N. 1010 SENTENZA 26 ottobre - 3 novembre 1988
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Edilizia - Regione Sicilia - Sistemazione della zona termale di Sciacca e del Monte Kronio - Approvazione delle proposte di modifica dei piani comprensoriali da parte della regione Procedimento - Obbligo di comunicazione a consorzi di comuni per le controdeduzioni - Mancata previsione - Violazione dell'autonomia degli enti locali territoriali - Non fondatezza. (Legge regione Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, terzo comma). (Cost., artt. 5, 114 e 128; statuto speciale regione Sicilia, art. 14)(GU n.45 del 9-11-1988 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 4, secondo e terzo comma, della legge della Regione Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1 ("Primi provvedimenti per la ripresa civile ed economica delle zone colpite dai terremoti del 1967 e 1968"), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 9 aprile 1980 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia sul ricorso proposto da Antogna Francesco ed altri contro il Presidente della Regione Sicilia ed altri, iscritta al n. 346 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 303 dell'anno 1982; 2) ordinanza emessa il 26 gennaio 1984 dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia sui ricorsi riuniti proposti da Gallo Paolo ed altri contro il Presidente della Regione Sicilia ed altri, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 161- bis dell'anno 1985; Visti gli atti di costituzione della Societa' Termale Abano-Sciacca e di Badano Giovanni, nonche' gli atti di intervento della Regione Sicilia; Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; Uditi l'Avvocato Federico Sorrentino per la Societa' Termale Abano-Sciacca e l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per la Regione Sicilia; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio di appello avverso una sentenza del TAR della Sicilia con la quale era stato respinto il ricorso proposto da alcuni proprietari per l'annullamento del decreto del Presidente della Regione Siciliana 8 aprile 1975, n. 63/A, relativo alla approvazione del piano di sistemazione della zona termale di Sciacca e della zona di Monte Kronio, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 114 e 128 Cost., e 14 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, secondo comma, della legge regionale siciliana 3 febbraio 1968, n. 1, nella parte in cui non prevede che le proposte di modifica dei piani comprensoriali, formulabili dalla Regione in sede di approvazione, siano comunicate ai Consorzi per sollecitarne le controdeduzioni. 1.1. - Il giudice a quo, dopo aver premesso che i piani comprensoriali sono stati previsti dall'art. 2, comma secondo, della legge impugnata, come strumenti di pianificazione per la ripresa delle zone colpite dagli eventi sismici del 1967 e 1968, precisa che la stessa legge prevede un procedimento di formazione di tali piani cosi' congegnato: a) preparazione dello schema di piano da parte dell'amministrazione regionale, d'intesa con i comuni costituiti in consorzio; b) adozione dei piani da parte dei consorzi; c) pubblicazione dei piani in vista della sollecitazione di eventuali osservazioni; d) invio all'assessorato per lo sviluppo economico; e) approvazione del piano. In questo procedimento, osserva il giudice a quo, non e' previsto l'obbligo per la regione di comunicare ai comuni consorziati le proposte di modifiche diverse dalle osservazioni eventualmente formulate nelle fasi precedenti e provenienti dalla stessa amministrazione regionale sulla base di autonome valutazioni. Ad avviso del giudice a quo, tale omissione non puo' essere ovviata applicando al procedimento per l'approvazione dei piani comprensoriali la disposizione dell'art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'art. 3 della legge 6 agosto 1967, n. 765, secondo il quale le proposte di modifica dei piani regolatori generali devono essere comunicate ai comuni interessati, da parte dell'autorita' competente all'approvazione, per averne le eventuali controdeduzioni. Questa impossibilita', sempre secondo il giudice a quo, deriverebbe, da un lato, dal fatto che la Regione vanta in materia urbanistica una competenza esclusiva e, dall'altro, dal rilievo che non e' possibile assimilare i piani comprensoriali ai piani regolatori generali. Da tutto cio' conseguirebbe, secondo il giudice rimettente, che la mancata previsione di quell'obbligo