detta soppressione, al coniuge separato con addebito possa
 disconoscersi il diritto alla pensione di riversibilita' in base alla
 norma  dettata  con  espresso  riferimento al caso di separazione per
 colpa, ne' del resto, appare sostenibile che  per  effetto  di  detta
 riforma sia stata implicitamente abrogata tale norma, con conseguente
 venir meno, sul piano della  fattispecie  concreta,  della  rilevanza
 della colpa.
      2.  -  L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata e' stata
 pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 124 del  7  maggio  1980.  Nel
 susseguente   giudizio  davanti  a  questa  Corte  si  e'  costituito
 l'I.N.P.S., la cui difesa ha rilevato che:
       a)  analoga  questione e' gia' stata riconosciuta infondata con
 la sentenza n. 14/1980;
       b)   i   nuovi   profili   di   illegittimita'   costituzionale
 identificati  dal  giudice  a  quo,  non  sembrano  pertinenti   alla
 normativa  censurata,  ma piuttosto a quella individuata come termine
 di raffronto, nella parte in cui non attribuisce pari trattamento  al
 coniuge  separato  per colpa, indipendentemente dalla forma di tutela
 previdenziale  prevista  o  dalla  natura  del  rapporto  di   lavoro
 dell'altro  coniuge ed indipendentemente dalla persistenza o meno del
 vincolo di coniugio.
    Invero  il  riferimento  allo stato di bisogno come condizione sia
 per  l'erogazione  dell'assegno  alimentare  a  favore  del  coniuge,
 separato  per  colpa  propria,  del dipendente statale (art. 11 della
 legge n. 46/1958), sia per l'attribuzione al  coniuge  divorziato  di
 una  quota  di  pensione  (art.  2 della legge n. 436/1978), induce a
 ravvisare  in  questi  istituti  forme  particolari   di   intervento
 sostanzialmente  assistenziale,  non  assimilabili  al trattamento di
 riversibilita'  nell'ambito  del  nucleo  familiare  superstite,  che
 costituisce  oggetto di un diritto soggettivo perfetto diretto non ad
 eliminare uno stato di bisogno, ma a prevenirlo (Corte costituzionale
 n. 6/1980).
    Pertanto,  i  possibili  dubbi  di  illegittimita'  costituzionale
 debbono, a tutto concedere,  investire  le  norme  che,  riconoscendo
 siffatti trattamenti assistenziali, non ne fanno applicazione a tutti
 i casi analoghi a quelli espressamente considerati, non anche  quelle
 limitative,  nel  senso esposto, del trattamento di reversibilita' in
 senso proprio.
    3.  - Il pretore di Genova, con ordinanza emessa l'8 gennaio 1980,
 ha sollevato analoga questtione  relativamente  all'art.  23,  quarto
 comma,  della  legge  18  agosto  1962,  n.  1357 (sulla previdenza e
 assistenza per i  veterinari),  trattandosi  anche  nel  procedimento
 davanti a lui della sussistenza o meno del diritto della vedova, gia'
 separata per sua colpa, di ottenere la pensione di  riversibilita'  a
 seguito della morte del marito.
    Il  giudice  a  quo,  in particolare, ha censurato detta norma, in
 riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in  cui
 esclude il dirito a pensione del coniuge superstite nei cui confronti
 sia stata pronunziata sentenza di separazione legale per sua colpa  o
 per  colpa  di entrambi i coniugi ed in quanto riserva un trattamento
 differenziato e deteriore ai coniugi separati prima  dell'entrata  in
 vigore della legge 19 maggio 1975, n. 151, rispetto a quelli separati
 successivamente. In via subordinata, ha prospettato la  questione  di
 illeggimita'   costituzionale  della  medesima  norma,  in  relazione
 all'art. 29, secondo comma, della Costituzione, nella parte  in  cui,
 prevedendo l'esclusione suddetta, non fa eccezione per il caso in cui
 la colpa del coniuge sia stata individuata nel rifiuto  della  moglie
 di  seguire il marito nella residenza unilateralmente da lui fissata.
