N. 369 SENTENZA 23 - 31 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  Edilizia
 e urbanistica - Condono edilizio - Natura di amnistia impropria - Non
 fondatezza.  (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e
 44).  (Cost., artt. 3, 25, primo comma, 79 e 101, secondo comma).
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condannati con sentenza
 definitiva richiedenti concessione in sanatoria Estinzione
 dell'esecuzione della pena - Omessa previsione Inammissibilita'.
 (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 38, primo e terzo comma, e
 44).  (Cost., art. 3).  Edilizia e urbanistica - Condono edilizio -
 Condannati con sentenza definitiva richiedenti concessione in
 sanatoria Estinzione dell'esecuzione della pena - Omessa previsione -
 Non fondatezza.  (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 38, primo
 comma, e 44).  (Cost., art. 3).  Edilizia e urbanistica - Condono
 edilizio - Reato di lottizzazione abusiva negoziale - Esclusione -
 Inammissibilita'.  (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34 35,
 38 e 44).  (Cost., art. 3).  Edilizia e urbanistica - Condono
 edilizio - Soggetti legittimati  a presentare domanda di oblazione -
 Concorrenti nel reato Esclusione - Non fondatezza.  (Legge 28
 febbraio 1985, n. 47, artt. 38, quinto comma).  (Cost., art. 3).
 Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Reati edilizi Estinzione
 a favore di titolari di concessione di sanatoria rilasciata prima
 dell'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985 - Omessa previsione
 - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione.  (Legge 28 febbraio
 1985, n. 47, artt. 31, 34 e 38).  (Cost., art. 3).  Edilizia e
 urbanistica - Condono edilizio - Reati edilizi Estinzione -
 Esclusione in caso di demolizione dell'opera edilizia - Non
 fondatezza nei sensi di cui in motivazione.  (Legge 28 febbraio 1985,
 n. 47, artt. 35, 38 e 43; d.-l. 23 aprile 1985, n. 146, art.
 8-équater).  (Cost., art. 3)
(GU n.15 del 13-4-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof. Giovanni CONSO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.
 Luigi MENGONI, avv. Mauro FERRI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 31, 34, 35,
 38, 39, 43 e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia
 di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero
 e sanatoria delle opere edilizie) e 8 quater del D.L. 23 aprile 1985,
 n. 146 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985,
 n. 47, concernente norme in materia di controllo dell'attivita'
 urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
 abusive) promossi con ordinanze emesse il 18 marzo 1985 dal Pretore
 di Pietrasanta, il 17 maggio e il 20 marzo 1985 dal Pretore di Palmi,
 il 15 maggio 1985 dal Pretore di Male' (n. 2 ordinanze), il 2 luglio
 1985 dal Tribunale di Lucera, il 14 ottobre 1985 dal Pretore di Roma,
 il 17 aprile 1986 dal Pretore di Bagnara Calabra, il 10 aprile 1986
 dal Tribunale di Spoleto, il 28 ottobre 1986 dal Pretore di Bergamo,
 l'8 ottobre 1986 dal Pretore di Vittoria e il 30 ottobre 1986 dal
 Pretore di Trentola, rispettivamente iscritte ai nn. 329, 565, 567,
 585, 586, 694 e 888 del registro ordinanze 1985 e ai nn. 433, 519,
 824, 842 e 843 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 155 bis dell'anno 1985, nn. 8,
 11, 23, 44 e 47/1 s.s. dell'anno 1986 e nn. 5, 9 e 8/1 s.s.
 dell'anno 1987.
   Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
   udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1987 il Giudice relatore
 Renato Dell'Andro;
   udito l'Avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                         Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza del 18 marzo 1985 (Reg. ord. n. 329/85) il
 Pretore di Pietrasanta ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, 79 e
 101, secondo comma, Cost., degli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 della
 legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
 dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
 delle opere edilizie) nella parte in cui, sotto la forma d'oblazione,
 mascherano una vera e propria amnistia generalizzata a qualsiasi tipo
 di reato edilizio commesso entro il 1 ottobre 1983, senza alcuna
 discriminazione tra abuso solo formale e sostanziale e tra opere
 sanabili e non nonche' nella misura in cui escludono un qualsiasi
 controllo del giudice penale sulla sanabilita' dell'abuso ai fini
 della sospensione del giudizio e dell'estinzione del reato.
   Il Pretore rileva che, ai sensi degli artt. 44 e 35 legge n. 47/85,
 tutti i procedimenti penali per abusi edilizi commessi anteriormente
 al 1 ottobre 1983 sono automaticamente sospesi dall'entrata in
 vigore della legge sino alla scadenza del termine di cui all'art. 35.
 La sanatoria edilizia di cui agli artt. 31 ss. ha pero' un carattere
 anomalo, trattandosi in realta' di vera e propria amnistia
 condizionata, che avrebbe dovuto essere emanata dal Capo dello Stato
 su legge di delegazione delle Camere e non gia' di oblazione
 extraprocessuale o di conciliazione amministrativa.
   Ed invero, essa e' innanzitutto completamente diversa da quella
 prevista come istituto generale per il futuro dalla stessa legge
 all'art. 13, in quanto quest'ultima consegue solo nel caso in cui
 l'opera non contrasti con gli strumenti urbanistici e riguarda quindi
 gli abusi edilizi solo formali, mentre, per l'abusivismo pregresso,
 la sanatoria e' generalizzata a tutti gli abusi formali e
 sostanziali, indipendentemente dalla conformita' agli strumenti
 urbanistici.
   La sanatoria di cui all'art. 31, inoltre, non ha natura reale,
 ossia non riguarda l'opera abusiva, ma unicamente la posizione
 soggettiva dell'interessato che presenti la domanda d'oblazione e che
 paghi la somma determinata dal comune, mentre l'azione penale
 prosegue contro il coautore dell'illecito che non acceda al
 meccanismo della sanatoria. Cio' dimostra che la c.d. sanatoria non
 determina automaticamente il rientro nella legalita' dell'opera
 abusiva, non e' cioe' una vera e propria sanatoria del tipo piu'
 generale previsto dall'art. 13, ma opera soltanto come causa
 soggettiva d'estinzione del reato al pari dell'amnistia, che
 presuppone l'accettazione dell'imputato.
   L'art. 39, poi, laddove dispone che "l'effettuazione
 dell'oblazione, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria,
 estingue i reati contravvenzionali", conferma in modo inequivoco che
 l'oblazione non produce di per se' la sanatoria amministrativa
 dell'abuso edilizio, che puo' restare tale e soggetto alle sanzioni
 amministrative. Essa non ha, dunque, il compito di regolarizzare
 amministrativamente l'abusivismo bensi' il ben diverso fine
 d'eliminare il carattere penale dell'illecito edilizio, producendo in
 pratica gli effetti estintivi propri dell'amnistia, anche se
 mascherata sotto forma di oblazione amministrativa. Il che e'
 altresi' dimostrato dal fatto che l'oblazione estingue il reato
 edilizio anche nei casi in cui siano state gia' applicate in via
 definitiva le sanzioni amministrative pecuniarie (art. 43).
   Caratteri dell'amnistia impropria si riscontrano ancora nell'art.
 38, secondo cui l'oblazione opera anche nel caso che vi sia stata
 sentenza definitiva di condanna per il reato edilizio; in tal caso,
 peraltro, cessano anche gli effetti penali della condanna,
 dell'oblazione viene fatta menzione nel casellario giudiziale e della
 condanna che si tiene conto ai fini dell'applicazione della recidiva
 e della sospensione condizionale della pena.
   Altri dubbi di legittimita' costituzionale, prosegue il giudice a
 quo, derivano dalla superficialita' della procedura amministrativa
 che conduce alla sanatoria. L'art. 35 si limita infatti a richiedere
 che la domanda sia corredata da una descrizione piu' o meno sommaria
 delle opere e da una dichiarazione con allegata documentazione.
 L'interessato puo' poi proseguire i lavori abusivi dopo il versamento
 della prima rata dell'oblazione, decorsi 30 giorni dalla notifica al
 Comune del proprio intendimento. Orbene, la mancanza d'un qualsiasi
 controllo pubblico sulla veridicita' di quanto dichiarato o
 documentato dall'interessato fa seriamente dubitare della serieta' ed
 efficacia della procedura. D'altra parte, affidare alla sola
 discrezionalita' del privato e della P.A. l'accertamento
 dell'illecito edilizio e la declaratoria della sua estinzione appare
 in contrasto coi principi costituzionali del giudice precostituito
 per legge (art. 25, primo comma, Cost.) e della stessa indipendenza
 del giudice ordinario (art. 101, secondo comma, Cost.). Dovrebbe,
 infatti, pur sempre rientrare nel potere-dovere del giudice penale di
 accertamento del fatto costituente reato, il sindacato su
 quell'attivita' del privato e della P.A. che puo' condurre prima alla
 sospensione del procedimento penale e dopo all'estinzione del reato.
 Tale mancato controllo e' poi tanto piu' grave in quanto, ai sensi
 dell'art. 39, il costruttore abusivo che non possa ottenere la
 sanatoria puo' ugualmente conseguire l'impunita' penale solo che
 presenti una qualsiasi domanda di sanatoria versando l'acconto
 previsto.
   L'automaticita' della sospensione del procedimento penale e
 dell'estinzione del reato edilizio, collegate ad una mera attivita'
 dell'imputato svincolata da qualsiasi possibilita' di controllo o di
 serio riscontro probatorio, determina poi la violazione del principio
 di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di quello del giudice naturale
 precostituito per legge (art. 25, primo comma, Cost.).
   D'altra parte, ai sensi dell'art. 35, il Comune e' tenuto a
 ricevere l'istanza di sanatoria, dovendo attenersi a quanto
 dichiarato dall'interessato; solo successivamente, accertata
 l'impossibilita' di sanatoria, potra' rigettare la domanda. Neppure
 il Comune ha, quindi, facolta' di sindacare fin dall'inizio la
 fondatezza e la serieta' della domanda di sanatoria e dell'acconto,
 peraltro versato direttamente allo Stato. In definitiva, il congegno
 e' tale da consentire al privato di conseguire una completa amnistia
 pur senza adempiere agli oneri posti dalla legge e da consentire
 inoltre, attraverso il meccanismo del silenzio-accoglimento dopo due
 anni dalla domanda, che conseguano la sanatoria senza alcun controllo
 anche opere che la legge stessa dichiara non sanabili (art. 35,
 dodicesimo comma).
   Altra grave disparita' di trattamento e' poi prevista dall'art. 39
 laddove consente anche ai titolari di opere non sanabili ex art. 33
 d'ottenere l'estinzione del reato edilizio, qualora paghino
 l'oblazione mentre i titolari di opere sanabili, per ottenere la
 sanatoria e l'estinzione del reato edilizio, devono non solo pagare
 l'oblazione ma altresi' versare al Comune il contributo di
 concessione di cui agli artt. 3 e 5 della legge 28 gennaio 1977, n.
 10.
   2.1. - Analoga questione e' stata sollevata, con due ordinanze del
 15 maggio 1985 (Reg. ord. n. 585/85 e 586/85) dal Pretore di Male',
 il quale denuncia, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 101,
 secondo comma, e 79 Cost., gli artt. 31, 35 e 38 della legge 28
 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui e' qualificata oblazione
 un'amnistia senza il rispetto dell'iter costituzionale per
 l'emanazione, con cio' cagionando vizi di sostanza; e nella parte in
 cui si esclude il sindacato del giudice penale per gli effetti
 conseguenti sul procedimento penale determinandone la sua
 sottoposizione alla P.A.
   Il Pretore osserva che la sanatoria de qua costituisce, sotto le
 sembianze formali dell'oblazione, una vera e propria amnistia. In
 primo luogo, infatti, essa fa riferimento a qualsiasi tipo d'abuso,
 imponendo, per accedere al beneficio, il rispetto del doppio termine
 delle domande di sanatoria (art. 35) con riferimento ad opere
 ultimate entro il 1 ottobre 1983 (art. 31). Orbene, non v'e'
 nell'ordinamento alcun tipo d'oblazione svincolato dal grado e dallo
 stato del procedimento sanzionatorio, dato che per sua natura
 l'oblazione adempie alla funzione d'evitare lungaggini e pendenze,
 favorendo un'anticipata definizione dei fatti illeciti. L'imposizione
 d'un termine di presentazione delle domande, correlato alle fasi
 processuali o procedimentali, e' quindi un elemento fisiologico
 dell'istituto mentre la sanatoria in questione opera
 indipendentemente dal grado di pendenza, anche per reati gia'
 sottoposti a giudizio o definiti con sentenza irrevocabile.
   Altri dati rivelatori della natura d'amnistia sono ravvisabili nel
 carattere individuale della sanatoria, che riguarda solo chi adempie
 alle prescrizioni imposte nonche' nel fatto che l'abuso edilizio non
 sanabile resta tale anche se l'autore abbia conseguito l'estinzione
 del reato: e' quindi evidente che la finalita' della sanatoria non e'
 quella di recuperare le opere abusive realizzate in passato bensi'
 unicamente quella di rinunciare indiscriminatamente a perseguire gli
 autori degli illeciti e d'eliminare il carattere penale, come una
 vera e propria amnistia.
   Le norme impugnate - prosegue il Pretore - sono poi illegittime
 anche perche' il giudizio penale e' prima paralizzato e poi caducato
 senza che il giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.)
 abbia la possibilita' di sindacare il rapporto privato-P.A.
 funzionalizzato alla sanatoria. Questa esigenza d'esame del giudice
 e' ancora piu' pressante considerando la carenza di rigorose
 prescrizioni cui ancorare l'accoglibilita' della domanda d'oblazione.
 Anzi, l'eventuale negligenza della P.A., nel pronunciarsi sulla
 domanda entro 24 mesi, produce l'accoglimento della stessa, cosi'
 determinando, in violazione dell'art. 101, secondo comma, Cost., la
 sottoposizione del giudice penale alle deficienze ed omissioni della
 P.A.
   2.2. - Nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
 o, comunque, infondate.
   Preliminarmente l'Avvocatura dello Stato dubita della rilevanza
 delle questioni, non risultando che gli imputati abbiano fatto
 richiesta di condono ma solo di sospensione del procedimento. Nel
 merito osserva che l'amnistia estingue il reato per virtu' propria
 escludendo, per un certo tempo, taluni fatti dal novero dei reati
 mentre l'oblazione estingue il reato mediante il pagamento d'una
 somma di denaro. L'effetto estintivo si ricollega, cosi', per
 l'amnistia, al decreto delegato e, per l'oblazione al pagamento.
 Anche quando e' condizionata al pagamento d'una somma di denaro
 l'amnistia opera sempre per virtu' propria mentre la condizione si
 limita a sospendere l'efficacia della legge delegata. L'effetto
 estintivo, verificatasi la condizione, si ricollega causalmente alla
 legge, non alla condizione. Inoltre, senza la volonta'
 dell'interessato l'oblazione non puo' avere effetto mentre l'amnistia
 opera anche contro la volonta' dell'imputato.