concreterebbe una violazione del principio di autonomia degli enti locali territoriali, di cui agli artt. 5, 114 e 128 della Costituzione e 14 Statuto della Regione Siciliana. Questo ragionamento vale, secondo il giudice a quo, anche nel caso in cui, come in ipotesi, vi siano piu' enti titolari di varie competenze in relazione al medesimo territorio. In particolare, poiche' i piani comprensoriali sono preordinati alla disciplina di un interesse urbanistico di dimensione ultra-comunale ed hanno una portata precettiva tanto per gli insediamenti produttivi che per quelli abitativi, si pone un complesso problema di ripartizione del territorio, finalizzata all'organico e programmato assetto delle zone rispetto alle quali hanno efficacia i piani comprensoriali. In quest'ottica, l'esigenza di programmazione, se spiega l'attribuzione alla Regione del potere di approvare i piani e di apportare agli stessi modifiche anche al di la' dei limiti previsti dall'art. 10 legge n. 1150 del 1942, non puo' tuttavia far venir meno il legame esistente tra il piano comprensoriale e comunita' insediate nel territorio. Non e' pertanto conforme al principio del rispetto dell'autonomia degli enti locali territoriali che modifiche, anche rilevanti, idonee ad incidere su interessi oggetto della competenza comunale e consortile, vengano adottate senza che questi enti siano messi in condizione di controdedurre. In questo senso e' particolarmente significativa, ad avviso del giudice a quo, la circostanza che la legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71, ha previsto che le varianti ai piani comprensoriali siano approvate, tra l'altro, dopo che l'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente abbia comunicato al consorzio le proprie determinazioni in ordine alla variante deliberata in sede consortile. Tale disposizione, peraltro, essendo priva di efficacia retroattiva non fa venir meno la rilevanza della questione, al pari dell'altra disposizione della medesima legge che ha disposto la sostanziale abrogazione della legge n. 1 del 1968. 1.2. - Si e' costituito nel presente giudizio il Sig. Giovanni Badano chiedendo l'accoglimento della questione. Nella memoria si sottolinea che, avendo gia' dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge regionale siciliana approvata il 15 dicembre 1978 ("Norme integrative e modificative della legislazione vigente nel territorio della Regione Sicilia in materia urbanistica"), in quanto consentiva all'assessore regionale competente di apportare ai piani regolatori generali adottati dai comuni modifiche essenziali a salvaguardia di generiche esigenze di pubblico interesse, esigenze che apparivano diverse da quelle che trovavano giustificazione nell'adeguamento a leggi statali o regionali o alle altre esigenze ivi indicate (v. sent. n. 13 del 1980), questa Corte dovrebbe applicare lo stesso principio allora fatto valere per i piani regolatori generali anche ai piani comprensoriali, di cui alla legge regionale n. 1 del 1968. Questi ultimi, infatti, si ispirerebbero, secondo la parte privata, al modello dei piani intercomunali disciplinati dall'art. 12 della legge urbanistica (legge n. 1150 del 1942), che, a loro volta, si identificano con i piani regolatori generali (v. Cons. Stato IV, 22 marzo 1974, n. 264). Questa analogia sarebbe, del resto, confermata dalla stessa legge regionale, la quale, nel prevedere piani particolareggiati di esecuzione dei piani comprensoriali, stabilisce per questi ultimi il medesimo strumento di attuazione che la legge urbanistica prevede per l'attuazione dei piani regolatori generali. 1.3. - Si e' costituita la Societa' Termale Abano - Sciacca SITAS, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata. Secondo la predetta societa', il giudice a quo muove da un equivoco di fondo, che lo porta a ritenere che i piani urbanistici di cui alla legge regionale n. 1 del 1968 siano veri e propri strumenti urbanistici del tipo dei piani regolatori generali, mentre i piani comprensoriali sarebbero stati in realta' previsti al fine dell'organico e perequato assetto di alcune zone. Su questa premessa, la SITAS osserva che nel caso in questione non possono venire in considerazione i procedimenti previsti dalle leggi nazionali per un istituto diverso, come quello dei piani regolatori generali, se non nei limiti in cui i procedimenti stessi siano richiamati. D'altronde, conclude la SITAS, nella stessa legislazione statale si rinvengono altre ipotesi nelle quali l'attuazione delle opere di pubblica utilita' sottostanti al piano e' affidata alla pubblica amministrazione (v., ad esempio, il procedimento di formazione del piano decennale di cui alla legge n. 457 del 1978). 