N. 334 SENTENZA 11 - 24 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sindacati, liberta' e attivita' sindacale - Rappresentanze  sindacali
 aziendali nelle singole unita' produttive  Costituzione riservata
 alle associazioni aderenti alle  confederazioni maggiormente
 rappresentative sul piano nazionale  - Non fondatezza.
 
 (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 19, primo comma, lett.  éa).ne
 dei contributi associativi versati dai lavoratori  agricoli
 disoccupati - Spettanza alle federazioni di categoria aderenti alle
 confederazioni sindacali a carattere nazionale  rappresentate nel
 CNEL - Non fondatezza.
 
 (Cost., artt. 3 e 39, primo comma).
 
 Sindacati, liberta' e attivita' sindacale - Condotta  antisindacale
 di enti pubblici economici - Possibilita' di  adire il giudice
 ordinario e quello amministrativo  Conseguente possibile
 incompatibilita' delle rispettive  decisioni - Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (Legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 28 e 37).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 25, primo comma).
 
 Sindacati, liberta' e attivita' sindacale - Legittimazione
 processuale a tutela dei diritti dei lavoratori - Attribuzione alle
 sole associazioni sindacali nazionali - Non fondatezza.
 
 (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28).
 
 (Cost., artt. 3 e 39)
(GU n.13 del 30-3-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma,
 della legge 27 dicembre 1973, n. 852 (Proroga  della  legge  5  marzo
 1963,  n.  322,  recante  norme  per  l'accertamento  dei  lavoratori
 agricoli   aventi   diritto   alle   prestazioni   previdenziali   ed
 assistenziali)  e  degli  artt.  19, lett. a), 28 e 37 della legge 20
 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei
 lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
 luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi con le  seguenti
 ordinanze:
     1)  ordinanza  emessa  il  9 ottobre 1979 dal Pretore di Roma nel
 procedimento civile vertente tra Confederazione Autonoma Italiana del
 Lavoro  e  l'I.N.P.S.,  iscritta  al n. 52 del registro ordinanze del
 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  85
 dell'anno 1980;
      2)  ordinanza  emessa il 15 luglio 1981 dal Pretore di La Spezia
 nel procedimento civile vertente tra il  Sindacato  Nazionale  Quadri
 Industria  e  la  S.p.a.  Oto Melara, iscritta al n. 699 del registro
 ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 40 dell'anno 1982;
      3) ordinanza emessa il 26 settembre 1982 dal Pretore di Roma sul
 ricorso proposto da UIL DEP Provinciale  contro  la  Cassa  Nazionale
 Previdenza e Assistenza a favore dei Geometri, iscritta al n. 785 del
 registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 101 dell'anno 1983;
      4)  ordinanza emessa il 7 luglio 1984 dal Pretore di Legnano nel
 procedimento civile vertente tra la Federazione  Unitaria  Lavoratori
 Tessili  Abbigliamento  e la S.p.a. Marcofil, iscritta al n. 1063 del
 registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 34 bis dell'anno 1985;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  del Sindacato Nazionale Quadri
 Industria, della S.p.a. Oto Melara e dell'I.N.P.S. nonche'  gli  atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi gli avvocati Giuseppe Pera per il Sindacato Nazionale Quadri
 Industria, Gino Sacerdoti per l'I.N.P.S. e gli avvocati  dello  Stato
 Oscar  Fiumara  e Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il 15 luglio 1981 (r.o. 699/81), il
 Pretore di La Spezia  ha  sollevato  una  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  19,  lett. a) dello Statuto dei lavoratori
 (legge 20 maggio 1970, n.300), assumendone il  contrasto  con  l'art.
 39, primo e terzo comma (rectius quarto), Cost.
    L'ordinanza  e'  stata  emessa  all'esito  di  un procedimento per
 repressione di condotta antisindacale promosso dal  Sind.  Quadr.  I.
 (Sindacato  Nazionale  Quadri Industria) contro la Oto Melara S.p.a.,
 la quale, secondo le sommarie informazioni assunte, aveva, in base  a
 direttive  dell'Intersind, negato che a tale sindacato di categoria -
 che  aderiva  alla  Federquadri  e  non  aveva  stipulato   contratti
 collettivi applicati nell'unita' produttiva (art. 19, lett. b), cit.)
 - potesse riconoscersi la qualifica  di  associazione  aderente  alle
 confederazioni  maggiormente  rappresentative sul piano nazionale, di
 cui alla disposizione impugnata.
    Il    giudice   a   quo   riconosce   innanzitutto   all'organismo
 rappresentativo eletto dagli iscritti al sindacato  in  questione  la
 qualifica   di  rappresentanza  sindacale  aziendale,  legittimata  a
 svolgere attivita' sindacale ai sensi dell'art. 14 St. lav. ed a  suo
 avviso  titolare, percio', dei poteri attribuiti dagli artt. 4, 6, 7,
 9, 11, 16 e 26 dello Statuto medesimo. Su tale presupposto  dichiara,
 nella  medesima ordinanza, l'antisindacalita' di taluni comportamenti
 tenuti dall'azienda nei confronti di detto organismo  (defissione  di
 ciclostilati  e dattiloscritti e mancata annotazione sulla busta paga
 dei  contributi   trattenuti   agli   aderenti   sotto   la   causale
 "sindacato").
    La  rilevanza della questione scaturisce, peraltro, dall'ulteriore
 condotta censurata  nel  ricorso,  cioe'  dalla  mancata  concessione
 dell'uso   della  sala  destinata  alle  riunioni  sindacali  per  le
 assemblee  degli  aderenti  al  Sind.  Quadr.  I.:  diritto,  questo,
 riconosciuto (art.20) solo alle r.s.a. di cui all'art. 19 St.
    Richiamata  la  sentenza  n.54  del  1974  con cui questa Corte ha
 negato che l'impugnato art. 19 contrasti con  gli  articoli  3  e  39
 Cost.,  il  giudice  a  quo  sostiene,  in  primo luogo, che non puo'
 operarsi - pena il contrasto con  tali  disposti  -  una  distinzione
 funzionale  tra  le  associazioni  sindacali  di cui all'art. 14 e le
 r.s.a. di cui all'art. 19 St.  Entrambe  possono  svolgere  attivita'
 sindacale, e la differenza sta solo in cio', che queste ultime, oltre
 che dei poteri di cui ai titoli I e II St. riconosciuti  alle  prime,
 possono  avvalersi  di  poteri ulteriori - quali appunto i diritti di
 assemblea, di affissione ed a permessi retribuiti (artt. 20, 25 e 23)
 -  che  il legislatore ha inteso attribuire ai sindacati maggiormente
 rappresentativi  per  garantire  alla  loro   azione   una   maggiore
 effettivita' all'interno dell'organizzazione produttiva.
