N. 475 SENTENZA 20 - 27 aprile 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  Igiene
 del lavoro - Rumori negli ambienti di lavoro - Limiti massimi di
 tollerabilita' - Omessa previsione - Non fondatezza.  (D.P.R. 19
 marzo 1956, n. 303, art. 24).  (Cost., artt. 3, 25, 70 e 101)
(GU n.18 del 4-5-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.24 del D.P.R. 19
 marzo 1956, n.303 (Norme generali per l'igiene del lavoro),  promossi
 con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 29 aprile 1980 dal Tribunale di Siena nel
 procedimento penale a carico di Verdiani Bruno, iscritta  al  n.  448
 del  registro  ordinanze  1980  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 228 dell'anno 1980;
      2)  ordinanza emessa l'11 luglio 1980 dal Pretore di Pistoia nel
 procedimento penale a carico di Imbarrato Rino Bruno, iscritta al  n.
 648 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 304 dell'anno 1980;
      3)  ordinanza emessa il 18 giugno 1981 dal Pretore di Desio, nel
 procedimento penale a carico di Cassina Franco, iscritta  al  n.  608
 del  registro  ordinanze  1981  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 5 dell'anno 1982;
      4)  ordinanza  emessa il 30 giugno 1984 dal Pretore di Nola, nel
 procedimento penale a carico di De Falco Antonio, iscritta al n. 1212
 del  registro  ordinanze  1984  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 65- bis dell'anno 1985;
    Visto  l'atto  di costituzione di Verdiani Bruno, nonche' gli atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  febbraio  1988  il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
    Uditi  l'avvocato  Aldo  Aranguren per Verdiani Bruno e l'Avvocato
 dello Stato Stefano Onufrio  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Siena,  con ordinanza 29 aprile 1980, il
 Pretore di Pistoia, con ordinanza  11  luglio  1980,  Il  Pretore  di
 Desio,  con  ordinanza  18  giugno  1981,  e  il  Pretore di Nola con
 ordinanza 30  giugno  1984,  sollevavano  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  24  d.P.R.  19  marzo  1956,  n.  303,  in
 riferimento agli art.li 3, 25 e 70 Cost.: salvo il  Pretore  di  Nola
 che,  anziche'  al parametro di cui all'art. 70, faceva riferimento a
 quello di cui all'art. 101 Cost.
    Si trattava di procedimenti penali contro imprenditori industriali
 imputati del delitto di lesioni colpose, aggravate dalla  circostanza
 di  cui al secondo inciso del terzo comma dell'art. 590 cod. pen, che
 rispondevano  appunto  di  colpa   specifica,   in   relazione   alla
 contravvenzione  di  cui  all'art.  24 impugnato, punita dall'art. 58
 lett. b) dello stesso decreto presidenziale: e  cio'  per  non  avere
 adottato  -  come  prescrive  l'art.  24  impugnato - i provvedimenti
 consigliati  dalla  tecnica  per  diminuire  l'intensita'  di  rumori
 dannosi  prodotti  dalle  lavorazioni,  cosi'  cagionando  ad  alcuni
 lavoratori fenomeni patologici di ipoacusia.
    Riferendosi  sostanzialmente all'ordinanza del Tribunale di Siena,
 i giudici rimettenti lamentavano la carenza nell'ordinamento di norme
 che  stabiliscano i limiti massimi di tollerabilita' dei rumori negli
 ambienti di lavoro. Carenza  dovuta  all'omissione  del  legislatore,
 nonostante  che  la  l.  23  dicembre  1978  n.  833 (Istituzione del
 Servizio sanitario) nell'ultima parte dell'art. 4 avesse delegato  il
 Presidente  del Consiglio a fissare, fra l'altro, i limiti massimi di
 accettabilita'  delle  emissioni  sonore  negli  ambienti  di  lavoro
 sottoponendoli   a   periodica  revisione:  e  quantunque  l'art.  24
 successivo estendesse la delega al Governo  per  l'emanazione  di  un
 T.U. in materia di sicurezza del lavoro.
