N. 386 ORDINANZA 23 - 31 marzo 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sequestro conservativo, giudiziale e convenzionale - Sequestro fuori d'udienza - Esecuzione - Termine - Decorrenza dalla pronuncia del provvedimento - Manifesta infondatezza. (Cod. proc. civ., art. 675). (Cost., artt. 3 e 24)(GU n.15 del 13-4-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 675 del codice di procedura civile (Termine d'efficacia del provvedimento), promosso con ordinanza emessa il 1 ottobre 1982 dal Tribunale di Palermo, iscritta al n. 905 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 149 dell'anno 1983; Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice relatore Francesco Saja; Ritenuto che, nel corso del procedimento promosso da Concetta Tuzzolino, vedova di Angelo Rizzo, deceduto senza testamento, in proprio e quale esercente la potesta' sul figlio minore, contro Pietro e Giovanni Rizzo per ottenere la condanna dei convenuti alla restituzione di beni da essi posseduti senza titolo e di proprieta' del defunto Angelo Rizzo, il Tribunale di Palermo sospendeva di pronunciarsi sulla convalida del sequestro giudiziario dei beni immobili oggetto della controversia, disposto dal giudice istruttore con provvedimento emesso fuori udienza il 7 dicembre 1981 ed eseguito oltre il termine di trenta giorni dalla sua pronuncia, ed ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 675 c.p.c., nella parte in cui non prevede che, in caso di sequestro emesso fuori d'udienza, il termine di trenta giorni per la sua esecuzione, stabilito dalla stessa norma a pena di inefficacia, decorra dalla comunicazione del provvedimento alla parte invece che dalla pronuncia del provvedimento; che ad avviso del giudice a quo la norma impugnata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che il termine di trenta giorni per l'esecuzione del sequestro decorre appunto dalla emissione del provvedimento, anche se avvenuta fuori udienza, e non dalla sua comunicazione alla parte interessata - potrebbe determinare, da un lato, una ingiustificata disparita' di trattamento tra i soggetti interessati all'esecuzione di un sequestro a seconda che il relativo provvedimento sia pronunciato in udienza o fuori udienza e, dall'altro lato, discriminerebbe arbitrariamente "le parti in relazione al fatto del tutto casuale della maggiore o minore tempestivita' della notifica dell'avviso di cancelleria"; Considerato che, nell'istituire un termine di efficacia di trenta giorni del provvedimento di sequestro, alla cui scadenza cessa l'autorizzazione ad eseguire il sequestro stesso, il legislatore ha giustamente posto, a carico della parte interessata alla misura cautelare, un preciso onere di diligenza strettamente connesso con la natura di detta misura, che esige una rapida esecuzione; che l'adempimento di tale onere di diligenza implica preliminarmente, per un evidente nesso logico, che il sequestrante - nella ipotesi in cui il provvedimento venga emesso fuori dell'udienza - segua lo svolgimento della procedura da lui messa in moto e venga cosi' a conoscenza dell'avvenuto deposito del provvedimento richiesto; che la previsione di un attivo impegno della parte istante nell'informarsi sull'esito del procedimento da essa promosso non puo' certo considerarsi intrinsecamente irrazionale perche' intimamente connesso alla sua richiesta, sicche' non e' configurabile alcuna violazione del diritto di difesa; che per le suesposte ragioni la norma impugnata non e' contrastante con gli artt. 3 e 24 Cost. e la questione sollevata dal Tribunale di Palermo va dichiarata manifestamente infondata; Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 675 c.p.c. sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale di Palermo con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1988. Il Presidente e redattore: SAJA Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 31 marzo 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C0512