    Ritenuta   la  rilevanza  delle  questioni,  in  quanto  la  norma
 censurata non puo' ritenersi tacitamente  abrogata  a  seguito  della
 intervenuta  soppressione  dell'istituto della separazione per colpa,
 ha osservato che:
       a) la pensione ai superstiti non ha natura successoria, perche'
 spettante  anche  in  caso  di  rinunzia  all'eredita'   e   regolata
 automaticamente  da  specifiche  leggi  previdenziali  le  quali, fra
 l'altro, disciplinano, in modo diverso  dalle  norme  generali  sulle
 successioni,  il  concorso  fra  piu' aventi diritto e la perdita del
 diritto stesso o pongono regole,  almeno  parzialmente  incompatibili
 con  quelle  successorie (non trasmissibilita' del diritto. Pertanto,
 non possono invocarsi quelle ragioni  che,  anche  secondo  il  nuovo
 diritto  di  famiglia  (art.  548  del c.c., modificato dall'art. 182
 della legge n. 151/1975), giustificano un  diverso  trattamento,  sul
 piano  successorio,  del  coniuge  separato  con  addebito rispetto a
 quello cui non sia stata addebitata la separazione;
       b)  acquistandosi,  dunque,  la pensione di riversibilita' iure
 proprio da parte del beneficiario, in  relazione  a  fatti  oggettivi
 (stato  di  bisogno  e  riferibilita'  ad  una  determinata posizione
 previdenziale) il divieto della sua  corresponsione  in  presenza  di
 vicende  attinenti a rapporti interpersonali ed estranee a tali fatti
 (quali sono quelle che hanno condotto al riconoscimento della  colpa)
 viola  doppiamente  l'art.  3  della  Costituzione,  sia perche' crea
 disparita'  di   trattamento   fra   coniugi   separati   per   colpa
 (anteriormente  alla  riforma  del  diritto  di  famiglia)  e coniugi
 separati con addebito (dopo la riforma  stessa),  nei  confronti  dei
 quali  non  potrebbe  operare  lo  stesso divieto; sia perche' appare
 intrinsecamente irrazionale il rilievo preclusivo  riconosciuto  alle
 suddette  vicente  personali,  rispetto  ad  un  diritto  causalmente
 ricollegabili ai suddetti fatti oggettivi: eloquente dimostrazione ne
 e'  l'evenienza  che,  per  effetto di cio', il coniuge assicurato si
 trova a dover versare contributi commisurati anche alla copertura del
 rischio  della  propria  premorienza,  senza che poi l'avente diritto
 possa fruire della prestazione;
       c) e', inoltre, incoerente, col dispostto dell'art. 38, secondo
 comma, Cost.  la  previsione  della  totale  perdita  di  un  diritto
 previdenziale  per fatti del tutto estranei al rapporto assicurativo.
    Sulla  questione  sollevata in via subordinata il giudice a quo ha
 rilevato che:
       a) nel caso di specie la colpa del coniuge fu ravvisata nel suo
 rifiuto  di  seguire  l'altro  coniuge  nella  residenza  da   questi
 unilateralmente  fissata;  e cio' in base all'allora vigente art. 144
 cod.civ. che, appunto, consentiva al marito di fissare  la  residenza
 ritenuta  opportuna,  facendo  obbligo  alla moglie di seguirlo nella
 stessa;
       b)  la  norma  gia'  all'epoca  contrastava  con  il  principio
 dell'uguaglianza dei coniugi sancito dall'art. 29 della  Costituzione
 e  la  modificazione successivamente dispostane dimostra che essa non
 poteva ricondursi fra i limiti legali di tale principio  fatti  salvi
 dallo stesso art. 29 a garanzia dell'unita' familiare;
       c)  d'altra  parte  il  giudicato  formatosi  nella fattispecie
 riguardo   alla   colpa   rende   irrilevante   una   questione    di
 costituzionalita'  del  citato  art.  144 cod. civ. nella sua vecchia
 formulazione; cio' tuttavia, non toglie che la lesione  del  suddetto
 principio   rilevi   sotto   l'angolo  visuale  proprio  della  norma
 istitutiva del divieto in  questione,  perche'  estendendosi  esso  a
 qualsiasi  caso  di  separazione  per  colpa,  perpetua l'illegittima
 disuguaglianza  fra  i   coniugi   sul   piano   dei   loro   diritti
 previdenziali.
