N. 819 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1988
N. 819 Ordinanza emessa il 21 ottobre 1988 dal tribunale di Pistoia nel procedimento penale a carico di Dami Giorgio Imposta in genere - Accertamento definitivo dell'imposta nel giudizio tributario - Accertamento che fa stato nel giudizio penale instauratosi nei confronti del contribuente-imputato - Prospettata limitazione del diritto di difesa in considerazione del fatto che nel giudizio penale le possibilita' di difesa sono maggiori rispetto al giudizio tributario - Richiamo alle sentenze nn. 88/1982 e 247/1983. (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.3 del 18-1-1989 )
IL TRIBUNALE Sulla dedotta questione di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore dell'imputato Dami Giorgio, cui si e' associato il p.m.; O S S E R V A Il difensore lamenta la violazione del diritto di difesa nell'ambito del procedimento penale che vede Dami Giorgio rispondere del reato di cui all'art. 56 del d.P.R. n. 600/1973; il contribuente ebbe a proporre tempestivo ricorso avverso l'avviso di accertamento notificatogli, ricorso che fu respinto con decisione 25 marzo 1985 della commissione tributaria di primo grado di Pistoia. Avverso di essa non e' stata proposta alcuna impugnazione, si e' cosi' formato il giudicato. Il rilievo che propone la difesa muove dagli indirizzi desumibili dalle sentenze nn. 88/1982 e 247/1983 della Corte costituzionale e dal costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. n. 600/1973, la decisione della commissione tributaria fa stato nel giudizio penale conseguente impedendo al giudice penale di acquisire elementi di prova idonei a contrastare la conclusione del giudizio tributario. La questione non e' manifestamente infondata. Si deve premettere che la cosiddetta pregiudiziale tributaria e' un istituto dalla doppia valenza. La lettera della norma denunziata, cosi' come l'art. 21, secondo comma, della legge n. 4/1929, precisa che l'azione penale per i reati di cui ai commi precedenti non puo' essere iniziata o proseguita prima che l'accertamento dell'imposta sia divenuto definitivo. La norma dunque prevede un caso particolare di sospensione del procedimento che si colloca nella fase iniziale, tanto che sembra addirittura improprio l'uso del termine sospensione che si attaglia piu' a una procedura gia' iniziata piuttosto che ad una che non puo' essere intrapresa. L'altro principio, da sempre ritenuto tipico contenuto nella pregiudiziale tributaria e necessario corollario del primo, riguarda il valore da attribuire all'accertamento divenuto definitivo, nell'ambito del procedimento penale. Mutuando l'espressione di cui all'art. 20, secondo comma, del c.p.p., che riguarda altri casi, si afferma che l'accertamento divenuto definitivo fa stato nel giudizio penale. Impedisce cioe' al giudice penale di approfondire quegli aspetti del procedimento che hanno costituito oggetto d'esame da parte dell'autorita' amministrativa o del giudice tributario. Su di essi non sarebbe possibile la deduzione di mezzi istruttori, ne' valutare gli atti si' da pervenire a conclusioni diverse per cio' che attiene la pretesa tributaria. A ben vedere si tratta di un principio cosi' carico di significative e determinanti implicazioni per il giudizio penale, che una riproduzione, nell'ambito della norma denunziata, di una formula equipollente a quella di cui all'art. 20, secondo comma, del c.p.p., avrebbe dovuto essere ritenuta indispensabile dal legislatore. L'interpretazione che si e' esposta costituisce peraltro un dato costante in dottrina e giurisprudenza, tanto che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 28 luglio 1983, n. 247, ne prende atto e muove le proprie considerazioni su quel presupposto interpretativo. Per quanto dunque la norma denunziata nulla dica a proposito del valore da attribuirsi all'accertamento divenuto definitivo, sembra al collegio che si debba eseguire la delibazione sulla proposta eccezione sulla base dell'interpretazione costante che della norma in questione si e' sempre offerta. Per una esatta impostazione del problema sembra necessario un'altra premessa che