N. 744 SENTENZA 20 - 30 giugno 1988
Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione. Ambiente - Smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi - Poteri di indirizzo e coordinamento attribuiti al Comitato interministeriale - Potere sostitutivo del commissario del Governo in caso di inottemperanza da parte della regione Cessazione della materia del contendere. Ambiente - Smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi Autorizzazione - Progetti di discarica di terza categoria Parere congiunto dell'Istituto superiore della sanita', dell'Istituto per la sicurezza del lavoro e dell'Istituto di ricerca sulle acque del C.N.R. - Organizzazione dell'azione amministrativa regionale - Non spettanza allo Stato Annullamento della deliberazione del Comitato interministeriale, punto 5.2, terzo comma. Ambiente - Smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi Procedimenti autorizzativi - Non spettanza allo Stato Annullamento della deliberazione del Comitato interministeriale, punti 5.1.2, primo comma, 5.3.1, salva la prescrizione di cui alla lettera f); 5.3.2; 5.3.4.; 5.3.6 dell'atto medesimo. Ambiente - Smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi - Poteri di indirizzo e coordinamento attribuiti al Comitato interministeriale - Prescrizioni e criteri contenuti nella deliberazione 27 luglio 1984 - Ricorso della regione Lombardia - Reiezione(GU n.27 del 6-7-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato
il 12 novembre 1984, depositato in Cancelleria il 19 novembre
successivo ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 1984, per
conflitto di attribuzioni sorto a seguito della deliberazione 27
luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del
d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, contenente: "Disposizioni per la
prima applicazione dell'art. 4 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915,
concernente lo smaltimento dei rifiuti".
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore
Aldo Corasaniti;
Uditi l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato
dello Stato Pier Giorgio Verzi' per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 12 novembre 1984, la Regione
Lombardia ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello
Stato in relazione a delibera in data 27 luglio 1984 (pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 13 settembre 1984) del Comitato
interministeriale di cui all'art. 5 del d.P.R. 10 settembre 1982, n.
915, contenente disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti, assumendo
lese le sue competenze.
La delibera sarebbe radicalmente illegittima, perche' adottata sul
fondamento di una norma di legge (art. 4 d.P.R. n. 915 del 1982) a
sua volta invasiva delle competenze regionali in tema di tutela
ambientale e di esecuzione delle direttive comunitarie e, dunque,
contrastante con gli artt. 117 e 118 della Costituzione e 6, 101 del
d.P.R. n. 616 del 1977, che trovano riscontro nell'art. 3 della legge
di delega 9 febbraio 1982, n. 42, laddove di tali competenze si
ribadisce la garanzia.
La deliberazione, inoltre, risulterebbe illegittima sia per il suo
contenuto eccessivamente dettagliato, tale da comprimere oltre i
limiti consentiti l'autonomia regionale, sia per il fatto di
concernere settori e profili estranei all'oggetto del potere
conferito.
L'art. 4 del d.P.R. n. 915 del 1982 riserverebbe allo Stato il
compito di predisporre norme a carattere tecnico sui criteri generali
di smaltimento dei rifiuti, nonche' sulle caratteristiche delle zone
ove gli impianti di smaltimento debbono essere ubicati (lett. b), sui
sistemi che favoriscono il riciclaggio dei rifiuti, il recupero di
materie e la produzione di energia (lett. c), sui modi di smaltimento
dei rifiuti tossici e nocivi e sul rilascio delle autorizzazioni
relative, oltreche' sui criteri di assimilabilita' dei rifiuti
speciali a quelli urbani (lett. e ), f), determinando i limiti di
accettabilita' delle sostanze, in relazione a dati chimico-fisici e
microbiologici (lett. d ), g). Dal potere cosi' attribuito esulerebbe
la competenza a disciplinare il profilo amministrativo e
procedimentale della materia. Questi limiti sarebbero stati
largamente superati dal decreto che ha originato il conflitto.
Il paragrafo "0" prevede l'istituzione di Comitati regionali di
esperti per individuare le zone idonee alla realizzazione degli
impianti di smaltimento (0.3, ultima parte) ed un potere sostitutivo
del Commissario del Governo, in caso di "inottemperanza" della
regione. La prima previsione toccherebbe competenze amministrative ed
organizzative estranee all'oggetto eminentemente tecnico del potere
conferito; la seconda previsione risulterebbe contraria al "tipo" di
rapporti fra Stato e regione configurato dalle norme costituzionali
(art. 118, 125, 126 Cost.), essendo previsto un potere sostitutivo
solo per garantire il rispetto degli obblighi internazionali (art. 6,
comma terzo, d.P.R. n. 616 del 1977).