   Nella legge in esame, quindi, si riscontra lo schema tipico
 dell'oblazione e non quello dell'amnistia ed anzi si tratta d'uno dei
 tanti casi d'oblazione extraprocessuale, meglio qualificata come
 conciliazione amministrativa, regolata dalla singola legge che la
 prevede. Non ha rilievo poi che la sanatoria operi solo come causa
 soggettiva d'estinzione del reato: infatti, l'amnistia opera anche
 quando non vi sia stata accettazione, allorche' nel prosieguo del
 giudizio l'imputato sia riconosciuto colpevole mentre l'oblazione in
 esame opera solo in presenza dell'istanza dell'interessato.
   Ne' a favore della natura d'amnistia puo' valere il fatto (art. 38,
 quinto comma) che dell'estinzione del reato per oblazione possono
 fruire anche soggetti diversi dal proprietario del bene, senza che
 cio' comporti la sanatoria dell'abuso o il fatto (art. 39) che
 l'estinzione dei reati puo' conseguire anche quando la sanatoria
 dell'abuso non sia possibile. La legge, infatti, ha inteso consentire
 sia la sanatoria amministrativa degli abusi e sia l'estinzione dei
 reati ad essi connessi, anche indipendentemente, in taluni casi,
 dalla loro sanatoria. I due istituti della sanatoria e dell'oblazione
 estintiva del reato restano peraltro distinti, senza che fra loro
 corra in astratto alcuna correlazione necessaria, sicche' ben puo'
 ammettersi che la sanatoria sia inibita pur in presenza
 dell'oblazione estintiva del reato.
   Ne', infine, puo' valere il richiamo all'art. 38, terzo comma, il
 quale va inteso nel senso che l'oblazione effettuata dopo la sentenza
 definitiva di condanna, lungi dal comportare al contrario che per
 l'amnistia impropria - l'estinzione del reato e la cessazione
 d'esecuzione della condanna, si limita ad esplicare effetti solo per
 il futuro, sicche' di essa, annotata al casellario giudiziale, non si
 terra' conto ai fini della recidiva e della sospensione condizionale
 della pena.
   Quanto poi al preteso contrasto con gli artt. 25 e 101, secondo
 comma, Cost., l'Avvocatura nega che l'attivita' oblatoria del privato
 sia sottratta a qualsiasi controllo giurisdizionale o amministrativo.
 La domanda di sanatoria deve infatti essere presentata corredata
 dalla prova dell'eseguito versamento dell'oblazione nella misura
 dovuta; il Sindaco determina poi in via definitiva l'importo
 dell'oblazione, rilasciando, previa esibizione della ricevuta di
 versamento delle somme ancora dovute, il titolo in sanatoria, donde
 la piena possibilita' di controllo amministrativo, non preclusa
 neppure dal c.d. silenzio-assenso di cui all'art. 35, dodicesimo
 comma, il quale non solo non opera per i casi d'insanabilita' di cui
 all'art. 33 ma lascia fermo il disposto dell'art. 40, primo comma,
 che inibisce, di fatto, d'avvalersi d'istanze infedeli. Sul piano
 giurisdizionale, poi, non solo ogni controversia e' devoluta ai
 T.A.R. ma anche il controllo sulla corretta applicazione
 dell'oblazione non e' sottratto al giudice penale, il quale, ai fini
 della sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, e'
 pur sempre tenuto a svolgere in via incidentale un accertamento sulla
 sussistenza dei requisiti del fatto estintivo.
   Ne' infine sussiste disparita' di trattamento tra titolari d'opere
 non sanabili e titolari d'opere sanabili, trattandosi di posizioni
 diverse. Questi ultimi, invero, se sono tenuti a versare gli oneri
 accessori, mantengono pero' la disponibilita' del bene mentre i
 primi, pur potendo usufruire dell'estinzione del reato, vedono il
 bene abusivo assoggettato alle sanzioni di cui al capo 1 della
 legge.
   3.1. - Con due ordinanze del 20 marzo (Reg. ord. n. 567/85) e del
 17 maggio 1985 (Reg. ord. n. 565/85) il Pretore di Palmi, nel corso
 di due procedimenti d'esecuzione penale, ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli
 artt. 38 e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in
 cui, nel caso sia gia' intervenuta sentenza definitiva di condanna,
 non prevedono la sospensione dell'esecuzione della pena nei confronti
 dei soggetti che possono godere della sanatoria e l'estinzione della
 pena, ove siano integrati i presupposti della sanatoria.
   Il Pretore premette che il condono edilizio in questione non
 costituisce ne' un'amnistia ne' un'oblazione processuale bensi' una
 nuova ipotesi d'oblazione amministrativa con conseguente presa d'atto
 in sede giurisdizionale d'una causa estintiva venuta in essere nella
 sede amministrativa. Data tale qualificazione, non possono trovare
 applicazione gli artt. 593 e 596 c.p.p., che si riferiscono
 esclusivamente all'amnistia e all'indulto e che, regolando situazioni
 eccezionali, non sono estensibili in via analogica. D'altra parte,
 dagli artt. 38, terzo comma, e 44 emerge che l'oblazione lascia
 sopravvivere, a differenza dell'amnistia impropria, la pena
 principale.
   Orbene e' contraddittorio che la sanatoria in questione, la quale
 ha gli stessi effetti (estinzione del reato) dell'amnistia propria,
 ove intervenga dopo la sentenza definitiva, abbia, senza alcuna
 ragione, da un lato effetti piu' favorevoli dell'amnistia impropria
 (elimina gli effetti penali della condanna) e dall'altro lasci
 sopravvivere l'effetto principale della condanna (esecuzione della
 pena) che e' invece eliminato dall'amnistia impropria. I detti artt.
 38, terzo comma, e 44, quindi, nella parte in cui non prevedono la
 sospensione dell'esecuzione della pena nei confronti dei soggetti che
 possono godere della sanatoria - il primo - e l'estinzione della
 pena, ove siano integrati i presupposti della sanatoria - il secondo
 - appaiono in contrasto col principio d'uguaglianza, perche'
 irragionevolmente trattano piu' sfavorevolmente, sotto il profilo
 dell'esecuzione della pena principale, i beneficiari o possibili
 beneficiari dell'oblazione rispetto ai beneficiari dell'amnistia
 impropria.
   E' inoltre illogico che la sanatoria, intervenendo dopo la sentenza
 definitiva, elimini gli effetti marginali della condanna e lasci
 sopravvivere quello principale dell'esecuzione della pena, attesa,
 altresi', la ratio di favore nei confronti delle costruzioni abusive
 pregresse cui e' improntata la legge. Il dato estrinseco e formale
 del passaggio in giudicato della sentenza, quindi, nel caso
 dell'amnistia non impedisce l'estinzione della pena, mentre
 l'impedisce nel caso di condono edilizio, con evidente disparita' di
 trattamento.
   La questione, afferma poi il Pretore, e' rilevante per le
 conseguenze che la sua decisione potra' nei casi di specie avere
 sull'esecuzione della pena, trattandosi di reato che, da un punto di
 vista temporale, potrebbe beneficiare del condono edilizio.
   3.2. - Nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
 o, comunque, infondate.
   Preliminarmente l'Avvocatura eccepisce l'irrilevanza delle
 questioni, non risultando al giudice a quo l'attuosa intenzione dei
 condannati d'avvalersi del condono edilizio.
   Nel merito osserva che la disparita' di trattamento non puo'
 dedursi ne' con riguardo ai procedimenti definiti con sentenza
 passata in giudicato rispetto a quelli in itinere (che integrano
 ovviamente realta' giuridiche ed ontologiche non comparabili) ne' con
 riguardo ai due istituti dell'amnistia impropria e dell'oblazione ex
 lege 47 del 1985 (che lo stesso Pretore esattamente differenzia).
   D'altronde la disciplina differenziale dettata, non che limitarsi a
 discriminare irragionevolmente i condannati de quibus rispetto ai
 soggetti fruenti d'una ipotetica amnistia impropria, bilancia,
 invece, equilibratamente vantaggi e svantaggi in una situazione
 peculiare in cui rilievo penale e amministrativo presentano singolari
 e delicate interferenze. L'asserito maggior pregiudizio per il
 condannato e' in effetti compensato non solo dal fatto che, annotata
 l'oblazione nel casellario giudiziale, della condanna non si terra'
 conto ai fini della recidiva e della sospensione condizionale (mentre
 in tal senso non opera l'amnistia) ma anche dal fatto che, salve
 eccezioni, l'oblazione de qua comporta anche la sanatoria dell'opera
 abusiva, pur posta in essere nello svolgimento d'attivita' criminosa.
   4.1. - Analoga questione di legittimita' costituzionale degli artt.
 38, primo comma e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 - nella
 parte in cui non prevedono la sospensione dell'esecuzione della pena
 a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria gia' condannati
 con sentenza definitiva prima dell'entrata in vigore della legge n.
 47/85, i quali, trovandosi nelle condizioni previste dall'art. 31,
 abbiano presentato la domanda entro il prescritto termine e versato
 le somme di cui al primo comma dell'art. 35 - e' stata sollevata dal
 Pretore di Vittoria con ordinanza dell'8 ottobre 1986 (Reg. ord. n.
 842/86).
   Nel merito il Pretore svolge considerazioni simili a quelle
 contenute nelle ordinanze del Pretore di Palmi, sottolineando in
 particolare l'irrazionale disparita' di trattamento in danno di chi
 sia stato condannato con sentenza definitiva prima dell'entrata in
 vigore della legge n. 47/85 (il quale non puo' conseguire
 l'estinzione del reato) rispetto a chi abbia costruito nello stesso
 periodo, violando le medesime disposizioni, senza pero' essere stato
 condannato con sentenza definitiva per ragioni a lui estranee.
   4.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 chiedendo il rigetto della questione con considerazioni identiche a
 quelle svolte relativamente alla questione sollevata dal Pretore di
 Palmi.
   5.1. - Diversa questione e' stata sollevata, con ordinanza del 17
 aprile 1986 (Reg. ord. n. 433/86) dal Pretore di Bagnara Calabra, il
 quale ha denunciato, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 38,
 primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, "nella parte in cui
 non prevede la sospensione dell'esecuzione della pena a favore dei
 richiedenti la sanatoria gia' condannati con sentenza definitiva in
 data antecedente all'entrata in vigore della legge n. 47/85, i quali,
 trovandosi nelle condizioni previste dall'art. 31 della legge, hanno
 presentato la domanda entro il termine perentorio di legge,
 accompagnata dall'attestazione del versamento delle somme di cui al
 primo comma dell'art. 35".
   Il Pretore, dopo aver premesso che nella specie la condannata aveva
 versato le prime due rate nella misura prevista dall'art. 35, primo
 comma, legge n. 47/85, osserva che alla sanatoria in questione si
 riconnettono effetti estintivi non solo del reato ma anche
 dell'esecuzione della condanna, nel caso di sentenza passata in
 giudicato, piu' ampi di quelli prodotti dall'amnistia impropria. Tali
 effetti, pero', per il raccordo del terzo al secondo comma dell'art.
 38, possono conseguire soltanto in caso d'oblazione interamente
 corrisposta e non di versamento della sola somma prevista dal primo
 comma dell'art. 35, tenuto conto che non sarebbe logico riconnettere
 l'estinzione dei reati edilizi ad un pagamento completo ovvero
 parziale dell'oblazione a seconda che il procedimento penale sia o
 meno definito. Senonche' la corresponsione parziale delle somme di
 cui all'art. 35, primo comma, non puo' comportare nemmeno una
 sospensione dell'esecuzione della pena analogamente a quanto previsto
 dall'art. 38, primo comma, per il procedimento penale e per quello
 relativo alle sanzioni amministrative. Dall'interpretazione sia
 letterale dell'art. 38, primo comma, sia sistematica dello stesso in
 relazione all'art. 44, primo comma, emerge infatti che la sospensione
 riguarda solo l'esecuzione amministrativa e non quella penale.
   Da cio' pero' deriva un diverso trattamento tra coloro che hanno
 presentato nei termini domanda di sanatoria e versato la somma di cui
 all'art. 35, primo comma, ed hanno un procedimento penale in corso, i
 quali possono usufruire della sospensione del procedimento stesso e
 coloro che hanno adempiuto alla medesima procedura e hanno riportato
 una condanna definitiva, ma non ancora eseguita, i quali non possono
 giovarsi della sospensione dell'esecuzione della pena e sono ad essa
 assoggettati, nonostante l'intera corresponsione dell'oblazione
 comporti anche per loro l'estinzione del reato e dell'esecuzione
 della condanna. Tale diverso trattamento, oltreche' incongruo
 logicamente (conducendo una medesima fattispecie giuridica a due
 effetti opposti a seconda dei soggetti cui viene applicata) e' anche
 ingiustificato, dato che la sanatoria e' riconnessa a fattori
 estrinseci ed indipendenti dalla volonta' dei richiedenti.
   5.2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata e
 svolgendo considerazioni identiche a quelle svolte nel giudizio
 relativo alla questione sollevata dal Pretore di Palmi.
   6.1. - Il Tribunale di Lucera, con ordinanza del 2 luglio 1985
 (Reg. ord. n. 694/85) e il Pretore di Trentola, con ordinanza del 30
 ottobre 1986 (Reg. ord. n. 843/86) hanno sollevato questione di
 legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli
 artt. 31, 34, 35, 38 e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella
 parte in cui non e' prevista l'applicazione dei benefici ivi
 contemplati anche per chi e' imputato del reato di lottizzazione
 abusiva c.d. negoziale.
   Osservano i giudici a quibus che, ai sensi degli artt. 35, settimo
 comma, e 38, secondo comma, legge n. 47/85, e' estinguibile il reato
 di lottizzazione abusiva previsto dall'art. 17 della legge 28 gennaio
 1977, n. 10, come modificato dall'art. 20 legge n. 47/85, soltanto
 nell'ipotesi di lottizzazione abusiva realizzata con esecuzione
 d'opere e non anche nel caso di c.d. lottizzazione abusiva negoziale,
 caratterizzata dal solo frazionamento e vendita dei lotti. Orbene, la
 mancata previsione dell'estinzione per quest'ultimo reato, che (non
 comportando una compromissione di fatto della programmazione
 territoriale) costituisce in ogni caso un quid minus rispetto alla
 piu' grave ipotesi di lottizzazione abusiva con opere, appare in
 contrasto col principio d'eguaglianza, in quanto condotte ugualmente
 lesive dello stesso bene penalmente protetto risultano disciplinate
 differentemente.
   Il Pretore di Trentola sottolinea inoltre che la lottizzazione
 abusiva c.d. negoziale non solo non e' stata in alcun modo prevista
 dalla legge n. 47/85 ma che per essa non si potrebbe comunque
 determinare la somma da versare a titolo d'oblazione, dato che la
 tabella fa riferimento ad "opere", ad "interventi" o a "modalita'
 d'esecuzione" che presuppongono pur sempre che un manufatto sia stato
 realizzato.