    4.  -  L'ordinanza,  ritualmente notificata e comunicata, e' stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 23 luglio 1980.
    Si  e'  costituita  la  parte  privata, depositando una memoria di
 contenuto sostanzialmente  analogo  alle  argomentazioni  svolte  dal
 giudice a quo per motivare l'esposto dubbio di incostituzionalita'.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.  -  I  due ricorsi possono essere riuniti e decisi con un'unica
 sentenza, in quanto prospettano questione sostanzialmente identica.
    2.1.   -   La   Corte  di  cassazione  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, primo comma, n. 1 del d.l.l.  18  gennaio
 1945,  n.  39, nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 12 agosto
 1962, n. 1338, e riprodotto nell'art. 24 della legge 30 aprile  1969,
 n. 153, nella parte in cui esclude il diritto del coniuge superstite,
 separato per sua  colpa  con  sentenza  passata  in  giudicato,  alla
 pensione   di   riversibilita'.   Esso   violerebbe  l'art.  3  della
 Costituzione perche':
       a) discrimina il coniuge separato per colpa rispetto al coniuge
 divorziato al quale puo' essere riconosciuto il diritto ad una  quota
 di detta pensione;
       b)  e  rispetto  al  coniuge  del  dipendente statale al quale,
 nonostante la separazione per colpa, spetta, in caso di  bisogno,  un
 assegno alimentare;
       c)  sebbene la detta pensione abbia natura quali alimentare, da
 rilievo all'elemento della colpa che e' irrilevante, invece,  secondo
 le norme generali in materia di alimenti;
       d)  discrimina  i  coniugi  separati  prima  della  riforma del
 diritto di famiglia dai coniugi  separati  dopo,  rispetto  ai  quali
 l'addebito  della  separazione  non preclude il diritto a pensione di
 riversibilita'.
    2.2.   -   Il   pretore   di   Genova  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 23, quarto  comma,  della  legge  18  agosto
 1962,  n. 1357, perche' sancendo l'esclusione del diritto del coniuge
 separato per colpa alla pensione di riversibilita' violerebbe:
       a)  l'art.  3  della  Costituzione,  oltre  che  per le ragioni
 indicate dalla Corte di cassazione sub  d),  in  quanto,  esclusa  la
 natura  successoria delle pensioni di riversibilita', irrazionalmente
 attribuisce rilievo preclusivo a fatti soggettivi  ed  interpersonali
 estranei  al  rapporto previdenziale cui si ricollega il diritto alla
 pensione stessa;
       b) l'art. 38 della Costituzione perche' fatti di tal genere non
 possono far disconoscere la sussistenza del bisogno che, secondo tale
 norma, impone la somministrazione di adeguati mezzi economici;
       c) infine, e subordinatamente alla declaratoria di infondatezza
 della questione cosi' formulata, violerebbe l'art. 29, secondo comma,
 della  Costituzione  in  quanto,  non  essendo  escluso  dai  casi di
 separazione  per  colpa  (preclusivi  del  diritto  de  quo)   quello
 riconducibile  al  rifiuto  della  moglie  di seguire il marito nella
 residenza da lui unilateralmente fissata, produrrebbe la lesione  del
 principio di parita' dei coniugi.
    3. - La questione e' fondata.