Il par. 1), disciplinando lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri
(punto 1.1.3.) ed elencando le sostanze ed i processi produttivi i
cui rifiuti si dovrebbero presumere sempre tossici, indipendentemente
dalla presenza degli elementi elencati nell'allegato al d.P.R. n. 915
del 1982 (punto 1.2., n. 2, e tab. 1.3.), salva la possibilita' di
prova contraria, andrebbe oltre il compito di indicare i criteri di
assimilabilita' dei rifiuti speciali a quelli urbani, violando
inoltre quanto disposto dall'art. 2, quinto comma, del d.P.R. n. 915
del 1982, sulle sostanze in presenza delle quali il rifiuto deve
considerarsi tossico e nocivo.
L'estrema minuziosita' dell'elenco dei rifiuti assimilabili
risulterebbe in contrasto con il compito di indicare "i criteri
generali" di assimilabilita'.
Il par. 1.3., individuando la categoria dei rifiuti urbani
pericolosi, contemplata nel d.P.R. n. 915 del 1982 (art. 8, comma
secondo, lett. d) solo in riferimento alla competenza regolamentare
dei comuni, risulterebbe per questo motivo illegittimo.
Del pari estraneo all'oggetto riconosciuto dalla legge sarebbe la
disciplina della raccolta e del trasporto dei rifiuti (par. 2) con
riferimento ai rifiuti urbani (punti 2.1.1; 2.1.2.), ai rifiuti
ospedalieri (2.2.), ai rifiuti tossici e nocivi (punti 2.3.; 2.3.1.;
2.3.2.), mentre eccessivamente minuziosa risulterebbe la disciplina
dei processi di incenerimento e di compostaggio, contenuta nel par.
3, ben oltre la determinazione dei limiti di accettabilita' di cui
all'art. 4 del d.P.R. n. 915 del 1982.
Le prescrizioni contenute nel paragrafo 4 sarebbero viziate per la
loro eccessiva minuziosita'. Sarebbero estranee inoltre all'oggetto
del potere riconosciuto dalla legge le norme di classificazione delle
discariche (punto 4.2.) e la disciplina dei piani di recupero delle
aree interessate (punto 4.2.3.1., lett. d); punto 4.2.3.2., lett. e),
che giungerebbero a toccare le competenze relative all'uso del
territorio.
Il par. 5 contiene una disciplina delle autorizzazioni che viene
censurata per la sua eccessiva minuziosita', non richiesta dal
compito di determinare i criteri tecnici generali ai sensi dell'art.
4 d.P.R. n. 915 del 1982, e per il fatto che giunge a toccare aspetti
amministrativi ed organizzativi (contenuto della domanda; autorita' a
cui deve essere indirizzata); modalita' dell'istruttoria relativa;
durata dell'autorizzazione; garanzie finanziarie richieste; compiti
di vigilanza e di controllo; pareri obbligatori di organi statali,
etc.) naturalmente riservata all'autonomia regionale.
Il par. 6 sul controllo di campionamento e di analisi conterrebbe
previsione prive di fondamento legislativo, disciplinando le
procedure per prelievi ed analisi con norme estranee ai compiti
tecnici del Comitato.
Il par. 7 disciplina non solo l'efficacia nel tempo dell'atto (e
gia' questo esulerebbe dalle competenze esercitate), ma pretenderebbe
di disciplinare anche l'efficacia nel tempo di quanto prescrive il
d.P.R. n. 915 del 1982, fissando i termini di adeguamento delle
regioni in contrasto con quanto dispone l'art. 33 del medesimo
d.P.R., che lascerebbe invece alle regioni ampia discrezionalita' sul
punto.
Il par. 8 sui criteri di rilevamento dei dati, benche' privo di
attuale efficacia precettiva, risulterebbe estraneo all'oggetto del
potere conferito anche nella parte in cui prefigura una disciplina
dei flussi informativi.
Piu' in generale, l'atto impugnato sarebbe illegittimo per
violazione del princi'pio di legalita', contenendo disposizioni
dettagliate e vincolanti prive di fondamento legislativo.
2. - Si costituiva il Presidente del Consiglio dei ministri
contestando le deduzioni di parte ricorrente.