   6.2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
 o, comunque, infondate.
   Preliminarmente l'Avvocatura dello Stato eccepisce la mancanza
 d'una esauriente motivazione della rilevanza, in quanto l'art. 18
 legge n. 47/85 ha dato una nuova definizione della lottizzazione
 abusiva c.d. negoziale, sicche' non puo' escludersi che, nella
 specie, possa trovare applicazione il principio della legge penale
 successiva piu' favorevole.
   Nel merito osserva che l'art. 35, settimo comma, legge n. 47/85
 sembra avere non il significato d'escludere dall'estinzione la
 lottizzazione abusiva c.d. negoziale, bensi' quello d'imporre una
 condizione ulteriore, nei casi di lottizzazione abusiva con opere,
 per l'ottenimento della concessione edilizia in sanatoria; condizione
 che non ha ragion d'essere nel caso del solo negozio, in cui cio' che
 e' destinata ad essere sanata e' unicamente un'attivita'
 preparatoria, ritenuta dalla legge di per se stessa punibile. Per
 contro, l'art. 38, secondo comma, ha una portata talmente ampia che
 non puo' distinguersi tra tipo e tipo di reato oblabile e quindi
 estinguibile. Indubbiamente, per la lottizzazione negoziale sorgono
 difficolta' applicative in carenza delle opere abusive cui
 commisurare l'ammontare dell'oblazione. Peraltro, non dovrebbe essere
 vietato il ricorso all'analogia (che qui sarebbe in bonam partem)
 dell'ipotesi di lottizzazione con opera con quella con sola
 previsione d'opere da eseguire, ipotizzandosi, solo a questo fine,
 l'avvenuta realizzazione delle progettate opere o costruzioni.
   In ogni caso, se fosse esatta l'interpretazione dei giudici a
 quibus, essa non violerebbe il principio di ragionevolezza, in quanto
 la discriminazione troverebbe razionale giustificazione nel fatto che
 scopo della legge n. 47/85 non e' quello di pervenire a un condono
 penale bensi' quello d'un recupero urbanistico-edilizio, anche ai
 fini di chiarezza catastale e fiscale. Il che giustificherebbe il
 riferimento esclusivo alle "opere" da sanare e il nessun interesse
 per quelle fattispecie criminose realizzatesi senza modificazione
 esterna della realta' urbanistico-edilizia.
   7.1. - Con ordinanza emessa il 14 ottobre 1985 (Reg. ord. n.
 888/85) in un procedimento penale a carico di alcuni sindaci ed
 assessori comunali, imputati, oltre che per il delitto di cui
 all'art. 328 c.p., anche di reati edilizi per concorso morale con gli
 autori materiali delle costruzioni abusive e per aver omesso di far
 demolire o acquisire al comune 544 opere abusive, il Pretore di Roma
 ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 38, quinto comma, della legge
 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non comprende tra i
 soggetti legittimati a presentare la domanda d'oblazione tutti i
 concorrenti nel reato di cui all'art. 17 della legge 28 gennaio 1977,
 n. 10, e in particolare i soggetti diversi da quelli indicati
 nell'art. 6 della legge n. 47.
   Osserva il Pretore che la causa estintiva dei reati edilizi,
 prevista dall'art. 38 cit., va qualificata come oblazione
 extraprocessuale, alla quale sono pero' ammessi solo i soggetti
 indicati nell'art. 6 della legge ed il cui effetto estintivo, essendo
 personale la causa, giova solo in favore di costoro e non degli
 eventuali concorrenti nei reati edilizi, esclusi dall'oblazione.
   Orbene, l'esclusione dalla facolta' d'oblazione di soggetti che pur
 hanno reso gli illeciti realizzabili, integra un'irragionevole
 disparita' di trattamento, soprattutto considerando che fruiscono
 della causa estintiva gli autori principali dell'attivita'
 antigiuridica mentre ne rimangono esclusi soggetti il cui apporto,
 ancorche' necessario, e' stato in sostanza secondario e quindi di
 minore danno rispetto all'interesse tutelato.
   7.2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, eccependo l'inammissibilita' o, comunque, l'infondatezza
 della questione.
   Osserva preliminarmente l'Avvocatura che la questione e' nella
 specie irrilevante in quanto, attesa la particolare qualifica degli
 imputati, sembra che il reato di cui all'art. 17, lett. b) della
 legge 28 gennaio 1977, n. 10, sia per essi assorbito dal piu' grave
 delitto di cui all'art. 328 c.p., pur esso contestato.
   In ogni caso, qualora fosse ipotizzabile un concorso degli
 amministratori comunali nel reato edilizio de quo, un trattamento
 differenziato non sarebbe irrazionale, attesa la maggiore gravita'
 dei reati commessi con abuso di potere o violazione dei doveri
 inerenti alla pubblica funzione.
   8.1. - Con ordinanza del 10 aprile 1986 (Reg. ord. n. 519/86) il
 Tribunale di Spoleto ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 31, 34 e
 38 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non
 prevedono la possibilita' d'estinguere il reato mediante oblazione da
 parte di titolari di concessione in sanatoria d'opere edilizie
 abusive rilasciata prima dell'entrata in vigore della legge stessa.
   Osserva il Tribunale che nella specie la concessione in sanatoria
 e' gia' stata rilasciata al responsabile dell'abuso prima
 dell'entrata in vigore della legge n. 47/85, anche se tale
 concessione non estingueva il reato edilizio. L'imputato, quindi,
 dovrebbe soggiacere alle sanzioni penali per l'abuso commesso, senza
 potersi avvalere del procedimento di cui agli artt. 31, 34 e 38 legge
 n. 47/85. D'altra parte, nemmeno potrebbe applicarsi in via analogica
 l'art. 22 legge cit., sia perche' il rilascio della concessione in
 sanatoria con la conseguente estinzione dei reati edilizi e'
 subordinato al pagamento dell'oblazione ed agli altri adempimenti
 necessari sia perche' tale normativa si applica solo per gli abusi
 successivi all'entrata in vigore della legge.
   Sussiste pertanto un'irrazionale disparita' di trattamento degli
 imputati che, avendo ottenuto la concessione in sanatoria prima
 dell'entrata in vigore della legge, non possono ottenere l'estinzione
 del reato, rispetto a coloro che, pur essendo sottoposti a
 procedimenti sanzionatori sia amministrativi sia penali per reati
 edilizi, possono sanare la propria posizione.
   8.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Osserva infatti
 l'Avvocatura che l'art. 22, terzo comma, legge n. 47/85 appare
 applicabile nella specie ai sensi dell'art. 2, terzo comma, c.p. In
 ogni caso sarebbe applicabile l'art. 39 legge cit., il quale prevede
 che l'effettuazione dell'oblazione, qualora le opere non possano
 conseguire la sanatoria, estingue i reati contravvenzionali. La
 disposizione sembra infatti estensibile a tutte le ipotesi in cui,
 per qualsiasi motivo d'ordine logico, la sanatoria di cui agli artt.
 31 ss. non possa comunque essere accordata per l'esistenza di fatti
 preclusivi, fra i quali rientra pure quello di specie.
   9.1. - Con ordinanza del 28 ottobre 1986 (Reg. Ord. n. 824/86) il
 Pretore di Bergamo ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost.,
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 35, 38 e 43
 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non prevedono
 la possibilita' per coloro che abbiano demolito le opere abusive o
 contro i quali siano state attivate procedure di demolizione,
 d'oblare il reato, nonche' dell'art. 8 quater del D.L. 23 aprile
 1985, n. 146, nella parte in cui fissa un termine per la mancata
 perseguibilita' in sede penale dei reati relativi ad opere demolite.
   Osserva il Pretore che la domanda di sanatoria ex artt. 31 ss.
 presuppone la persistenza dell'opera abusiva, essendo appunto
 finalizzata a legittimarne a posteriori la conservazione. Cio' emerge
 chiaramente, ad esempio, dagli artt. 34, 35, 37 e dall'art. 43,
 secondo cui l'esistenza di provvedimenti sanzionatori non ancora
 eseguiti ovvero ancora impugnabili o nei cui confronti pende
 impugnazione, non impedisce il conseguimento della sanatoria.
 Argomentando a contrario si deduce che l'esistenza della demolizione
 preclude la presentazione della domanda di condono.
   La conseguenza e' allora l'assoggettamento alle sanzioni penali
 anche nel caso che le opere abusive, demolite d'ufficio, siano state
 ultimate entro il 1 ottobre 1983. Senonche' tale esclusione della
 possibilita' di effettuare l'oblazione e conseguire l'estinzione del
 reato e' ingiustificata, discriminatoria e contrastante col principio
 d'eguaglianza, venendo sostanzialmente a premiare coloro che, a causa
 dell'inerzia delle amministrazioni comunali, hanno conservato l'opera
 abusiva, nei confronti di coloro che se la sono vista demolire. E
 tale disparita' di trattamento e' ancora piu' evidente quando, come
 nella specie, la demolizione e' stata effettuata in pendenza dei
 termini per presentare la domanda di sanatoria, i quali sono stati
 ulteriormente prorogati al 31 dicembre 1986.
   Le medesime considerazioni possono riferirsi anche all'ipotesi in
 cui la demolizione sia stata effettuata dopo il 7 luglio 1985, data
 d'entrata in vigore della legge 21 giugno 1985, n. 289, che ha
 convertito il D.L. 23 aprile 1985, n. 146, il cui art. 8 quater
 sancisce la non perseguibilita' in qualunque sede di coloro che
 abbiano demolito od eliminato le opere abusive entro il termine
 d'entrata in vigore della legge di conversione suddetta. Non si
 comprende, infatti, il motivo della fissazione di tale data, la cui
 non coincidenza con i termini stabiliti per la presentazione della
 domanda di condono lascia "scoperto" un arco di tempo, intercorrente
 appunto tra il 7 luglio 1985 ed il 13 dicembre 1986, in cui la
 rimozione delle opere abusive non assume alcuna rilevanza ai fini
 della responsabilita' penale. Ne consegue che chi ha realizzato le
 opere entro il 1 ottobre 1983 e le ha poi spontaneamente rimosse
 dopo il 7 luglio 1985 ma pur sempre prima della scadenza dei termini
 per chiedere il condono, dovra' essere assoggettato alle sanzioni
 penali.
   9.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
 chiedendo il rigetto della questione. Osserva l'Avvocatura che le
 norme impugnate vanno interpretate nel senso che, anche per le opere
 demolite, d'ufficio o spontaneamente, sia possibile oblare il reato
 con la conseguente estinzione dell'azione penale. Lo scopo prefissosi
 dal legislatore emerge infatti dagli artt. 39 e 43, ove si
 configurano ipotesi in cui, sia per costruzioni non suscettibili di
 sanatoria sia per quelle suscettibili di sanatoria, l'opera e'
 demolita e cio' nonostante, a oblazione pagata, il reato e' estinto.
   10. - Tutte le suddette ordinanze di rimessione sono state
 regolarmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta
 Ufficiale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  questioni  sollevate  dalle  ordinanze in epigrafe sono
 identiche od analoghe e possono, pertanto, essere  decise  con  unica
 sentenza.
   2.  -  La  prima questione sottoposta all'esame della Corte attiene
 alla natura giuridica del c.d. "condono edilizio" di cui  alla  legge
 28 febbraio 1985, n. 47. Risultano, infatti, impugnati dal Pretore di
 Pietrasanta (con l'ordinanza emessa  il  18  marzo  1985,  Reg.  ord.
 329/85)  gli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 e dal Pretore di Male' (con le
 ordinanze nn. 585 e 586 del 1985, emesse entrambe il 15 maggio  1985)
 gli artt. 31, 35 e 38 della sopra citata legge, assumendosi anzitutto
 che le predette norme configurino un provvedimento, non emesso con le
 garanzie di cui all'art. 79 Cost., d'amnistia "mascherato". I giudici
 a  quibus  escludono  che  il  condono  edilizio  integri  un'ipotesi
 d'oblazione,  come  sostenuto  dall'Avvocatura  dello  Stato;  questa
 Corte, pertanto, e' necessitata a  prendere  posizione,  nei  limiti,
 s'intende,  di  questa  sede,  anzitutto sulle figure dell'amnistia e
 dell'oblazione (al fine di stabilire se le norme impugnate  integrino
 l'una  o l'altra figura) e, nel caso l'indagine risulti negativa (nel
 senso che le predette norme  non  s'inquadrino  nelle  citate  figure
 giuridiche)  a  delineare  la  natura "atipica" (anche questa tesi e'
 sostenuta da altre ordinanze di rimessione citate  in  epigrafe)  del
 "condono edilizio" qui in discussione.
 Va,   intanto,   ricordato   che   il   Pretore   di  Pietrasanta,
 nell'impugnare le citate norme, fa  riferimento  agli  artt.  3,  25,
 primo  comma,  79  e  101,  secondo comma, Cost. mentre il Pretore di
 Male', nell'impugnare le norme innanzi indicate, agli artt. 25, primo
 comma, 101, secondo comma e 79 Cost.
    Vanno, anzitutto, respinte le eccezioni, sollevate dall'Avvocatura
 dello Stato, d'inammissibilita',  per  difetto  di  rilevanza,  delle
 preindicate  ordinanze  del  Pretore di Male'. Dalle stesse ordinanze
 risulta, infatti, che gli imputati hanno chiesto la  sospensione  dei
 procedimenti  penali  a  loro carico, ai sensi del combinato disposto
 degli artt. 44 e 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per i  reati
 ascritti,  consumati  anteriormente  al 1› ottobre 1983: quest'ultima
 data costituisce, infatti, ex art.  31  della  citata  legge,  limite
 temporale  per  fruire  della  normativa  richiamata. La richiesta di
 sospensione dei procedimenti penali, di cui alla legge n. 47  del  28
 febbraio  1985, attesta, in maniera inequivocabile, la volonta' degli
 imputati di valersi dell'intera procedura di sanatoria  e  di  fruire
 del "condono edilizio" previsto dalla stessa legge. Non e', pertanto,
 inibito al Pretore di Male' sollevare, gia' in sede di  richiesta  di
 sospensione dei procedimenti a quibus, questioni di costituzionalita'
 relative a  vari  articoli  della  legge  in  esame  che  gia'  erano
 divenuti,  con  la  richiesta sospensione dei procedimenti, rilevanti
 nella specie.