    L'evoluzione  dell'istituto  della pensione di riversibilita' e la
 piu' incisiva generalizzazione del principio di solidarieta' (artt. 3
 e  38 della Costituzione), come ritenuto anche da questa Corte (sent.
 n. 169/1986), l'espansione della linea di tendenza alla  unificazione
 o,  quanto  meno,  alla  equiparazione  dei  regimi pensionistici dei
 lavoratori  pubblici  e  privati,   l'evoluzione   della   disciplina
 legislativa  dei  rapporti  tra i coniugi in caso di scioglimento del
 matrimonio, di cui, per alcuni aspetti, si e' occupata  questa  Corte
 (sent.  n.  215/1985)  in relazione al testo normativo allora vigente
 (legge n. 436/1978) pero' pressoche' identico a quello ora in  vigore
 (legge   n.   74/1987),   inducono   ad   una   rimeditazione   delle
 considerazioni svolte nella precedente sentenza (n. 14/1980) con  cui
 e' stata decisa la stessa questione.
    3.1.  -  Anzitutto  si  rileva  che  il legislatore non ha affatto
 accolto l'invito, allora rivoltogli, di provvedere con apposita norma
 a   soddisfare   l'esigenza,  anche  allora  considerata  giusta,  di
 attribuire al coniuge del lavoratore privato separato per  colpa,  ed
 ora  con  addebito  della  separazione,  una  pensione o una quota di
 pensione di riversibilita' condizionata allo stato di bisogno: e cio'
 specialmente  quando  vi  sia  il  riconoscimento  in  suo favore del
 diritto  agli  alimenti,  tenuto  conto  del  fatto  che  il  settore
 pubblico,   gia'   prima  della  riforma  del  diritto  di  famiglia,
 prevedeva,  a  favore  dello  stesso  coniuge  separato  per   colpa,
 l'attribuzione  di  una  quota della pensione di riversibilita' (art.
 81, quarto comma, e art. 88, quarto e quinto comma, del  testo  unico
 29  dicembre 1973, n. 1092 - Trattamento di quiescenza dei dipendenti
 civili e militari dello Stato).
    3.2. - A maggiore specificazione di quanto genericamente rilevato,
 si osserva che la pensione di  riversibilita'  appartenente  al  piu'
 ampio  genus  delle  pensioni  ai  superstiti, e' una forma di tutela
 previdenziale nella quale l'evento protetto e' la  morte,  cioe',  un
 fatto  naturale  che,  secondo  una presunzione legislativa, crea una
 situazione di bisogno per i familiari del defunto,  i  quali  sono  i
 soggetti protetti.
    La  disciplina,  in  un  primo  momento,  e'  stata  diversa per i
 soggetti del  rapporto  pubblico  e  per  i  lavoratori  del  settore
 privato.
    Per  gli  uni  la  pensione  era ritenuta dovuta per effetto della
 continuazione del rapporto di impiego; per gli altri conseguiva  alla
 continuazione delle contribuzioni e la sua erogazione si giustificava
 come corrispettivo dei  contributi  versati  da  parte  degli  stessi
 lavoratori  e  dei  datori  di  lavoro per l'attivita' di lavoro, che
 poteva essere stata anche discontinua e  svolta  alle  dipendenze  di
 diversi datori di lavoro.
    In  un  primo  momento,  per  il  settore  privato, la pensione di
 riversibiita' e' stata riconosciuta  solo  ad  alcune  categorie  che
 erano  in  grado  di  sostenerne  il  costo; successivamente e' stata
 generalizzata.
    L'evoluzione  legislativa  ha  dato, poi, al trattamento di cui si
 discute, un  fondamento  diverso  dal  precedente  e  sostanzialmente
 identico per i due settori, pubblico e privato.
    La  si considera, ormai, come una forma di tutela previdenziale ed
 uno strumento necessario per il  perseguimento  dell'interesse  della
 collettivita'  alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla
 garanzia  di  quelle  minime  condizioni  economiche  e  sociali  che
 consentono  l'effettivo godimento dei diritti civili e politici (art.