Premesso che la legittimita' costituzionale delle norme di legge
su cui si fonda la deliberazione impugnata deve essere discussa nel
giudizio che le concerne, l'Avvocatura dello Stato negava anche la
sussistenza degli ulteriori vizi denunziati di eccessiva
specificazione delle prescrizioni dettate e di esorbitanza delle
medesime dai limiti di oggetto e di contenuto fissati dalla legge.
Non potrebbero escludersi, infatti, un certo grado di puntualita'
nell'esercizio di un potere lato sensu regolamentare, specie quando
le prescrizioni date trovano fondamento in valutazioni
tecnico-scientifiche non formulabili secondo schemi elastici. Nel
caso di specie, comunque, l'indicazione di schemi uniformi di
smaltimento dei rifiuti su tutto il territorio nazionale lascerebbe
sufficiente margine per ulteriore disciplina della materia in sede
locale.
La funzione di indirizzo e coordinamento riconosciuta dall'art. 4,
lett. a), del d.P.R. n. 915 del 1982, di cui parte ricorrente avrebbe
trascurato le valenze generali, sarebbe sufficientemente ampio da
consentire una disciplina delle varie fasi di trattamento dei
rifiuti, in relazione agli obbiettivi di cui all'art. 1 del medesimo
decreto presidenziale.
L'art. 4, lett. f), prevederebbe, del resto, una competenza del
Comitato interministeriale per quel che concerne i criteri generali
per il rilascio delle autorizzazioni allo smaltimento dei rifiuti
tossici, mentre sarebbe di competenza regionale la disciplina delle
relative procedure (art. 6, lett. f).
Ne' la disciplina dei termini di applicazione delle disposizioni,
contenuta nel par. 7 della deliberazione, sarebbe contraria a quanto
prescrive l'art. 31 del d.P.R. n. 915 del 1982, che prevederebbe
l'autorizzazione provvisoria come ipotesi alternativa non tale da
escludere, prima dell'entrata in vigore della normativa regionale,
l'esercizio di un potere di autorizzazione definitivo, esplicato in
conformita' della disciplina di attuazione del medesimo decreto
presidenziale.
Considerato in diritto
1. - La Regione Lombardia propone conflitto di attribuzione nei
confronti dello Stato, in relazione a delibera in data 27 luglio 1984
del Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del d.P.R. 10
settembre 1982, n. 915, recante disposizioni sullo smaltimento dei
rifiuti, cosi' come modificato con l'art. 1 del decreto-legge 29
maggio 1984, n. 176, nel testo sostituito in sede di conversione
(avvenuta con legge 25 luglio 1984, n. 381).
Deduce, innanzi tutto, che il carattere invasivo dell'atto
deriverebbe dalla illegittimita' costituzionale della normativa di
grado legislativo su cui esso si fonda (artt. 4 e 5 del detto d.P.R.
n. 915), normativa gia' impugnata da essa Regione in via principale,
per violazione delle competenze regionali in materia di ambiente e di
attuazione delle direttive comunitarie.
Per l'ipotesi che l'impugnazione in via principale non sia stata
accolta, prospetta la sollevabilita' in via incidentale di questione
di legittimita' costituzionale della stessa normativa.
Osserva poi che la normativa di grado legislativo suindicata e
particolarmente l'art. 4 del d.P.R. n. 915 prevede soltanto
l'individuazione di "criteri generali" sulla metodologia di
smaltimento dei rifiuti, sulle caratteristiche delle zone per
l'ubicazione degli impianti di smaltimento, sulla assimilabilita' dei
rifiuti speciali a quelli urbani, oltreche' sul rilascio delle
autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi e
l'emanazione di "norme tecniche generali" relative ai sistemi di
smaltimento che favoriscano il recupero di materie e la produzione di
energia, nonche' per il separato smaltimento di rifiuti tossici e
nocivi ed, infine, la determinazione di "limiti di accettabilita'",
"caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche" di sostanze in
relazione a specifiche utilizzazioni e "qualita', concentrazioni o
caratteristiche" di sostanze che rendono i rifiuti tossici o nocivi.