    Cio'  dato,  sostengono  le  ordinanze  che  non  puo'  il giudice
 supplire  alla  detta  omissione  del  legislatore,  arbitrandosi  di
 stabilire  egli stesso quei limiti, senza violare l'art. 70 Cost. che
 riserva alle due Camere la funzione legislativa.
    Singolarmente  -  come  si e' detto - il Pretore di Nola riferisce
 invece questa asserita violazione all'art. 101 Cost.
    D'altra parte, l'art. 24 impugnato, nella sua estrema genericita',
 violerebbe il principio di legalita', anche sotto  il  profilo  della
 determinatezza  (art.  25, secondo co., Cost.) in quanto gl'imputati,
 non conoscendo i limiti di  accettabilita',  non  sono  in  grado  di
 adeguare la loro condotta alla volonta' della legge.
    Cio',  d'altra parte, violerebbe anche il principio d'uguaglianza,
 in quanto i giudicabili verrebbero a trovarsi cosi' in una  posizione
 deteriore   rispetto   a  coloro  che,  invece,  possono  esattamente
 conoscere la chiara e precisa volonta' delle disposizioni  normative.
    Per  il  Pretore  di  Nola, anzi, la disuguaglianza ingiustificata
 sarebbe rappresentata dal fatto che,  in  questo  caso,  s'imporrebbe
 all'imprenditore una vera e propria "fatica di Sisifo" per garantirsi
 l'osservanza  del  precetto  penale,  in  quanto  sarebbe   costretto
 costantemente  a  inseguire  il limite determinato dall'aggiornamento
 tecnologico.
    2.  - Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
    Nel  giudizio  concernente la questione sollevata dal Tribunale di
 Siena si e' costituito innanzi a  questa  Corte  l'industriale  Bruno
 Verdiani,  rappresentato  e  difeso  dal  prof.  avv.  Aldo Aranguren
 dell'Universita' di Firenze.  Nello  stesso  giudizio,  ma  anche  in
 quelli  relativi  alle questioni proposte dai Pretori di Pistoia e di
 Nola, e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato.
    3.  -  La  difesa  del  Verdiani,  che per prima aveva eccepito la
 questione fatta propria dal Tribunale di  Siena,  ne  ha  ribadito  e
 sviluppato  gli  argomenti nella memoria di costituzione, fra l'altro
 sostenendo che l'art.  24  impugnato  avrebbe  natura  di  "norma  in
 bianco",  che  soltanto il legislatore ormai potrebbe colmare data la
 riserva espressa nell'art. 4, secondo co., della l. n. 833 del  1978.
 Chiedeva, percio', la declaratoria d'illegittimita' costituzionale.
    4.  -  Di diverso avviso l'Avvocatura Generale dello Stato secondo
 cui il precetto di cui all'art. 24 impugnato  non  e'  ne'  vago  ne'
 indeterminato,   essendovi  un  preciso  riferimento  ad  una  soglia
 rappresentata  dal  danno  alla  salute  degli   operai   addetti   a
 lavorazioni  rumorose.  Quanto  poi  ai  valori  di questa soglia, il
 giudice deve rivolgersi a quelli elaborati  da  organismi  tecnici  e
 scientifici  in  relazione  alla osservazione statistica dei soggetti
 addetti a quelle lavorazioni.
    Non  solo  all'estero,  ma anche in Italia esiste in proposito una
 vasta letteratura proveniente dal C.N.R., dai  laboratori  di  igiene
 industriale  delle  Cliniche  del  lavoro  delle Universita', e dalla
 Societa' italiana di Audiologia e Foniatria: organismi che, peraltro,
 tengono  anche conto di esperienze internazionali, che hanno indicato
 un limite massimo accettabile (85 dBa) per esposizione non  superiore
 ad otto ore giornaliere.
    D'altra  parte,  non  e'  questo certo il solo caso in cui - anche
 secondo l'interpetrazione che questa Corte ha dato dell'art. 25 Cost.
 -  il  giudice  svolge  e  rende concreto il contenuto di riferimenti
 normativi a nozioni proprie dell'esperienza comune e  della  tecnica.
