N. 203 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 ottobre 1988

                                 N. 203
 Ordinanza  emessa  il  4  ottobre  1988  dal  pretore  di  Modena nel
 procedimento civile  vertente  tra  Gherardi  Venio  e  il  Ministero
 dell'interno
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Norme  a favore di mutilati ed
 invalidi  civili  -  Domanda  di  assegnazione   dell'indennita'   di
 accompagnamento   -   Decesso  dell'istante  prima  dell'accertamento
 medico-legale dello stato invalidante - Esclusione del diritto  degli
 eredi a parcepire le quote della prestazione assistenziale dalla data
 della domanda a quella della morte -  Attribuzione  dell'accertamento
 medico-legale  di  una  (non  pertinente)  efficacia  costitutiva con
 conseguente   esclusione   della   possibilita'   di    far    valere
 incondizionatamente   in   giudizio   un  diritto  costituzionalmente
 garantito - Disparita' di trattamento per gli eredi dei  mutilati  ed
 invalidi civili totalmente inabili rispetto ad altri aventi diritto a
 diversa prestazione previdenziale o assistenziale.
 (Legge  30  marzo  1971,  n. 118, art. 12, ultimo comma, interpretato
 della legge 13 dicembre 1986, n. 912, art. 1, primo comma).
 (Cost., artt. 3, 24 e 38).
(GU n.17 del 26-4-1989 )
                               IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  relativa a
 controversia in materia di  previdenza  ed  assistenza  obbligatorie,
 iscritta   al   n.  602  dell'anno  1987  del  ruolo  generale  delle
 controversie  in  materia  di  lavoro  promossa  da  Gherardi  Venio,
 residente  in  Novi  di Modena, rappresentato e difeso dal proc. avv.
 Alberto Mori e presso di lui, in Modena, viale  Nicola  Fabrizi  119,
 elettivamente  domiciliato, attore, contro il Ministero dell'interno,
 in persona del  Ministro  dell'interno  in  carica,  rappresentato  e
 difeso  per legge dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna
 e negli uffici di detta  avvocatura  distrettuale,  in  Bologna,  via
 Marsala, 19, legalmente domiciliato, convenuto.
    In   punto   a:   pagamento   somma  a  titolo  di  indennita'  di
 accompagnamento per invalidi civili;
    All'esito dell'udienza del giorno 27 settembre 1988 fissata per la
 discussione orale e per la decisione della causa;
    Esaminati  gli  atti  del  processo  ed i documenti prodotti dalla
 parte attrice;
    Sentiti i rappresentanti delle parti;
    A scioglimento della riserva formulata;
                             O S S E R V A
    L'attore,  nella  sua qualita' di figlio ed erede di Era Malagoli,
 deceduta il 24 febbraio 1985, ha proposto  domanda  di  condanna  del
 Ministero  dell'interno  al  pagamento  della  somma  complessiva che
 avrebbe dovuto essere corrisposta in vita alla  madre,  a  titolo  di
 indennita'  di  accompagnamento  di  cui  all'art.  1  della legge 11
 febbraio  1980,  n.  113,  se  fosse  stata  accolta  la  domanda  di
 assegnazione dell'indennita' presentata da Era Malagoli il 31 ottobre
 1984.
    L'indennita'  non  fu  pero' concessa alla dante causa dell'attore
 che ne aveva fatto domanda, ne' in luogo di essa ai suoi  eredi,  per
 essere  la  Malagoli  deceduta  prima  che  la competente commissione
 sanitaria avesse accertato che ella si trovava  effettivamente  nello
 stato   di  totale  inabilita'  lavorativa  e  nelle  altre  speciali
 condizioni di invalidita' richieste  dalla  legge  perche'  sorga  il
 diritto alla prestazione assistenziale. Sostiene infatti il Ministero
 dell'interno  che  la  ricorrenza   dei   presupposti   del   diritto
 all'indennita'  di accompagnamento, come della pensione di inabilita'
 per  gli  invalidi  civili,  deve  essere  necessariamente  accertata
 dall'organo  amministrativo  competente finche' l'invalido sia ancora
 in vita, come condizione indispensabile per la nascita del diritto  a
 percepirla  e  per  la conseguente trasmissione di detto diritto agli
 eredi, cio' ai sensi dell'art. 12, ultimo comma, della legge 30 marzo
 1971, n. 118.
    Essendo  stata  disposta  una  consulenza medico-legale, atteso il
 risultato delle indagini peritali e l'argomentato parere espresso dal
 consulente  tecnico  di  ufficio,  puo'  dirsi peraltro accertato nel
 corso del giudizio che Era Malagoli, in eta'  di  anni  settantanove,
 allorche'     sollecito'     l'assegnazione     dell'indennita'    di
 accompagnamento  e  da  allora  sino  al  momento  della  morte,  era
 totalmente  inabile  al  lavoro  ed  altresi'  nell'impossibilita' di
 autonoma deambulazione e bisognevole di continua  assistenza  perche'
 non  in  grado di compiere da sola gli atti quotidiani della vita. La
 Malagoli era invero affetta da neoplasia rettale,  malattia  che  era
 stata   trattata  ex  iuvantibus  con  un  intervento  chirurgico  di
 sigmoidostonia a sperone e che  si  era  instaurata  in  un  soggetto
 diabetico, obeso e colpito dalla sindrome di Parkinson.