    L'esigenza di evitare un'eccessiva proliferazione e frammentazione
 delle rappresentanze aziendali - in base alla quale la Corte ha,  con
 la predetta sentenza, ritenuto razionale tale scelta legislativa vale
 pero' a giustificare la norma impugnata, ad avviso del Pretore,  solo
 in  riferimento  all'art. 3, e non anche all'art. 39 Cost.: e cio' in
 quanto questo "tutela la liberta'  sindacale  non  gia'  in  assoluto
 bensi'  in  un  sistema prefigurato ad un determinato livello, quello
 nazionale, di categoria" e "pare riferirsi  unicamente  al  sindacato
 rappresentativo  sul  piano  nazionale della categoria"; sicche' "una
 corretta applicazione del principio della proporzionalita' e comunque
 della   democrazia  rappresentativa  che  e'  alla  base  del  nostro
 ordinamento costituzionale avrebbe dovuto comportare di  privilegiare
 la rappresentativita' nell'ambito categoriale".
   L'art. 19, lett. a) St., viceversa, considera la rappresentativita'
 cosiddetta  storica  del  sindacalismo  italiano,  privilegiando   la
 confederazione   caratterizzata   da   una   equilibrata  consistenza
 associativa su tutto l'arco delle categorie tutelate, da una notevole
 consistenza  di  iscritti,  da una equilibrata distribuzione su scala
 nazionale, da una effettivita' di autotutela degli interessi e  dalla
 continuita' e sistematicita' dell'azione di autotutela.
    In  tale  nozione,  precisa  il  giudice  a  quo,  non  puo' farsi
 rientrare la Conferquadri: e cio', nonostante che essa - alla stregua
 degli  accertamenti  svolti - abbia una rappresentativita' cosiddetta
 tecnica della categoria dei quadri, data la sua  articolazione  sulle
 varie  branche  produttive,  il  rilevante numero degli associati, la
 diffusione  periferica  su  tutto   il   territorio   nazionale,   la
 particolare    rappresentativita'   nel   settore   dell'agricoltura;
 elementi,  questi,  che  ne  farebbero   una   delle   confederazioni
 maggiormente rappresentative della categoria dei quadri.
    Ne',  rileva il Pretore, al mancato riconoscimento di tale tipo di
 rappresentativita' puo' sopperire il  disposto  della  lett.  b)  del
 medesimo  art.  19. La possibilita' di stipulare contratti collettivi
 nazionali o provinciali applicabili  nell'unita'  produttiva  non  e'
 invero  conseguibile  col solo rafforzamento della rappresentativita'
 categoriale.  Quand'anche  la  Confederazione  dei  quadri  divenisse
 maggioritaria  in tutti i settori, tale possibilita' dipenderebbe pur
 sempre dal consenso delle associazioni datoriali  e  potrebbe  essere
 frustrata dalla contraria volonta' di queste.
    1.1.  -  Nel giudizio cosi' instaurato si sono costituite le parti
 private Sin. Quadr. I. e Oto Melara S.p.a.,  rappresentate  e  difese
 dagli  avvocati  G.  Pera  e  L.  Calabrese  e dall'avv. L. Spagnuolo
 Vigorita.
    La  prima  di esse ha presentato, nell'imminenza dell'udienza, una
 memoria  aggiunta,  nella  quale  sostiene,  innanzitutto,   che   la
 questione  in  esame  e'  essenzialmente diversa da quella decisa con
 sent. n.54 del 1974.
    In  questa  -  argomenta  la difesa - era in discussione la scelta
 legislativa di riservare la possibilita' di costituire r.s.a. ai soli
 sindacati  maggiormente  rappresentativi e di escluderla, invece, per
 qualsiasi associazione  sindacale  nonche'  per  le  maggioranze  non
 organizzate  in  sindacato  emerse  a livello aziendale. Qui, invece,
 fermo il criterio della maggiore rappresentativita', si contesta  che
 esso  sia  riferito  non  alle  organizzazioni sindacali, bensi' alle
 confederazioni, entita' essenzialmente diverse dalle prime in  quanto
 comprendono  solo  le  associazioni  complesse  di  secondo grado che
 raggruppano organizzazioni di diverse categorie o settori e non anche
 le  c.d. confederazioni monocategoriali (come CIDA e Confederquadri).
    Richiamate,  poi,  le  vicende  relative  alla  nascita  del  c.d.
 movimento dei quadri e le specifiche questioni discusse nel  giudizio
 a  quo,  la  difesa  si  sofferma  sul dibattito svoltosi in dottrina
 sull'ordinanza del Pretore di La Spezia osservando  che  le  opinioni
 favorevoli  alla  legittimita'  della  norma  impugnata  o  affermano
 (erroneamente) che la questione sarebbe  gia'  stata  decisa  con  la
 sent.  n.  54  del 1974, o si risolvono in un giudizio politico sulla
 scelta confederalistica del  legislatore.  Sul  piano  giuridico,  ad
 avviso  della  difesa,  la questione e' fondata in quanto la liberta'
 sindacale implica liberta' di scelta in ordine alla forma,  struttura
 e settore di attivita' dell'organizzazione sindacale, sicche' sarebbe
 precluso al legislatore di conferire potere nei luoghi di lavoro solo
 ad  un  certo tipo (confederale) di organizzazione sindacale e non ad
 altri tipi (es. sindacati di mestiere, di  industria,  di  categoria,
 quali  la  CIDA  e  la FABI) liberamente scelti dalla maggioranza dei
 lavoratori, lo sviluppo dei quali sarebbe stato di  fatto  ostacolato
 dal  privilegio  assicurato  al  livello  confederale.  Ne'  potrebbe
 obiettarsi che il sindacalismo autonomo trovi sufficiente tutela  nel
 disposto  della  lett.  b)  dell'art.  19  St., giacche' - a parte le
 difficolta' incontrate da organizzazioni come  quelle  dei  quadri  a
 stipulare   contratti  collettivi  nazionali  o  provinciali  -  tale
 disposizione presuppone che questi siano applicati nell'impresa e non
 consente quindi la costituzione di r.s.a. nelle imprese che non siano
 tenute a rispettarli in quanto non sindacalmente affiliate.