Cio' posto sostiene che l'atto di indirizzo e coordinamento eccede
la cennata disposizione di legge:
a) per l'oggetto (in quanto contiene la disciplina di aspetti
meramente amministrativi dello smaltimento dei rifiuti, del trasporto
e della raccolta dei rifiuti urbani, dei modi di sistemazione e
recupero delle aree interessate da impianti di discarica, delle
procedure di prelievo ed analisi e dei relativi verbali, dei termini
di applicabilita' delle disposizioni; in quanto prevede poteri di
controllo e poteri sostitutivi non contemplati dalla legge e
identifica la categoria dei "rifiuti pericolosi", non considerata
dall'art. 4 del d.P.R. n. 915);
b) per il contenuto (stante il suo carattere di disciplina
dettagliata ed esaustiva della materia con riguardo, in particolare,
alle modalita' di smaltimento dei rifiuti ospedalieri, alla
presunzione di tossicita' di alcuni rifiuti, alla raccolta ed al
trasporto di rifiuti urbani, ospedalieri, tossici e pericolosi, ai
processi di incenerimento e compostaggio, alle discariche ed al
regime delle autorizzazioni).
2. - Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del
d.P.R. n. 915 del 1982 sono state dichiarate non fondate da questa
Corte con sentenza n. 192 del 1987. Non puo' essere accolta, in
conseguenza, la censura che investe l'atto nella sua interezza sotto
il profilo dell'asserita incostituzionalita' derivata.
Ne' vi sono motivi per sollevare in via incidentale nuova
questione di legittimita' degli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 915 del
1982. Quanto all'art. 4 in se' considerato non sono stati dedotti,
infatti, profili nuovi e diversi rispetto a quelli gia' prospettati
con il precedente ricorso in via principale ed esaminati con la
sentenza di questa Corte suindicata. Per quel che riguarda lo stesso
art. 4 e l'art. 5, congiuntamente considerati, l'unico profilo sembra
esser quello della mancanza in esso dell'enunciazione di criteri
generali per l'esercizio del potere attribuito al Comitato
interministeriale di cui all'art. 3 della legge 10 maggio 1976, n.319
- come composto ai sensi del detto art. 5 d.P.R. n. 915 e dell'art. 1
decreto-legge 29 maggio 1984 n. 176, convertito nella legge 25 luglio
1984, n. 381 - profilo che e' prospettato anche come vizio dell'atto
impugnato (adducendosi implicitamente che, in ogni caso, per la
asserita mancanza di criteri generali, la detta normativa non
potrebbe servire da idoneo supporto legislativo dell'atto medesimo).
Si tratta peraltro di censura, secondo quanto sara' detto nel
prosieguo (infra, par. 3), non fondata.
3. - Con la sentenza di questa Corte n. 192 del 1987 e' stato
ritenuto che al Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del
d.P.R. n. 915 del 1982 sono conferiti poteri di indirizzo e
coordinamento, sicche' l'atto impugnato deve ritenersi espressione di
tali poteri. Con altra sentenza di questa Corte (sent. n. 560 del
1988) l'indirizzo e coordinamento esercitato con atto governativo e'
stato ritenuto compatibile con la garanzia costituzionale
dell'autonomia regionale, in quanto tocca direttamente la sola
attivita' amministrativa, mentre nei confronti dell'attivita'
regionale legislativa dispiega effetti mediati e riflessi;
l'attivita' legislativa regionale risulta limitata solo in relazione
alle esigenze unitarie, nei profili evidenziati dall'atto di
indirizzo e coordinamento, mentre le singole disposizioni di questo
possono essere sostituite con misure regionali che siano,
singolarmente o nel complesso, equivalenti (vale a dire in eguale
misura rispondenti, anche se con diverso contenuto, alle anzidette
esigenze unitarie e idonee in definitiva a realizzarle).
Per quanto concerne la mancanza di criteri generali idonei ad
orientare l'esercizio dei poteri conferiti al Comitato
interministeriale, va osservato che, in realta', l'art. 4 del detto
d.P.R. n. 915 del 1982 contiene un insieme di indicazioni di scopo
("favorire il riciclaggio dei rifiuti, il recupero delle materie
utilizzabili", "limitare la formazione dei rifiuti") e strumentali
(definire, se necessario, "norme tecniche per lo smaltimento dei
rifiuti tossici e nocivi separatamente da ogni altra materia e
residuo") che integrano veri e propri criteri per l'esercizio del
potere di indirizzo e coordinamento.
