N. 1010 SENTENZA 26 ottobre - 3 novembre 1988

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  Edilizia
 - Regione Sicilia - Sistemazione della zona termale di Sciacca e del
 Monte Kronio - Approvazione delle proposte di modifica dei piani
 comprensoriali da parte della regione Procedimento - Obbligo di
 comunicazione a consorzi di comuni per  le controdeduzioni - Mancata
 previsione - Violazione dell'autonomia degli enti locali territoriali
 - Non fondatezza.  (Legge regione Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art.
 4, terzo comma).  (Cost., artt. 5, 114 e 128; statuto speciale
 regione Sicilia, art. 14)
(GU n.45 del 9-11-1988 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4, secondo e
 terzo comma, della legge della Regione Sicilia 3 febbraio 1968, n.  1
 ("Primi  provvedimenti  per la ripresa civile ed economica delle zone
 colpite dai terremoti del 1967 e 1968"),  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 9 aprile 1980 dal Consiglio di giustizia
 amministrativa per la Regione Sicilia sul ricorso proposto da Antogna
 Francesco  ed  altri  contro  il  Presidente della Regione Sicilia ed
 altri, iscritta al n. 346 del registro ordinanze  1982  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 303 dell'anno 1982;
      2)   ordinanza   emessa   il   26  gennaio  1984  dal  Tribunale
 Amministrativo Regionale della Sicilia sui ricorsi  riuniti  proposti
 da Gallo Paolo ed altri contro il Presidente della Regione Sicilia ed
 altri, iscritta al n. 113 del registro ordinanze  1985  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 161- bis dell'anno 1985;
    Visti   gli   atti   di   costituzione   della   Societa'  Termale
 Abano-Sciacca e di Badano Giovanni, nonche' gli  atti  di  intervento
 della Regione Sicilia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avvocato  Federico  Sorrentino  per  la  Societa' Termale
 Abano-Sciacca e l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per la Regione
 Sicilia;
                            Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un giudizio di appello avverso una sentenza del
 TAR della Sicilia con la quale era stato respinto il ricorso proposto
 da  alcuni  proprietari per l'annullamento del decreto del Presidente
 della Regione  Siciliana  8  aprile  1975,  n.  63/A,  relativo  alla
 approvazione  del piano di sistemazione della zona termale di Sciacca
 e  della  zona  di  Monte   Kronio,   il   Consiglio   di   giustizia
 amministrativa  per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento
 agli artt. 5, 114 e 128 Cost., e 14 dello  Statuto  speciale  per  la
 Regione Siciliana, questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 4, secondo comma, della legge regionale siciliana 3 febbraio 1968, n.
 1,  nella  parte  in  cui non prevede che le proposte di modifica dei
 piani  comprensoriali,  formulabili  dalla   Regione   in   sede   di
 approvazione,  siano  comunicate  ai  Consorzi  per  sollecitarne  le
 controdeduzioni.
    1.1.  -  Il  giudice  a  quo,  dopo  aver  premesso  che  i  piani
 comprensoriali sono stati previsti dall'art. 2, comma secondo,  della
 legge  impugnata,  come  strumenti  di  pianificazione per la ripresa
 delle zone colpite dagli eventi sismici del 1967 e 1968, precisa  che
 la  stessa  legge prevede un procedimento di formazione di tali piani
 cosi' congegnato:
       a)    preparazione    dello    schema   di   piano   da   parte
 dell'amministrazione regionale, d'intesa con i comuni  costituiti  in
 consorzio;
       b) adozione dei piani da parte dei consorzi;
       c)  pubblicazione  dei  piani  in vista della sollecitazione di
 eventuali osservazioni;
      d) invio all'assessorato per lo sviluppo economico;
       e) approvazione del piano.
    In  questo procedimento, osserva il giudice a quo, non e' previsto
 l'obbligo per la regione  di  comunicare  ai  comuni  consorziati  le
 proposte   di  modifiche  diverse  dalle  osservazioni  eventualmente
 formulate  nelle  fasi  precedenti   e   provenienti   dalla   stessa
 amministrazione regionale sulla base di autonome valutazioni.
