N. 535 SENTENZA 10 - 12 maggio 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Radiocomunicazioni - Programmi televisivi RAI - Mancata ricezione -
 Obbligatorieta' del pagamento del canone comunque dovuto per la sua
 natura tributaria - Inammissibilita'.  (R.D.-L. 21 febbraio 1938, n.
 246, artt. 1, 10 e 25, convertito nella legge 4 giugno 1978, n. 880).
 (Cost., art. 3)
(GU n.20 del 18-5-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 1, 10 e 25
 del  r.d.l.  4  giugno  1938,  n.  880  (Disciplina  del  canone   di
 abbonamento  radiotelevisivo),  promosso  con  ordinanza emessa il 14
 maggio 1982 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile  vertente
 tra  Ronchini  Diego ed altri e l'Amministrazione delle Finanze dello
 Stato, iscritta al n. 914 del registro ordinanze  1982  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 149 dell'anno 1983;
    Visto  l'atto  di costituzione di Ronchini Diego ed altri, nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 9 marzo 1988 il Giudice relatore
 Ettore Gallo;
    Uditi  l'avv.  Innocenzo  Gorlani  per  Ronchini  Diego ed altri e
 l'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Ronchini  Diego  e altri 33 abitanti del Comune di Marcheno
 hanno proposto opposizione innanzi al  Tribunale  di  Torino  avverso
 l'ingiunzione  di  pagamento  del canone televisivo, adducendo che in
 quel Comune i programmi televisivi irradiati dalla  RAI  non  possono
 essere  ricevuti  dagli  apparecchi  degli utenti, per mancanza di un
 impianto ripetitore. L'Amministrazione controparte  non  contesta  il
 fatto  lamentato dagli opponenti (che e' quindi incontroverso), ma ha
 eccepito l'infondatezza della domanda in quanto il canone  televisivo
 avrebbe natura tributaria, e il pagamento dello stesso sarebbe dovuto
 sul presupposto della semplice detenzione di uno  o  piu'  apparecchi
 televisivi,  indipendentemente  dalla ricezione, o ricevibilita', dei
 programmi.
    Il Tribunale, con ordinanza 14 maggio 1982, sollevava questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 1, 10  e  25  del  r.d.l.  21
 febbraio  1938,  n.  246  conv.  nella  l.  4 giugno 1938, n.  880 in
 riferimento   all'art.    3    Cost.,    ritenendo    che,    secondo
 l'interpetrazione  di  giurisprudenza  ormai  consolidata,  si  debba
 attribuire effettivamente al canone televisivo carattere di tassa, di
 cui   sarebbe   presupposto   la   mera  detenzione  dell'apparecchio
 televisivo, a nulla rilevando la concreta possibilita'  di  ricezione
 dei programmi irradiati dalla RAI.
    Senonche',  cosi' interpretate, le norme impugnate violerebbero il
 principio  di  eguaglianza,  in  quanto  si  verrebbe  ad  imporre  a
 consistenti  gruppi  di  cittadini  residenti  in zone non servite da
 ripetitori,  e  che  non  possono,  percio',  fruire   del   servizio
 televisivo  per  cause  imputabili  unicamente alla RAI, di pagare il
 canone di abbonamento al pari di tutti  quegli  altri  cittadini  che
 ricevono, invece, regolarmente i programmi RAI.
    Vero  e'  che  la  stessa  legislazione prevede la possibilita' di
 disdire l'abbonamento quale condizione per non pagare il canone. Ma a
 tale  disdetta  consegue  la sigillatura dell'apparecchio televisivo,
 che viene cosi' messo in condizione di non potere  essere  usato.  Il
 che  sarebbe  illogico  ed  arbitrario,  dal  momento  che  l'attuale
 situazione del  servizio  radio-televisivo,  nel  suo  complesso,  e'
 caratterizzata dalla coesistenza del servizio RAI e dei servizi delle
 emittenti private,  in  guisa  che  il  possesso  di  un  apparecchio
 ricevente trova la sua giustificazione anche nella ricezione dei soli
 programmi delle  emittenti  private.  E  allora,  se  legittima  deve
 ritenersi  l'imposizione  di un canone a favore della RAI, condizione
 essenziale di legittimita' dovrebbe ritenersi non solo, o  non  piu',
 soltanto  il  possesso  di  un  apparecchio  televisivo,  ma  anche e
 sopratutto la effettiva erogazione del servizio.