Ulteriori criteri possono essere desunti:
1) dal d.P.R. n. 915 del 1982 che, con i primi due articoli,
determina i profili dei valori ambientali e della salute oggetto di
particolare tutela in rapporto allo smaltimento dei rifiuti;
2) dalla normativa su materie analoghe o strettamente connesse
ed, innanzi tutto, dalla legge 10 maggio 1976, n. 319, sulla tutela
delle acque dall'inquinamento, alle cui tabelle il presente atto
talvolta si richiama (cfr. punti 4.2.3.2.; 4.2.3.3., lett. d); e poi
anche dalla legge 8 ottobre 1976, n. 690,sempre sull'inquinamento
delle acque (cfr. punti 3.4.1.; 4.2.2.), dalla legge 29 maggio 1974,
n. 256 e dal d.P.R. 24 novembre 1981, n. 927, sulla etichettatura e
sull'imballaggio delle sostanze pericolose (cfr. punto 1.1.1., lett.
c).
Il criterio fondamentale, del resto, di tutela dell'igiene e
dell'ambiente, affermato dalla normativa in vigore, e' ulteriormente
precisato dal riferimento a nozioni tecniche e scientifiche cui il
legislatore legittimamente rinvia e che si pongono come limite quanto
mai stringente alla discrezionalita' del potere di indirizzo
coordinamento di cui si tratta. Considerazioni analoghe sul carattere
largamente vincolato delle valutazioni tecniche cui il legislatore
puo' fare riferimento hanno condotto, del resto, questa Corte ad
ammettere che la delega legislativa o il decreto delegato possa
legittimamente rinviare a criteri tecnici (cfr. sentt. nn. 3/1971;
9/1972; 127/1981).
4. - L'atto impugnato e' stato modificato con deliberazione del
medesimo Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del d.P.R. n.
915 del 1982, in data 13 dicembre 1984, che ha abrogato la
disposizione concernente il potere sostitutivo del Commissario del
Governo in caso di inottemperanza da parte della regione all'obbligo
di istituire un Comitato di esperti per l'individuazione delle aree
idonee alla realizzazione degli impianti di smaltimento (punto
0.3.,terzo comma); per questa parte deve, dunque, dichiararsi cessata
la materia del contendere.
Le censure di eccesso rispetto alle previsioni di legge per
oggetto e per contenuto debbono peraltro essere esaminate con
riferimento alle restanti parti dell'atto impugnato.
5. - L'art. 4 del d.P.R. n. 915 del 1982 prevede un potere di
indirizzo e coordinamento per la predisposizione di criteri generali
sullo smaltimento dei rifiuti, sulla determinazione delle zone per
l'ubicazione degli impianti relativi, sull'assimilabilita' dei
rifiuti speciali ai rifiuti urbani, sul distinto smaltimento dei
rifiuti tossici e nocivi, sul rilascio delle autorizzazioni,
oltreche' l'emanazione di norme dirette a limitare la formazione dei
rifiuti, a favorire il riciclaggio, a determinare i limiti di
accettabilita' di certe sostanze, a determinare le quantita' e
concentrazioni delle sostanze che rendono i rifiuti tossici e nocivi.
6. - Per quanto concerne la determinazione di "criteri generali
per il rilascio delle autorizzazioni" (art. 4, lett. f) il potere
attribuito dalla norma di legge deve ragionevolmente intendersi come
riferito al coordinamento delle attribuzioni di regioni o di enti
locali diversi, nella ipotesi di attivita' che li coinvolgano
congiuntamente, e come relativo alla indicazione di criteri di
valutazione dell'attivita' da autorizzare e dell'oggetto di essa: non
gia' come concernente prescrizioni attinenti al momento organizzativo
e procedimentale cosi' puntuali da contenere la predeterminazione
completa ed esaustiva del procedimento autorizzativo o di una fase di
esso.
Non rientra, pertanto, nel potere attribuito la previsione (punto
5.2., terzo comma) di un parere congiunto dell'Istituto Superiore
della Sanita', dell'Istituto per la sicurezza del lavoro e
dell'Istituto di ricerca delle acque del C.N.R. per le discariche di
terza categoria.
Del pari estranea al potere riconosciuto dalla norma anzidetta e'
la disciplina del momento procedimentale del conferimento
dell'autorizzazione medesima e, dunque, della domanda (punto 5.1.2.
dell'atto impugnato) e della fase istruttoria (punto 5.2. primo
comma, lettere a ), c) che non attiene, appunto, ai "criteri" ma alle
modalita' di esercizio della funzione che si esplica nel rilascio
delle autorizzazioni.
Analogamente e' da dire per quel che riguarda le disposizioni
relative al contenuto, alla durata ed alle forme di pubblicita' del
provvedimento autorizzativo (punto 5.3.1.; 5.3.2.; 5.3.3.; 5.3.4.)
nonche' ai controlli sul rispetto delle condizioni
dell'autorizzazione stessa (punto 5.3.6.), per un verso non
riconducibili alla determinazione "dei criteri per il rilascio
dell'autorizzazione" e per altro verso conseguenziali a quelle
attinenti alle modalita' di esercizio della funzione che si esplica
nel rilascio delle autorizzazioni.
