N. 383 ORDINANZA 23 - 31 marzo 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali Debitore
 fallito o sottoposto a liquidazione coatta - Esecuzione  esattoriale
 nei suoi confronti - Devoluzione allo Stato dell'immobile espropriato
 - Manifesta infondatezza.  (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt.
 87 e 51).  (Cost., artt. 3, 24, 97 e 113)
(GU n.15 del 13-4-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 51 e 87 del
 d.P.R. 29 settembre 1973,  n.  602  (Disposizioni  sulla  riscossione
 delle  imposte  sul  reddito),  promosso  con  ordinanza  emessa il 9
 dicembre 1981 dal  Pretore  di  Stradella,  iscritta  al  n.  55  del
 registro  ordinanze  1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 143 dell'anno 1982;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice
 relatore Francesco Saja;
    Ritenuto   che  nella  procedura  esecutiva  esattoriale  promossa
 dall'Esattoria delle imposte dirette di Barbaniello nei confronti del
 fallito  Lucio  Costa,  al  Pretore di Stradella veniva richiesto, da
 parte  dell'esattore,  di  provvedere  alla  devoluzione  allo  Stato
 dell'immobile  oggetto  dell'esecuzione, a seguito di due incanti con
 esito negativo e della mancata autorizzazione del  terzo  incanto  da
 parte dell'Intendente di finanza di Pavia;
      che  detto  Pretore  ha sollevato, su istanza dell'interveniente
 fallimento "Lucio Costa", questione di  legittimita'  costituzionale,
 in  relazione  agli  artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., degli artt. 87 e 51
 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 nella parte in  cui,  attribuendo
 all'esattore il potere di procedere all' espropriazione forzata anche
 quando il debitore sia dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione
 coatta  amministrativa, consentono che la procedura esattoriale possa
 concludersi con la devoluzione del  bene  allo  Stato  per  il  minor
 prezzo  tra quello dell'incanto e l'ammontare dell'imposta per cui ha
 avuto luogo l'esecuzione;
      che,  secondo  il  giudice  rimettente,  le  norme  denunciate -
 prevedendo che la procedura esattoriale posta in essere nei confronti
 di  un  debitore fallito si concluda con la devoluzione dell'immobile
 esecutato allo Stato per il minor prezzo tra il valore di stima ed il
 credito  dell'esattore  nelle  ipotesi  in  cui, dopo due incanti con
 esito negativo, non venga autorizzato dall'Intendente di  finanza  il
 terzo incanto o tale incanto sia autorizzato ma abbia anch'esso esito
 negativo  -  negherebbero  "ai  creditori  od  al   fallimento   ogni
 possibilita'  di  concreta  tutela  in  ordine  al  realizzo dei loro
 crediti"; e cio' in contrasto con l'art. 24  Cost.  sia  perche'  gli
 organi della procedura concorsuale non possono opporsi alla procedura
 esattoriale, sia perche' la decisione dell'Intendente di  finanza  di
 negare  il  terzo  incanto  e' atto discrezionale, sia infine perche'
 l'esito  negativo   di   un   eventuale   terzo   incanto   determina
 automaticamente la devoluzione;
      che  inoltre - sempre ad avviso del giudice a quo - la normativa
 impugnata violerebbe il principio di eguaglianza sancito dall'art.  3
 Cost., trasformando la facolta' dell'esattore di agire esecutivamente
 sui beni del fallito in un privilegio sostanziale ed in  particolare,
 come  nel  caso  di  specie,  sottraendo  il  bene  ad  un  creditore
 ipotecario il cui credito e'  di  grado  poziore  rispetto  a  quello
 vantato dall'erario, e ad esso superiore;
      che,  infine, per il giudice rimettente, l'art. 87 del d.P.R. n.
 602  del  1973  non  sarebbe  conforme  ai  principi   costituzionali
 enunciati  negli  artt. 97 e 113 Cost. giacche', da un lato, la norma
 suddetta detterebbe una disciplina arbitraria della  attivita'  della
 pubblica  amministrazione nel momento in cui lascia la determinazione
 del prezzo della devoluzione del bene in capo allo Stato "al  caso  e
 cioe'  all'ammontare  del  credito fiscale che puo' essere superiore,
 pari o  inferiore  al  valore  del  bene  devoluto  o  addirittura...