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  tale  omissione non puo' essere
 ovviata applicando  al  procedimento  per  l'approvazione  dei  piani
 comprensoriali  la  disposizione  dell'art.  10 della legge 17 agosto
 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'art. 3 della legge 6  agosto
 1967,  n.  765,  secondo  il  quale le proposte di modifica dei piani
 regolatori generali devono essere comunicate ai  comuni  interessati,
 da  parte  dell'autorita'  competente all'approvazione, per averne le
 eventuali controdeduzioni. Questa impossibilita', sempre  secondo  il
 giudice  a  quo,  deriverebbe,  da  un lato, dal fatto che la Regione
 vanta in materia urbanistica una competenza esclusiva e,  dall'altro,
 dal rilievo che non e' possibile assimilare i piani comprensoriali ai
 piani regolatori generali. Da tutto cio'  conseguirebbe,  secondo  il
 giudice  rimettente,  che  la  mancata  previsione  di  quell'obbligo
 concreterebbe una violazione del principio di  autonomia  degli  enti
 locali   territoriali,   di  cui  agli  artt.  5,  114  e  128  della
 Costituzione e 14 Statuto della Regione Siciliana.
    Questo ragionamento vale, secondo il giudice a quo, anche nel caso
 in cui, come in  ipotesi,  vi  siano  piu'  enti  titolari  di  varie
 competenze  in  relazione  al  medesimo  territorio.  In particolare,
 poiche' i piani comprensoriali sono preordinati alla disciplina di un
 interesse  urbanistico  di  dimensione  ultra-comunale  ed  hanno una
 portata precettiva tanto per  gli  insediamenti  produttivi  che  per
 quelli  abitativi,  si pone un complesso problema di ripartizione del
 territorio, finalizzata all'organico e programmato assetto delle zone
 rispetto  alle  quali  hanno  efficacia  i  piani  comprensoriali. In
 quest'ottica, l'esigenza di programmazione, se spiega  l'attribuzione
 alla  Regione  del  potere  di  approvare i piani e di apportare agli
 stessi modifiche anche al di la' dei  limiti  previsti  dall'art.  10
 legge  n.  1150  del 1942, non puo' tuttavia far venir meno il legame
 esistente tra il  piano  comprensoriale  e  comunita'  insediate  nel
 territorio.  Non  e'  pertanto  conforme  al  principio  del rispetto
 dell'autonomia degli enti locali territoriali  che  modifiche,  anche
 rilevanti,  idonee  ad incidere su interessi oggetto della competenza
 comunale e consortile, vengano adottate senza che questi  enti  siano
 messi in condizione di controdedurre.
    In  questo  senso  e' particolarmente significativa, ad avviso del
 giudice a quo, la circostanza che  la  legge  regionale  27  dicembre
 1978,  n.  71,  ha  previsto  che le varianti ai piani comprensoriali
 siano approvate, tra l'altro, dopo che l'Assessore regionale  per  il
 territorio  e  l'ambiente  abbia  comunicato  al consorzio le proprie
 determinazioni in ordine alla variante deliberata in sede consortile.
 Tale  disposizione,  peraltro, essendo priva di efficacia retroattiva
 non fa venir meno la rilevanza della questione,  al  pari  dell'altra
 disposizione  della  medesima  legge  che  ha disposto la sostanziale
 abrogazione della legge n. 1 del 1968.
    1.2.  -  Si  e'  costituito nel presente giudizio il Sig. Giovanni
 Badano chiedendo l'accoglimento della questione.
    Nella  memoria  si  sottolinea  che,  avendo  gia'  dichiarato  la
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della  legge  regionale
 siciliana  approvata  il  15  dicembre  1978  ("Norme  integrative  e
 modificative della legislazione vigente nel territorio della  Regione
 Sicilia  in materia urbanistica"), in quanto consentiva all'assessore
 regionale  competente  di  apportare  ai  piani  regolatori  generali
 adottati  dai comuni modifiche essenziali a salvaguardia di generiche
 esigenze di pubblico interesse, esigenze che  apparivano  diverse  da
 quelle che trovavano giustificazione nell'adeguamento a leggi statali
 o regionali o alle altre esigenze ivi indicate (v. sent.  n.  13  del
 1980),  questa  Corte  dovrebbe  applicare lo stesso principio allora
 fatto  valere  per  i  piani  regolatori  generali  anche  ai   piani
 comprensoriali,  di  cui  alla  legge regionale n. 1 del 1968. Questi
 ultimi, infatti, si  ispirerebbero,  secondo  la  parte  privata,  al
 modello dei piani intercomunali disciplinati dall'art. 12 della legge
 urbanistica  (legge  n.  1150  del  1942),  che,  a  loro  volta,  si
 identificano  con  i piani regolatori generali (v. Cons. Stato IV, 22
 marzo 1974, n. 264). Questa analogia sarebbe, del  resto,  confermata
 dalla   stessa   legge  regionale,  la  quale,  nel  prevedere  piani
 particolareggiati di esecuzione dei piani comprensoriali,  stabilisce
 per  questi  ultimi  il medesimo strumento di attuazione che la legge
 urbanistica prevede per l'attuazione dei piani regolatori generali.