 Il dibattito sulla natura giuridica del c.d. "condono edilizio" di
 cui  alle  norme  impugnate  si  e'  sviluppato,  durante  i   lavori
 preparatori    della   legge   in   discussione   e   successivamente
 all'emanazione  della  stessa  legge,  partendo   da   tre   distinte
 posizioni:  per  la prima, il condono edilizio in esame costituirebbe
 forma  (per  i  piu'  anomala)  d'amnistia  condizionata  (cosi'   la
 definiscono,  infatti,  le  ordinanze  di  rimessione  dei Pretori di
 Pietrasanta e Male'); per la seconda, lo stesso condono costituirebbe
 forma particolare d'oblazione extraprocessuale; per la terza, infine,
 rilevata la difficolta' d'inquadrare le norme impugnate in una  delle
 due   figure,   rilevato   altresi'   il   vizio  concettualistico  e
 l'"apriorismo logico" di volere a tutti i  costi  inquadrare  in  una
 delle  due  citate  figure  il condono edilizio in esame, il medesimo
 integrerebbe un provvedimento di clemenza atipico.
    Qui  va,  anzitutto,  rilevato  che  e'  davvero  "arduo"  tentare
 d'inquadrare (utilizzando la terminologia dei sostenitori delle prime
 due tesi innanzi indicate) un'anomala ipotesi d'amnistia condizionata
 ed una particolare forma d'oblazione extraprocessuale negli  istituti
 generali, rispettivamente, dell'amnistia e dell'oblazione, quando non
 v'e' ancora certezza o, comunque, sufficiente chiarezza in ordine  ai
 predetti istituti.
 Dottrina   e  giurisprudenza,  infatti,  pur  avendo  a  lungo  ed
 approfonditamente discusso intorno  al  concetto  (di  genere)  causa
 d'estinzione  del  reato  (entro  questo  concetto  il  codice penale
 inserisce sia l'amnistia sia l'oblazione) non hanno dedicato complete
 indagini   su   tutte   le   particolari   cause   d'estinzione,  non
 sottolineando a dovere che il codice penale riconduce al concetto "di
 genere"  le  piu'  svariate figure (dall'amnistia alla morte del reo,
 alla prescrizione ecc.) sulla base d'una sola nota effettuale, quella
 d'estinguere  il  reato.  Il  necessario dibattito sul significato di
 questa formula (com'e' noto, una novita' del vigente  codice  penale)
 non  esclude l'esame del diverso fondamento, dei diversissimi modi di
 funzionamento delle singole cause d'estinzione: anzi, da questo esame
 puo',  invero,  pervenire  nuova  luce  proprio  intorno  al concetto
 generale di causa d'estinzione del reato.
    Le  necessita'  della  "pratica"  (il  dover offrire risposte alle
 ordinanze  in  esame)  richiamano  l'attenzione  su  due  specifiche,
 particolari  cause  d'estinzione  (l'amnistia  e  l'oblazione)  e  in
 generale sul "condono edilizio" di cui alla legge  n.  47  del  1985,
 moderna  ed  ormai  diffusa  forma  di  "clemenza",  che  mostra, fra
 l'altro, come anche  l'estinzione  del  reato  di  cui  all'art.  38,
 secondo  comma,  della  precitata  legge e' da tener distinta, dati i
 diversi presupposti, dall'estinzione del reato  di  cui  all'art.  13
 della stessa legge.
    3.  -  Il condono edilizio di cui alle norme impugnate non integra
 gli estremi dell'istituto dell'amnistia.
 L'amnistia (come l'indulto) e', invero, una particolarissima causa
 d'estinzione.
 Intanto,  in  ordine ad essa, una legge (il codice penale) prevede
 il decreto d'amnistia (ed indulto) come estintivo (si  vedra'  subito
 "di  che")  senza far riferimento ad alcuna fattispecie concretamente
 estintiva.  Dal  fondamento   dell'amnistia   (misura   di   clemenza
 generalizzata)  deriva  un  suo  specifico  modo  di  funzionare, una
 particolare  struttura  che  la   diversifica   dalle   altre   cause
 d'estinzione.  Mentre, in generale, le altre cause (ma si dovrebbero,
 poi, distinguere, una per una le "altre"  cause)  operano,  producono
 l'estinzione  attraverso  la mediazione d'un fatto, d'una fattispecie
 concreta, l'amnistia produce, direttamente, l'effetto estintivo senza
 mediazione  fattuale  alcuna.  Il  codice  penale, per le altre cause
 d'estinzione, di cui agli artt. 150 e segg., indica specificamente  i
 fatti,  le  fattispecie,  poste  in  essere  le quali, in concreto si
 produce l'effetto estintivo (i fatti ad es. della morte del reo,  del
 decorso  del  tempo  ecc.);  per l'amnistia, invece, fa discendere (a
 parte l'amnistia c.d. "condizionata", alla quale  si  accennera'  fra
 breve)  l'effetto  estintivo direttamente, senza mediazioni di sorta,
 dal decreto d'amnistia, quasi  unanimemente  riconosciuto  di  natura
 legislativa.
 Carattere  peculiare  dell'amnistia  e', infatti, anzitutto quella
 d'incidere sulla "punibilita'" determinata  da  alcune  norme  penali
 incriminatrici.  Si  badi:  della  "punibilita'"  che e' gia' effetto
 della norma e che, pertanto, ben puo' essere "estinta"  prima  ancora
 che  siano accertati i fatti di reato dai quali "potrebbe conseguire"
 l'effettiva punibilita' del reo.
 Dall'esame delle relazioni tra la disposizione, di parte generale,
 di cui all'art. 151 c.p. e le disposizioni  incriminatrici  di  parte
 speciale  s'evince  che  il  legislatore  ordinario, nel determinare,
 nelle singole disposizioni incriminatrici, la punibilita' (principale
 ed   accessoria,   l'applicabilita'   delle  misure  di  sicurezza  e
 l'eventuale responsabilita' per le obbligazioni civili per l'ammenda)
 dei  soggetti  realizzatori  di  alcune  fattispecie tipiche, prevede
 anche l'eventualita' che la stessa punibilita' venga  estinta  da  un
 (futuro)  decreto  d'amnistia  (ed  indulto).  L'art. 151 c.p. viene,
 pertanto, ad integrare le singole disposizioni incriminatrici: alcune
 situazioni  effettuali,  di  punibilita',  previste  da queste ultime
 disposizioni,  vengono  cosi'  a  cadere  sotto  l'eventuale   ambito
 d'influenza della disposizione integratrice di cui all'art. 151 c.p.,
 rimanendo soggette all'eventualita'  dell'estinzione  ad  opera  d'un
 futuro decreto d'amnistia.
 Nessuno  puo'  fondatamente  ritenere  d'identificare  il  decreto
 d'amnistia, sol perche' incide su alcuni effetti predisposti da norme
 incriminatrici,  impedendo  ai  medesimi di permanere in relazione ad
 alcuni fatti coperti dal beneficio, con la norma abrogatrice. Non  si
 puo'  tacere,  tuttavia, che il decreto d'amnistia estingue (peraltro
 soltanto  in  relazione  a  fatti  tipici  relativi   ad   un   tempo
 circoscritto) direttamente, senza mediazioni fattuali, alcuni effetti
 determinati da norme incriminatrici precedenti.
    Gli  effetti  estintivi del decreto d'amnistia si diversificano da
 quelli  prodotti  dalla   legge   abrogatrice   non   tanto   perche'
 quest'ultima riguarda normalmente il futuro quanto per il rilievo che
 la  legge  abolitiva  d'incriminazioni  estingue  tutti  gli  effetti
 determinati  dalla  legge  incriminatrice: l'amnistia incide, invece,
 soltanto   sulla    punibilita',    principale    ed    "accessoria",
 sull'applicabilita'  delle  misure di sicurezza, e sulle obbligazioni
 civili per  l'ammenda  relative  ai  fatti  tipici,  commessi  in  un
 circoscritto   periodo   di   tempo,   anteriore   alla  proposta  di
 delegazione. Gli effetti penali ("e  non")  determinati  dalla  legge
 incriminatrice  permangono,  invece,  tutti,  intatti, in relazione a
 tutti i fatti, precedenti e successivi, non  rientranti  nel  periodo
 beneficiato.
 Incidendo  sul  "dover  essere"  della pena (determinato da alcune
 norme incriminatrici, per l'ipotesi che si verifichino  alcuni  fatti
 tipicamente  indicati)  ossia  sulla punibilita' (astratta) dei fatti
 commessi  nel  periodo  di  tempo  previsto  dal  relativo   decreto,
 l'amnistia "propria" opera, sul piano processuale (a parte l'amnistia
 c.d.   condizionata)   anzitutto   quale   fattispecie    costitutiva
 dell'obbligo di dichiarare di non doversi procedere, salve ovviamente
 le ipotesi di cui all'art. 152 c.p.p. Gli effetti estintivi  derivano
 dal decreto d'amnistia e non dalla volonta' dell'interessato. Ed ogni
 "ulteriore"  efficacia,  sostanziale  o  processuale   del   predetto
 decreto,  discende, quale ulteriore conseguenza, dalla prima, diretta
 incidenza del decreto stesso  su  alcuni  effetti  determinati  dalle
 norme incriminatrici.
 Ed  e' per questa incidenza che l'amnistia (impropria) opera anche
 dopo la condanna, estinguendo, con le pene  accessorie,  l'esecuzione
 della pena.
 Le  ordinanze  dei  Pretori  di  Pietrasanta e Male' assumono che,
 attraverso  le  disposizioni  impugnate,   sarebbe   stata   concessa
 un'amnistia  sottoposta  alla  condizione del pagamento d'una somma a
 titolo d'oblazione.
    Or  e' ben vero che l'amnistia puo' essere sottoposta a condizioni
 o ad obblighi, secondo la lettera dell'art. 151, quarto  comma,  c.p.
 e,  pertanto,  anche  al  pagamento  d'una somma di danaro: ma non di
 "condizioni" in senso proprio si tratta. La  condizione  (sospensiva)
 infatti,  presuppone  sempre  (essa  e',  appunto,  elemento  futuro)
 precedenti elementi c.d. essenziali,  la  produzione,  da  parte  dei
 quali,  di  concreti  effetti  giuridici  e'  appunto condizionata e,
 pertanto, paralizzata dal  mancato  avveramento  della  medesima:  la
 condizione,  cosi', completa e conclude una serie precedente di altri
 elementi (c.d. essenziali). Per l'amnistia "propria" tutto  cio'  non
 avviene,  non  puo' strutturalmente avvenire: anche quando il decreto
 d'amnistia prevede il pagamento  d'una  somma  di  danaro  come  c.d.
 condizione  (sospensiva) dell'effetto estintivo, tal pagamento non si
 trasforma mai in "condizione" in senso  tecnico,  perche'  mancano  i
 precedenti  elementi c.d. essenziali. Tant'e' vero che, nell'amnistia
 propria, non  e'  data  neppure  la  possibilita'  di  previsione  di
 condizioni  risolutive in senso proprio: queste ultime presuppongono,
 infatti, gia' prodotti (in concreto,  si  badi)  da  precedenti  c.d.
 elementi essenziali della fattispecie, effetti giuridici, che vengono
 a risolversi poi, ex tunc, attraverso l'avveramento della  condizione
 risolutiva. Ma cio' non puo' verificarsi, relativamente all'amnistia,
 appunto per la  mancanza  d'una  completa  fattispecie  che,  per  le
 "altre"   cause   d'estinzione,   di   regola,  media  la  produzione
 dell'effetto  giuridico  estintivo.  La  ragione  della  regola   ora
 indicata sta nel rilievo che il decreto d'amnistia, pur condizionato,
 determina sempre,  autonomamente,  l'effetto  estintivo:  e  per  tal
 motivo   non   puo'   attribuire  ad  alcuna  fattispecie  la  virtu'
 concretamente  mediatrice  dell'effetto  stesso.   Anche  se  l'unica
 ragione   della   concessione  del  beneficio  penale,  di  cui  alle
 disposizioni impugnate, fosse il pagamento (oblazione) d'una somma di
 danaro  da  parte  dell'autore del reato (fra l'altro le disposizioni
 impugnate richiedono il predetto pagamento anche a  soggetti  diversi
 dall'autore    del   reato)   a   parte   i   limiti   "esterni"   di
 costituzionalita' delle disposizioni stesse, tutto si sarebbe  potuto
 ravvisare  nelle  predette disposizioni meno che la concessione d'una
 classica amnistia.
    Il discorso si pone diversamente per l'amnistia "impropria"; ma le
 disposizioni impugnate non possono certamente, come si chiarira'  fra
 breve,  essere  interpretate  come concessione d'amnistia "impropria"
 (ove questa fosse configurabile  anche  in  mancanza  di  concessione
 d'amnistia "propria").
 L'amnistia "propria" puo', dunque, ben esser sottoposta a positivi
 obblighi (non, dunque, a "condizioni" in senso  tecnico)  la  mancata
 esecuzione   dei   quali   non  paralizza,  tuttavia,  alcuna  virtu'
 effettuale di (precedenti temporalmente) elementi essenziali e la cui
 esecuzione elimina l'ostacolo che, per volonta' dello stesso decreto,
 paralizza l'effetto estintivo. Questa diretta produzione dell'effetto
 estintivo,  da  parte  del  decreto  d'amnistia,  e' ben sottolineata
 dall'Avvocatura dello Stato.
 Le  disposizioni  impugnate  dai  Pretori  di Pietrasanta e Male',
 prevedono, invece, una complessa e varia  fattispecie  produttiva  di
 effetti  estintivi,  che  rende  del  tutto  inavvicinabili le stesse
 disposizioni a quelle concessive della classica  amnistia  ("propria"
 od  "impropria").  L'equivoco  nasce,  forse,  dall'aver  la dottrina
 troppo  insistito  sul  rilievo  per  il  quale  e'  l'oblazione   ad
 estinguere  il reato. Per vero, non e' l'oblazione, isolatamente, che
 ha tal virtu'; dagli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 della legge  in  esame
 (gli articoli, appunto, impugnati dalle ordinanze innanzi richiamate)
 e' prevista una complessa fattispecie estintiva, che si compone,  per
 sintetizzare,  anzitutto  della  domanda di sanatoria e del pagamento
 della (prima) rata di cui al  primo  comma  dell'art.  35  (e  questi
 elementi,  per  il  disposto di cui al primo comma dell'art. 38, gia'
 producono effetti preliminari, la sospensione del processo  penale  e
 di  quello  per  le sanzioni amministrative) dell'intero procedimento
 amministrativo, non giurisdizionale, per la sanatoria ed, infine, del
 pagamento  integrale  dell'oblazione.  Tal  pagamento  e',  soltanto,
 l'ultimo elemento della precitata complessa fattispecie estintiva, la
 quale, almeno di regola (salvo, infatti, il caso di opere insanabili)
 produce, oltre all'effetto  penalmente  estintivo,  anche  l'effetto,
 costitutivo,    determinato   dalla   concessione   della   sanatoria
 amministrativa. Una stessa fattispecie  viene  ad  essere,  pertanto,
 almeno   di   regola,  costitutiva  (di  effetti  amministrativi)  ed
 estintiva (di effetti penali).