    2.  -  Si sono costituite nel giudizio innanzi alla Corte le parti
 private, le quali sostengono che, nella situazione  incontroversa  in
 cui  si  sono  venute a trovare, il canone non puo' ritenersi dovuto,
 anche ove  lo  si  voglia  qualificare  come  "tassa".   Infatti,  il
 presupposto   di  questo  tributo  non  sarebbe,  come  ha  sostenuto
 l'Amministrazione delle finanze, la mera detenzione dell'apparecchio,
 ma  la  detenzione  "qualificata" dalla possibilita' di utilizzare, a
 suo mezzo, il servizio radio-televisivo di Stato.  In  tal  senso  si
 sarebbe pronunziata implicitamente questa Corte con la sentenza n. 81
 del 1963 e, in modo esplicito, lo stesso Tribunale  di  Torino  nella
 sentenza 8 giugno 1979. Sempre il Tribunale di Torino, del resto, con
 sentenza 12 ottobre 1982, in un  procedimento  identico  all'attuale,
 concernente  altri  abitanti del Comune di Marcheno, ha deciso che in
 caso di carenza assoluta, nel luogo di  detenzione  dell'apparecchio,
 di  segnali  provenienti  dall'emittente  di  Stato, nessun canone e'
 dovuto.
    Secondo   le   parti  private,  percio',  o  la  Corte  disattende
 l'interpretazione del rimettente, attenendosi a quella  della  citata
 sentenza  12 ottobre 1982 dello stesso Tribunale, e allora si avrebbe
 una decisione coerente alla ratio legis e alla  giurisprudenza  della
 stessa  Corte; oppure la Corte, contraddicendo la sua giurisprudenza,
 ritiene  che  l'obbligazione   scaturisca   dalla   mera   detenzione
 dell'apparecchio,  indipendentemente  dall'erogazione del servizio, e
 allora dovrebbe dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale  delle
 norme denunciate secondo l'interpretazione del giudice a quo.
    3.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del consiglio dei
 ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale
 ha  chiesto  che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque
 infondata.
    Il  giudice  a quo - sostiene l'Avvocatura - parte da una premessa
 interpretativa esatta, fondata d'altra parte  su  una  giurisprudenza
 consolidata:  il  canone  radio-televisivo  ha natura tributaria, con
 presupposto meramente reale (la detenzione  dell'apparecchio)  e  con
 base  imponibile  sottratta  alla  discrezionalita'  della  P.A.  Che
 sopratutto  il  presupposto  prescinda  totalmente  dalla   effettiva
 ricezione  di  questa  o  quella  emittenza  sarebbe dimostrato dalla
 espressione usata negli artt. 1 e 19 del  r.d.l.  246/38,  in  virtu'
 della   quale  e'  assoggettato  alla  disciplina  de  qua  non  solo
 l'apparecchio "atto", ma  anche  quello  potenzialmente  "adattabile"
 alla  ricezione.  Del  resto  ci  si  basa sul presupposto della mera
 detenzione sia per gli apparecchi installati a bordo di autovetture o
 autoscafi,  per  i  quali  il canone e' comunque dovuto fino a quando
 permanga l'immatricolazione del mezzo (l. 15 dicembre 1967, n. 1235),
 sia per la tassa di circolazione dei veicoli.
    In  tal  senso - osserva l'Avvocatura - si e' espresso il "diritto
 vivente" che non appare costituzionalmente censurabile.