Da cio' consegue l'annullamento delle suindicate disposizioni,
annullamento che, naturalmente, non tocca le norme del d.P.R. n. 915
del 1982 che direttamente disciplinano la materia anche sotto
l'aspetto procedimentale (e cio' a prescindere dalla possibilita' che
alcune di tali norme, secondo quanto affermato con la sentenza di
questa Corte n. 192 del 1987, siano da considerare norme di
principio, come tali derogabili dal legislatore regionale).
7. - Rientra, invece, nei poteri conferiti al Comitato
interministeriale - in quanto rientra nella determinazione dei
criteri generali per lo smaltimento dei rifiuti - prevedere che le
Regioni individuino le aree idonee alla ubicazione degli impianti
relativi con valutazione che abbia il supporto di adeguate competenze
tecniche da parte di comitati che di tali competenze siano muniti,
senza peraltro determinare la composizione dell'organo e le modalita'
procedimentali del suo intervento (punto 0.3., ultimo comma). Cio' e'
vero a maggior ragione con riferimento alla nuova formulazione della
norma contenuta nella deliberazione del medesimo Comitato
interministeriale in data 13 dicembre 1984, che contiene una
disciplina meno penetrante sul punto (limitandosi a richiedere la
presenza di competenze in materia sanitaria, ingegneristica,
geologica e chimica e non piu' una specializzazione di medico
igienista o di ingegneria sanitaria, oltreche' geologica e chimica).
Rientra, ancora, nei poteri conferiti al Comitato
interministeriale la disposizione che qualifica tossici e nocivi i
rifiuti provenienti da attivita' di produzione e di servizi indicate
in apposita tabella (tab. 1.3.), salvo che l'interessato dimostri che
questi rifiuti, per la quantita' e concentrazione delle sostanze,
indicate in altre tabelle (tab. 1.1. e tab. 1.2.) pure allegate, non
possono essere considerati tossici e nocivi (punto 1.2., n. 2,
dell'atto). Si tratta infatti di disposizione riconducibile al potere
di determinare "le caratteristiche delle sostanze... che rendono i
rifiuti che le contengono tossici o nocivi per la salute dell'uomo
e/o per l'ambiente" conferito con il detto art. 4, lett. g), del
d.P.R. n. 915 del 1982.
La definizione della categoria dei "rifiuti pericolosi", operata
ai soli fini della prima applicazione dell'art. 8 del d.P.R. n. 915
del 1982, atteso il suo carattere "provvisorio", non e' idonea a
ledere le competenze regionali. La successiva deliberazione del
Comitato in data 13 dicembre 1984, sopra menzionata, precisando che
"resta salva la facolta' dei comuni di disciplinare...
l'assimilabilita' di rifiuti provenienti da attivita' agricole,
artigianali, commerciali e di servizi, nonche' da ospedali, istituti
di cura ed affini, sia pubblici che privati, ai fini dell'ordinario
conferimento dei rifiuti medesimi al servizio pubblico...",
contribuisce del resto a chiarire l'ampio ambito delle competenze
comunali in materia.
Rientra nel concetto di "smaltimento dei rifiuti" qual e' assunto
nel senso piu' lato e senza limitazioni dall'art. 4, lett. b) del
d.P.R. n. 915 del 1982, anche la disciplina della raccolta e del
trasporto dei rifiuti, sicche' l'atto impugnato non e' censurabile
per il fatto di disciplinare anche la raccolta ed il trasporto tanto
dei rifiuti tossici e nocivi quanto di quelli urbani ed ospedalieri
(punti 1.1.3; 2.1.1; 2.1.2; 2.2.; 2.3.).
Analogamente e' da dire per i processi di incenerimento (3.3.) e
di compostaggio (3.4.), rientrando il primo nel concetto di
"smaltimento dei rifiuti" ed il secondo costituendo fase
significativa di quel riutilizzo e riciclaggio delle materie in
relazione a cui il potere di indirizzo e' espressamente conferito
(art. 4, lett. c), d.P.R. 915 del 1982).