 Dalle   disposizioni  normative  impugnate  risulta  che  tutti  i
 precitati effetti sono unicamente rimessi alla volonta',  per  quanto
 "condizionata"  (v.  art. 40 e capo I della legge) degli interessati;
 questi   cosi'   divengono,   insieme   alle   competenti   autorita'
 amministrative,   fattori  determinanti  i  previsti  sviluppi  delle
 vicende giuridiche sostanziali e processuali.  Gli  effetti  previsti
 dalle  norme  impugnate  si  producono in concreto non come ulteriori
 conseguenze d'una diretta, preliminare estinzione  della  punibilita'
 "astratta"  di  alcune norme incriminatrici di parte speciale, bensi'
 soltanto a seguito delle manifestazioni di  concrete  volonta'  degli
 interessati e dell'autorita' amministrativa.
    D'altra  parte,  poiche'  il  procedimento  penale e quello per le
 sanzioni amministrative, ai sensi del primo comma dell'art. 38  della
 legge  n.  47  del 28 febbraio 1985, vengono sospesi, a seguito della
 presentazione della domanda di cui all'art.  31  e  dell'attestazione
 del  versamento  della somma di cui al primo comma dell'art. 35 della
 stessa  legge,  non  sorge,  dalla  domanda  (di  concessione   della
 sanatoria)  e  dal  precitato  pagamento, alcun obbligo, nel giudice,
 d'immediata  declaratoria  di  "non  doversi  procedere":  anzi,   il
 "giudizio"   puo'   riprendere  ove  non  si  verifichino  gli  altri
 adempimenti,  rimessi  sempre  alla   volonta'   degli   interessati.
 L'effetto   definitivamente   impeditivo   dell'ulteriore  corso  del
 procedimento penale e quello estintivo dei reati, di cui  al  secondo
 comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (lo stesso comma usa la
 locuzione "estinguere i reati", come il codice penale negli artt. 150
 e  segg., sicche' e' qui superfluo aggiungere che, ove si ritenga che
 l'oblazione  in  esame  costituisca,  come  "altre"   situazioni   di
 estinzione  del  reato,  causa  sopravvenuta  di  non procedibilita',
 l'effetto sostanziale  si  produrrebbe  in  conseguenza  dell'effetto
 processuale) deriva dunque dall'intera "mediatrice" fattispecie sopra
 descritta  (dal  fatto  mediatore  dell'efficacia  estintiva)  e  non
 dall'integrale  corresponsione  dell'oblazione,  determinata,  in via
 definitiva, dal Sindaco, ai sensi del nono comma dell'art.  35  della
 legge  in  esame,  contestualmente  al  rilascio,  di  regola,  della
 concessione od autorizzazione in sanatoria.
 Ne'  il  "condono"  di  cui  alle disposizioni impugnate puo' esser
 inquadrato fra le cause d'estinzione  della  pena:  quest'ultima,  ai
 sensi  delle  predette  disposizioni,  non  puo' essere concretamente
 irrogata; conseguentemente non puo' "estinguersi"  cio'  che  non  e'
 sorto,  cioe'  una  pena  non  concretamente inflitta. Anzi, a questo
 proposito,  va  sottolineato  che  significativo  e'  che  le   norme
 impugnate,   mentre   consentono  l'applicazione  del  beneficio  ivi
 previsto  durante  il  procedimento  penale,  prima  della  decisione
 definitiva  di  merito  (e  "singolare"  e' che, tuttavia, come si e'
 notato, il giudice non puo' "chiudere" ipso iure il processo ma  deve
 attendere   il   versamento,   nel  termine  stabilito  dalla  legge,
 dell'integrale oblazione che, come si e' visto, e', almeno di regola,
 determinata  contemporaneamente alla concessione od autorizzazione in
 sanatoria) dopo la definitiva condanna il  "condono"  in  discussione
 opera  in  maniera quasi opposta all'amnistia impropria: quest'ultima
 fa cessare l'esecuzione delle pene principali ed  accessorie  ma  non
 incide,  di  regola,  sugli "effetti penali" della condanna mentre il
 "condono" in esame non interferisce  sull'esecuzione  delle  predette
 pene  e,  tuttavia,  incide  su alcuni "effetti penali": ai sensi del
 terzo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985, infatti, non  si
 tien  conto della condanna ai fini dell'applicazione della recidiva e
 della sospensione condizionale  della  pena,  "fatta  menzione  della
 oblazione nel casellario giudiziale" dell'autore del reato.
 V'e'  anche  da  escludere che il "condono" di cui agli artt. 31 e
 segg. della legge in  esame  possa  esser  ricondotto  ad  una  delle
 "altre"  tipiche,  ex  art.  150 e segg. c.p., cause d'estinzione del
 reato: le particolarita', notevolissime,  del  predetto  condono  non
 consentono,  infatti, d'inquadrarlo ad es. nell'oblazione di cui agli
 artt. 162 e 162- bis c.p. A parte ogni discussione  su  quest'ultima,
 non  da pochi Autori considerata, essa stessa, una grave anomalia nel
 sistema, e' ben vero che  il  "condono"  penale  in  esame  opera,  a
 differenza    dell'amnistia,    esclusivamente    a   seguito   della
 realizzazione della fattispecie estintiva  piu'  volte  indicata:  ma
 l'oblazione di cui agli artt. 162 e 162- bis c.p., commisurata (terza
 parte o meta' del massimo) all'ammenda stabilita dalla legge  per  la
 "contravvenzione"   commessa,   equivale  ad  una,  per  cosi'  dire,
 anticipata esecuzione della pena pecuniaria.  Di  tal  che,  a  parte
 altri  rilievi  in ordine alla necessita' del pagamento dell'ammenda,
 di cui agli artt. 162 e 162- bis  c.p.,  entro  ben  precisi  termini
 processuali  (prima  dell'apertura  del dibattimento ovvero prima del
 decreto di condanna) ed anche non tenendo presenti le "vecchie"  tesi
 per  le  quali la stessa oblazione "trasformerebbe" l'illecito penale
 in  illecito  amministrativo,  l'esame  del  fondamento  della  causa
 d'estinzione  di  cui  agli  artt.  162 e 162- bis c.p., approfondita
 nella sua specificita', dimostra agevolmente che ben poco essa  ha  a
 che vedere con la causa d'estinzione di cui alle norme impugnate, con
 l'uso cioe', da parte del legislatore ordinario,  della  punibilita',
 considerata   distinta   ed  autonoma  dal  reato,  quale  mezzo  per
 "orientare" condotte susseguenti all'illecito sotto il  miraggio  del
 premio  dell'estinzione del reato. Le finalita' del condono penale in
 esame hanno conseguentemente anche ben  poco  a  che  vedere  con  il
 generale istituto della conciliazione amministrativa.
    4.  -  Il  "condono  edilizio", di cui agli artt. 31 e segg. della
 legge n. 47 del 1985,  non  puo'  esser  ricondotto  ai  tradizionali
 (forse  arcaici)  istituti  di  clemenza  o,  comunque, estintivi del
 reato, perche' possiede una propria, particolare  ragion  d'essere  e
 cosi'  una propria fisionomia: esso va studiato a se', singolarmente,
 a prescindere da ogni formalistico, inattuale avvicinamento a vecchie
 formule o ad antichi istituti.
 Il condono penale in esame presuppone, sistematicamente, una netta
 distinzione, se non una separazione,  tra  reato  e  punibilita'.  Da
 sempre,  e' vero, le ipotesi delle cause, successive alla commissione
 del fatto di reato, d'esclusione della punibilita'  hanno  costituito
 oggetto  di  radicali,  profondi quanto irrisolti dubbi. Si trattava,
 tuttavia, di dubbi  dommatici:  non  si  riusciva  a  "sistemare"  la
 punibilita'  come  categoria  autonoma,  dato  il  presupposto che la
 medesima  era  necessaria,  immediata,  diretta   conseguenza   della
 commissione   del   reato.   Vero  e'  che  il  legislatore  moderno,
 repentinamente destando la dottrina  e  la  giurisprudenza  (non  dal
 "sonno"  ma)  da  sogni  dommatici,  non solo da' per scontato che la
 "punibilita'" abbia una "consistenza" autonoma, un  valore  autonomo,
 rispetto  al  reato ma dimostra che la medesima puo' essere usata per
 ottenere dall'autore dell'illecito prestazioni "utili" a fini  spesso
 estranei  alla  tutela  del bene "offeso" dal reato. Facendo balenare
 all'autore  dell'illecito,  punibile,  l'esclusione  od  attenuazione
 della punibilita', il legislatore "orienta", "dirige" la condotta del
 reo susseguente al reato  al  raggiungimento  di  fini  dallo  stesso
 legislatore "desiderati".
 Or  qui  non  s'intende  in alcun modo entrare nel merito politico
 d'un siffatto orientamento legislativo. A parte quanto si  dira'  fra
 poco  sui  limiti  costituzionali  dal  potere  di  clemenza,  qui le
 precedenti notazioni valgono soltanto a chiarire il fondamento ed  il
 particolare  meccanismo operativo del "condono (penale) edilizio", di
 cui alle norme impugnate, al fine di scegliere, quanto piu' possibile
 in  maniera  consapevole,  l'"etichetta"  da  "imprimere" allo stesso
 condono.
 Il   legislatore   del   1985,   nel  tentativo  di  porre  ordine
 nell'intricata,  farraginosa  materia   dell'edilizia,   preso   atto
 dell'illegalita'  di  massa  in  tale materia verificatasi, ha inteso
 "chiudere" un passato  illegale:  ed  ha  ritenuto,  con  valutazioni
 insindacabili  in  questa  sede,  d'indurre (attraverso la previsione
 delle sanzioni di cui agli artt. 40 e del capo I) autori (e  non)  di
 violazioni  edilizie  a chiedere la concessione in sanatoria relativa
 ad opere realizzate abusivamente. La predetta domanda, costituente in
 certo  modo  "autodenuncia",  e' indubbiamente utile, almeno, data la
 precedente illegalita' di  massa,  a  fini  di  chiarezza  catastale,
 tributaria  ecc.  Sarebbe  contraddittorio, pertanto, "punire" coloro
 che hanno  proposto  la  predetta  domanda:   usando,  dunque,  della
 "punibilita'"  in maniera autonoma, svincolata dalle relazioni con il
 reato commesso, il legislatore del 1985  dispone  l'"estinzione"  dei
 reati  di  cui al secondo comma dell'art. 38 della legge in esame, in
 conseguenza  degli  atti  e  procedimenti  di  cui  alla  preindicata
 fattispecie estintiva. Finalita' economico-finanziarie non sono certo
 estranee  alle  disposizioni  in  discussione,   tenuto   conto   del
 predisposto  meccanismo  d'estinzione  e del fatto che l'oblazione va
 corrisposta anche nelle ipotesi in cui le opere non sono sanabili. Ma
 tali disposizioni vanno riguardate (si ripete: a parte i "limiti" del
 potere di clemenza) nella loro oggettiva tutela di oggettivi  valori.
    A  differenza  dell'estinzione  di cui all'art. 13, nella quale si
 profila una fattispecie estintiva che contiene in se' tutta intera la
 fattispecie  costitutiva  della  sanatoria  amministrativa ed insieme
 l'effetto (concessione della  sanatoria)  il  fondamento  sostanziale
 dell'estinzione  di cui all'art. 38, secondo comma, della legge n. 47
 del 1985, va ricercato nella valutazione "positiva" che l'ordinamento
 compie dei comportamenti del reo, successivi al reato ("autodenuncia"
 attraverso la richiesta di sanatoria, pagamento dell'oblazione  ecc.)
 che inducono a credere ad un sia pur parziale "ritorno", anche se non
 del tutto spontaneo, dell'agente alla  "normalita'".  Tal  fondamento
 molto  s'avvicina  a  quello  delle  comuni cause sopravvenute di non
 punibilita' (per chi le ammetta e sempre che i casi  riportati  sotto
 quella  sigla  non siano configurati come speciali cause d'estinzione
 del  reato).  Poiche',  tuttavia,  non   puo'   assumersi   che   sia
 concretamente sorta la punibilita', non risultando essa accertata ne'
 con sentenza ne', almeno di regola, durante il procedimento penale, e
 neppure  risultando  accertati  i  presupposti  extrapenali  del  suo
 "sorgere", durante il procedimento per  l'inflizione  delle  sanzioni
 amministrative (la domanda di sanatoria delle opere abusive, infatti,
 sospende entrambi i  procedimenti)  sembra  dubbio  poter  dichiarare
 "estinta",  appunto  perche'  non  trattasi  di amnistia propria, una
 punibilita' che ancora non  e'  accertato  sia  concretamente  sorta.
 Pertanto,  fermo  rimanendo  il sostanziale fondamento al quale si e'
 accennato, il condono penale in esame, dal punto  di  vista  del  suo
 meccanismo  operativo,  e'  un'ipotesi  di  causa  d'improcedibilita'
 sopravvenuta, tenuto conto che il giudice  penale,  a  seguito  della
 verificazione  della  fattispecie  estintiva  di  cui  agli  articoli
 impugnati, e' tenuto a concludere il processo con  sentenza  di  "non
 doversi   procedere"   per  estinzione  del  reato  (formale  usuale)
 essendogli inibito entrare in valutazioni di merito  in  ordine  alla
 fattispecie estintiva e tantomeno concludere il processo con sentenza
 di merito.
 Puo'  non  risultare  soddisfacente la formula processuale ma, nel
 caso in esame, e' l'unica "preferibile", pur dovendosi tener conto di
 tutte  le  precedenti  osservazioni  sul fondamento sostanziale della
 causa d'estinzione qui in discussione. Autorevole dottrina, peraltro,
 riconduce  tutte  le  cause d'estinzione del reato (di cui agli artt.
 150   e   segg.)   alla   categoria    delle    cause    sopravvenute
 d'improcedibilita' dell'azione penale: pertanto, perche' non si creda
 che, riconducendo al "genere" causa d'estinzione del reato  anche  la
 particolare  causa  d'estinzione di cui al secondo comma dell'art. 38
 della legge in esame,  non  si  operi  che  un  "rinvio",  del  tutto
 formale,  al "genere", senza precisazioni in ordine alla "specie", va
 qui aggiunto e sottolineato che l'"estinzione" di  cui  al  precitato
 art. 38 si differenzia nettamente dalle "altre" cause d'estinzione di
 cui agli artt. 150 e segg., ed in  particolare  dall'amnistia,  sulla
 cui  natura  di  causa d'estinzione della punibilita' derivante dalla
 norma penale incriminatrice si e' prima insistito. In ogni caso,  nel
 richiamare  quanto  innanzi  precisato  in ordine all'imprescindibile
 necessita' dello studio delle singole, particolari cause d'estinzione
 (non solo di quelle "raggruppate" dal codice penale negli artt. 150 e
 segg.) va ancora sottolineato che il ricondurre ai concetti generali,
 di  natura  effettuale,  di causa d'estinzione del reato, della pena,
 della punibilita'  (astratta  o  concreta)  od  a  quelli,  anch'essi
 generali,  di  non punibilita' sopravvenuta ed anche, di sopravvenuta
 non procedibilita' ecc., non vale a chiarire ne' il fondamento ne' il
 meccanismo  operativo  delle  singole  ipotesi  (c.d.  estintive)  e,
 conseguentemente, non vale a chiarire adeguatamente, in  ordine  alle
 diverse  cause,  le particolarita' dello (stesso) effetto (ad esempio
 l'oggetto di  quest'ultimo,  cosa,  particolarmente,  si  "estingua",
 l'estensione  ai  compartecipi  dell'effetto  stesso, e via dicendo).