    L'art. 19 dovrebbe percio' essere dichiarato illegittimo in quanto
 riferisce la maggiore rappresentativita' alle confederazioni anziche'
 ai sindacati di categoria.
    Non   e'  invece  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
    2.  -  Con  ordinanza  emessa  il  9 ottobre 1979 (r.o. 52/80), il
 Pretore di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 39, primo
 comma,  Cost.,  una  questione  di  legittimita' costituzionale anche
 dell'art. 2, primo comma, della legge 27 dicembre 1973,  n.  852,  in
 quanto  prevede che il diritto di riscuotere i contributi associativi
 versati  dai   lavoratori   agricoli,   beneficiari   dell'indennita'
 ordinaria  e  del  trattamento  speciale  di disoccupazione, mediante
 trattenute su tali indennita', spetti soltanto  alle  federazioni  di
 categoria   aderenti   alle   confederazioni  sindacali  a  carattere
 nazionale rappresentate nel CNEL.
    Nel  caso  di specie, tale diritto era stato negato dall'INPS alla
 Federazione Terra della Confail (Confederazione Autonoma Italiana del
 Lavoro),  non  essendo  quest'ultima  rappresentata  nel  CNEL; ed il
 Pretore  assume  che  l'impossibilita'  di  fruire  del  servizio  di
 riscossione dei contributi sindacali mediante trattenuta comporti una
 restrizione della liberta'  assicurata  alle  associazioni  sindacali
 "nei momenti della formazione e della espansione" dall'art. 39, primo
 comma, Cost., in quanto, incidendo sulla  possibilita'  di  provvista
 dei  mezzi  finanziari,  condiziona  la  formazione,  sopravvivenza e
 sviluppo di esse.
    In  tal modo, inoltre, si darebbe luogo, in violazione dell'art. 3
 Cost.,  ad  un'ingiustificata  discriminazione  tra  le  associazioni
 sindacali,  non  essendo  il  requisito della rappresentanza nel CNEL
 connesso ad una  reale  effettivita'  rappresentativa  di  esse.  Ne'
 potrebbe  in contrario invocarsi la sentenza n. 54 del 1974 di questa
 Corte, in quanto il criterio  della  maggiore  rappresentativita'  e'
 stato  ivi ritenuto valido in riferimento a funzioni "particolarmente
 incisive nella vita e nell'attivita' dell'unita' produttiva" affidate
 dalla legge alle organizzazioni sindacali, e non gia' quando venga in
 gioco la libera formazione e lo sviluppo di esse.
    2.1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, intervenuto
 tramite l'Avvocatura  dello  Stato,  osserva,  da  un  lato,  che  la
 lamentata  differenziazione di disciplina - che discenderebbe non dal
 primo ma dal secondo comma dell'impugnato art. 2 - si  giustifica  in
 quanto   le  confederazioni  rappresentate  nel  CNEL  sono  le  piu'
 importanti in sede nazionale ed  offrono  percio'  oggettivamente  le
 migliori   garanzie  di  effettiva  capacita'  di  rappresentare  gli
 interessi sindacali;  e,  dall'altro,  che  la  libera  formazione  e
 sviluppo delle associazioni sindacali non e' pregiudicata dalla norma
 in esame, giacche' resta salvo il diritto dei lavoratori di versare i
 contributi   all'associazione   prescelta,  sia  pure  con  modalita'
 diverse.
    2.2.  -  All'accoglimento  della  questione in esame si e' opposto
 anche l'INPS: il quale rileva, innanzitutto, che la  norma  impugnata
 amplia,   anziche'   restringere,  la  liberta'  sindacale,  giacche'
 introduce una deroga al principio di incedibilita' delle  prestazioni
 previdenziali;  ed  inoltre,  che  e'  proprio  in  riferimento  alla
 rappresentanza nel CNEL (art. 3 legge n. 33 del 1957) che  la  Corte,
 con  la  citata sentenza n. 54 del 1974, ha riconosciuto essere stato
 positivamente adottato  il  criterio  dell'effettivita'  della  forza
 rappresentativa delle organizzazioni sindacali.
    3.  - Decidendo su un ricorso proposto ai sensi dell'art. 28 dello
 Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) con  cui  l'UIL
 DEP    Provinciale    chiedeva   dichiararsi   antisindacali   taluni
 comportamenti  tenuti  dalla  Cassa  Nazionale   di   Previdenza   ed
 Assistenza  a  favore  dei  Geometri  -  consistiti  per  un verso in
 ostacoli frapposti alla costituzione di una rappresentanza  sindacale
 in  detta  azienda  e  per  l'altro nella contestazione di infrazioni
 disciplinari a due dipendenti per attivita' miranti a tale fine -  il
 Pretore  di Roma, con ordinanza del 26 settembre 1982 (r.o.  785/82),
 ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3,  24  e  25  Cost.,  una
 questione  di  costituzionalita'  degli  artt.  28 e 37 dello Statuto
 medesimo.
    L'ordinanza  muove dal presupposto secondo cui - salva l'esistenza
 di una diversa, specifica  disciplina  -  la  tutela  apprestata  dal
 citato  art.  28  nei  confronti degli enti pubblici non economici e'
 ammissibile soltanto quando la pronunzia richiesta al Pretore  incida
 esclusivamente  su  interessi  propri  del  sindacato  e non anche su
 diritti  dei  dipendenti,  la  tutela  dei  quali  e'  devoluta  alla
 giurisdizione  esclusiva  del giudice amministrativo, in virtu' degli
 artt. 2 e 7 legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
    Cio'  premesso,  il  Pretore, per motivare le censure prospettate,
 riproduce integralmente quelle avanzate  dalle  Sezioni  Unite  della
 Corte di Cassazione con ordinanza del 6 ottobre 1981 (r.o. 70/82): la
 quale, nel caso, appunto, in cui il comportamento dell'ente  pubblico
 non  economico abbia efficacia plurioffensiva, ritiene che il sistema
 risultante  dal  citato  art.   28   e   dalla   disposizione   sulla
 giurisdizione   esclusiva   del   giudice   amministrativo   sia  non
 razionalmente strutturato,  in  quanto  comporta  il  rischio  che  -
 nell'ipotesi   in   cui  siano  adi'ti  tanto  il  giudice  ordinario
 (dall'organizzazione    sindacale)    che    quello    amministrativo
 (dall'impiegato)   -   possano   sortirne   decisioni  reciprocamente
 incompatibili, nel senso che l'ente, condannato dal primo  a  cessare
 (od  attuare) un certo comportamento, potrebbe non essere in grado di
 ottemperarvi senza disobbedire alla decisione del secondo. Di qui  la
 violazione da un lato del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.),
 dall'altro del principio del giudice naturale (art. 25, primo  comma,
 Cost.),  inteso quale garanzia che un unico giudice sia precostituito
 per legge in ordine ad una stessa causa. Se poi si  opinasse  che  il
 sindacato  possa  chiedere  al  giudice  ordinario solo una pronuncia
 dichiarativa  dell'illegittimita'  del  comportamento  dell'ente,  ne
 sortirebbe  una  riduzione  di  tutela  rispetto  a quella goduta dai
 sindacati dei  dipendenti  privati  ed  un'ulteriore  violazione  del
 principio di uguaglianza.