La disciplina della localizzazione degli impianti di discarica e
la disciplina del recupero delle aree adibite a discarica, in quanto
contiene semplici criteri per la salvaguardia di inderogabili
esigenze di igiene, non e' idonea a ledere le competenze regionali in
materia urbanistica (punto 3.1.). Sono funzionali alla determinazione
di questi criteri, ovviamente, anche le classificazioni degli
impianti di discarica (punto 4.2. e segg.).
La disciplina dei controlli, dei prelievi e delle analisi rientra,
d'altra parte, nel potere di fissare i criteri e le modalita' per lo
smaltimento dei rifiuti e per l'ubicazione delle discariche al fine
di garantire i beni fondamentali della salute e dell'ambiente (punto
6). La stessa disciplina della relativa verbalizzazione (punto 6.4.)
impone il riferimento ad elementi essenziali del controllo (e,
dunque, fra l'altro, firma di chi lo ha eseguito, indicazione dei
rappresentanti dell'impresa presenti, osservazioni) e, pertanto, e'
conseguenza necessaria delle disposizioni relative al controllo
medesimo.
Non e' estranea al potere di indirizzo e coordinamento in materia
di autorizzazioni (art. 4, lett. f), del d.P.R. n. 915 del 1982),
secondo quanto si e' accennato, la disciplina dettata con l'atto
impugnato nella parte in cui si si limita a garantire le competenze
di tutte le Regioni interessate per la ipotesi che il medesimo
soggetto intenda svolgere questa attivita' in diversi luoghi o che
l'attivita' coinvolga il territorio di piu' Regioni, ed a
salvaguardare gli enti minori, prevedendo la comunicazione, per
conoscenza, ai Comuni ed alle Province interessate delle domande
relative (punto 5.1.1.; 5.2., secondo comma). Analogamente va detto
per quanto concerne, nell'ambito della disciplina anzidetta, la
previsione, peraltro senza ulteriori specificazioni, di garanzie
idonee ad assicurare la copertura dei costi del servizio cui
subordinare l'autorizzazione (punto 5.3.1, lett. f); 5.3.5.).
La determinazione dell'efficacia temporale dell'atto con riguardo
alle attivita', agli impianti e alle attrezzature, nonche' ai
trasferimenti e alle modifiche rilevanti per la salute e/o l'ambiente
posti in essere in epoca successiva (punto 7, primo comma) e con
riguardo agli impianti esistenti (punto 7, secondo comma, n. 1) non
innova rispetto alla disciplina di cui agli artt. 31 e 33 del d.P.R.
n. 915 del 1982.
E' vero che l'art. 33, terzo comma, prevede che le Regioni
stabiliscano il termine entro cui gli impianti e le attrezzature
esistenti debbono adeguarsi alle disposizioni del detto d.P.R. n. 915
del 1982, dopo aver esercitato le loro competenze di normazione
integrativa, in stretta consecutio rispetto alle disposizioni
dell'atto di indirizzo e coordinamento da emanare (art. 33, commi
primo e secondo); tuttavia l'art. 31 impone ai gestori degli impianti
in atto di chiedere autorizzazione provvisoria che potra' essere
accordata solo previo riscontro dell'osservanza delle disposizioni
del d.P.R. n. 915 del 1982 immediatamente applicabili (art. 31,
quinto comma). Il d.P.R. n. 915 del 1982 e', dunque, immediatamente
efficace per le disposizioni di esso idonee, appunto, ad immediata
applicazione. E tali debbono ritenersi non solo quelle gia' complete
di tutti gli elementi prescrittivi, ma anche quelle che vengono ad
essere completate per effetto delle indicazioni contenute nell'atto
di indirizzo e coordinamento.
Spetta, invece, alla Regione determinare i tempi di applicazione
di quelle disposizioni del d.P.R. n. 915 del 1982 non complete di
tutti gli elementi prescrittivi e non completate per effetto di
indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento, ma che
dovranno essere integrate con norme di legge regionale.
Non e' allora ravvisabile un contrasto fra quanto dispone il punto
7 dell'atto di indirizzo e coordinamento e quanto dispone la
normativa transitoria del d.P.R. n. 915 del 1982.
Per quanto riguarda gli impianti futuri, saranno applicabili
immediatamente solo quelle disposizioni del d.P.R. n. 915 del 1982
gia' complete di tutti i necessari elementi prescrittivi o completate
in conseguenza di indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e
coordinamento, non potendo avere efficacia precettiva immediata, al
di la' di espresse norme in proposito e per sua stessa natura, una
disciplina che sia di princi'pio od indicativa di criteri, qual e'
quella che, in larga misura, e' contenuta nell'atto di indirizzo e
coordinamento impugnato.