2. - Con ordinanza emessa il 26 gennaio 1984, anche il TAR per la Sicilia ha sollevato questione di legittimita' costituzionale sulla medesima legge regionale (art. 4, comma terzo) in riferimento agli stessi parametri indicati nella precedente ordinanza, e precisamente agli artt. 3 (recte: 5), 114 e 128 della Costituzione, e 14 dello Statuto regionale siciliano. La legge regionale siciliana 3 febbraio 1968, n. 1, e' impugnata, in tal caso, nella parte in cui prevede la modificabilita' del piano comprensoriale deliberato dai Comuni inclusi nel territorio oggetto del piano, senza assicurare alcuna possibilita' di intervento da parte dei comuni stessi in sede di esame delle proposte di modifica. Le argomentazioni svolte dal T.A.R. coincidono con quelle svolte dal Consiglio di giustizia amministrativa, di cui al punto 1.1. che precede. 3. - E' intervenuta in entrambi i giudizi la Regione Siciliana, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata. Nell'atto di intervento l'Avvocatura osserva, da un lato, che la clausola dell'art. 10 della legge n. 1150 del 1942 non puo' essere fatta assurgere al rango di principio fondamentale e, dall'altro, che la previa audizione dell'ente locale sulle modifiche apportate in sede di approvazione, se ha un indiscutibile fondamento solo con riferimento al piano regolatore comunale, non lo avrebbe di certo nei confronti di un piano di livello superiore, per il quale, per definizione, il potere dell'autorita' regionale di stabilire l'assetto del territorio risponde a valutazioni meno vincolate agli apprezzamenti emergenti in sede locale. Oltre a cio', l'Avvocatura osserva che, poiche' il giudice a quo ha messo in discussione, non gia' le norme della legge regionale che attribuiscono alla Regione il potere di approvare il piano apportandovi le modificazioni, ma quelle relative alla omessa previsione di un onere procedimentale il cui esito non vincolerebbe comunque il potere regionale di approvazione del piano, appare improprio il riferimento agli artt. 5 e 128 della Costituzione. Per la Regione, infatti, i principi espressi da tali disposizioni potrebbero dirsi rispettati in ogni caso in cui la disciplina legislativa conformi lo schema procedimentale in modo da assicurare la partecipazione deliberativa degli enti esponenziali delle comunita' locali interessate alle prescrizioni del piano. I modi particolari di articolazione del procedimento resterebbero, peraltro, affidati alla discrezionalita' del legislatore statale o regionale, potendo legittimamente influire su tali scelte altre esigenze, quali quelle della speditezza e dell'efficienza dell'azione amministrativa, le quali potrebbero essere particolarmente rilevanti in casi, come quello di specie, in cui il legislatore regionale e' intervenuto per garantire la ripresa sociale ed economica delle zone colpite dai terremoti del 1967 e 1968. Considerato in diritto 1. - Le due ordinanze di rimessione prospettano dubbi di legittimita' costituzionale concernenti la medesima disposizione. I relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con unica sentenza. 2. - La disposizione impugnata e' contenuta nell'art. 4, terzo comma, della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 1968, n. 1, dovendosi ritenere che solo per errore nel dispositivo dell'ordinanza emessa dal Consiglio di Giustizia amministrativa e' indicato l'art. 4, secondo comma, della medesima legge. E', infatti, l'art. 4, terzo comma, a disciplinare la fase finale del procedimento di approvazione dei piani urbanistici comprensoriali, prevedendo che gli stessi siano approvati dal Presidente della Regione, sentita la Giunta di Governo. In entrambe le ordinanze viene prospettato il dubbio che la disposizione impugnata, nel consentire, al pari di quanto previsto dalla legge urbanistica statale per i piani regolatori generali, che, in sede di approvazione, vengano apportate al piano urbanistico comprensoriale, adottato dal consorzio di Comuni, modifiche d'ufficio che non vanno portate a conoscenza del consorzio stesso o dei singoli Comuni interessati, violerebbe gli artt. 5 (erroneamente indicato nel dispositivo dell'ordinanza del T.A.R. per la Sicilia come art. 3 Cost.), 114 e 128 della Costituzione, nonche' l'art. 14 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana. 