riguarda i rapporti tra i principi contenuti negli artt. 21, secondo comma, e 60, della legge n. 4/1929 e l'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. n. 600/1973, giacche' le due piu' significative decisioni emesse dalla Corte costituzionale riguardano, separatamente, tali norme (la n. 88/1982 con rif. agli artt. 21, secondo comma, e 60, della legge n. 4/1929; la n. 247/1983 con rif. art. 56, ultimo comma, del d.P.R. n. 600/1973). Ebbene sembra potersi concludere, nonostante una leggera difformita' nei due testi, che quest'ultima sia pleonastica. La categoria dei reati previsti dalla legge sui tributi diretti di cui all'art. 21, secondo comma, della legge n. 4/1929, sembra senz'altro contenere in se' tutte le previsioni penali dei vari commi dell'art. 56 del d.P.R. n. 600/1973. Appare pertanto consentito sostenere che l'attuale lettura dell'art. 56, ultimo comma, cit. e' quella che risulta da entrambe le dichiarazioni di incostituzionalita'. Cosi': attualmente, l'accertamento divenuto definitivo in sede amministrativa non puo' costituire ostacolo per il giudice penale all'esame del merito della posizione del contribuente-imputato (sentenza n. 88/1982), ne' l'accertamento divenuto definitivo in sede tributaria puo' fare stato nei confronti di colui che non sia stato messo in grado di parteciparvi. Entrambe le decisioni, ad una prima lettura, sembrano voler salvaguardare il principio delle unita' della giurisdizione. Da un lato si distingue la definitivita' dell'accertamento secondo che consegua ad attivita' amministrativa o a decisione di un giudice tributario, dall'altro si evidenzia un argomento (l'estraneita' dell'imputato al giudizio tributario) che logicamente presuppone l'affermazione che tale principio (quello delle unita' della giurisdizione) non soffre eccezioni. Peraltro, esaminata la questione piu' approfonditamente, non sembra che questa sia la posizione definitiva della Corte. Non a caso nella sentenza n. 88/1982 l'affermazione di incostituzionalita' viene pronunziata anche sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione "... perche' la preclusione per il giudice penale, che deriva dall'accertamento amministrativo in materia tributaria, differenzia irrazionamente la condizione degli imputati secondo che la imputazione sia conseguente ad un accertamento amministrativo o no...". Una simile affermazione sembra ben possibile anche con riferimento al coso di specie. Non vi e' alcun dubbio che l'imputato nei cui confronti abbia acquistato valore di giudicato una decisione di un giudice tributario, in ossequio al principio della unita' di giurisdizione e a quello della pregiudiziale tributaria (tuttora valido nelle due descritte valenze per espressa previsione dell'art. 13, secondo comma, della legge n. 516/1982, quanto ai reati in questione). Si trova, nel giudizio penale, discriminato rispetto a chi non abbia presentato ricorso, e, piu' in generale, rispetto a tutti gli imputati che non devono rispondere di reati tributari. Vi e' ora da chiedersi se tale disparita' sia irrazionale come gia' rilevato dalla Corte con riferimento al caso esaminato con la sentenza n. 88/1982. Non sembra che la situazione presenti sostanziali diversita'. La sentenza citata, al fine di sottolineare la violazione art. 3, ha individuato due distinte discriminazioni, una nell'ambito tributario (tra imposte dirette e indirette) e una fuori di esso (tra imputati per reati tributari e per reati comuni). Sembra al collegio che la stessa considerazione sia da eseguirsi anche nel caso di specie. Nulla cambia per il solo fatto che l'accertamento sia divenuto definitivo in sede giurisdizionale anziche' amministrativa, ed inoltre si concreta una terza discriminazione, come si e' gia' rilevato, quella esistente tra contribuente che non abbia proposto ricorso (sara' libero di difendersi nella competente sede penale con tutti i mezzi probatori disponibili) e contribuente nei cui confronti si sia formato un giudicato tributario. Costui non avra' alcuna possibilita' di deduzione di mezzi istruttori sui fatti che hanno costituito oggetto di indagine del giudice tributario. Quanto al profilo