    Infatti,  la  disuguaglianza  denunciata  dal giudice a quo e' una
 diseguaglianza meramente "di fatto", sorta in  sede  di  applicazione
 della   legge   e,  come  tale,  non  idonea  a  fondare  censure  di
 legittimita' costituzionale ( Corte Cost. sent. 56/79, 109/71).
    Peraltro, una volta accertato che il canone ha natura tributaria e
 che il presupposto della  mera  detenzione  non  e'  irrazionale  (in
 quanto,   come   nelle   altre  ipotesi  accennate,  ben  poteva  dal
 legislatore essere assunto  quale  indice  di  una  pur  modestissima
 capacita'  contributiva)  la  ipotizzazione  di  "altri"  ragionevoli
 presupposti riguarda esclusivamente la discrezionalita' politica  del
 legislatore.
    4. - All'odierna udienza le parti costituite, pur insistendo nelle
 loro conclusioni, concordemente rappresentavano che  la  vertenza  si
 era  chiusa  fin  dalla primavera del 1983, allorquando i servizi RAI
 avevano installato nella zona un ripetitore  che  consente  anche  ai
 cittadini  di  Marcheno di ricevere i programmi televisivi della RAI:
 da  quel  momento  i  cittadini   coerentemente   corrispondono   con
 regolarita' il canone televisivo, dandosi atto che quello concernente
 le radioaudizioni era sempre stato versato.
                         Considerato in diritto
    1.   -   Quantunque  gia'  da  tempo  sia  cessata  la  situazione
 conflittuale, per le ragioni teste' accennate, la Corte  tuttavia  e'
 chiamata  a decidere la questione per il periodo intercorrente fra il
 1979 e il 1983.
    D'altra parte, la questione proposta e' di grande interesse, anche
 sociale, in quanto investe il rapporto  intercorrente  fra  cittadino
 utente  e  servizio  pubblico  di rilevante importanza, gestito dallo
 Stato tramite concessionario.
    Nei   termini  in  cui  il  giudice  rimettente  ha  sollevato  la
 questione, la sua risoluzione sembra postulare  lo  scioglimento  del
 quesito  circa  la natura della prestazione numeraria che si richiede
 al cittadino per godere del  servizio.  Anche  se  poi  il  parametro
 costituzionale  invocato  (art.  3)  non  e' probabilmente il solo ad
 interferire nella vicenda di legittimita', atteso il collegamento del
 servizio  pubblico de quo con l'art. 21 Cost. trattandosi di pubblica
 informazione e dei mezzi atti a diffonderla.
    Ma  gia'  per  dare  risposta  al  problema della natura di quella
 prestazione, e quindi  del  particolare  rapporto  intercorrente  fra
 cittadino  e  concessionario, e' l'intera legislazione che disciplina
 il servizio a venire in esame.
    Nel  corso  dei tempi, infatti, dal lontano 1925, quando si ebbero
 le  prime  modeste  installazioni  radiofoniche,   l'importanza   del
 servizio  e'  andata  progressivamente  crescendo, coinvolgendo mezzi
 tecnologici sempre piu' sofisticati  e,  nel  dopoguerra,  la  stessa
 diffusione  delle  immagini  mediante  gli  impianti  di trasmissione
 televisiva.
    Tutto  cio'  ha  comprensibilmente  comportato modificazioni nella
 natura del rapporto fra i cittadini ed il servizio; e la legislazione
 ne  porta  i  segni  attraverso  ripensamenti ed incertezze, e spesso
 anche   con   qualche   scoordinamento   rispetto   alla    normativa
 complementare.  In guisa che l'identificazione dell'esatta fisionomia
 giuridica che rapporto e prestazione  da  ultimo  hanno  assunto  nel
 contesto   di   una   legislazione  complessa,  talvolta  utilizzante
 terminologie  equivoche,  postula  la  necessita'  di   prendere   in
 considerazione almeno i momenti cruciali degli accennati sviluppi.