 Ne'  si  tratta  - come si e' sostenuto dalle ordinanze - di assoluta
 discrezionalita', ma di prudente apprezzamento da parte  del  giudice
 di merito che, tenuto conto dell'omissione dei possibili accorgimenti
 suggeriti dalla tecnica per riportare il rumore  al  di  sotto  della
 soglia dannosa, stabilira' - secondo i comuni canoni interpetrativi -
 se sussista nesso causale tra i  fenomeni  patologici  riscontrati  e
 quelle omissioni.
    Che  poi il legislatore si sia preoccupato di delegare l'Esecutivo
 a  garentire  ai  lavoratori  criteri  di  piu'  sicuro  e   generale
 affidamento,  elaborando  e aggiornando tabelle di dati relativi alle
 dette soglie, cio' non esclude che  frattanto  la  norma  continui  a
 dispiegare  i  suoi  effetti  attraverso la ordinaria interpetrazione
 giudiziaria, senza alcuna interferenza tra i poteri.
                         Considerato in diritto
    1.  - Si sostiene da parte dei giudici rimettenti l'impossibilita'
 per l'interprete di dare un concreto contenuto alla norma  impugnata,
 e  quindi  per  il  cittadino  di  desumerne  una  precisa  regola di
 condotta, in quanto "non sussistono nell'ordinamento giuridico  norme
 che  fissino  i  limiti  massimi  di tollerabilita' della rumorosita'
 negli ambienti di lavoro".
 E  si  fa  carico  al legislatore di non avervi provveduto ne' con il
 d.P.R. 9 giugno 1975 n. 482, ne' a seguito della l. 23 dicembre  1978
 n.  833  (Istituzione  del  servizio  sanitario nazionale): legge che
 aveva espressamente previsto, al secondo comma dell'art.  4,  che  il
 Presidente  del  Consiglio  (su  proposta del Ministro della Sanita',
 sentito il Consiglio sanitario nazionale) avesse a fissare,  con  suo
 decreto,  i  limiti  massimi delle emissioni sonore negli ambienti di
 lavoro,   abitativi   e   nell'ambiente    esterno,    periodicamente
 sottoponendoli a revisione.
    Da   tale   situazione   si   fanno   derivare  gravi  conseguenze
 d'incompatibilita' costituzionale  sia  per  il  giudice  che  per  i
 cittadini, nella specie imprenditori industriali, imputati di lesioni
 colpose aggravate per avere cagionato ad alcuni  lavoratori  fenomeni
 patologici  di  ipoacusia  a  causa  delle  forti  emissioni rumorose
 nell'ambiente di lavoro. Per quanto attiene alla funzione del giudice
 -   si  dice  -  se  questi  azzardasse  di  supplire  alla  carenza,
 identificando il limite di  tollerabilita'  dei  rumori,  andrebbe  a
 violare  l'art.  70  Cost. (ma per il Pretore di Nola si tratterebbe,
 invece, dell'art. 101), in quanto si arrogherebbe poteri  propri  del
 legislatore.  E  per  quanto  riguarda  il cittadino, l'omissione del
 legislatore frustrerebbe ad un tempo tanto il principio di  legalita'
 quanto quello di uguaglianza. Il primo, perche' la norma impugnata, a
 causa della sua genericita' ed indeterminatezza, non consentirebbe di
 conoscere  quale  sia  l'esatto comportamento imposto dalla legge. Il
 secondo,  perche'  l'imprenditore  interessato  e'  posto  cosi'   in
 posizione  di  svantaggio  a fronte di quanti, invece, in presenza di
 norma chiara e precisa, sono in grado di  rispettare  agevolmente  la
 volonta' della legge.
    La questione non e' fondata.
    2.  -  E'  evidente  che i giudici rimettenti hanno enfatizzato il
 valore di  quegli  interventi  normativi  che  si  sostanziano  nelle
 cosidette "tabelle", fino al punto da affermare impossibile, senza di
 esse, l'esercizio della loro  funzione:  e  cio'  proprio  quando  la
 tendenza  generale  si  va manifestando, invece, in senso decisamente
 contrario.