    1.3. - Si e' costituita la Societa' Termale Abano - Sciacca SITAS,
 chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
    Secondo  la  predetta  societa',  il  giudice  a  quo  muove da un
 equivoco di fondo, che lo porta a ritenere che i piani urbanistici di
 cui  alla legge regionale n. 1 del 1968 siano veri e propri strumenti
 urbanistici del tipo dei piani regolatori generali,  mentre  i  piani
 comprensoriali   sarebbero   stati   in   realta'  previsti  al  fine
 dell'organico e perequato assetto di alcune zone.
    Su questa premessa, la SITAS osserva che nel caso in questione non
 possono venire in considerazione i procedimenti previsti dalle  leggi
 nazionali  per  un istituto diverso, come quello dei piani regolatori
 generali, se non nei  limiti  in  cui  i  procedimenti  stessi  siano
 richiamati.
    D'altronde,  conclude  la SITAS, nella stessa legislazione statale
 si rinvengono altre ipotesi nelle quali l'attuazione delle  opere  di
 pubblica  utilita'  sottostanti  al  piano  e' affidata alla pubblica
 amministrazione (v., ad esempio, il procedimento  di  formazione  del
 piano decennale di cui alla legge n. 457 del 1978).
    2.  - Con ordinanza emessa il 26 gennaio 1984, anche il TAR per la
 Sicilia ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale  sulla
 medesima  legge  regionale  (art. 4, comma terzo) in riferimento agli
 stessi parametri indicati nella precedente ordinanza, e  precisamente
 agli  artt.  3  (recte:  5), 114 e 128 della Costituzione, e 14 dello
 Statuto regionale siciliano. La legge regionale siciliana 3  febbraio
 1968,  n. 1, e' impugnata, in tal caso, nella parte in cui prevede la
 modificabilita'  del  piano  comprensoriale  deliberato  dai   Comuni
 inclusi  nel  territorio  oggetto  del piano, senza assicurare alcuna
 possibilita' di intervento da parte dei  comuni  stessi  in  sede  di
 esame delle proposte di modifica.
    Le  argomentazioni  svolte dal T.A.R. coincidono con quelle svolte
 dal Consiglio di giustizia amministrativa, di cui al punto  1.1.  che
 precede.
    3.  -  E'  intervenuta in entrambi i giudizi la Regione Siciliana,
 rappresentata e difesa  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  per
 chiedere che la questione sia dichiarata non fondata.
    Nell'atto  di  intervento l'Avvocatura osserva, da un lato, che la
 clausola dell'art. 10 della legge n. 1150 del 1942  non  puo'  essere
 fatta assurgere al rango di principio fondamentale e, dall'altro, che
 la previa audizione dell'ente locale  sulle  modifiche  apportate  in
 sede  di  approvazione,  se  ha  un indiscutibile fondamento solo con
 riferimento al piano regolatore comunale, non lo avrebbe di certo nei
 confronti  di  un  piano  di  livello  superiore,  per  il quale, per
 definizione,  il  potere  dell'autorita'   regionale   di   stabilire
 l'assetto  del  territorio risponde a valutazioni meno vincolate agli
 apprezzamenti emergenti in sede locale.