    2.  - Invece l'ordinanza di rimessione, pur correttamente mettendo
 a fuoco gli aspetti essenziali  del  problema,  ha  limitato  la  sua
 censura alla lontana legge fondamentale, rappresentata dal r.d.-l. 21
 febbraio 1938, n. 246 (convertita nella l. 4  giugno  1938  n.  880),
 investendone gli artt. 1, 10 e 25.
    Con cio' non s'intende escludere che la legge denunziata non possa
 in qualche modo  contribuire  al  chiarimento  dei  concetti  e  alla
 progressiva  costruzione dell'istituto, tanto piu' che essa e' spesso
 richiamata dalle  leggi  successive,  che  hanno  anche  direttamente
 inciso   sul  suo  stesso  testo  (si  veda  l'art.  19,  interamente
 sostituito ex art. 3 d.-l. 1› febbraio 1977 n.  11  convertito  nella
 legge 31 marzo 1977, n. 90): del resto, essa e' comunque rimasta come
 struttura fondamentale e portante delle  leggi  successive.  Si  vuol
 dire,  pero', che in definitiva essa rappresenta, pur sempre, uno dei
 momenti dello sviluppo  normativo,  ma  concerne  in  particolare  le
 radiotrasmissioni  e  gli apparecchi radioriceventi, risentendo dello
 stato dei rapporti che in allora regolavano il servizio.
    Cosi'   se  e'  vero  che  nella  legge  in  parola  si  parla  di
 "abbonamento alle radioaudizioni" che viene tenuto ben distinto dalla
 "tassa  sulle  concessioni governative" (art. 19) e' pur vero, pero',
 che poi, per il ritardo nel pagamento del canone,  la  legge  prevede
 una "sopratassa" pari all'ammontare del canone ritardato (art. 20).
    Ne'  potrebbe  poi  essere  decisivo  il riferimento all'art. 1 (o
 all'art. 19) dove si fonda l'obbligo al pagamento  del  canone  sulla
 detenzione  di  apparecchi  "atti  o adattabili" alla ricezione delle
 radioaudizioni, perche' evidentemente  la  legge  si  riferisce  alla
 capacita' dello strumento a ricevere: nel senso, cioe', che il canone
 e' dovuto anche se l'apparecchio  non  e'  al  momento  in  grado  di
 funzionare ma e' "adattabile alla ricezione".
    Il  problema,  invece,  che  qui  e' proposto e' un altro. Si vuol
 conoscere,  cioe',  se  il  cosidetto  "canone"  sia   dovuto   anche
 nell'ipotesi  in  cui l'apparecchio non puo' ricevere per la semplice
 ragione che nella zona non ci sono  segnali;  in  altri  termini,  le
 diffusioni  via  etere,  o  via  filo, della RAI non arrivano in quei
 luoghi.
    A  questo  punto, percio', sembra assumere rilievo la natura della
 prestazione che dal  cittadino  si  richiede  per  il  godimento  del
 pubblico servizio.
    In  proposito,  sia  la  giurisprudenza della Corte di Cassazione,
 quanto quella stessa di questa Corte (sent. 81 del 1963),  non  hanno
 dubbi  sulla  natura  fiscale della prestazione, su cui questa Corte,
 anzi, richiama la definizione normativa di "tassa". Ed,  in  realta',
 il legislatore, approvando la Convenzione per la concessione alla RAI
 dei servizi di radioaudizione, televisione e  telediffusione  (d.P.R.
 26  gennaio  1954  n. 180), attribuiva natura di "tassa" ai canoni di
 abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione circolare: natura,
 cui  gia' la riscossione ex officio degli importi e delle sopratasse,
 l'esazione coattiva e il privilegio (artt. 25 e 26 r.d.-l. n. 245 del
 1938)  avevano dato supporto concettuale, anche se era stato rilevato
 che esistono entrate patrimoniali dello Stato, di natura  sicuramente
 non fiscale, che pure godono di riscossione ex officio coattiva.