 3,   secondo   comma,   della   Costituzione)   con   una    riserva,
 costituzionalmente  riconosciuta,  a  favore  del  lavoratore,  di un
 trattamento   preferenziale   (art.   38,   secondo   comma,    della
 Costituzione) rispetto alla generalita' dei cittadini (art. 38, primo
 comma, della Costituzione).
    Della  solidarieta'  generale,  in  definitiva,  fa  parte  quella
 solidarieta' che si realizza quando il bisogno colpisce i  lavoratori
 ed  i  loro familiari per i quali, pero', non puo' prescindersi dalla
 necessaria ricorrenza dei due requisiti  della  vivenza  a  carico  e
 dello  stato  di  bisogno,  i  quali  si pongono come presupposti del
 trattamento, cosi' come ha ritenuto anche questa Corte (sentt. nn.  6
 e 7 del 1980).
    Per  effetto  della  morte del lavoratore, la situazione pregressa
 della vivenza a carico subisce interruzione,  ma  il  trattamento  di
 riversibilita'   realizza   la   garanzia   della   continuita'   del
 sostentamento ai superstiti.
    Questa stessa Corte ha riconosciuto (sent. n. 213/1985) anche alla
 indennita'  di  buonuscita  la  stessa  funzione  previdenziale,  con
 l'esigenza della ricorrenza dei suddetti presupposti, e l'ha ritenuta
 spettante anche al coniuge separato per colpa o  con  addebito  della
 separazione,  parificando le due situazioni, quella della separazione
 per colpa, precedente alla riforma del diritto di famiglia, e  quella
 della separazione con addebito nell'attuale regime.
    Pertanto,  le  norme  censurate non solo non sono state abrogate a
 seguito della modifica operata dal nuovo  regime  con  l'introduzione
 dell'istituto   della  separazione  con  addebito,  ma  esse  trovano
 applicazione anche in danno del coniuge nei cui confronti  sia  stata
 pronunciata la separazione con addebito.
    4.   -   Si  ribadisce  che  la  nozione  di  famiglia,  presa  in
 considerazione  dal  regime  generale  previdenziale  e   da   quello
 specifico  del  settore  di cui ci si occupa, non e' quella ristretta
 alla famiglia che si costituisce con il matrimonio, con i vincoli  di
 consanguineita'  e  di  affinita'.  La  tutela previdenziale riguarda
 anche quei rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile  a
 quelli  familiari  a condizione che il lavoratore defunto provvedesse
 in vita,  in  via  non  occasionale,  al  sostentamento  di  soggetti
 classificabili come "familiari".
    Si  comprendono  nella  famiglia  "previdenziale" anche le persone
 legate da vincoli di affiliazione e di adozione, i  figli  legalmente
 riconosciuti  o  legalmente  dichiarati,  i figli naturali ed anche i
 fratelli celibi e le sorelle inabili al lavoro.
    Non  si  richiede  essenzialmente nemmeno la convivenza. Invero la
 convivenza non esclude la  possibile  autonomia  socio-economica  del
 soggetto  che, pertanto, non beneficia del trattamento previdenziale,
 mentre la mancanza di convivenza non esclude anche  la  sopportazione
 del   carico.   Quello   che  si  richiede  e'  proprio  quest'ultima
 condizione,  intendendosi  per  "vivenza  a  carico"  la   cura   del
 sostentamento del "familiare" in modo continuativo e non occasionale,
 in adempimento di uno  specifico  obbligo  giuridico  o  di  un  mero
 dovere.