 L'inconfondibilita', l'atipicita', il  meccanismo,  davvero  inedito,
 d'operativita'  del  condono "penale" di cui agli articoli impugnati,
 descritto  in  precedenza,  valgono,  ben  piu'  della  sigla  "causa
 sopravvenuta di non procedibilita'", a chiarire fondamento, struttura
 ed effetti del condono stesso.
    5.  -  A  questo  punto  la Corte, essendo stato fatto riferimento
 anche all'art. 3 Cost., non puo' esimersi dal  considerare,  sia  pur
 sommariamente,   sotto   questo  profilo,  il  problema  dei  vincoli
 costituzionali al potere di clemenza, in generale, ed in  particolare
 al  limite  dell'uso  della  punibilita',  svincolata  dal reato, per
 ottenere dall'autore del medesimo comportamenti utili a fini  diversi
 da quelli relativi alla tutela del bene "offeso" dal reato.
 Di recente, il tema e' stato prospettato con specifico riferimento
 all'amnistia, notoriamente contrastante con  i  fini  di  prevenzione
 perseguiti  in sede penale. Poiche' l'amnistia costituisce una deroga
 al principio d'efficacia generale della legge penale si e'  sostenuto
 che  la  medesima debba essere emanata nelle sole ipotesi compatibili
 con criteri di ragionevolezza sostanziale.
 Or il tema, riferito esclusivamente all'amnistia, non atterrebbe a
 questa sede. Ma, ove si facesse riferimento ad un  concetto  generale
 di "misura di clemenza", entro il quale s'inserisca, oltre ai recenti
 condoni (previdenziale e tributario) anche quello  edilizio,  di  cui
 agli  artt.  31  e  segg.  della legge n. 47 del 1985, il tema stesso
 atterrebbe anche a questa sede.  Va,  infatti,  sottolineato  che  la
 predetta  legge,  pur  non  potendosi  ritenere,  nelle  disposizioni
 impugnate dalle ordinanze in esame, implicante la  concessione  della
 tipica  figura  dell'amnistia,  di cui all'art. 151 c.p., costituisce
 senza dubbio "specie" d'una generale nozione di "misura di clemenza".
 Ma  c'e'  di  piu'. Lo "Stato sociale", aumentando notevolmente la
 sua "incidenza" in vari  campi  d'attivita',  ripone  fiducia,  forse
 eccessiva,  nella  funzione  deterrente  e d'"orientamento culturale"
 della sanzione penale e finisce  cosi'  con  l'aggiungere  a  divieti
 contenutisticamente  riferiti  alle  piu'  svariate  materie (appunto
 previdenziali, tributarie, ecc.) la sanzione penale. Si produce cosi'
 un  aumento  delle  sanzioni  penali  (a cio' si deve anche il troppo
 frequente ricorso, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione,
 a  misure  "clemenziali":  almeno  nelle  intenzioni  dei Costituenti
 doveva,  invece,  essere  ridotta  la  frequenza  dell'emanazione  di
 provvedimenti di clemenza); il sistema penale, anziche' essere tutela
 di pochi, fondamentali beni, costituzionalmente  rilevanti,  diviene,
 sia  pur seguendo i mutamenti della realta' sociale, quasi "soltanto"
 od "ulteriormente" sanzionatorio di precetti (non sempre di  notevole
 importanza)  relativi  alle  piu' diverse materie. Con la conseguenza
 che il legislatore, allorche' intende  modificare  la  disciplina  di
 queste  ultime (ad es., dopo periodi d'illegalita' di massa) e' quasi
 necessitato, nel "cancellare" il passato, ad incidere sulle  sanzioni
 penali  poste  a  rafforzamento  delle  sanzioni  extrapenali. I vari
 "moderni" condoni non integrano, certo, per i loro fini, per  i  loro
 del   tutto   inediti   meccanismi   di   funzionamento,  la  tipica,
 tradizionale amnistia ma costituiscono  alcune  delle  moderne  forme
 d'esercizio  della  generale  "potesta'"  di clemenza dello Stato. E,
 dunque, anche nei confronti dei condoni in discussione  va  posto  il
 problema dei limiti costituzionali all'esercizio di tale potesta'.
    Tutte  le  volte  in  cui  si  rompe il nesso costante tra reato e
 punibilita' e quest'ultima  viene  utilizzata  per  fini  estranei  a
 quelli   relativi   alla   difesa   dei   beni   tutelati  attraverso
 l'incriminazione penale, tale uso,  nell'incidere  negativamente  sul
 principio  di  uguaglianza  ex  art.  3  Cost.,  deve  trovare la sua
 "giustificazione"  nel  quadro  costituzionale   che   determina   il
 fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato.
 La   "non   punibilita'"  o  la  "non  procedibilita'",  dovuta  a
 situazioni successive al commesso reato (il condono  penale,  di  cui
 alle   disposizioni   impugnate   dall'   ordinanza  del  Pretore  di
 Pietrasanta,  e'  stato  qui,  appunto,  ritenuto  causa   personale,
 sopravvenuta,  di "non procedibilita'") deve comunque essere valutata
 in funzione delle finalita' "proprie" della  pena:  ove  l'estinzione
 della  punibilita'  irrazionalmente  contrastasse con tali finalita',
 ove risultasse variante arbitraria, tale, come e'  stato  esattamente
 sottolineato,  da svilire il senso stesso della comminatoria edittale
 e  della  punizione,  non  potrebbe  considerarsi  costituzionalmente
 legittima.
 Per  le  predette  ragioni questa Corte, con sentenza n. 36 del 19
 febbraio 1986, pur ribadendo di non poter entrare  nel  merito  della
 valutazione  politica in base alla quale era stata emanata una misura
 di clemenza (si trattava, in quella sede, d'amnistia) ribadito ancora
 una  volta  il carattere eccezionale dell'amnistia e la necessita' di
 contenere, nei piu'  ristretti  limiti,  l'esercizio  della  relativa
 potesta',  sottolineava  che detti limiti vanno ancor piu' richiamati
 quando l'effetto estintivo debba spiegarsi  nei  confronti  di  reati
 che,    direttamente    od    indirettamente,    violano    precetti,
 costituzionalmente sanciti, posti a tutela di  fondamentali  esigenze
 della comunita'.
 Le  predette  considerazioni  vanno  ripetute e ribadite anche nei
 confronti dei  moderni  condoni,  e,  in  particolare,  del  "condono
 penale"  di  cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985. La
 "non punibilita'" e  la  "non  procedibilita'",  di  cui  ai  moderni
 condoni  penali,  specie  quando  "cancellano"  reati  lesivi di beni
 fondamentali  della  comunita',  va  usata   negli   stretti   limiti
 consentiti  dal  sistema  costituzionale; quest'ultimo precisa (ed in
 maniera non generica) fondamento, finalita' e limiti  dell'intervento
 punitivo    dello    Stato.    Contraddire,   vanificare,   sia   pur
 temporaneamente, le "ragioni prime" della  "punibilita'",  attraverso
 l'esercizio arbitrario della "non punibilita'", equivale non soltanto
 a  violare  l'art.  3  Cost.  ma  ad  alterare,  con   il   principio
 dell'obbligatorieta'   della   pena,  l'intero  "volto"  del  sistema
 costituzionale in materia penale.
    6.  -  Alla verifica del rispetto, da parte delle norme impugnate,
 dei vincoli "esterni" posti dalla Costituzione al potere di  clemenza
 si  e'  accennato in precedenza. Il legislatore, con la legge citata,
 ha inteso chiudere un passato  d'illegalita'  di  massa,  alla  quale
 aveva  anche  contribuito  la  non  sempre  perfetta efficienza delle
 competenti autorita' amministrative ed ha  mirato  a  porre  "sicure"
 basi  normative  per  la  repressione  futura  di  fatti  che violano
 fondamentali esigenze sottese al  governo  del  territorio,  come  la
 sicurezza  dell'esercizio  dell'iniziativa  economica privata, il suo
 coordinamento a fini sociali (art. 41, secondo e terzo comma,  Cost.)
 la  funzione sociale della proprieta' (art. 42, secondo comma, Cost.)
 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed  artistico  (art.
 9,   secondo   comma,   Cost.)   ecc.   E  questi  beni,  secondo  la
 discrezionale, ed  incensurabile  in  questa  sede,  valutazione  del
 legislatore  del  1985,  non potevano esser validamente difesi per il
 futuro se non attraverso la "cancellazione" del notevole, ingombrante
 "carico pendente" relativo alle passate illegalita' di massa.
 D'altra  parte,  se  e'  vero  che, per le disposizioni impugnate,
 l'effettiva  concessione  della  sanatoria  amministrativa   non   e'
 antecedente  necessario dell'estinzione dei reati di cui all'art. 38,
 secondo comma, della legge n. 47 del  1985,  e'  anche  vero  che  il
 procedimento  penale  viene  sospeso,  ai sensi del primo comma dello
 stesso articolo, in  base  alla  sola  domanda  di  autorizzazione  o
 concessione  in sanatoria e l'importo definitivo dell'oblazione viene
 determinato  dal  Sindaco  nel  momento  stesso  in  cui  concede  la
 sanatoria.  Pertanto  (tranne le ipotesi di opere abusive insanabili)
 l'estinzione dei reati in discussione, pur  non  essendo  subordinata
 (come  invece  avviene  per  l'art.  22,  terzo comma, della legge in
 esame) al rilascio della concessione in sanatoria, diviene, tuttavia,
 operativa,  di  regola,  contemporaneamente  al rilascio della citata
 concessione;  uno  stesso  versamento  normalmente  integra  l'ultimo
 elemento  d'una  fattispecie  che  e'  insieme  costitutiva in ordine
 all'effetto - concessione della sanatoria ed estintiva in  ordine  ai
 reati  in  esame.  Sicche',  contemporaneamente, di regola, mentre il
 Sindaco dichiara non piu' "attuale" la  sanzione  amministrativa,  il
 giudice  dichiara  non  piu'  "attuale"  la  sanzione  penale. Il che
 (tenuto conto della normale "costruzione" dei  predetti  reati  sulla
 base  della sola illiceita' extrapenale) se non vale a subordinare la
 "non   punibilita'"   dei   reati   stessi    alla    "cancellazione"
 dell'illiceita'  extrapenale,  vale  almeno  a  spiegare  le  ragioni
 sostanziali per le quali il legislatore ritiene "non (piu') punibili"
 i reati in discussione.
    7. - Le precedenti considerazioni rendono incondividibili anche le
 altre, specifiche osservazioni proposte dalle  citate  ordinanze  dei
 Pretori di Pietrasanta e Male'.
 In  questa  sede e' sufficiente aver escluso che il condono penale
 edilizio, di cui agli impugnati articoli della legge n. 47 del  1985,
 costituisca  amnistia:  fra  l'altro il condono penale in esame viene
 definito, da alcune ordinanze di rimessione, "anomala amnistia" senza
 chiarire   perche',  malgrado  le  "anomalie",  il  predetto  condono
 costituisca, comunque, pur sempre, amnistia;  ne'  i  rilievi  per  i
 quali   lo   stesso  condono  non  e'  da  inquadrarsi  nell'istituto
 dell'oblazione  o  della  conciliazione  amministrativa   valgono   a
 dimostrare la natura di amnistia del medesimo.
 L'osservazione  secondo la quale la legge in esame, negli articoli
 impugnati,  non  distingue  tra  abusi  solo   "formali"   ed   abusi
 "sostanziali"  contrastanti  con  gli  strumenti  urbanistici  (come,
 invece, fa all'art. 13 della legge) va disattesa  ricordando  che  il
 legislatore,  appunto  allo  scopo  di  riordinare,  per  il  futuro,
 l'intera  materia,  ricorre,  per  il  passato   da   definitivamente
 "superare",  alla  procedura di cui agli artt. 31 e segg. Va, dunque,
 tenuto nettamente distinto, nella legge in esame, cio' che attiene al
 futuro,  nel  quale,  appunto,  il  legislatore,  nel  riordinare  la
 materia,  non  ammette  in  alcun  modo  sanatorie   per   le   opere
 contrastanti  con  gli strumenti urbanistici, da cio' che riguarda il
 passato; le sanatorie  relative  ad  opere  realizzate  entro  il  1›
 ottobre  1983 vengono concesse al fine di chiudere definitivamente un
 tempo di abuso di massa (anche  per  violazioni  non  comprese  nelle
 "future"   sanatorie).   Le   prime  sanatorie  non  sono,  peraltro,
 irragionevolmente estese a tutte le  violazioni  edilizie  realizzate
 entro  il predetto termine, come testimoniano gli artt. 33 e 39 della
 legge.
 Ne'  maggior  pregio  ha  il rilievo secondo il quale, poiche' gli
 effetti estintivi dell'oblazione de qua sono disposti  esclusivamente
 in  favore  di  colui  che  versa la somma di danaro appunto a titolo
 d'oblazione e non di eventuali compartecipi della stessa  "violazione
 edilizia"  (che  non mettano in moto la procedura di sanatoria di cui
 agli  articoli   impugnati)   la   sanatoria   in   discussione   non
 costituirebbe  una  "vera  e  propria"  sanatoria,  del tipo previsto
 dall'art.  13  della  legge   in   esame,   non   determinando   essa
 automaticamente il rientro nella legalita' delle opere abusive.