    Le  questioni  cosi'  proposte  non  sarebbero  -  ad avviso delle
 Sezioni Unite (e quindi del giudice a quo)  -  superate  per  effetto
 della  sentenza  n.  68 del 1980 di questa Corte, resa in ordine alla
 disciplina riservata, nella materia in questione, alle organizzazioni
 sindacali degli impiegati statali.
    3.1.  - Nel giudizio cosi' instaurato non vi e' stata costituzione
 di parti private ne' intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
    4.  -  Nell'esaminare  un  ricorso per comportamento antisindacale
 proposto ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori da alcune
 organizzazioni  sindacali  aderenti  alla FULTA (Federazione Unitaria
 Lavoratori  Tessili  Abbigliamento)  il  Pretore  di   Legnano,   con
 ordinanza  emessa  il  7  luglio  1984  (r.o.  1063/84), ha sollevato
 d'ufficio, in riferimento agli artt. 39 e 3 Cost., due  questioni  di
 legittimita' costituzionale di tali disposizioni.
   Nel sistema configurato nel secondo, terzo e quarto comma dell'art.
 39 Cost. -  osserva  il  Pretore  -  al  sindacato  e'  conferita  la
 rappresentanza   istituzionale  di  interessi  altrui,  e  quindi  la
 possibilita' di stipulare contratti collettivi efficaci erga omnes, a
 condizione   che   abbia  un  ordinamento  interno  che,  per  essere
 intrinsecamente    democratico,    faccia    presumere    la    reale
 rappresentativita'  delle categorie dei lavoratori, e che sia inoltre
 registrato. In mancanza di tali garanzie sostanziali (democraticita')
 e  formali  (registrazione),  costituirebbe  percio'  una surrettizia
 violazione del sistema di cui all'art. 39 Cost. - pari a  quella  che
 al di fuori di tale sistema intendesse conferire efficacia erga omnes
 ai contratti  collettivi  (sentenze  numeri  106/1962  e  88/1965)  -
 l'attribuzione  ai  sindacati,  in  deroga  al  diritto comune, della
 legittimazione processuale a tutelare  diritti  dei  lavoratori,  che
 pone l'impugnato art. 28.
    In  subordine,  il giudice a quo assume che i principi di liberta'
 sindacale (art. 39, primo comma, Cost.)  e  di  uguaglianza  (art.  3
 Cost.)  sarebbero  violati con l'attribuzione della legittimazione ad
 esperire  la  speciale  procedura  di  repressione   della   condotta
 antisindacale   alle  sole  "associazioni  sindacali  nazionali".  Il
 requisito della "nazionalita'" non sarebbe infatti verificabile  -  e
 sarebbe  nel  caso  di  specie  sfornito  di  prova - e comporterebbe
 disparita' di trattamento tra i sindacati.
    4.1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, intervenuto
 tramite l'Avvocatura dello  Stato,  osserva  che  la  prima  di  tali
 questioni poggia sul falso presupposto che con l'art. 28 il sindacato
 tuteli gli interessi dei lavoratori, laddove si tratta invece  di  un
 diritto  di  azione  conferito  a  garanzia  di  posizioni giuridiche
 proprie del sindacato medesimo.
    Della  seconda questione l'Avvocatura prospetta l'inammissibilita'
 per irrilevanza, essendo stata essa sollevata senza  che  il  Pretore
 abbia  previamente  svolto  le  indagini  probatorie  -  peraltro non
 complesse  -  atte  ad  accertare  il  carattere  nazionale  o   meno
 dell'associazione ricorrente.
                         Considerato in diritto
    1.  - Le questioni riguardano la stessa materia e possono pertanto
 essere decise con unica sentenza.
    2.   -   Il  Pretore  di  La  Spezia  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 19, lettera a), della legge  20
 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) per contrasto con l'art.
 39, primo e terzo (rectius quarto) comma, Cost.  Nell'  ordinanza  di
 rimessione  -  come  detto  in  narrativa  - si sostiene che la norma
 costituzionale tutela la liberta' sindacale in un sistema fondato sul
 sindacato nazionale di categoria e sul principio di proporzionalita',
 laddove la norma impugnata privilegia - ai fini della costituzione di
 rappresentanze sindacali aziendali nelle singole unita' produttive le
 associazioni    aderenti     alle     confederazioni     maggiormente
 rappresentative  sul piano nazionale. La struttura confederale, cosi'
 presa in considerazione dal legislatore, sarebbe quella che  possiede
 una  rappresentativita'  storica,  che  si  fonda cioe' sulla realta'
 sociologica  del  sindacalismo:  il  che  porta   ad   escludere   la
 possibilita'  che l'adesione di un sindacato - come quello ricorrente
 - a confederazioni monocategoriali  quali  la  Confederquadri,  possa
 consentire  allo  stesso  di  costituire una rappresentanza sindacale
 aziendale, pur essendo sicuramente -  sindacato  e  confederazione  -
 maggiormente  rappresentativi  della  categoria  dei  quadri. Ne', ad
 avviso  del  giudice   a   quo,   la   possibilita'   di   costituire
 rappresentanze  sindacali  aziendali potrebbe ritenersi assicurata ad
 associazioni portatrici  di  mera  rappresentativita'  tecnica  dalla
 lett.  b)  del  medesimo  art.  19,  in  quanto  il conseguimento del
 requisito,  ivi  previsto,  della  stipulazione   di   un   contratto
 collettivo  nazionale o provinciale applicabile all'unita' produttiva
 sarebbe  pur  sempre  sostanzialmente  rimesso  alla  volonta'  delle
 controparti.