    Oltre  a  cio', l'Avvocatura osserva che, poiche' il giudice a quo
 ha messo in discussione, non gia' le norme della legge regionale  che
 attribuiscono   alla   Regione   il  potere  di  approvare  il  piano
 apportandovi  le  modificazioni,  ma  quelle  relative  alla   omessa
 previsione  di  un onere procedimentale il cui esito non vincolerebbe
 comunque il  potere  regionale  di  approvazione  del  piano,  appare
 improprio  il  riferimento agli artt. 5 e 128 della Costituzione. Per
 la  Regione,  infatti,  i  principi  espressi  da  tali  disposizioni
 potrebbero  dirsi  rispettati  in  ogni  caso  in  cui  la disciplina
 legislativa conformi lo schema procedimentale in modo  da  assicurare
 la   partecipazione   deliberativa   degli  enti  esponenziali  delle
 comunita' locali interessate alle  prescrizioni  del  piano.  I  modi
 particolari di articolazione del procedimento resterebbero, peraltro,
 affidati alla discrezionalita' del legislatore statale  o  regionale,
 potendo  legittimamente influire su tali scelte altre esigenze, quali
 quelle della speditezza e dell'efficienza dell'azione amministrativa,
 le  quali  potrebbero  essere particolarmente rilevanti in casi, come
 quello di specie, in cui il legislatore regionale e' intervenuto  per
 garantire  la  ripresa  sociale  ed  economica delle zone colpite dai
 terremoti del 1967 e 1968.
                         Considerato in diritto
    1.   -  Le  due  ordinanze  di  rimessione  prospettano  dubbi  di
 legittimita' costituzionale concernenti la medesima  disposizione.  I
 relativi  giudizi  vanno, quindi, riuniti per essere decisi con unica
 sentenza.
    2.  -  La  disposizione  impugnata e' contenuta nell'art. 4, terzo
 comma, della legge della Regione Siciliana 3  febbraio  1968,  n.  1,
 dovendosi ritenere che solo per errore nel dispositivo dell'ordinanza
 emessa dal Consiglio di Giustizia amministrativa e'  indicato  l'art.
 4,  secondo comma, della medesima legge. E', infatti, l'art. 4, terzo
 comma, a disciplinare la fase finale del procedimento di approvazione
 dei piani urbanistici comprensoriali, prevedendo che gli stessi siano
 approvati dal Presidente della Regione, sentita la Giunta di Governo.
    In  entrambe  le  ordinanze  viene  prospettato  il  dubbio che la
 disposizione impugnata, nel consentire, al pari  di  quanto  previsto
 dalla legge urbanistica statale per i piani regolatori generali, che,
 in sede di  approvazione,  vengano  apportate  al  piano  urbanistico
 comprensoriale, adottato dal consorzio di Comuni, modifiche d'ufficio
 che non vanno portate a conoscenza del consorzio stesso o dei singoli
 Comuni interessati, violerebbe gli artt. 5 (erroneamente indicato nel
 dispositivo dell'ordinanza del T.A.R. per  la  Sicilia  come  art.  3
 Cost.), 114 e 128 della Costituzione, nonche' l'art. 14 dello Statuto
 speciale per la Regione Siciliana.
    3. - La questione non e' fondata.
    I  giudici  a  quibus,  pur  riconoscendo  che i piani urbanistici
 comprensoriali sono diversi dai piani regolatori comunali,  ritengono
 che  la  norma procedimentale posta dall'art. 10, quarto comma, della
 legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come modificato dalla legge  6  agosto
 1967,  n.  765),  la  quale  prevede la comunicazione al Comune delle
 modificazioni che la Giunta regionale intende apportare, in  sede  di
 approvazione,  al  piano regolatore adottato, sia diretta espressione
 della garanzia costituzionale dell'autonomia comunale,  garanzia  che
 dovrebbe  essere  osservata  anche  nei casi in cui l'amministrazione
 comunale  faccia  parte  di  un  consorzio.  Per  tali  motivi,  essi
 ritengono  che  la  legge  impugnata,  non  prevedendo  un obbligo di
 comunicazione analogo a quello ora ricordato, debba esser considerata
 in   contrasto   con   le   norme  costituzionali  poste  a  garanzia
 dell'autonomia comunale.
    Pur  tralasciando  il dubbio se dall'art. 10, quarto comma, appena
 citato,  possa  desumersi  un  principio  generale  dell'ordinamento,
 idoneo  a  vincolare la potesta' esclusiva della Regione Siciliana in
 materia di urbanistica e di regime degli enti locali (art. 14,  lett.
 f ed o St. Sic.), occorre rilevare che, come ha esattamente sostenuto
 l'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel presente giudizio a  difesa
 della  Regione  Siciliana, la previa audizione dell'ente locale sulle
 modifiche da apportare al piano regolatore in sede di approvazione in
 tanto  ha  un  proprio  fondamento in quanto lo strumento urbanistico
 sottoposto ad approvazione sia il  piano  regolatore  comunale.  Ove,
 invece,  come  nel  caso  di  specie, lo strumento urbanistico sia un
 piano di livello superiore, in riferimento al quale  predominante  e'
 l'interesse  della  Regione (autorita' preposta all'approvazione), la
 questione presenta aspetti differenti.