    La  stessa giurisprudenza di merito, infatti, ha rifiutato in piu'
 occasioni di attenersi a criteri numerici normativamente  prefissati,
 ogniqualvolta  e'  parso  che  questi rappresentassero un limite alla
 liberta' di giudizio, in  riferimento  alla  concreta  realta'  delle
 situazioni sottoposte all'esame del giudice. Ma anche questa Corte ha
 ormai superato l'inderogabilita' delle  tassative  indicazioni  delle
 tabelle   in   materia   di  malattie  professionali,  ammettendo  il
 lavoratore  a  provare  sia  l'esistenza  di   malattie   dovute   ad
 esposizioni  lavorative  diverse  da  quelle  elencate,  sia  la loro
 insorgenza oltre i termini temporali previsti dalle tabelle  (sent.ze
 10-11-1987 n.i 179 e 206). Comunque, e' da escludere, intanto, che il
 legislatore potesse provvedere - come si pretende nelle  ordinanze  -
 mediante  il  d.P.R.  9  giugno 1975 n. 482. Questo decreto, infatti,
 aveva il solo scopo di apportare "modificazioni e  integrazioni  alle
 tabelle  delle  malattie  professionali"  gia'  allegate al d.P.R. 30
 giugno 1965 n. 1124, che aveva approvato il T.U. per  l'assicurazione
 obbligatoria   contro   gl'infortuni   sul   lavoro   e  le  malattie
 professionali.  Come  si  puo'  agevolmente  rilevare  dalle  tabelle
 stesse,  queste  non  fissano limiti di sorta ne' alle esalazioni ne'
 alle emissioni rumorose: e  cio'  perche',  come  le  precedenti  che
 modificano  o  integrano, sono dirette esclusivamente ad identificare
 le fonti di  insorgenza  di  talune  malattie  professionali,  ed  il
 periodo massimo entro cui, dopo la cessazione dal lavoro, le malattie
 contratte  sono   ammesse   al   riconoscimento   per   la   pensione
 d'invalidita'.
    E'  vero, invece, che, istituendo il servizio sanitario nazionale,
 il  legislatore  aveva  demandato  al  Presidente  del  Consiglio  di
 stabilire  i  limiti  massimi  di  accettabilita' (fra l'altro anche)
 delle emissioni sonore negli ambienti di lavoro. L'intento era quello
 - come risulta dal primo comma - "di assicurare condizioni e garenzie
 di salute uniformi per tutto il territorio nazionale".  Cio'  sta  ad
 indicare  che  il  legislatore  era  ben consapevole che il complesso
 normativo, fino a quel momento vigente, gia' assicurava condizioni  e
 garenzie  di  salute  ai  lavoratori  e  ai  cittadini  in genere; si
 preoccupava, pero', di dare ad esse carattere di uniformita'.
    Ma il designato organo dell'esecutivo non se n'e' dato carico.
    3.  -  A seguito di tale omissione le parti private hanno ritenuto
 di ravvisare nell'art. 24 impugnato  una  "norma  penale  in  bianco"
 lacunosa  ed  inapplicabile, in quanto carente della concretizzazione
 del  precetto  da  parte  della  pubblica  amministrazione.   Ma   la
 disposizione  impugnata  non ha per nulla la struttura pretesa. Essa,
 infatti, lungi  dal  demandare  ad  alcun  altro  l'integrazione  del
 comando,  lo  delinea  compiutamente  nell'ambito  stesso della norma
 prescrivendo  all'imprenditore  che  se  le   lavorazioni   producono
 "...rumori  dannosi  ai  lavoratori, devono adottarsi i provvedimenti
 consigliati   dalla    tecnica    per    diminuirne    l'intensita'".
 L'imprenditore,    percio',    e'   perfettamente   consapevole   del
 comportamento che la legge esige ove si verifichi la  dannosita'  dei
 rumori,  perche' il precetto non postula l'intervento di alcuna altra
 autorita'.