    2.1. - La questione non e' fondata.
    Esaminando, innanzitutto, la censura prospettata in riferimento al
 quarto comma dell'art.  39  Cost.,  e'  agevole  osservare  che  tale
 disposizione,  peraltro  inattuata, configura un modello di selezione
 della rappresentanza sindacale che ha come suo necessario presupposto
 la   registrazione   dei  sindacati  ed  e'  strettamente  funzionale
 all'obiettivo, allora divisato, di  pervenire  alla  stipulazione  di
 contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes. A tale finalita'
 si ricollega, da un lato l'adozione del principio proporzionalistico,
 come congegno idoneo alla costituzione di una rappresentanza unitaria
 formalmente investita del potere di concludere un contratto dotato di
 tale  particolare  forza  giuridica; dall'altro, l'individuazione del
 livello categoriale come momento organizzativo coerente con l'area di
 operativita'  della  contrattazione  collettiva. Non si tratta pero',
 certamente, di un modello esclusivo, che' altrimenti la  disposizione
 in  esame  si  porrebbe  in  insanabile  contraddizione col principio
 generale di liberta' dell'organizzazione sindacale sancito dal  primo
 comma  dello  stesso  art.  39;  e dunque, al di fuori di tale logica
 funzionale, il legislatore e' libero, quando dispone in ordine ad  un
 contesto operativo del tutto diverso - quello dei sindacati ammessi a
 legittimare nel proprio ambito organismi di rappresentanza  aziendale
 -, di adottare criteri selettivi ed individuare momenti organizzativi
 che ritenga piu' appropriati a tal fine, quali, appunto, quelli della
 maggiore    rappresentativita'   e   del   livello   confederale   di
 aggregazione.
   2.2.  - Del pari non fondata e' poi la questione in quanto riferita
 al principio di liberta' sindacale sancito dal primo comma  dell'art.
 39  Cost.  Sotto questo profilo, il giudice a quo non contesta ne' la
 legittimita' dell'adozione di un criterio selettivo, ne'  che  questo
 venga    dalla    norma   impugnata   individuato   nella   "maggiore
 rappresentativita'" del sindacato; ritiene, pero', che  esso  avrebbe
 dovuto, per rispettare il disposto costituzionale, essere riferito ad
 un diverso ambito di organizzazione del  sindacato,  e  cioe'  quello
 della categoria anziche' della confederazione.
    L'esame  di  questa  specifica  censura richiede, peraltro, che la
 norma impugnata  non  sia  considerata  isolatamente,  ma  vista  nel
 contesto  delle  altre  disposizioni  dettate  nello Statuto a tutela
 della liberta' e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro.
    Innanzitutto,  lo  Statuto  pone  le  basilari  condizioni  atte a
 garantire in concreto tali diritti stabilendo, all'art. 14, la  piena
 liberta'  dei  lavoratori  "di  costituire associazioni sindacali, di
 aderirvi e di svolgere attivita' sindacale"  ed  assicurando  a  tali
 associazioni,  ed  alle relative rappresentanze, sia la tutela contro
 atti discriminatori,  anche  sotto  forma  di  trattamenti  economici
 collettivi,   sia   l'attivita'   di   proselitismo   e  collettaggio
 nell'impresa (artt. 15, 16, 26), sia  la  facolta'  di  avvalersi  di
 altri  importanti  diritti  di  esercizio  collettivo,  quali  quelli
 sanciti dagli artt. 9 e 11.
    Inoltre, la garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica
 sindacale e' assicurata dallo Statuto, non solo attraverso il divieto
 dei  sindacati di comodo (art. 17), ma anche e soprattutto attraverso
 il fondamentale strumento di repressione della condotta antisindacale
 del datore di lavoro previsto dall'art. 28, il cui impiego presuppone
 una dimensione organizzativa - quella nazionale - che, per non essere
 legata  ne' ad un'aggregazione a livello confederaleintercategoriale,
 ne' alla stipulazione  di  contratti  collettivi,  consente  concreti
 spazi  di operativita' anche alle organizzazioni che dissentono dalle
 politiche sindacali maggioritarie perseguite a quel livello.
    2.3.  -  Questa  Corte,  d'altra  parte,  ha  gia' ritenuto, nella
 sentenza n. 54 del 1974, che il criterio di selezione della "maggiore
 rappresentativita'"  e' razionale in quanto coerente alle esigenze di
 equilibrio e funzionalita' connesse alla specifica area di intervento
 in cui la disposizione impugnata e' destinata ad operare.
    E'  chiaro,  innanzitutto, che un meccanismo selettivo di sostegno
 qualificato dall'azione sindacale nei luoghi di lavoro deve non  solo
 rifiutare  logiche  puramente  aziendalistiche,  estranee  al ruolo a
 questa assegnato dalla Costituzione, ma evitare  sia  i  pericoli  di
 eccessiva  frammentazione  della  rappresentanza  sindacale segnalati
 nella citata sentenza, sia un'incidenza nella sfera dell'imprenditore
 dei  diritti  ad  essa concessi (di assemblea, a permessi retribuiti,
 ecc.) non  proporzionata  alle  esigenze  di  efficace  esercizio  di
 questi.  Ma  soprattutto, l'efficienza rappresentativa assicurata dal
 criterio di selezione in discorso si appalesa funzionale al carattere
 indivisibile  degli  interessi dei lavoratori che tali rappresentanze
 sono  chiamate  a  tutelare  ed  idonea  a  dar  vita  ad   organismi
 sufficientemente  stabili  ai  fini  di  un proficuo confronto con le
 parti imprenditoriali.
    L'elaborazione  giurisprudenziale  e  dottrinale  ha d'altra parte
 condotto da  tempo  all'individuazione  di  un  complesso  di  indici
 sufficientemente   precisi  -  ricordati  dal  giudice  a  quo  (cfr.
 narrativa in fatto) - che consentono all'interprete -  a  prescindere
 da  elencazioni legislative dettate ad altri fini - di verificare nei
 singoli casi concreti la sussistenza del  requisito  della  "maggiore
 rappresentativita'"  misurandola sull'effettivita' di questa e non su
 assunzioni aprioristiche: e cio' convalida l'opinione  gia'  espressa
 da  questa  Corte  nel  1974 e condivisa dal giudice di legittimita',
 secondo cui la formula  legislativa  prescrive  una  valutazione  non
 comparativa  ma  rafforzativa  della rappresentativita' e delinea una
 categoria aperta, cui puo' accedere ogni organizzazione sindacale che
 raggiunga  la  consistenza  e possieda le caratteristiche evidenziate
 dagli elementi sintomatici sopra richiamati.