    In  quest'ultima ipotesi, anche se non vi puo' esser dubbio che la
 garanzia costituzionale del principio autonomistico,  prevista  dagli
 artt.  5  e  128  della Costituzione, puo' dirsi rispettata ogni qual
 volta il procedimento finalizzato  all'approvazione  degli  strumenti
 urbanistici sia articolato in modo tale da assicurare una sostanziale
 partecipazione allo stesso degli enti il cui assetto territoriale  e'
 determinato  dagli  strumenti  in questione, appare del pari indubbio
 che l'individuazione dei modi  nei  quali  tale  coinvolgimento  puo'
 avvenire  e' rimessa alla discrezionalita' del legislatore (statale o
 regionale che sia), la quale puo' esser  sindacata  da  questa  Corte
 solamente sotto il profilo della sua ragionevolezza.
    E,  del  resto,  che  il  concreto  atteggiarsi delle modalita' di
 partecipazione degli enti  locali  territoriali  al  procedimento  di
 formazione  dei  piani urbanistici rientri nella discrezionalita' del
 legislatore, e' reso evidente  dalla  circostanza  che  i  giudici  a
 quibus,  pur  partendo  da  argomentazioni  coincidenti,  individuano
 distinte modalita' di partecipazione, lamentando, l'uno, la  mancanza
 di  una  previsione dell'obbligo di comunicare le modifiche apportate
 in sede di approvazione al consorzio di Comuni e dolendosi,  l'altro,
 della  medesima  mancanza in riferimento alle singole amministrazioni
 interessate alle modifiche.
    Sta di fatto, comunque, che, sotto il profilo della ragionevolezza
 della  scelta  legislativa  oggetto   del   presente   giudizio,   il
 procedimento  delineato  per  la  formazione  dei  piani  urbanistici
 comprensoriali appare coerente con le finalita'  generali  perseguite
 dalla  legge  regionale  che  lo prevede, consistenti nell'organico e
 programmato assetto delle zone colpite dagli eventi sismici del  1967
 e  del  1968,  finalita'  che  vanno  realizzate  anche attraverso le
 previsioni  relative  allo  sviluppo  e  alla  trasformazione   degli
 insediamenti  abitativi e produttivi (art. 2, primo e secondo comma).
 In altre parole, si tratta di un procedimento in  se'  compiuto,  che
 risponde  a  una logica sua propria e che, pertanto, non si presta ad
 integrazioni mediante il riferimento, per quanto non previsto, a  una
 legge,  come  quella  urbanistica  dello  Stato,  che  e'  in realta'
 ispirata, data la diversa natura dei piani ivi previsti, a  finalita'
 diverse.
    Del  resto,  questa  Corte  non puo' sottacere che la peculiarita'
 delle situazioni alle quali ha tentato  di  far  fronte  la  legge  3
 febbraio  1968,  n.  1  e'  gia'  stata riconosciuta da questa Corte,
 allorche' ha  ritenuto  non  fondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  della  legge della Regione Siciliana 5 novembre 1973,
 n. 38 ("Norme concernenti  la  durata  dei  vincoli  degli  strumenti
 urbanistici nel territorio della Regione Siciliana"), che richiama la
 predetta legge, proprio  in  virtu'  della  temporaneita'  di  quella
 normativa  e  dello stretto collegamento della stessa con le esigenze
 poste dagli eventi sismici del 1967 e del 1968 (v. sent.  n.  82  del
 1982).
    4. - Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, appaiono privi
 di consistenza anche gli altri argomenti addotti dai giudici a quibus
 o dalle parti.