    Vero  e',  invece,  che  la  norma  rimanda  ai suggerimenti della
 tecnica, ma e' questa l'ipotesi  dei  cosidetti  "elementi  normativi
 della  fattispecie"  che  si  hanno  ogniqualvolta  il legislatore fa
 riferimento a concetti che hanno la loro fonte o in altre  discipline
 dell'ordinamento  o  in  altri settori dello scibile o addirittura in
 regole che vengono dal  costume  o  dalla  sensibilita'  sociale.  Un
 fenomeno  normativo  non  infrequente,  di  cui  esempi classici sono
 quelli del concetto di "osceno", o quello di "comune  sentimento  del
 pudore".
    Nella   specie,  vengono  evocati  dalla  norma  "i  provvedimenti
 consigliati dalla tecnica": quella tecnica, peraltro, dove il giudice
 attinge  suggerimenti e pareri ogniqualvolta, indipendentemente da un
 rinvio  normativo,  debba  risolvere  nel  processo   questioni   che
 presuppongono  nozioni  tecniche.  E  vi  attinge  sia  direttamente,
 attraverso la sua personale cultura o  ricerca,  sia  indirettamente,
 attraverso l'ausilio del perito.
    Un  procedimento  consueto,  dunque, alla formazione del giudizio,
 che i giudici hanno ben utilizzato  nella  specie  durante  oltre  un
 ventennio,  prima  che il legislatore avesse esperito il tentativo di
 dare a giudici e cittadini un criterio  di  uniformita'.  Ma  non  si
 comprende  perche', in mancanza di tale criterio, dovuta ad omissione
 dell'organo di governo, la norma  non  debba  continuare  a  svolgere
 quell'imperio  che per tanti anni ha potuto regolarmente conseguire i
 suoi effetti.
    E'  ben  vero  che,  durante  il  corso  di  cosi' lungo tempo, e'
 pervenuta alla Corte di Cassazione qualche doglianza come quelle oggi
 sottoposte   all'esame   di   questa   Corte.  Ma  la  Cassazione  ha
 costantemente respinto anche i dubbi di  legittimita'  costituzionale
 adombrati.
    4.  -  Ed,  in  realta', non puo' farsi questione di genericita' e
 indeterminatezza  della  fattispecie   (art.25   Cost.)   quando   il
 legislatore   fa   riferimento   ai   suggerimenti   che  la  scienza
 specialistica puo' dare in un determinato momento  storico.  Ne'  per
 l'imprenditore, ne' per il giudice, puo' rappresentare un problema la
 consultazione della  scienza,  una  volta  che  -  come  ha  indicato
 l'Avvocatura  dello  Stato  - esistono nelle Universita' cliniche del
 lavoro, fornite anche di laboratori di  igiene  industriale,  nonche'
 una  Societa'  italiana  di  audiologia e foniatria e, in definitiva,
 anche una letteratura del Centro nazionale delle ricerche, aggiornata
 alle  esperienze  internazionali.  D'altra  parte,  la  doglianza dei
 giudici rimettenti non tanto s'appunta sui provvedimenti da  assumere
 per  diminuire  l'intensita'  del  rumore,  quanto  sulla mancanza di
 indicazioni circa la soglia di  tollerabilita',  raggiunta  la  quale
 l'imprenditore ha il dovere di adottare i provvedimenti imposti dalla
 norma.
    Ebbene  non  e'  nemmeno  esatto  che  nell'ordinamento non vi sia
 alcuna indicazione in proposito. Al contrario,  il  d.P.R.  5  maggio
 1975   n.   146,   che   disciplina  le  misure  e  le  modalita'  di
 corresponsione delle indennita' di rischio al personale civile e agli
 operai  dello  Stato, enumera le prestazioni di lavoro che comportano
 continua e diretta esposizione "a rischi pregiudizievoli alla  salute
 o  all'integrita'  personale':  e,  fra queste, indica proprio quelle
 prestazioni che impongono l'esposizione  "a  rumori  superiori  a  95
 decibel  in luogo aperto o ad 85 decibel in luogo chiuso". Mentre poi
 giudica pericolose quelle  lavorazioni  "che  comportano  esposizione
 diretta  e  continua  a  rumori  non  inferiori a 80 decibel in luogo
 chiuso". Ce n'e' abbastanza perche' il giudice possa almeno orientare
 il  suo giudizio ed esprimere il suo prudente apprezzamento, sia pure
 con  l'ausilio  di  consulenza  o  perizia;  cosi'  come  ce  n'e'  a
 sufficienza  perche'  l'imprenditore possa interpellare i tecnici per
 adottare ogni accorgimento atto  a  contenere  la  rumorosita'  entro
 limiti innocui, come un'insonorizzazione che attenui la pressione del
 rumore.