 Va,  intanto,  ancora una volta ribadito che le disposizioni della
 legge n. 47 del 1985 relative al futuro (es. art. 13) e quelle  della
 stessa  legge  relative  al  passato  (es.  sanatoria  per  gli abusi
 verificatisi entro il 1› ottobre 1983) vanno tra loro qui confrontate
 soltanto  ai  fini  della  rilevazione  di  eventuali  illegittimita'
 costituzionali  e  non  per  sottolinearne  le  diversita':   queste,
 infatti,  sono  "scontate", essendo le prime disposizioni determinate
 dall'esigenza di riordinare definitivamente  l'intera  materia  e  le
 seconde  dalla  necessita'  di  chiudere  (appunto  per consentire un
 altrimenti impossibile riordino della materia) un  passato  (relativo
 all'assetto    urbanistico    del   territorio)   che   la   pubblica
 amministrazione non era stata sempre in grado di controllare. Ma,  di
 piu',  anche  per  rispondere  all'altra obiezione, secondo la quale,
 poiche', ex  art.  39  della  legge  n.  47  del  1985,  e'  prevista
 l'estinzione   dei   reati  contravvenzionali  anche  quando  l'abuso
 edilizio e' insanabile (e cio' "maschererebbe" la concessione, con le
 norme impugnate, d'un vero e proprio provvedimento d'amnistia) va qui
 ancora una volta sottolineato che, per quanto riguarda il passato, la
 legge in esame intende per un verso, sotto il profilo amministrativo,
 consentire le sanatorie (fin dove  possibili)  degli  abusi  commessi
 entro la data del 1› ottobre 1983 e per altro verso, sotto il profil+ô
 penale,   consentire   l'estinzione   dei   reati   contravvenzionali
 realizzati  in occasione di tali abusi; tentando, in ogni caso, anche
 attraverso uno stimolo all'autodenuncia delle illegittime costruzioni
 e  delle  connesse  violazioni  penali, la regolarizzazione (fin dove
 possibile) dell'assetto del territorio. Ove il  legislatore,  per  le
 opere  non  suscettive  di  sanatoria,  non consentisse l'estinzione,
 autonoma, dei reati connessi alla costruzione delle stesse opere, non
 stimolerebbe,  convenientemente,  la denuncia delle opere abusive non
 amministrativamente sanabili. D'altra parte, una volta "stimolate" le
 private  "denunce"  (anche  a  mezzo delle minacciate sanzioni di cui
 all'art. 40 della legge in esame) non puo'  il  legislatore  lasciare
 "intatte"  le sanzioni penali connesse alle irregolarita' delle opere
 "non sanabili", cosi'...   "premiando"  le  "autodenunce"  di  queste
 ultime.
    8.  - Ne' dalle disposizioni impugnate risultano violati gli artt.
 3, 25, primo comma, e 101, secondo comma, Cost.
 Controlli  e  riscontri probatori sono ampiamente ammessi, in sede
 amministrativa, dall'art. 35 della legge n. 47 del 1985. La  domanda,
 di   cui  allo  stesso  articolo,  deve  essere  corredata  di  ampia
 documentazione   probatoria   nonche'   dalla   prova   dell'eseguito
 versamento  dell'oblazione,  nella  misura  intera  stabilita in base
 all'apposita tabella o  di  un  terzo  della  medesima.  Sicche',  ai
 competenti  organi  comunali  e'  dato verificare, immediatamente, la
 veridicita' della domanda e della  documentazione  allegata.  Ne'  va
 dimenticato  che,  ai  sensi del tredicesimo comma dell'art. 35 della
 legge   in   esame,   e'    escluso    che    del    silenzio-assenso
 dell'amministrazione possano giovarsi le opere "non sanabili" ex art.
 33.
 Sul  piano  giurisdizionale, mentre va fatto rinvio all'undicesimo
 comma dell'art. 35 della legge in esame  (che  demanda  ai  Tribunali
 amministrativi  regionali,  che  possono  disporre anche dei mezzi di
 prova previsti dall'art. 16 della legge 28 gennaio 1977,  n.  10,  le
 controversie  relative  all'oblazione) va sottolineato che il giudice
 penale, al  fine  della  pronuncia  della  sentenza  di  non  doversi
 procedere,  e'  tenuto  a  svolgere,  in  via  incidentale,  adeguati
 accertamenti in ordine ai requisiti del fatto estintivo.
 La  declaratoria  d'estinzione  del  reato,  va  ancora  ribadito,
 discende dalla realizzazione dell'intera  fattispecie  estintiva,  il
 cui  ultimo  elemento e' il pagamento della (intera) oblazione di cui
 al secondo comma dell'art. 38: e' questa, e non gli  accertamenti  di
 merito  dell'autorita'  amministrativa  relativi alla sanatoria delle
 opere abusive, che  conclude  la  fattispecie  estintiva  del  reato:
 sicche', ne' il cittadino viene sottratto al suo giudice naturale ne'
 il giudice penale viene vincolato alle decisioni di  merito  assunte,
 in   ordine   alla  sanatoria  delle  opere  abusive,  dall'autorita'
 amministrativa. Tant'e' vero che quest'ultima ben puo'  rifiutare  la
 sanatoria  dell'opera  abusiva  (appunto  non sanabile) ma il giudice
 penale ugualmente deve, svolti gli opportuni accertamenti  in  ordine
 al   pagamento   dell'intero  ammontare  dell'oblazione,  pronunciare
 sentenza di non doversi procedere per avvenuta oblazione.  L'ipotesi,
 poi,  d'affidare  al  giudice  penale tutti gli accertamenti relativi
 alla sanatoria "amministrativa" condurrebbe a consentire, al  giudice
 penale,   la  sottrazione  di  competenze  (governo  del  territorio)
 costituzionalmente attribuite ad altri poteri dello Stato.
 Inconsistente  e',  infine,  il  rilievo  per  il  quale  le norme
 impugnate  violerebbero  l'art.  3  Cost.:  lederebbe  il   principio
 d'uguaglianza  il  fatto  che,  mentre, ai sensi dell'art. 39, per le
 opere che non possono conseguire  la  sanatoria,  il  solo  pagamento
 dell'oblazione  e'  sufficiente ad estinguere i reati di cui all'art.
 38, per  le  opere  sanabili,  al  fine  d'ottenere  la  sanatoria  e
 l'estinzione  degli  stessi reati, oltre al pagamento dell'oblazione,
 sono dovuti anche gli oneri di concessione.  E'  appena  il  caso  di
 rilevare che le ora indicate "posizioni" non sono affatto comparabili
 giacche' il titolare dell'opera  sanabile,  attraverso  il  pagamento
 degli  oneri di concessione, ottiene la piena disponibilita' del bene
 (oltre  a   godere,   a   seguito   del   pagamento   dell'oblazione,
 dell'estinzione  del  reato  edilizio)  mentre il titolare dell'opera
 insanabile, pur fruendo del beneficio dell'estinzione del reato,  non
 puo' sottrarre il bene abusivamente realizzato alle conseguenze a lui
 sfavorevoli previste dal capo I della stessa legge.
    9.  -  Le  ordinanze  emesse dal Pretore di Palmi il 20 marzo 1985
 (Reg. ord. n. 567/85) ed il 17 maggio  1985  (Reg.  ord.  n.  565/85)
 l'ordinanza  del  Pretore di Bagnara Calabra del 17 aprile 1986 (Reg.
 ord. 433/86) (quest'ultima sotto un diverso profilo e partendo da  un
 diverso  presupposto) e quella del Pretore di Vittoria dell'8 ottobre
 1986 (Reg. ord. 842/86) sollevano, in riferimento all'art.  3  Cost.,
 eccezioni  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 38, primo e
 terzo comma e 44 della legge n. 47 del 1985, nella parte in  cui  non
 prevedono  la  sospensione  dell'esecuzione  della  pena a favore dei
 richiedenti la concessione in sanatoria, gia' condannati con sentenza
 definitiva  in  data antecedente all'entrata in vigore della legge n.
 47 del 1985, i quali, trovandosi nelle condizioni previste  dall'art.
 31  della  stessa  legge,  presentino  domanda di sanatoria, entro il
 termine  perentorio  di  legge,  accompagnata  dall'attestazione  del
 versamento delle somme di cui al primo comma dell'art. 35.
 Le  due  citate  ordinanze  del  Pretore di Palmi vanno dichiarate
 inammissibili in quanto, non risultando la  volonta'  del  condannato
 d'avvalersi  del  condono  edilizio di cui alla legge n. 47 del 1985,
 manca ogni motivazione sulla rilevanza, nel procedimento a quo, della
 sollevata questione di legittimita' costituzionale.
 La  questione  sollevata  dalla ricordata ordinanza del Pretore di
 Vittoria, esaminata nel merito, va dichiarata non fondata.
 Corretta  appare  l'interpretazione  che  il Pretore da' dei primi
 commi dell'art. 38, anche con riferimento all'art. 44 della legge  in
 discussione,   in   ordine  all'esclusione  degli  effetti  estintivi
 dell'esecuzione  della  pena,  comminata  a   seguito   di   condanna
 definitiva  pronunciata  prima  dell'entrata in vigore della legge in
 esame. Nulla, in proposito, esplicitamente la stessa legge  dichiara:
 e  non  si  puo', certo, ricavare una misura eccezionale d'estinzione
 della pena da una "implicita" volonta' legislativa. Vero e'  che  non
 solo mancano, nella legge in discussione, disposizioni dalle quali si
 possa, sia pur implicitamente, desumere una volonta'  di  comprendere
 negli  effetti  estintivi,  connessi  all'oblazione di cui al secondo
 comma dell'art.  38,  anche  l'esecuzione  della  pena  ma  esistono,
 invece,  chiarissimi  segni  dai quali risulta la prova contraria. La
 formulazione   letterale    del    terzo    comma    dell'art.    38,
 l'interpretazione  logica  di tutto intero lo stesso articolo nonche'
 il confronto con l'art. 44, sono, in proposito,  elementi  d'indubbio
 rilievo.  Intanto  l'amnistia  fa  cessare  l'esecuzione  della  pena
 (quando, s'intende, interviene a condanna definitiva pronunciata)  in
 quanto estingue, come si e' notato innanzi, in radice, la punibilita'
 principale   (accessoria   ecc.)   nascente   dalle   norme    penali
 incriminatrici, che prevedono i fatti coperti dal beneficio: esclusa,
 dal  decreto  d'amnistia,  l'ulteriore  permanenza  (sempre  e  solo,
 ovviamente,  in  relazione  ai  fatti  coperti  dal  beneficio) della
 "possibilita' giuridica" d'applicare la pena, nelle ipotesi in cui il
 predetto  decreto  interviene  durante  il  procedimento, non si puo'
 ulteriormente "procedere" mentre, nelle ipotesi nelle quali lo stesso
 decreto  interviene  a  condanna  definitiva  pronunciata,  l'effetto
 estintivo non puo' non investire l'esecuzione delle pene  principali,
 accessorie ecc.
    Il  legislatore  del  1985  non  ha scelto, per la concessione del
 condono  edilizio,  lo  si  e'  ribadito  piu'   volte,   la   strada
 dell'amnistia:  coerentemente ed in ossequio ai principi generali, ha
 "bloccato" gli effetti estintivi del condono "dinanzi" alla  sentenza
 definitiva di condanna. Il legislatore ordinario avrebbe anche potuto
 diversamente disporre; ma (a parte il rilievo per il  quale,  in  tal
 caso,  avrebbe avvicinato il condono all'amnistia, con le inevitabili
 conseguenze in ordine al processo di formazione del provvedimento  di
 clemenza)  avrebbe  dovuto  esplicitamente dichiararlo: e cio' non ha
 fatto.
 In  conclusione,  non  puo'  ritenersi  "irrazionale"  il non aver
 previsto, a favore dei richiedenti la concessione in  sanatoria  gia'
 condannati  con  sentenza  definitiva,  l'estinzione  dell'esecuzione
 della pena.
 D'altro  canto,  situazioni diverse sono, certamente, quelle nelle
 quali si trovano  da  una  parte  i  soggetti  imputati,  durante  il
 procedimento  penale e dall'altra i soggetti condannati, a seguito di
 sentenza definitiva: le predette situazioni  ben  possono,  pertanto,
 esser diversamente disciplinate dalla legge.
 Va,  da  ultimo,  ricordato  che il disposto di cui al terzo comma
 dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (per il quale,  annotato  nel
 casellario  giudiziale  del  condannato  con  sentenza  definitiva il
 versamento dell'oblazione, della condanna non si tien conto  ai  fini
 dell'applicazione  della  recidiva  e  della sospensione condizionale
 della pena) e' dovuto ad una considerazione attinente  alla  condotta
 sopravvenuta   del   condannato  (che  nulla  ha  a  che  vedere  con
 l'esecuzione della  pena  principale  ecc.);  lo  stesso  condannato,
 avendo  chiesto la sanatoria dell'opera abusiva ed avendo corrisposto
 l'oblazione, rende, fra l'altro, possibile il raggiungimento dei fini
 di  chiarezza  catastale,  fiscale  ecc., anche in vista dei quali e'
 stata emanata la legge n. 47 del  1985.  In  tal  modo  vengono,  fra
 l'altro,  equilibrati  svantaggi  e  vantaggi  delle  due diverse, ed
 incomparabili, situazioni dei soggetti (richiedenti la concessione in
 sanatoria,  in  regola  col  pagamento  dell'oblazione)  "non ancora"
 condannati  e  gia'  condannati:  questi  ultimi  non  ottengono   la
 cessazione  dell'esecuzione  della pena ma godono dei benefici di cui
 al terzo comma dell'art. 38 della legge in esame e  possono  ottenere
 la   sanatoria  dell'opera  posta  in  essere  nello  svolgimento  di
 attivita' penalmente illecita.
 Quanto   rilevato   in  ordine  alla  non  incidenza  del  condono
 sull'esecuzione della pena, inflitta con sentenza definitiva, vale  a
 far  ritenere non fondata anche la questione sollevata dal Pretore di
 Bagnara   Calabra   basata,   appunto,    sull'erroneo    presupposto
 dell'estinzione, a seguito di condono, dell'esecuzione della pena.
    10. - Il Tribunale di Lucera con ordinanza del 2 luglio 1985 (Reg.
 ord. n. 694/85) e il Pretore di Trentola con ordinanza del 30 ottobre
 1986  (Reg.  ord.  n. 843/86) impugnano gli artt. 31, 34, 35, 38 e 44
 della legge n. 47 del 1985, in riferimento all'art.  3  Cost.,  nella
 parte  in cui prevedono che il reato di lottizzazione abusiva, di cui
 all'art. 17 della legge 28  gennaio  1977,  n.  10,  come  modificato
 dall'art.  20  della  legge n. 47 del 1985, sia estinguibile soltanto
 nell'ipotesi di realizzazione di opere e non anche nel caso  di  c.d.
 lottizzazione    abusiva    negoziale,    caratterizzata   dal   solo
 frazionamento  e  vendita  di  lotti,  che  pure   rappresenta,   nel
 significato   criminoso,   un  quid  minus  rispetto  all'ipotesi  di
 lottizzazione abusiva con opere e che viola lo stesso  bene  tutelato
 attraverso l'incriminazione di quest'ultima.
 Va  preliminarmente  rilevato  che  l'art.  18, primo comma, della
 legge n. 47 del 1985 offre  una  nuova  determinazione  tipica  della
 lottizzazione abusiva, alla stregua della quale la lottizzazione c.d.
 negoziale postula l'esistenza  di  alcune  condizioni  oggettive  che
 vanno  al  di la' della pura e semplice vendita od atto equiparato: i
 lotti, previsti negli atti negoziali, per  le  loro  caratteristiche,
 quali  la dimensione in relazione alla natura del terreno ed alla sua
 destinazione  secondo   gli   strumenti   urbanistici,   il   numero,
 l'ubicazione  o  l'eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed
 in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti,  devono  denunciare
 in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.
 Tenuto  conto di questa nuova disciplina legislativa, i rimettenti
 avrebbero dovuto, almeno sommariamente, indicare gli  elementi  delle
 fattispecie  concrete, al fine di stabilire se esse integrino anche i
 requisiti oggettivi tipici indicati nell'art. 18, primo comma,  della
 legge in esame.