    Innanzitutto,   il   riferimento   contenuto  nelle  ordinanze  di
 rimessione alle norme sul procedimento relativo all'approvazione,  da
 parte di singoli comuni, delle varianti ai piani comprensoriali, - le
 quali  comportano  la  comunicazione   all'amministrazione   comunale
 interessata   delle   modifiche   apportate   d'ufficio  in  sede  di
 approvazione (artt. 8, sesto comma, e 4 della legge 27 dicembre 1978,
 n.  71)  -  non  e' soltanto inconferente ai fini della dimostrazione
 della pretesa incostituzionalita' della  disposizione  impugnata,  ma
 fornisce,  anzi,  ulteriori  ragioni  a sostegno della non fondatezza
 della questione.
    A  dire  il  vero,  la  disposizione  attinente  alle  varianti e'
 contenuta in un articolo che prevede, da un lato, la cessazione della
 esistenza dei consorzi ed il conseguente scioglimento delle assemblee
 consortili  e,  dall'altro,  la  perdurante   efficacia   dei   piani
 urbanistici comprensoriali sino alla eventuale adozione, da parte dei
 Comuni appartenenti al consorzio, di strumenti urbanistici  generali,
 che   tengano   conto   delle   direttive  poste  dal  vigente  piano
 comprensoriale. Il fatto che le varianti debbano essere approvate  in
 base    a    un    procedimento    che   dispone   la   comunicazione
 all'amministrazione comunale interessata  delle  modifiche  apportate
 d'ufficio in sede di approvazione risponde, dunque, non gia' a un, se
 pur  tardivo,  riconoscimento   del   legislatore   regionale   della
 inadeguatezza   (se  non  della  illegittimita')  della  preesistente
 disciplina, ma piuttosto all'esigenza  di  conciliare  la  perdurante
 vigenza  dei  piani  comprensoriali  con  la  cessazione dei consorzi
 obbligatori, che avevano adottato quei piani.  Si  tratta,  in  altre
 parole,   di   una   disposizione   che  conferma  l'unitarieta'  del
 procedimento di  formazione  dei  piani  comprensoriali  disciplinato
 dalla  legge regionale n. 1 del 1968, nonche' la sua rispondenza agli
 interessi  della  pianificazione  sovracomunale  che  il  legislatore
 intendeva perseguire.
    Ne',  contrariamente  a  quanto arguito da una parte privata, puo'
 essere attribuito particolare rilievo alla sentenza di  questa  Corte
 n.  13  del  1980, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale,
 per violazione degli artt. 5 e 128 Cost., di due disposizioni di  una
 legge  regionale  siciliana,  in  quanto  consentivano  all'assessore
 regionale per il territorio e l'ambiente di apportare, a  tutela  del
 pubblico interesse, modifiche essenziali ai piani regolatori generali
 adottati  dai  comuni,  le  quali   non   trovavano   giustificazione
 nell'adeguamento a leggi statali e regionali o nel concorso di alcune
 delle condizioni previste dall'art. 3 della legge n. 765 del 1967. Il
 riferimento  a  questa  sentenza,  infatti, non e' pertinente per due
 motivi.  In  primo  luogo,  perche'  la  pronuncia  appena  ricordata
 investiva   lo   stesso   potere   regionale   di  approvazione  (con
 modificazioni sostanziali non  riconducibili  alle  ipotesi  previste
 dalla  legge  statale) del piano regolatore comunale, mentre nel caso
 di specie nessun dubbio e' sollevato in ordine  al  medesimo  potere,
 lamentandosi  solo  la  mancata  comunicazione  alle  Amministrazioni
 interessate o al consorzio. In secondo luogo, perche' la controversia
 decisa   con  la  precedente  sentenza  concerneva  le  modificazioni
 apportabili al piano regolatore comunale, e non gia' quelle  relative
 a piani di livello superiore. Per tali motivi non e' possibile trarre
 da quella decisione alcun elemento nel senso della  fondatezza  della
 questione oggetto del presente giudizio.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, terzo comma,  della  legge  della  Regione  Siciliana  3
 febbraio  1968,  n.  1 ("Primi provvedimenti per la ripresa civile ed
 economica delle  zone  colpite  dai  terremoti  del  1967  e  1968"),
 sollevata,  in  riferimento agli artt. 5, 114 e 128 Cost., e 14 dello
 Statuto speciale per la Regione Siciliana, dal Consiglio di giustizia
 amministrativa per la Regione Sicilia e dal T.A.R. per la Sicilia con
 le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1988.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: BALDASARRE
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 3 novembre 1988.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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