N. 323 ORDINANZA 10 - 17 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Oltraggio a pubblico ufficiale o autorita' - Pena - Manifesta
 infondatezza.
 
 (Cod. pen., art. 341).
 
 (Cost., artt. 2, 3 e 27, XII disp. fin.)
(GU n.13 del 30-3-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 341 del codice
 penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1985 dal  Pretore
 di  Sampierdarena,  iscritta  al n. 429 del registro ordinanze 1985 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  287-  bis
 dell'anno 1985;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 10 febbraio 1988 il Giudice
 Relatore Ettore Gallo;
    Ritenuto che il Pretore di Sampierdarena, con ordinanza 7 febbraio
 1985, sollevava questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 341 cod. pen. per contrasto con gli artt. 2, 3, 27 e XII disp. trans.
 Costituzione;
      che, nella diffusa e perspicua motivazione, tutta ispirata ad un
 profondo  sentimento  di  dedizione  ai  valori  della   Costituzione
 democratica della Repubblica, sostiene il Pretore, in buona sostanza,
 che la fattispecie impugnata tutela  un  bene  giuridico  tipicamente
 fascista,  quale  l'obbedienza cieca e assoluta, la sottomissione, la
 prona ossequiosita' del suddito a fronte  di  colui  che  incarna  il
 potere,  in  guisa da ledere diritti fondamentali del cittadino (art.
 2), e la stessa norma XII delle disp. transitorie;
      che  -  sempre  ad  avviso  dal  Pretore - non vi sarebbe alcuna
 razionalita' nel tutelare cosi' duramente il dipendente dello Stato o
 di  altri  enti  pubblici  rispetto agli altri lavoratori, compresi i
 dipendenti privati, perche' in tal modo verrebbe violato il principio
 di uguaglianza (art. 3);
      che,  infine,  dovendosi  escludere  che  colui  che  offende il
 pubblico ufficiale intenda ledere altresi' il prestigio dello  Stato,
 la   sanzione   comminata  risulta  assolutamente  sproporzionata  al
 disvalore del fatto, e percio' del tutto inadeguata a raggiungere  le
 finalita' di risocializzazione che l'art. 27 Cost. prevede;
      che  nessuno  si  e'  costituito  nel  giudizio innanzi a questa
 Corte, ne' ha spiegato intervento il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Considerato  che  questa  Corte,  con sent. 19 luglio 1968 n. 109,
 aveva gia' dichiarata infondata, sotto il profilo degli art.li 1 e  3
 Cost., la questione ora risollevata;
      che gia' in allora la Corte aveva riconosciuto che la disciplina
 legislativa dell'oltraggio, cosi' come delineata  dal  codice  Rocco,
 "troppo  risente  dell'ideologia  del regime dal quale ebbe origine",
 particolarmente quanto all'entita' della pena: la quale,  pero',  non
 e' tale da non riuscire sorretta da qualche giustificazione, in guisa
 da incrinare i poteri discrezionali del legislatore nella valutazione
 della  congruenza  fra  reato  e  pena affidata a criteri di politica
 legislativa;
      che,  infatti,  non  ha  inteso  il  legislatore di tutelare una
 categoria di lavoratori ritenuti superiori perche'  dipendenti  dello
 Stato,  ma  soltanto  di  proteggere quello speciale status che viene
 conferito in considerazione delle attribuzioni e dei poteri  ad  essi
 affidati: status che, peraltro, e' poi anche fonte di aggravamento di
 responsabilita' ogniqualvolta la qualita' in parola viene assunta  ad
 elemento  costitutivo  (reati  propri)  o a circostanza aggravante di
 talune fattispecie;
      che,  pertanto,  abbia o non il cittadino l'intento di offendere
 il prestigio  della  pubblica  amministrazione,  e'  alla  obbiettiva
 lesione  del  prestigio che e' nell'esercizio della pubblica funzione
 che il legislatore ha riguardo, o alla causa dell'offesa, che proprio
 in quella funzione ha trovato origine: e cio' al fine di evitare che,
 nel diffondersi del dileggio o della irrisione,  la  funzione  stessa
 venga svilita al punto da favorire la generale inosservanza;
      che,   proprio  per  questo,  e'  stata  pero'  ripristinata  la
 scriminante conosciuta dalla democrazia liberale prefascista, per  la
 quale la tutela vien meno ogniqualvolta il pubblico ufficiale stesso,
 con il suo comportamento,  tradisce  le  finalita'  che  la  pubblica
 amministrazione intendeva perseguire attraverso la pubblica funzione,
 talche' oggi non puo' piu' affermarsi che la disciplina normativa sia
 ancora  completamente  ispirata al principio autoritario del travolto
 regime, al  punto  da  contrastare  con  la  XII  Disposizione  della
 Costituzione, peraltro da definirsi "finale" e non "transitoria";
      che,   tuttavia,  come  bene  ha  rilevato  il  Pretore,  rimane
 sicuramente,  specie  in  talune  ipotesi  di  fatto,  una  effettiva
 sproporzione  fra sanzione comminata e disvalore del fatto, tanto che
 lo stesso legislatore ha tentato di darsene carico, attraverso le due
 successive  commissioni  ministeriali  del  1945  e  del 1956, fino a
 proporre una  lieve  pena  pecuniaria  quando  il  fatto  oltraggioso
 risulti di lieve entita';
      che, pero', tutto cio' conferma che si tratta di prerogativa del
 legislatore, anche se non puo' non osservarsi che, per  rendere  piu'
 congrue  le pene, non e' necessario attendere la riforma generale del
 codice penale, in ritardo di quarantatre' anni;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 341 cod.  pen.,  sollevata  dal  Pretore  di
 Sampierdarena,  con  ordinanza  7 febbraio 1985, con riferimento agli
 artt. 2, 3, 27 e XII Disp. finale delle  Disposizioni  transitorie  e
 finali della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in Camera di Consiglio, nella sede della
 Corte Costituzionale, palazzo della Consulta il 10 marzo 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 17 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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