    Peraltro,  cio'  non impedisce, poi, alla legislazione successiva,
 anche  la  piu'  recente,  di  ritornare   alla   voce   "canone   di
 abbonamento",  mentre  e'  singolare  che  il  d.P.R. 26 ottobre 1972
 concernente la cosidetta  "Imposta  sul  valore  aggiunto",  dichiari
 esenti  dall'imposta  "le  operazioni  relative  alla riscossione dei
 tributi" (art. 10 n. 5), ma sottoponga all'aliquota del 2%  i  canoni
 di abbonamento alle radiodiffusioni circolari (Parte II, n. 36).
    Tutto  cio' dimostra l'effettiva sussistenza di quei ripensamenti,
 di quelle incertezze e di quegli scoordinamenti  che  piu'  sopra  si
 erano accennati.
    Tuttavia  -  come  si  e'  anticipato - la gia' citata sentenza di
 questa  Corte  non  ha  avuto  dubbi  sulla  natura  di  "tassa"  che
 spetterebbe  al canone di abbonamento, sia facendo leva sul carattere
 pubblico del servizio, che lo  Stato  esercita  tramite  la  Societa'
 concessionaria,  sia  in  virtu'  della pure citata norma (art. 1 del
 d.-l. n. 246 del 1938) che impone  l'obbligazione,  indipendentemente
 dalla  volonta' negoziale dell'utente, per il solo fatto "di una mera
 possibilita' di uso del servizio" mediante l'apparecchio posseduto.
    Autorevole  dottrina  ha,  pero',  negato  che l'indubbia qualita'
 pubblica del servizio svolga ruolo decisivo, dato che l'esercizio  di
 un  pubblico  servizio  ben  puo' assumere carattere imprenditoriale,
 come accade per  l'Azienda  autonoma  delle  F.F.S.S.  o  per  quelle
 municipalizzate  dell'acqua,  del  gas  etc...:  e  sarebbe  solo  la
 particolare natura tecnica del mezzo usato a  rendere  necessaria  la
 forfettizzazione  del  prezzo,  che non cesserebbe, per cio' solo, di
 avere tale qualita'. Mentre,  poi,  l'apparecchio,  mediante  cui  si
 utilizza  il  servizio, sarebbe un "bene a circolazione controllata",
 come gli autoveicoli, le armi da fuoco,  i  preziosi  etc...  Per  il
 resto,   non  si  dovrebbero  confondere  espressioni  di  autotutela
 amministrativa, che  e'  prevista  anche  per  contratti  di  diritto
 privato, con i caratteri impositivi propri dell'attivita' tributaria.
    3.  -  Ma,  anche a prescindere dalle incertezze del legislatore e
 dai dubbi insinuati dalla dottrina, e' proprio sul concetto stesso di
 "tassa"   che  poi  si  annidano  non  poche  perplessita'.  Infatti,
 tralasciando altre definizioni piuttosto  problematiche,  sembra  che
 non  possa  almeno  prescindersi,  nella  nozione  di "tassa", da una
 relazione fra il tributo ed un atto  dell'autorita'  che  apporta  al
 privato  un  vantaggio, senza tuttavia che cio' faccia del tributo un
 vero e proprio corrispettivo.
    Allora    la   questione   ben   potrebbe   proporsi   nei   sensi
 dell'irrilevanza, agli effetti del pagamento del tributo,  del  fatto
 che   nell'erogazione   del  pubblico  servizio  possano  verificarsi
 sospensioni o interruzioni per cause tecniche o per altre ragioni. Ma
 non  quando  la  pubblica  amministrazione  non ha per nulla previsto
 l'erogazione del servizio in una certa zona, al punto  da  non  avere
 messo  nemmeno  in  opera  gli  impianti  che  ne  rendano  possibile
 l'erogazione  di  massima.   In   tal   caso,   davvero   sembrerebbe
 irragionevole  la  pretesa di un tributo che, per essere "tassa", non
 puo' prescindere - come si e' rilevato - da una sua relazione con  un
 atto  dell'autorita',  che  apporti  al privato almeno il vantaggio -
 come diceva questa Corte  -  della  "mera  possibilita'  di  uso  del
 servizio".   Laddove  si tratterebbe, nella specie, di vera e propria
 "impossibilita'", talche' il caso, in  definitiva,  potrebbe  perfino
 sembrare di facile soluzione.