 irrisorio"  e, dall'altro lato, non prevederebbe alcun rimedio contro
 siffatto  arbitrio  "essendo  certo  che  il  potere  della  pubblica
 amministrazione   di   negare   il  terzo  incanto  e'  completamente
 discrezionale";
      che  e'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri
 argomentando e concludendo  per  l'inammissibilita'  e  comunque  per
 l'infondatezza della questione proposta;
      che   la   tesi  della  Presidenza,  secondo  cui  la  questione
 prospettata sarebbe inammissibile per manifesta irrilevanza, si fonda
 sull'asserita   inapplicabilita'   della   normativa  denunciata  nel
 giudizio  a  quo,  inapplicabilita'  derivante  dal  fatto   che   il
 trasferimento  forzoso  allo Stato del bene esecutato si verifica ope
 legis  e  non  puo'  percio'  costituire  oggetto  di  una  pronuncia
 costitutiva o anche solo dichiarativa ad opera del pretore rimettente
 il quale - ad avviso dell'interveniente Presidenza - deve  limitarsi,
 ai  sensi dell'art. 88 del d.P.R. n. 602 del 1973, a "porre in essere
 i provvedimenti relativi alla distribuzione del prezzo" pagato  dallo
 Stato;
      che   comunque,   secondo   la  Presidenza,  la  questione  deve
 considerarsi infondata non potendo ravvisarsi alcuna violazione degli
 artt.  3,  24,  97  e  113  Cost. nelle norme impugnate le quali sono
 preordinate a fronteggiare le conseguenze  della  invendibilita'  del
 bene  esecutato  e  non  appaiono pregiudizievoli per i creditori del
 fallimento: costoro invero hanno  la  facolta'  di  partecipare  essi
 stessi  agli  incanti al fine di acquistare il bene e possono poi, in
 caso di devoluzione del bene stesso allo Stato, attuare  il  riscatto
 dell'immobile  espropriato  secondo  quanto previsto dall'art. 90 del
 citato d.P.R. n. 602;
    Considerato  che  appare  evidente la rilevanza della questione di
 legittimita' costituzionale in esame, sollevata dal pretore in quanto
 dalla sua risoluzione dipende l'attribuzione di un bene della vita al
 soggetto interessato;
      che,  per  quanto  attiene  al merito della questione stessa, si
 deve osservare  che  l'eventuale  mancata  realizzazione  dei  propri
 crediti  da  parte  dei  creditori  del fallito non e' causata - come
 afferma l'ordinanza di rinvio -  dalle  disposizioni  impugnate,  che
 prevedono  la  devoluzione  allo  Stato  dell'immobile  pignorato, ma
 rappresenta invece la conseguenza  dell'oggettiva  impossibilita'  di
 vendere  il  bene  esecutato,  impossibilita'  dimostrata  dall'esito
 negativo di piu' incanti caratterizzati  da  ribassi  particolarmente
 elevati;
      che  comunque i creditori possono - ove lo ritengano conveniente
 - partecipare agli incanti allo scopo di acquistare  il  bene  oppure
 hanno facolta' di pagare l'ammontare dell'imposta dovuta dal debitore
 determinando cosi' l'estinzione del  procedimento  di  espropriazione
 secondo quanto previsto dall'art. 49 del d.P.R. n. 602 del 1973;
      che,  inoltre, nel caso di devoluzione dell'immobile espropriato
 allo Stato, l'art. 90 del d.P.R. citato consente - a tutela di  tutti
 i  creditori  -  il  riscatto  dell'immobile espropriato, mediante il
 versamento del prezzo della devoluzione, da parte di  chi  ha  subito
 l'espropriazione  nonche'  dei  creditori  ipotecari  e dei creditori
 chirografari intervenuti, stabilendo che "per effetto del riscatto da
 chiunque  esercitato il bene ritorna all'espropriato nella situazione
 di diritto in cui si trovava anteriormente al  pignoramento  e  colui
 che  ha  esercitato  il  riscatto  subentra  nei  diritti e privilegi
 spettanti allo Stato sull'immobile fino  a  concorrenza  della  somma
 pagata" (art. 90, quinto comma);
      che  i  diritti  ora  menzionati possono essere fatti valere, in
 costanza di fallimento, anche dagli organi  preposti  alla  procedura
 concorsuale;
      che   inoltre  la  normativa  denunciata,  nella  parte  in  cui
 attribuisce all'Intendente di finanza la facolta' di non  autorizzare
 un terzo incanto (che sarebbe destinato a svolgersi con un ribasso di
 due terzi sul prezzo base  determinato  ai  sensi  dell'art.  84  del
 d.P.R.  citato)  non  e' diretta a far acquistare allo Stato indebiti
 vantaggi a discapito degli  altri  creditori  -  ai  quali  resta  la
 possibilita'  del  riscatto del bene - ma mira solo ad evitare che lo
 Stato, nella sua veste di  acquirente  necessario  dell'immobile  non
 venduto, abbia a subire troppi gravi pregiudizi;
      che,  esaminata  in  questo complessivo contesto, la norma sulla
 devoluzione allo Stato dell'immobile espropriato oggetto  di  incanti
 infruttuosi  non  e' da considerare lesiva dell'art. 24 Cost. ed anzi
 assolve alla funzione, positiva per i creditori, di garantire che sia
 comunque  individuato  e  versato  un  prezzo  per  il bene risultato
 "invendibile";
      che le disposizioni censurate non violano neppure l'art. 3 Cost.
 in quanto esse regolano esclusivamente i rapporti tra lo Stato e  gli
 altri creditori dell'esecutato e non conferiscono all'esattore alcuna
 posizione di ingiustificato privilegio in ordine  alla  distribuzione
 del prezzo di devoluzione;
      che  del  tutto  inconferente  appare  la censura prospettata in
 riferimento  all'art.  97   Cost.,   dal   momento   che   la   norma
 costituzionale  invocata ha riguardo alla materia dell'organizzazione
 dei pubblici uffici, sia pure  intesa  in  senso  lato,  e  non  puo'
 pertanto   essere   assunta   a   parametro   di  legittimita'  delle
 disposizioni processuali qui denunciate;
      che  non sussiste infine contrasto della normativa censurata con
 l'art. 113  Cost.,  atteso  che,  da  un  lato,  non  e'  esclusa  la
 possibilita'  di  impugnare  dinanzi al giudice amministrativo l'atto
 con il quale l'Intendente di finanza nega l'autorizzazione  al  terzo
 incanto  e,  dall'altro,  la  facolta'  di esercitare, con domanda al
 pretore, il diritto  di  riscatto  dell'immobile  devoluto  offre  ai
 creditori una incisiva forma di tutela nei confronti di comportamenti
 dell'Amministrazione  finanziaria  ritenuti  lesivi   delle   proprie
 posizioni giuridiche soggettive;
      che  per  le suesposte ragioni la questione sottoposta all'esame
 di questa Corte va dichiarata manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme
 integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 87 e 51 del d.P.R. 29 settembre  1973,  n.
 602  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24, 97 e 113 della
 Costituzione, dal Pretore di Stradella con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1988.
                    Il Presidente e redattore: SAJA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 31 marzo 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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