    Ora,  proprio  i suddetti principi hanno ispirato quelle norme che
 nel settore pubblico assicurano anche al coniuge separato  per  colpa
 ed in stato di bisogno una quota della pensione di riversibilita' del
 coniuge defunto; hanno determinato la previsione legale, a favore del
 coniuge  divorziato,  di  un  assegno  la  cui entita' e' determinata
 proprio  tenendosi  conto,  oltre  che  del  contributo   dato   alla
 conduzione  familiare  ed alla formazione del patrimonio, dello stato
 di   bisogno   e   delle   condizioni   economiche   nonche'    della
 responsabilita' per la rottura del matrimonio.
    Invero,  l'assegno  ha  una  natura  complessa  ma  esso oltre che
 risarcitorio ed indennitario e' anche assistenziale.
    Nel  caso  della  morte  dell' ex coniuge pensionato, a carico del
 quale sussistenva l'obbligo della somministrazione  dell'assegno,  ai
 sensi  dell'art.  5  della  legge  n.  898/1970, si e' specificamente
 previsto (art. 9 della stessa legge n. 898 nel testo novellato  dalla
 legge n. 436/1978 ed ora dalla legge n. 74/1987), a favore dell'altro
 ex coniuge, non passato a nuove nozze, titolare ancora  del  suddetto
 assegno,  privo  di mezzi adeguati e non in grado di procurarseli per
 ragioni oggettive, e sempre che abbia i requisiti per la pensione  di
 riversibilita', l'attribuzione dell'intera pensione o di una parte di
 essa, se non concorre con l'altro coniuge o con i figli, o altrimenti
 di  una  parte  della  stessa, tenuto conto, tra l'altro, anche della
 durata del rapporto matrimoniale.
    I  detti  trattamenti  si  giustificano anche con il riferimento a
 quella particolare solidarieta' che si crea tra persone  gia'  legate
 dal  vincolo  del  coniuge  e  che  puo'  continuare ad avere effetti
 rilevanti anche dopo lo scioglimento del matrimonio, proprio  per  la
 lata nozione di famiglia.
    5.  -  E',  quindi,  evidente  che  le  norme  censurate, le quali
 escludono dall'attribuzione  della  pensione  di  riversibilita',  in
 tutto  o in parte, il coniuge separato per colpa o con addebito della
 separazione,  contrastano  con  i  precetti  costituzionali  invocati
 (artt. 3 e 38 della Costituzione) e creano una evidente disparita' di
 trattamento sia  rispetto  al  coniuge  divorziato  sia  rispetto  al
 coniuge del dipendente statale.
    Pertanto  devesi dichiarare la illegittimita' costituzionale delle
 norme cennsurate nella parte in cui escludono dalla erogazione  della
 pensione di riversibilita' il coniuge separato per colpa con sentenza
 passata in giudicato.
    6.  -  A  seguito dell'accoglimento della questione principale, va
 dichiarata assorbita  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  23,  quarto  comma,  della  legge 18 agosto 1962, n. 1357,
 sollevata in via subordinata dal pretore di  Genova,  in  riferimento
 all'art. 29 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale:
       a)  dell'art.  1  del d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina
 del trattamento di riversibilita' delle  pensioni  dell'assicurazione
 obbligatoria  per  l'invalidita' e la vecchiaia) nel testo sostituito
 dall'art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per  il
 miglioramento   dei   trattamenti   di   pensione  dell'assicurazione
 obbligatoria per  l'invalidita',  la  vecchiaia  e  i  superstiti)  e
 riprodotto nell'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione
 degli ordinamenti pensionistici  e  norme  in  materia  di  sicurezza
 sociale);
       b)  dell'art.  23, quarto comma, della legge 18 agosto 1962, n.
 1357 (Riordinamento dell'ente nazionale di previdenza  ed  assistenza
 dei veterinari);
 nella  parte  in  cui  escludono  dalla  erogazione della pensione di
 riversibilita' il coniuge separato per colpa con sentenza passata  in
 giudicato.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1987.
                       Il Presidente: SAJA
                       Il Redattore: GRECO
    Depositata in cancelleria il 28 luglio 1987.
                        Il cancelliere: MINELLI
 87C0728