3. - La questione non e' fondata. I giudici a quibus, pur riconoscendo che i piani urbanistici comprensoriali sono diversi dai piani regolatori comunali, ritengono che la norma procedimentale posta dall'art. 10, quarto comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come modificato dalla legge 6 agosto 1967, n. 765), la quale prevede la comunicazione al Comune delle modificazioni che la Giunta regionale intende apportare, in sede di approvazione, al piano regolatore adottato, sia diretta espressione della garanzia costituzionale dell'autonomia comunale, garanzia che dovrebbe essere osservata anche nei casi in cui l'amministrazione comunale faccia parte di un consorzio. Per tali motivi, essi ritengono che la legge impugnata, non prevedendo un obbligo di comunicazione analogo a quello ora ricordato, debba esser considerata in contrasto con le norme costituzionali poste a garanzia dell'autonomia comunale. Pur tralasciando il dubbio se dall'art. 10, quarto comma, appena citato, possa desumersi un principio generale dell'ordinamento, idoneo a vincolare la potesta' esclusiva della Regione Siciliana in materia di urbanistica e di regime degli enti locali (art. 14, lett. f ed o St. Sic.), occorre rilevare che, come ha esattamente sostenuto l'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel presente giudizio a difesa della Regione Siciliana, la previa audizione dell'ente locale sulle modifiche da apportare al piano regolatore in sede di approvazione in tanto ha un proprio fondamento in quanto lo strumento urbanistico sottoposto ad approvazione sia il piano regolatore comunale. Ove, invece, come nel caso di specie, lo strumento urbanistico sia un piano di livello superiore, in riferimento al quale predominante e' l'interesse della Regione (autorita' preposta all'approvazione), la questione presenta aspetti differenti. In quest'ultima ipotesi, anche se non vi puo' esser dubbio che la garanzia costituzionale del principio autonomistico, prevista dagli artt. 5 e 128 della Costituzione, puo' dirsi rispettata ogni qual volta il procedimento finalizzato all'approvazione degli strumenti urbanistici sia articolato in modo tale da assicurare una sostanziale partecipazione allo stesso degli enti il cui assetto territoriale e' determinato dagli strumenti in questione, appare del pari indubbio che l'individuazione dei modi nei quali tale coinvolgimento puo' avvenire e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore (statale o regionale che sia), la quale puo' esser sindacata da questa Corte solamente sotto il profilo della sua ragionevolezza. E, del resto, che il concreto atteggiarsi delle modalita' di partecipazione degli enti locali territoriali al procedimento di formazione dei piani urbanistici rientri nella discrezionalita' del legislatore, e' reso evidente dalla circostanza che i giudici a quibus, pur partendo da argomentazioni coincidenti, individuano distinte modalita' di partecipazione, lamentando, l'uno, la mancanza di una previsione dell'obbligo di comunicare le modifiche apportate in sede di approvazione al consorzio di Comuni e dolendosi, l'altro, della medesima mancanza in riferimento alle singole amministrazioni interessate alle modifiche. Sta di fatto, comunque, che, sotto il profilo della ragionevolezza della scelta legislativa oggetto del presente giudizio, il procedimento delineato per la formazione dei piani urbanistici comprensoriali appare coerente con le finalita' generali perseguite dalla legge regionale che lo prevede, consistenti nell'organico e programmato assetto delle zone colpite dagli eventi sismici del 1967 e del 1968, finalita' che vanno realizzate anche attraverso le previsioni relative allo sviluppo e alla trasformazione degli insediamenti abitativi e produttivi (art. 2, primo e secondo comma). In altre parole, si tratta di un procedimento in se' compiuto, che risponde a una logica sua propria e che, pertanto, non si presta ad integrazioni mediante il riferimento, per quanto non previsto, a una legge, come quella urbanistica dello Stato, che e' in realta' ispirata, data la diversa natura dei piani ivi previsti, a finalita' diverse. Del resto, questa Corte non puo' sottacere che la peculiarita' delle situazioni alle quali ha tentato di far fronte la legge 3 febbraio 1968, n. 1 e' gia' stata riconosciuta da questa Corte, allorche' ha ritenuto non fondata la questione di legittimita' costituzionale della legge della Regione Siciliana 5 novembre 1973, n. 38 ("Norme concernenti la durata dei vincoli degli strumenti urbanistici nel territorio della Regione Siciliana"), che richiama la predetta legge, proprio in virtu' della temporaneita' di quella normativa e dello stretto collegamento della stessa con le esigenze poste dagli eventi sismici del 1967 e del 1968 (v. sent. n. 82 del 1982). 4. - Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, appaiono privi di consistenza anche gli altri argomenti addotti dai giudici a quibus o dalle parti. Innanzitutto, il riferimento contenuto nelle ordinanze di rimessione alle norme sul procedimento relativo all'approvazione, da parte di singoli comuni, delle varianti ai piani comprensoriali, - le quali comportano la comunicazione all'amministrazione comunale interessata delle modifiche apportate d'ufficio in sede di approvazione (artt. 8, sesto comma, e 4 della legge 27 dicembre 1978, n. 71) - non e' soltanto inconferente ai fini della dimostrazione della pretesa incostituzionalita' della disposizione impugnata, ma fornisce, anzi, ulteriori ragioni a sostegno della non fondatezza della questione. A dire il vero, la disposizione attinente alle varianti e' contenuta in un articolo che prevede, da un lato, la cessazione della esistenza dei consorzi ed il conseguente scioglimento delle assemblee consortili e, dall'altro, la perdurante efficacia dei piani urbanistici comprensoriali sino alla eventuale adozione, da parte dei Comuni appartenenti al consorzio, di strumenti urbanistici generali, che tengano conto delle direttive poste dal vigente piano comprensoriale. Il fatto che le varianti debbano essere approvate in base a un procedimento che dispone la comunicazione all'amministrazione comunale interessata delle modifiche apportate d'ufficio in sede di approvazione risponde, dunque, non gia' a un, se pur tardivo, riconoscimento del legislatore regionale della inadeguatezza (se non della illegittimita') della preesistente disciplina, ma piuttosto all'esigenza di conciliare la perdurante vigenza dei piani comprensoriali con la cessazione dei consorzi obbligatori, che avevano adottato quei piani. Si tratta, in altre parole, di una disposizione che conferma l'unitarieta' del procedimento di formazione dei piani comprensoriali disciplinato dalla legge regionale n. 1 del 1968, nonche' la sua rispondenza agli interessi della pianificazione sovracomunale che il legislatore intendeva perseguire. Ne', contrariamente a quanto arguito da una parte privata, puo' essere attribuito particolare rilievo alla sentenza di questa Corte n. 13 del 1980, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 5 e 128 Cost., di due disposizioni di una legge regionale siciliana, in quanto consentivano all'assessore regionale per il territorio e l'ambiente di apportare, a tutela del pubblico interesse, modifiche essenziali ai piani regolatori generali adottati dai comuni, le quali non trovavano giustificazione nell'adeguamento a leggi statali e regionali o nel concorso di alcune delle condizioni previste dall'art. 3 della legge n. 765 del 1967. Il riferimento a questa sentenza, infatti, non e' pertinente per due motivi. In primo luogo, perche' la pronuncia appena ricordata investiva lo stesso potere regionale di approvazione (con modificazioni sostanziali non riconducibili alle ipotesi previste dalla legge statale) del piano regolatore comunale, mentre nel caso di specie nessun dubbio e' sollevato in ordine al medesimo potere, lamentandosi solo la mancata comunicazione alle Amministrazioni interessate o al consorzio. In secondo luogo, perche' la controversia decisa con la precedente sentenza concerneva le modificazioni apportabili al piano regolatore comunale, e non gia' quelle relative a piani di livello superiore. Per tali motivi non e' possibile trarre da quella decisione alcun elemento nel senso della fondatezza della questione oggetto del presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, terzo comma, della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 1968, n. 1 ("Primi provvedimenti per la ripresa civile ed economica delle zone colpite dai terremoti del 1967 e 1968"), sollevata, in riferimento agli artt. 5, 114 e 128 Cost., e 14 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia e dal T.A.R. per la Sicilia con le ordinanze indicate in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1988. Il Presidente: SAJA Il redattore: BALDASARRE Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 3 novembre 1988. Il direttore della cancelleria: MINELLI 88C1683