Per quanto concerne gli impianti esistenti, l'immediata
precettivita' di quanto dispongono i punti 1.2. ed 1.3. dell'atto di
indirizzo e coordinamento si collega, come accennato, all'avvenuta
integrazione, ad opera delle indicazioni contenute in tali parti
dell'atto medesimo, delle prescrizioni del d.P.R. n. 915 del 1982 sui
rifiuti tossici e nocivi e sui rifiuti pericolosi.
Il preannunzio di successiva deliberazione del Comitato
interministeriale di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 915 del 1982
relativamente ai criteri da adottare nel rilevamento dati in ordine
alla produzione ed allo smaltimento dei rifiuti (par. 8), essendo
privo, come ammette la medesima regione ricorrente, di contenuto
dispositivo attuale, non e' idoneo a ledere le competenze regionali.
8. - Le prescrizioni dell'atto di indirizzo e coordinamento
impugnato riconosciute rientranti nei poteri del Comitato non sono,
d'altra parte, eccessivamente dettagliate o tali da annullare le
competenze della Regione, giacche' si limitano a stabilire criteri
generali e minimali.
L'elenco, infatti, di cui al punto 1.1.1. sui rifiuti assimilabili
ha carattere, testualmente, esemplificativo; l'elenco di cui al punto
1.3. (rifiuti pericolosi) ha, come e' stato osservato, carattere
provvisorio ('ai fini della prima attuazione'); la disciplina della
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, ospedalieri, tossici e
nocivi si compone di un insieme di criteri piuttosto elastici ed
aperti, come quelli relativi ai contenitori, alla dispersione dei
rifiuti, largamente determinati da previsioni legislative e pur
sempre minimali.
Contrariamente a quanto asserito nel ricorso non e' prescritta ne'
la forma ne' il colore di questi contenitori ma solo che, per il
colore o per altra caratteristica, siano facilmente distinguibili
(punto 2.2.).
La disciplina dei processi di incenerimento contiene ampii rinvii
alla normativa vigente e fa salve espressamente ulteriori e piu'
rigorose prescrizioni regionali sicche' ha carattere largamente
minimale. E del pari si limita a fissare requisiti minimi
inderogabili la disciplina del compostaggio (punto 3).
Neppure esaustiva della competenza legislativa regionale e' la
disciplina delle discariche, che si limita ad esigere distanze di
sicurezza dai centri abitati, dalle falde acquifere, cautele per
evitare l'inquinamento ed ulteriori requisiti minimali di sicurezza
(punto 4.2. ss.).
Naturalmente - salva l'adozione di misure equivalenti nel senso
suindicato da parte della legge regionale - le regioni hanno comunque
il potere - come e' espressamente riconosciuto nell'atto impugnato di
emanare precetti piu' rigorosi di quelli che l'atto stesso pone al
fine di prescrivere requisiti minimi inderogabili a tutela della
salute e dell'ambiente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara cessata la materia del contendere per quel che concerne il
punto 0.3., terzo comma, della delibera del Comitato
interministeriale di cui all'art. 5 del d.P.R. 10 settembre 1982, n.
915, in data 27 luglio 1984, nella parte in cui prescrive che "In
caso di inottemperanza da parte della regione, provvede all'uopo il
Commissario del Governo";
Dichiara che non spetta allo Stato disciplinare, con la
deliberazione del Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del
d.P.R. n. 915 del 1982, in data 27 luglio 1984, il momento
organizzativo dell'azione amministrativa regionale, in tema di
autorizzazione per lo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi,
prevedendo il parere congiunto dell'Istituto superiore della sanita',
dell'Istituto per la sicurezza del lavoro e dell'Istituto di ricerca
sulle acque del C.N.R. sui progetti di discarica di terza categoria
e, per l'effetto, annulla il punto 5.2., terzo comma, di tale atto;
Dichiara che non spetta allo Stato disciplinare, con il detto
atto, il momento procedimentale delle autorizzazioni per lo
smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi e, per l'effetto, annulla i
punti 5.1.2., 5.2., primo comma, 5.3.1., salva la prescrizione di cui
alla lettera f); 5.3.2.; 5.3.3.; 5.3.4.; 5.3.6. dell'atto medesimo;
Rigetta per il resto il ricorso per conflitto di attribuzioni
proposto dalla Regione Lombardia con l'atto indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1988.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CORASANITI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 30 giugno 1988.
Il direttore della cancelleria: MINELLI
88C1079