 Nulla,  in  proposito, dichiarando le ordinanze di rimessione, non
 e', allo stato, possibile stabilire se ai casi di specie sia oppur no
 applicabile  la  nuova disciplina normativa "piu' favorevole al reo":
 soltanto nel caso d'impossibilita' d'applicazione, alla specie, della
 nuova  disciplina,  le  sollevate  questioni  diverrebbero,  infatti,
 rilevanti.
 Mancando  idonea  motivazione  sulla rilevanza, le dette questioni
 vanno dichiarate inammissibili.
    11.  -  Attenta  considerazione  merita  l'ordinanza  emessa il 14
 ottobre 1985 dal Pretore di Roma (Reg. ord.  n. 888/85) con la  quale
 viene proposta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38,
 quinto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 nella parte in  cui
 non  comprende  tra  i  soggetti  legittimati  a  presentare  domanda
 d'oblazione i concorrenti nel reato di cui all'art. 17 della legge 28
 gennaio 1977, n. 10: e cio' in riferimento all'art. 3 Cost.
 Va, intanto, osservato che durante i lavori preparatori della legge
 n. 47 del 1985 era stata prevista, oltre all'estinzione dei reati  di
 cui  dall'art.  17  della legge n. 10 del 1977, anche quella dei c.d.
 reati connessi: e fra questi veniva individuato quello d'omissione di
 atti d'ufficio ( ex art. 328 c.p.) anche contestato agli imputati nel
 procedimento a  quo.  Nel  testo  definitivo  della  legge  in  esame
 l'estensione del beneficio non compare: deve ritenersi, pertanto, che
 non possano beneficiare dell'estinzione,  di  cui  alle  disposizioni
 impugnate,  gli amministratori-pubblici ufficiali (sindaci, assessori
 ecc.) imputati del delitto di cui all'art. 328 c.p.
 Resta   da   stabilire   se   gli  stessi  amministratori  debbano
 rispondere, come qualsiasi altro concorrente, anche dei reati di  cui
 all'art.  17  lettera  b),  della  legge  28  gennaio 1977, n. 10. Il
 Pretore di Roma, infatti, lamenta che nella legge n. 47 del 1985  sia
 stata  esclusa  la  facolta'  di  oblazione  ai concorrenti nei reati
 edilizi oblabili da parte dei soggetti di cui agli artt. 38, quinto e
 sesto comma, della stessa legge.
 Va,  a  questo proposito, rilevato che la legge in esame, all'art.
 31 terzo comma, prevede che  alla  richiesta  di  sanatoria  ed  agli
 adempimenti   relativi   puo'   provvedere   (anche)  ogni  "soggetto
 interessato al conseguimento della sanatoria" in discussione. Da cio'
 discende  che, qualora i concorrenti (diversi da quelli espressamente
 abilitati dalle disposizioni impugnate a chiedere l'autorizzazione  o
 concessione  in sanatoria) nei reati edilizi risultino, nell'indagine
 processuale (che compete, pertanto, al giudice a quo) interessati  al
 rilascio   della   predetta  sanatoria,  ben  possono  richiederla  e
 conseguentemente porre in essere le condizioni idonee ad estinguere i
 reati edilizi.
 Il  legislatore del 1985 non prevede, invece, che possa estendersi
 il  beneficio  "penale"  anche  a  coloro  che  non  solo  non  siano
 soggettivamente  "qualificati",  nella  commissione dei reati edilizi
 "propri",  ma  non  abbiano  neppure  interesse  al  rilascio   della
 sanatoria  in  discussione.  Non  va, peraltro, dimenticato, a questo
 proposito, che scopo precipuo della legge  n.  47  del  1985  non  e'
 quello  di  concedere  "clemenze"  ma di stimolare le "denunce" degli
 illeciti edilizi,  soprattutto  ai  fini  d'una  completa  conoscenza
 dell'assetto edilizio del territorio e del riordino del medesimo.
 Al  giudice  a  quo  resta,  dunque,  affidata  l'indagine  tesa a
 chiarire se i pubblici ufficiali imputati abbiano o meno interesse ad
 ottenere la sanatoria prevista dalle disposizioni impugnate, ai sensi
 dell'art. 31, terzo comma, della legge in discussione.
 Tutto  quanto sopra osservato vale ove lo stesso giudice a quo non
 ritenga, per il principio di sussidiarieta', che il reato edilizio di
 cui all'art. 17 lettera b) del 28 gennaio 1977, n. 10 venga assorbito
 dal delitto di cui all'art. 328 c.p.
 La  questione  di costituzionalita', sollevata dal Pretore di Roma
 con la precitata ordinanza, va, pertanto, dichiarata non fondata.
    12. - Con ordinanza emessa il 10 aprile 1986 (Reg. ord. n. 519/86)
 il  Tribunale  di   Spoleto   solleva   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  31,  34, 38 della legge n. 47 del 1985,
 nella parte in cui  non  prevedono  l'estinzione  dei  reati  edilizi
 (mediante   oblazione)  a  favore  dei  titolari  di  concessione  di
 sanatoria di opere edilizie rilasciata prima dell'entrata  in  vigore
 della legge n. 47 del 1985.
 Va,  a questo proposito, corretta l'interpretazione che il giudice
 a quo offre degli articoli impugnati. E' ben vero,  infatti,  che  la
 legge  n.  47  del  1985  tende  a  "sanare"  le  opere  abusivamente
 realizzate ma e' anche vero che all'art. 39, la stessa legge  prevede
 che   l'oblazione,   qualora  le  opere  non  possano  conseguire  la
 sanatoria,  estingue,  comunque,   i   reati   contravvenzionali   in
 discussione. Or e' certamente vero che il citato art. 39 si riferisce
 "intenzionalmente" alle ipotesi d'insanabilita' delle  opere  abusive
 (cfr.  artt.  32,  33  della stessa legge n. 47). Tuttavia, avendo il
 precitato art. 39 inserito nella legge il principio per il quale, pur
 nell'impossibilita'   attuale   della   concessione  della  sanatoria
 amministrativa, i reati  indicati  dall'art.  38  possono  ugualmente
 estinguersi,  a tal principio ci si puo' riferire anche per l'ipotesi
 di cui al procedimento a quo, nella quale a fortiori la sanatoria  e'
 stata  gia'  concessa  prima dell'entrata in vigore della legge n. 47
 del  1985.  E  l'interpretazione  qui  proposta  e'   senz'altro   da
 preferirsi  giacche',  fra  l'altro,  rende  il dettato desunto dalle
 norme impugnate conforme a Costituzione.
 La  questione  sollevata  dal  Tribunale  di Spoleto con la citata
 ordinanza va dichiarata, pertanto, non fondata ai  sensi  di  cui  in
 motivazione.
    13.  -  Con  ordinanza  emessa  il  28  ottobre 1986 (Reg. ord. n.
 824/86)  dal  Pretore  di  Bergamo  viene  proposta,  in  riferimento
 all'art.  3  Cost.,  questione  di  legittimita' costituzionale degli
 artt. 35, 38, 43 della legge 28 febbraio  1985,  n.  47  e  dell'art.
 8-quater  D.L.  23  aprile  1985,  n.  146, introdotta dalla legge di
 conversione 21 giugno 1985, n. 298. Il Pretore di  Bergamo,  premesso
 che  la  domanda  in  sanatoria  ai sensi dell'art. 31 della legge 28
 febbraio 1985, n. 47 presuppone la  persistenza  dell'opera  abusiva,
 essendo  la  stessa legge finalizzata a legittimare "a posteriori" la
 conservazione delle opere illegittimamente realizzate, ritiene che la
 demolizione  dell'opera  abusiva  precluda al responsabile dell'abuso
 edilizio  di  presentare  domanda  di  sanatoria  e,   pertanto,   di
 beneficiare  della  declaratoria  d'estinzione  del reato edilizio. E
 cio', a parere del giudice a quo, non soltanto e' in contrasto con il
 principio di "eguaglianza" di cui all'art. 3 Cost. ma sostanzialmente
 premia  coloro  che,  a  causa  dell'inerzia  delle   amministrazioni
 comunali, conservano l'opera abusiva, a danno di coloro che se la son
 vista demolire: tanto piu' quando la demolizione sia stata effettuata
 in  pendenza  dei  termini  per  la  presentazione  della  domanda di
 sanatoria e cioe' entro il 31 dicembre 1986.
 Questa  interpretazione  delle  norme  impugnate  non  puo' essere
 condivisa. Indubbiamente, l'ammontare dell'oblazione e' correlato  al
 tipo  ed  epoca  della  costruzione  abusiva;  la  concessione  della
 sanatoria ed il contributo di concessione attengono alla  costruzione
 realizzata  e,  di  regola,  ancora  esistente:  cio',  peraltro, non
 esclude che possa estinguersi il reato edilizio anche  a  demolizione
 avvenuta.
 Va  tenuto  presente  che,  per il disposto dell'art. 8-quater del
 D.L. 23 aprile 1985, n. 146, introdotto dalla legge di conversione 21
 giugno 1985, n. 298, coloro che hanno demolito le opere abusive prima
 del  6  luglio  1985  non  sono  perseguibili  ne'   penalmente   ne'
 amministrativamente:   e   non   sembra   rilevante,   in   relazione
 all'articolo  da  ultimo  citato,  la  distinzione  tra   demolizione
 spontanea   e   demolizione  avvenuta  per  ordine  della  competente
 autorita'. Or, tuttavia, soltanto nell'ipotesi  che  l'opera  abusiva
 sia  stata  costruita  entro  il 1› ottobre 1983 e demolita dopo il 6
 luglio 1985 puo' sussistere interesse a richiedere,  almeno  ai  fini
 dell'estinzione  dei  reati  edilizi, la sanatoria di cui all'art. 31
 della legge n. 47 del 1985. E cio',  a  seguito  dell'interpretazione
 innanzi   offerta   (preferibile,   almeno   in   quanto  conforme  a
 Costituzione, a quella offerta dal Pretore di Bergamo) deve ritenersi
 consentito.
 Poiche',  ove  l'opera  abusiva (non importa se realizzata prima o
 dopo il 1› ottobre 1983) sia stata demolita prima del 6 luglio  1985,
 vigendo  il  disposto  dell'art. 8-quater del D.L. 23 aprile 1985, n.
 146, non  e'  davvero  ipotizzabile  un  interesse  a  richiedere  la
 sanatoria,  ex  art.  31  della  legge  n.  47  del 1985, di un'opera
 demolita (essendo esclusa ogni perseguibilita' penale e  non  penale)
 restano  "scoperte"  le  situazioni  nelle quali le opere, realizzate
 dopo il 1› ottobre 1983, siano state demolite dopo il 6 luglio  1985;
 in queste situazioni, infatti, essendo le costruzioni realizzate dopo
 il 1› ottobre 1983, non e' applicabile l'art. 31 della  legge  n.  47
 del  1985  ed essendo state le stesse demolite dopo il 6 luglio 1985,
 non e' invocabile l'art. 8-quater del D.L. 23 aprile 1985, n. 146.  A
 parere della Corte, a queste ultime situazioni, esistendone tutti gli
 altri presupposti, e' applicabile il capo I della  legge  n.  47  del
 1985.
    La  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 35, 38 e
 43 della legge 28 febbraio 1985, n.  47,  sollevata  dal  Pretore  di
 Bergamo  con  la  precitata  ordinanza  va,  pertanto, dichiarata non
 fondata ai sensi di cui in motivazione: e del pari non  fondata,  nei
 sensi   di   cui  in  motivazione,  va  dichiarata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'articolo 8-quater del D.L. 23 aprile
 1985, n. 146, introdotto dalla legge di conversione 21 giugno 1985 n.
 298, sollevata dal  Pretore  di  Bergamo  con  la  stessa  ordinanza,
 giacche',  per  le  opere  demolite dopo il 6 luglio 1985, valgono le
 disposizioni della legge n. 47 del 1985.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara    inammissibili    le    questioni   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 38, primo e terzo comma e 44  della  legge
 28  febbraio  1985, n. 47 sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost.,
 dal Pretore di Palmi con ordinanze emesse il 20 marzo 1985 (Reg. ord.
 n. 567/1985) ed il 17 maggio 1985 (Reg. ord. n. 565/1985);
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 31,  34,  35,  38  e  44  della  legge  28
 febbraio  1985, n. 47 sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal
 Tribunale di Lucera con ordinanza emessa il 2 luglio 1985 (Reg.  ord.
 694/1985)  e  dal  Pretore  di  Trentola  con  ordinanza emessa il 30
 ottobre 1986 (Reg. ord. n. 843/1986);
      dichiara  non  fondata,  ai  sensi  di  cui  in  motivazione, la
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 31, 34, 38 della
 legge  28  febbraio  1985, n. 47 sollevata, in riferimento all'art. 3
 Cost., dal Tribunale di Spoleto con ordinanza  emessa  il  10  aprile
 1986 (Reg. ord. n. 519/1986);
      dichiara  non  fondata,  ai  sensi  di  cui  in  motivazione, la
 questione di legittimita' costituzionale  degli  artt.  35,  38,  43,
 della  legge  28  febbraio  1985, n. 47 e 8-quater del D.L. 23 aprile
 1985, n. 146, introdotto dalla legge di conversione 21  giugno  1985,
 n.  298  sollevata,  in  riferimento  all'art. 3 Cost. dal Pretore di
 Bergamo con ordinanza  emessa  il  28  ottobre  1986  (Reg.  ord.  n.
 824/1986);
      dichiara  non  fondate  le  questioni di costituzionalita' degli
 artt. 31, 35, 38, 39 e  44  della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47
 sollevate,  in  riferimento  agli  artt. 3, 25, primo comma, 79, 101,
 secondo comma, Cost., dal Pretore di Pietrasanta con ordinanza emessa
 il 18 marzo 1985 (Reg. ord. n. 329/1985);
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 38, primo comma,  della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47
 sollevata,  in  riferimento  all'art. 3 Cost., dal Pretore di Bagnara
 Calabra con  ordinanza  emessa  il  17  aprile  1986  (Reg.  ord.  n.
 433/1986);
      dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 31, 35, 38 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 sollevate,
 in  riferimento  agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, e 79
 Cost., dal Pretore di Male' con ordinanze emesse il  15  maggio  1985
 (Reg. ord. n. 585/1985 e 586/1985);
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 38, primo comma e 44 della legge 28 febbraio  1985,  n.  47
 sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., dal Pretore
 di Vittoria con ordinanza emessa  l'8  ottobre  1986  (Reg.  ord.  n.
 842/1986);
      dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 38, quinto comma, della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47
 sollevata,  in  riferimento all'art. 3 Cost., dal Pretore di Roma con
 ordinanza emessa il 14 ottobre 1985 (Reg. ord. n. 888/1985).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: DELL'ANDRO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 31 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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