    2.4.  -  Passando  ora  all'esame,  sulla  scorta  delle suesposte
 premesse, della norma specificamente  censurata,  deve,  innanzitutto
 sottolinearsi  che  il  legislatore  statutario  ha  avuto  cura, nel
 formularla, di salvaguardare la liberta' di organizzazione  sindacale
 sotto un duplice profilo.
    In primo luogo, ha garantito che le rappresentanze aziendali siano
 genuina espressione dei lavoratori  ivi  occupati  (e  non  dei  soli
 iscritti  alle  associazioni  sindacali),  prescrivendo  che  esse si
 costituiscano su iniziativa dei medesimi, e non di strutture esterne.
    In  secondo  luogo,  stabilendo che tali rappresentanze si formino
 "nell'ambito"  delle  associazioni   aderenti   alle   confederazioni
 maggiormente  rappresentative  sul  piano  nazionale,  ha adottato un
 criterio di raccordo tra organismo aziendale e struttura  confederale
 notevolmente  elastico,  che  -  in  quanto  non deve necessariamente
 tradursi in un collegamento di tipo strettamente organico-associativo
 - consente al primo sufficienti margini di determinazione autonoma.
    D'altra  parte,  la  rigida  contrapposizione tra confederazione e
 sindacato di categoria che il giudice a quo pretende di instaurare e'
 solo   in  parte  esatta,  dato  che,  sul  piano  organizzativo,  il
 collegamento  che  la  disposizione  impugnata   configura   in   via
 prioritaria   e'   appunto  quello  tra  rappresentanze  aziendali  e
 associazioni sindacali di categoria.
    La  contrapposizione,  invece,  attiene  al  momento  selettivo  e
 qualificativo di queste, ed e' espressa nel piu' importante indice di
 identificazione  della  confederazione  maggiormente rappresentativa,
 quello, cioe', che richiede una equilibrata  consistenza  associativa
 in  tutto l'arco delle categorie che essa e' istituzionalmente intesa
 a tutelare,  e  percio'  esclude  che  per  tale  possa  qualificarsi
 un'organizzazione, anche confederale, di tipo monocategoriale.
    Nel  disporre  il  conferimento  di  diritti  ulteriori rispetto a
 quelli assicurati alla generalita' delle associazioni sindacali, agli
 organismi  aziendali  collegati  alle  confederazioni  dotate  di una
 compiuta rappresentanza pluricategoriale (oltre che  di  una  diffusa
 organizzazione  a livello territoriale), il legislatore statutario ha
 indubbiamente compiuto una ben precisa opzione:  consistente,  da  un
 lato,  nel  favorire  un  processo di aggregazione e di coordinamento
 degli interessi dei vari  gruppi  professionali,  anche  al  fine  di
 ricomporre,  ove  possibile, le spinte particolaristiche in un quadro
 unitario; dall'altro, nel dotare le  organizzazioni  sindacali  -  in
 ragione del complesso intreccio tra conflitto industriale e conflitti
 sociali - di strumenti idonei a pervenire ad una sintesi tra  istanze
 rivendicative  di  tipo  microeconomico  e di tipo macroeconomico ed,
 insieme, di raccordare l'azione di tutela  delle  classi  lavoratrici
 con  la considerazione di interessi potenzialmente divergenti, quali,
 in particolare, quelli dei lavoratori non occupati.
    Questa concezione corrisponde al ruolo tradizionalmente svolto dal
 movimento sindacale italiano; ma quel  che  qui  interessa  -  e  che
 assume  rilievo  decisivo  -  e'  che essa e' coerente al complessivo
 disegno cui e' informata la Carta  costituzionale,  nel  quale  anche
 l'art.  39  va  inserito:  e  cioe',  sia al principio solidaristico,
 specificamente  enunciato  nell'art.2  e  matrice  di   molte   altre
 disposizioni  costituzionali; sia al principio consacrato nel secondo
 comma dell'art. 3 che, promuovendo l'eguaglianza  sostanziale  tra  i
 lavoratori  e  la  loro  effettiva  partecipazione all'organizzazione
 politica,  economica  e  sociale  del  Paese,   addita   anche   alle
 organizzazioni sindacali di rendersi, per la loro parte, strumenti di
 tale partecipazione,  oltre  che  di  tutela  dei  diretti  interessi
 economici dei lavoratori (cfr. sent. n.15 del 1975).
    Tale conclusione non e', dunque, frutto di un "giudizio politico",
 come opina la difesa  della  parte  privata;  ed  essa  va  tratta  a
 prescindere da ogni considerazione in ordine a recenti sviluppi della
 prassi sindacale, non rilevanti in questa sede.
    2.5.  -  La valorizzazione, in funzione solidaristica, del modello
 intercategoriale  non  si  e'  peraltro  tradotta  in  un   involucro
 normativo  rigido,  tale cioe' da non consentire adeguata espressione
 alle differenziazioni che nella realta' possono verificarsi  tra  gli
 interessi  delle  varie  categorie  di lavoratori, magari per effetto
 dell'emergere di nuove figure professionali.
    Sul   piano   della   struttura   delle  rappresentanze  sindacali
 aziendali, la norma impugnata e', invero, assai generica,  e  percio'
 idonea sia a consentire lo sviluppo di moduli e logiche organizzative
 diverse, di volta in volta adeguate - come l'esperienza dimostra alle
 singole  realta',  sia  a dar vita ad assetti coerenti ai principi di
 democrazia sindacale ed alle esigenze di rappresentanza  delle  varie
 figure   professionali.   Sul  piano,  poi,  dei  collegamenti  delle
 rappresentanze con le organizzazioni extra-aziendali, il legislatore,
 onde  garantire  un  effettivo  pluralismo  sindacale,  ha consentito
 sufficienti spazi di liberta' e di azione  al  sindacalismo  autonomo
 mediante  la  disposizione di cui alla lett. b) del medesimo art. 19,
 che prevede che rappresentanze aziendali  possono  essere  costituite
 nell'ambito    di   associazioni   sindacali   non   affiliate   alle
 confederazioni maggiormente rappresentative, sempreche' queste  siano
 firmatarie  di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro
 applicati nell'unita' produttiva. Per questa via,  alle  associazioni
 sindacali che raccolgano adeguati consensi e' dato modo di affermarsi
 e di fruire delle ulteriori  attribuzioni  previste  dal  titolo  III
 dello Statuto.