    Ed  e'  poi  senza  pregio  il rilievo secondo cui l'imprenditore,
 dovendo  seguire  i  progressi  della  tecnica,   sarebbe   costretto
 costantemente  ad  inseguire il limite determinato dall'aggiornamento
 tecnologico, sottoponendosi ad una vera e propria "fatica di Sisifo".
 Infatti, allo stesso modo dovrebbe comunque comportarsi per inseguire
 quelle  "periodiche  revisioni"  cui  il  Presidente  del   Consiglio
 dovrebbe  sottoporre  i  limiti prefissati, se si desse attuazione al
 tanto invocato art. 4 della legge istitutiva del servizio  sanitario.
 Il  quale  Presidente  del  Consiglio,  peraltro,  non potrebbe certo
 inventare a suo libito ne' i limiti ne' le revisioni,  giacche'  egli
 pure, a sua volta, dovrebbe rivolgersi ai suggerimenti della tecnica.
    Del  resto,  l'adozione  di  misure  idonee  a garentire la salute
 fisica del lavoratore e' materia di specifica obbligazione  a  carico
 dell'imprenditore  (art.  2087  cod.civ.  e  9 Stat. lavoratori), che
 l'art. 24 impugnato concreta nell'adozione di specifici provvedimenti
 idonei  nelle  situazioni  contemplate  dalla norma. Ne' e' possibile
 sfuggire a quegli imperativi adombrando  il  valore  privatistico  di
 quelle  norme  rispetto  ad  un preteso contenuto pubblicistico della
 disposizione impugnata. Infatti, quand'anche cosi' fosse,  l'art.  32
 della  Costituzione  tutela la salute sia come valore individuale sia
 come interesse della collettivita'.
    Alla fine, poi, va ricordato che questa Corte ha gia' avvertito in
 passato (sent. 27 maggio 1961 n. 27; 14 aprile 1980  n.  49)  che  il
 principio  di  legalita'  "non  e'  attuato nella legislazione penale
 seguendo sempre un criterio di rigorosa descrizione del fatto. Spesso
 le  norme penali si limitano ad una descrizione sommaria e all'uso di
 espressioni  meramente  indicative,  realizzando  nel  miglior   modo
 possibile  l'esigenza  di una previsione tipica dei fatti costituenti
 reato".
    La  necessaria  integrazione  della  norma  operata  dal  prudente
 concreto apprezzamento del giudice che utilizza nozioni e concetti di
 comune  esperienza o le indicazioni della tecnica, non comporta certo
 invasione dei poteri riservati al legislatore,  trattandosi  anzi  di
 attivita'  propria  del  processo  interpetrativo,  che del magistero
 giudiziario e' fondamentale espressione.
    E  una  volta chiarito che anche a fronte della norma impugnata la
 conoscibilita' del precetto non e' ne'  diversa  ne'  inferiore  alle
 altre  norme,  anche la pretesa violazione dell'art.3 Cost. mostra la
 sua inconsistenza;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondate  le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 24 del d.P.R. 19 marzo 1956  n.  303  (Norme  generali  per
 l'igiene del lavoro) sollevate, in riferimento agli art.li 3, 25 e 70
 Cost., dal Tribunale di Siena  con  ordinanza  29  aprile  1980,  dal
 Pretore di Pistoia con ordinanza 11 luglio 1980, dal Pretore di Desio
 con ordinanza 18 giugno 1981 e, in riferimento agli art.li  3,  25  e
 101 Cost., dal Pretore di Nola con ordinanza 30 giugno 1984.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 27 aprile 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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