    Senonche', a questo punto, dovrebbe essere presa in considerazione
 anche altra norma,  che  mette  in  crisi  il  ragionamento  fin  qui
 seguito,   gettando   ombre  sulla  natura  del  tributo  cosi'  come
 configurato anche dalla giurisprudenza di questa Corte. Cio'  che  si
 oppone,   infatti,  all'accoglimento  della  tesi  dei  cittadini  di
 Marcheno, riverberata dall'ordinanza di rimessione, non sono le norme
 impugnate  che,  anche  se di dubbia interpetrazione, ben potrebbero,
 meglio  considerate,  portare  al  risultato  interpretativo   teste'
 accennato,  ma  e'  il  secondo comma dell'art. 15 della l. 14 aprile
 1975 n. 103 il quale, nell'avvertire che il "canone di abbonamento  e
 la   tassa  di  concessione  governativa...  sono  dovuti  anche  dai
 detentori  di  apparecchi  atti  o  adattabili  alla   ricezione   di
 trasmissioni sonore o televisive via cavo o provenienti dall'estero",
 apre tutto un diverso aspetto della questione. Per il quale,  dunque,
 non  si  tratta  piu'  soltanto  di  "mera  possibilita'  di  uso del
 servizio" fornito dallo Stato italiano, perche' - in grazia di quella
 norma  - la considerazione deve allargarsi anche alla possibilita' di
 fruire dei servizi forniti da Stati esteri, ed oggi anche -  si  puo'
 soggiungere - dalle emittenti private.
    Il  che  comporta  altresi'  che,  venendo  a  mancare  il diretto
 rapporto  fra  il  tributo  ed   il   servizio   pubblico   accordato
 dall'autorita'  del  nostro Stato, e' la stessa natura di "tassa" che
 diventa dubbia. Infatti, per giustificare la persistenza del tributo,
 pur  quando  non  venga  fornito dallo Stato alcun servizio, si fa da
 altri riferimento alla polizia e  all'amministrazione  dell'etere  su
 cui   lo   Stato   e'  sovrano,  cosi'  pero'  introducendo  concetti
 concernenti servizi generali della pubblica amministrazione,  gestiti
 appunto nell'interesse della generalita'; concetti che escludono quel
 rapporto fra tributo e atto dell'autorita' vantaggioso per il singolo
 proprio  della  "tassa",  trasferendo il discorso nel vasto campo dei
 tributi "imposte".
    Del  resto, e' pacifica nella specie la protesta dei cittadini per
 l'avvolgimento in teli e  successiva  sigillatura  degli  apparecchi;
 operazioni  che  impedivano  il  godimento  del servizio privato e di
 quello estero, e che hanno determinato l'impugnazione anche dell'art.
 10 del d.-l. n. 246 del 1938.
    Ma  non  puo'  bastare, giacche' questa Corte, per giudicare della
 legittimita' di queste operazioni, deve  potere  altresi'  apprezzare
 quella della disposizione di cui al citato secondo comma dell'art. 15
 della l. n. 103 del 1975:  norma  che  non  e'  stata  impugnata.  La
 questione e', pertanto, inammissibile.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt.  1,10  e  25  del  r.d.-l.  21  febbraio  1938,  n.  246,
 convertito  nella  l. 4 giugno 1938, n. 880 (Disciplina del canone di
 abbonamento radiotelevisivo), sollevata dal Tribunale di  Torino  con
 ordinanza 14 maggio 1982 in riferimento all'art. 3 Cost.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  in camera di consiglio, nella sede della
 Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 12 maggio 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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