    Ma  e'  logico,  alla  stregua  di  quanto  detto  nel  precedente
 paragrafo, che la tutela  rafforzata  di  un'ottica  categoriale  che
 segua  indirizzi  diversi  da  quella  intercategoriale  in  tanto si
 legittima, in quanto essa sia in grado di  esprimere  un  livello  di
 rappresentativita'    idonea   a   tradursi   in   effettivo   potere
 contrattuale.    Che    poi    la    condizione    tecnico-funzionale
 dell'acquisizione di un'autorita' contrattuale concretamente operante
 possa incontrare difficolta' connesse  al  potere  di  accreditamento
 della  controparte imprenditoriale, e' problema che non puo' incidere
 sulle valutazioni  di  legittimita'  costituzionale,  trattandosi  di
 questione  di  mero  fatto,  che  attiene  alla  realta' dinamica del
 conflitto sindacale, non idonea ad operare al di la' della sfera  del
 contingente:   tant'e'   che  in  non  pochi  settori  sono  presenti
 rappresentanze collegate ad  associazioni  sindacali,  non  affiliate
 alle confederazioni ritenute maggiormente rappresentative.
    3.  - Deve ritenersi altresi' infondata la questione sollevata dal
 Pretore di Roma - con la ordinanza 9 ottobre 1979 (r.o. n.  52/80)  -
 relativamente  al  primo  comma  dell'art.  2 della legge 27 dicembre
 1973, n. 852. Il giudice remittente ha  prospettato  l'ipotesi  della
 confliggenza  di detta norma con gli artt. 3 e 39, primo comma, Cost.
 in  quanto  prevede  che  il  diritto  di  riscuotere  i   contributi
 associativi    versati    dai    lavoratori    agricoli   beneficiari
 dell'indennita'   ordinaria   e   del   trattamento    speciale    di
 disoccupazione  mediante  trattenuta  sulla indennita' stessa, spetti
 soltanto alle federazioni di categoria aderenti  alle  confederazioni
 sindacali a carattere nazionale rappresentate nel CNEL: in tal modo -
 si  afferma  nell'ordinanza  -  la   norma   introdurrebbe   tra   le
 associazioni  sindacali  una  discriminazione non basata su una reale
 effettivita' rappresentativa e, creando ostacoli  alla  provvista  di
 mezzi  finanziari,  restringerebbe la possibilita' di formazione e di
 sviluppo di quelle escluse.
    Tale  prospettazione, pero', non considera che in siffatta materia
 sussiste un'indubbia esigenza di circoscrivere l'area  dei  possibili
 beneficiari  del  servizio in questione alle organizzazioni sindacali
 che offrono  le  necessarie  garanzie  di  serieta'  e  di  effettiva
 rappresentativita'  e  capacita'  di  far  valere  gli  interessi dei
 lavoratori agricoli  disoccupati.  Cio'  risponde,  da  un  lato,  ad
 un'esigenza  di tutela di costoro, correlata al principio generale di
 incedibilita' delle prestazioni  previdenziali  (art.  128  R.D.L.  4
 ottobre 1935, n. 1827), al quale consegue il carattere eccezionale di
 norme del tipo  di  quella  impugnata;  dall'altro,  all'esigenza  di
 garantire  all'INPS - onerato dalla legge di un servizio esulante dai
 suoi compiti istituzionali - che le modalita' del  suo  espletamento,
 anche  per  assicurare  il  rimborso  delle  relative spese, siano da
 concordare  con  organizzazioni  sindacali  rispondenti  ai  predetti
 requisiti.   La   scelta  legislativa  di  limitare  il  servizio  di
 trattenuta ai sindacati aderenti  alle  confederazioni  rappresentate
 nel  CNEL,  in quanto fondata su razionali presupposti obiettivi, non
 viola percio' il principio di uguaglianza.
    Tanto  meno,  poi,  puo'  dirsi  nella  specie violata la liberta'
 sindacale delle associazioni che, non essendo fornite dei  prescritti
 requisiti  di  rappresentativita', non fruiscono di tale piu' agevole
 sistema di provvista e riscossione di mezzi finanziari.
    La  norma  impugnata,  invero,  non  incide  ne'  sul  diritto dei
 lavoratori disoccupati di versare contributi a tali associazioni meno
 rappresentative,  ne'  sul  diritto di queste di acquisirli, sia pure
 con modalita' diverse;  e  cio'  e'  sufficiente,  nella  particolare
 fattispecie qui esaminata, a garantire ad esse la liberta' sindacale.
    4.  -  Con  l'ordinanza del 26 settembre 1982 indicata in epigrafe
 (r.o. n. 785/82), il Pretore di  Roma  dubita,  in  riferimento  agli
 artt.   3,   24   e   25,   primo  comma  Cost.,  della  legittimita'
 costituzionale degli artt. 28 e 37 della medesima legge  n.  300  del
 1970,   in   quanto   tali  norme  prevedono,  in  caso  di  condotta
 antisindacale plurioffensiva degli enti pubblici  economici  -  cioe'
 incidente  anche  sui  diritti  dei  dipendenti  - che possono essere
 adi'ti tanto il giudice ordinario (dall'organizzazione sindacale) che
 quello  amministrativo  (dal  dipendente),  e  percio' comportano che
 possano essere pronunciate decisioni reciprocamente incompatibili.
    La  medesima  questione  di legittimita' costituzionale del citato
 art. 28, a suo tempo sollevata dalle Sezioni Unite Civili della Corte
 di  Cassazione, e' stata, con la sentenza n. 169 del 1982, dichiarata
 inammissibile in quanto fondata su due  contrapposte  interpretazioni
 di tale norma, tali da rendere ancipiti le ordinanze di rimessione; e
 manifestamente inammissibile e'  stata  poi  dichiarata  la  medesima
 questione,  sollevata  dalle stesse Sezioni Unite con ordinanza del 6
 ottobre 1981 (ord. n. 210 del 1982). Poiche' il Pretore di Roma si e'
 limitato   a   riprodurre   quest'ultima   ordinanza,  trascrivendone
 letteralmente il contenuto, anche  sulla  questione  cosi'  sollevata
 deve rendersi una pronuncia di manifesta inammissibilita'.