di cui all'art. 24 della Costituzione sembra di tutta evidenza infondata l'affermazine secondo cui il contribuente che instaura un giudizio tributario ha, in quella sede, la possibilita' di adeguata difesa; cio', quanto meno, con riferimento alle possibilita' difensive che esistono nel procedimento penale. In realta' nel settore tributario vigono anche preclusioni e decadenza che - per quanto funzionali a quel tipo di giudizio - non consentono una simile conclusione. E' sufficiente il richiamo all'art. 52, quinto comma, del d.P.R. n. 633/1972 in relazione alle scritture di cui si e' omessa l'esibizione e art. 74, terzo comma, e 4, del d.P.R. n. 597/1973 (indeducibilita' di costi non registrati), in un sistema normativo in cui la previsione della pressoche' totale indipendenza tra i due tipi di giudizio sancita dall'art. 12 della legge n. 516/1982 non vale per espresso disposto del successivo art. 13, per i reati - tra l'altro - di cui all'art. 56 del d.P.R. n. 600/1973. L'indirizzo assunto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in materia sembra incentrato proprio sotto questo profilo. Piu' volte sono state dichiarate infondate le questioni attinenti la qualita' dell'imprenditore o comunque la dichiarazione di fallimento del soggetto poi sottoposto a procedimento penale per reati di bancarotta. Con le sentenze nn. 110/1972 e 275/1974 si e' sottolineato come sia consentita all'imprenditore un'ampia difesa attraverso i mezzi e i modi piu' adeguati a dimostrare l'inesistenza delle condizioni soggettive e oggettive necessarie per la dichiarazione di fallimento e cio' sia nella fase anteriore alla dichiarazione che dopo di essa. Sembra che se ne possa ricavare il principio secondo cui l'art. 24 della Costituzione non e' violato tutte le volte che il soggetto interessato, dinanzi ai vari organi giurisdizionali le cui decisioni siano destinate a determinare conseguenze nel giudizio penale, abbia se non la medesima possibilita' di difesa che avrebbe in sede penale, almeno una larga tutela dei propri diritti. In sostanza il problema diventa quello della sufficiente ampiezza del diritto di difesa. E' cosi' determinante la valutazione in ordine agli spazi che la normativa tributaria lascia al contribuente. Al proposito, oltre a richiamare le norme gia' sopra citate che sono le piu' significative, ma non certo le uniche che impongono limiti alla prova, e' opportuno ricordare che dinanzi al giudice tributario non possono dedursi prove testimoniali. La differenza di disciplina con il giudizio penale e' a tal punto accentuata e la possibilita' di difesa nel giudizio tributario cosi' limitata che e' lecito dubitare della legittimita' costituzionale della norma denunciata anche sotto il secondo profilo dedotto. La questione e' senz'altro rilevante nel giudizio in corso poiche' il tribunale dovrebbe, in osservanza della decisione tributaria emessa, attenersi alle sue conclusioni senza poter disporre alcun accertamento istruttorio a valutare diversamente gli atti. E' ben probabile che un esame compiuto della posizione tributaria dell'imputato da parte del collegio conduca alle medesime conclusioni cui e' pervenuta la commissione di primo grado di Pistoia, ma non e' con questo argomento che si puo' escludere l'ammissibilita' della questione sollevanda. Il dato processuale che simili casi presentano e' che il tribunale non e' posto in condizione di poter conoscere la materia sulla quale deve giudicare. Potrebbe si' acquisire i documenti cui fa riferimento la motivazione dell'avviso di accertamento ma senza poter trarre alcuna diversa conclusione rispetto a quelle prese da altri giudici. Se ne deve quindi trarre che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalita'.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in accoglimento della istanza del difensore solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 56, ultimo comma, del d.P.R. n. 600/1973 con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda la cancelleria per la notifica del presente provvedimento al Presidente del Consiglio dei Ministri. Pistoia, addi' 21 ottobre 1988 Il presidente: DELL'ANNO 88C2003