    5.  -  Come  specificato  in  narrativa,  il Pretore di Legnano ha
 sollevato, con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o.  1063/84),  due
 distinte  questioni  di legittimita' costituzionale del medesimo art.
 28 St. lav.
    Con  la  prima,  egli  assume che tale disposizione violerebbe, in
 modo surrettizio, i commi secondo, terzo e quarto dell'art. 39  Cost.
 in  quanto,  a suo avviso, attribuisce ai sindacati la legittimazione
 processuale a tutelare diritti  dei  lavoratori,  nonostante  che  la
 rappresentanza istituzionale di interessi altrui presupponga, in base
 ai suddetti disposti costituzionali, il possesso di requisiti formali
 (registrazione)   e   sostanziali   (ordinamento   interno   a   base
 democratica) di cui gli organismi abilitati col ricorso  ex  art.  28
 sono sprovvisti.
    Lo  strumento  processuale  previsto  da  tale norma consente agli
 "organismi locali  delle  associazioni  sindacali  nazionali  che  vi
 abbiano  interesse"  di  richiedere  al  pretore  la cessazione, e la
 rimozione degli  effetti,  di  comportamenti  del  datore  di  lavoro
 "diretti  ad  impedire  o limitare l'esercizio della liberta' e della
 attivita' sindacale  nonche'  del  diritto  di  sciopero".  Trattasi,
 quindi  -  come gia' precisato nella sentenza n. 54 del 1974 - di uno
 strumento posto  a  tutela  di  interessi  collettivi  dei  quali  il
 sindacato  e'  titolare  e  gestore autonomo, e con il quale esso non
 agisce  in  rappresentanza  dei  lavoratori  colpiti   dai   suddetti
 comportamenti,  tant'e' che puo' esperire il ricorso anche in caso di
 inerzia o contraria volonta' di questi.
    Di  conseguenza,  la questione, in quanto basata su un presupposto
 erroneo, deve essere dichiarata non fondata.
    Alla  medesima  conclusione deve pervenirsi in ordine alla seconda
 questione, prospettata in via subordinata, con la quale il giudice  a
 quo assume che l'art. 28, conferendo la legittimazione ad esperire la
 speciale procedura ivi  prevista  alle  sole  associazioni  sindacali
 "nazionali",  contrasti  con  gli  artt. 39, primo comma e 3 Cost. in
 quanto porrebbe  con  cio'  un  requisito  -  quello  appunto,  della
 "nazionalita'" - non verificabile e la cui introduzione comporterebbe
 disparita' di trattamento tra i sindacati.
   Quanto  al  primo profilo, basta richiamare quanto gia' detto (par.
 2.3.) a proposito  degli  indici  di  identificazione  del  sindacato
 maggiormente  rappresentativo  sul  piano nazionale, per escludere, a
 fortiori, che non sia dato all'interprete di accertare, con i  comuni
 mezzi di prova, il carattere nazionale o meno del sindacato.
    Quanto al secondo motivo di censura, e' innanzitutto da rilevare -
 come gia' questa Corte fece nella sentenza  n.  54  del  1974  -  che
 l'art.  28 non limita l'organizzazione o l'attivita' dei sindacati da
 esso esclusi ne' li  priva  di  alcuno  degli  strumenti  di  tutela,
 sostanziale   o   processuale,   di  cui  gia'  fruiscono  (cfr.,  in
 particolare, l'art. 16 St.  lav.);  introduce,  invece,  un  nuovo  e
 diverso   mezzo   processuale   riservato   a   soggetti   collettivi
 particolarmente qualificati, individuati attraverso non  un  modello,
 ma  una  dimensione  organizzativa  (quella  nazionale)  assunta come
 indice e garanzia  di  un  adeguato  livello  di  rappresentativita':
 idonea,  cioe',  a  consentire  la  selezione, tra i tanti possibili,
 dell'interesse collettivo rilevante da porre a base del conflitto con
 la   parte   imprenditoriale   introdotto  con  l'incisivo  strumento
 processuale in questione.
    Con  una  scelta  analoga  a  quella  fatta con l'art. 19 - ma qui
 adottando un criterio selettivo meno rigoroso -  il  legislatore,  in
 altri  termini,  ha  inteso,  da  un lato, evitare le conseguenze che
 all'attivita' aziendale deriverebbero "da una pletora  indiscriminata
 di  ricorsi"  (sent.  n.  54  del  1974);  dall'altro, assicurare che
 l'individuazione dell'interesse collettivo  da  ritenere  leso  dalla
 condotta  imprenditoriale  sia  frutto  di una sintesi interpretativa
 che, in quanto operata da soggetti rappresentativi di  larghi  strati
 di  lavoratori, sia razionalmente funzionale, e non controproducente,
 rispetto all'obiettivo di un reale rafforzamento delle loro posizioni
 nel  conflitto industriale, che con la norma impugnata il legislatore
 ha avuto di mira.
    Questa e' quindi, in definitiva, frutto del medesimo indirizzo che
 ha ispirato la formulazione dell'art. 19 (cfr. supra, par.  2.4.):  e
 deve  quindi  ritenersi immune da censure, per le stesse ragioni gia'
 evidenziate a tal proposito.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi
       a)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 19, primo comma, lett. a),  della  legge  20
 maggio  1970,  n.  300  (Statuto  dei  diritti  dei  lavoratori),  in
 riferimento all'art. 39 Cost., sollevata dal Pretore di La Spezia con
 ordinanza del 15 luglio 1981 (r.o. 699/81);
       b)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2, primo  comma,  della  legge  27  dicembre
 1973,  n.  852, in riferimento agli artt. 3 e 39, primo comma, Cost.,
 sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza del 9 ottobre 1979  (r.o.
 52/80);
       c)  dichiara  la  manifesta inammissibilita' della questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 28 e 37 della predetta  legge
 n.  300  del 1970, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25, primo comma,
 Cost., sollevata dal Pretore di Roma con ordinanza del  26  settembre
 1982 (r.o. 785/82);
       d)   dichiara   non   fondate   le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale del medesimo art. 28 della legge n. 300 del  1970,  in
 riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., sollevate dal Pretore di Legnano
 con ordinanza del 7 luglio 1984 (r.o. 1063/84).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 24 marzo 1988
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 88C0460