    Essendo  certo che, se la madre dell'attore fosse stata sottoposta
 prima della morte agli accertamenti del caso,  il  suo  diritto  alla
 prestazione  assistenziale  invocata  non  avrebbe  potuto non essere
 riconosciuto, l'esistenza del diritto e la successione  in  esso  del
 figlio  ed  erede  dipendono peraltro dalla conclusione alla quale si
 pervenga  circa  la  necessita'  che   l'accertamento   dello   stato
 invalidante  intervenga prima del decesso dell'invalido, ovvero della
 possibilita' che l'accertamento in questione  possa  essere  compiuto
 anche  successivamente,  sia  in sede amministrativa che giudiziaria,
 utilizzando ogni idoneo mezzo di prova, senza alcuna limitazione  non
 rinvenendosi  al  riguardo  alcuna limitazione nella legge e salva la
 ripartizione dell'onere relativo ai sensi dell'art. 2697 del c.c.
    Con  le  sue  precedenti  pronunce,  tutte peraltro anteriori alla
 legge  13  dicembre  1986,  n.  912,  di  cui  si  dira'  (vedasi  in
 particolare  pretore Modena sentenza 4 maggio 1985 emessa nella causa
 Piccinini c/Ministero dell'interno in  Sicur.  soc.  1986,  440),  il
 decidente   aveva   affermato   che,   qualora  l'accertamento  delle
 condizioni di  minorazione  da  parte  delle  competenti  commissioni
 sanitarie non fosse stato eseguito prima della morte del soggetto che
 l'erogazione della  prestazione  aveva  sollecitato,  e  fosse  stata
 altresi'  omessa  per  il  sopravvenuto decesso dell'interessata, non
 viene  meno  il  gia'  sorto  diritto  di  questo  alla  pensione  di
 inabilita'  di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, che
 fosse stato tempestivamente esercitato,  ancorche'  non  riconosciuto
 dalla   pubblica   amministrazione,   cosicche'   detto   diritto  si
 trasferisce agli eredi, ai quali incombe l'onere di dare la prova dei
 suoi  elementi  costitutivi  con  qualsiasi  mezzo  idoneo. Era stata
 infatti   ritenuta   preferibile,   anzi   doverosa,    ed    accolta
 l'interpretazione   dell'ultimo   dell'art.   12  che  fosse  non  in
 contrasto, ma piuttosto  in  perfetta  concordanza,  con  i  principi
 costituzionali  desumibili  dagli  artt.  24,  primo comma, 25, primo
 comma,  e  38,  primo  comma,  della  Costituzione.  Era   stato   in
 particolare  rifiutato  il  principio  affermato  dalla Corte suprema
 (Cass. sez. lav. 2 dicembre  1983,  n.  7220)  in  relazione  ad  una
 disposizione  affine  (art.  6 della legge 6 agosto 1966, n. 625). La
 Corte, pronunciandosi sulla trasmissibilita' agli eredi  del  diritto
 all'assegno  di  sussistenza nel caso di morte dell'invalido in epoca
 successiva  al  riconoscimento  dell'invalidita',  ma   anteriormente
 all'emissione   dell'atto  amministrativo  attributivo  dell'assegno,
 aveva escluso che si fosse verificata l'acquisizione del diritto alla
 prestazione   nel  patrimonio  dell'interessato  deceduto  e  la  sua
 conseguente trasmissione agli eredi.
    L'art.   12   del  1971  era  stato  ritenuto  non  ostativo  alla
 conservazione ed alla trasmissione  mortis  causa  del  diritto  alla
 prestazione  assistenziale,  nel  caso  di  morte dell'invalido prima
 dell'accertamento medico-legale necessario per stabilirne l'effettiva
 invalidita',  nonostante che il primo comma richieda, come condizione
 per la concessione  della  pensione,  l'avvenuto  accertamento  della
 totale  inabilita'  lavorativa  e  l'ultimo  comma riconoscesse (come
 riconosce ancora) il diritto degli eredi alle  quote  maturate  della
 pensione  solo  nel  caso  di  decesso dell'interessato successivo al
 riconoscimento dell'invalidita'. Fu dato rilievo ai fini ermeneutici:
      1)  alla  decorrenza  della  pensione,  riferita alla data della
 presentazione della  domanda  e  non  alla  data  del  riconoscimento
 dell'inabilita'  lavorativa del richiedente, come disponeva invece la
 legge 625 del 1966;
      2)  alla  nascita  del  diritto  alla  prestazione  per  effetto
 dell'esistenza obbiettiva dei suoi presupposti, quindi allo stato  di
 bisogno  al  quale la legge intende sovvenire e non dell'accertamento
 di tale stato, accertamento avente valore  meramente  dichiarativo  e
 natura di atto di citazione e quindi bensi' necessario, ma non di per
 se' stesso determinante, ne' insostituibile;
      3)  alla  incongruita'  di  una  situazione giuridica di diritto
 soggettivo costituzionalmente garantito (art. 38, primo comma,  della
 Costituzione)   la  cui  realizzazione  dipenda  dalla  tempestivita'
 dell'azione amministrativa di accertamento e sia quindi rimessa  alla
 discrezionalita'   ed   all'efficienza   (in  sostanza  all'arbitrio)
 dell'autorita' amministrativa;
     4)  al principio, reiteratamente affermato dalla Corte suprema in
 materia di previdenza sociale, principio ritenuto  estensibile  anche
 all'affine  campo  dell'assistenza  sociale  obbligatoria, secondo il
 quale il diritto alle prestazioni relative deriva direttamente  dalla
 legge,  in  presenza  dei  requisiti da essa stabiliti, con l'obbligo
 della erogazione delle prestazioni dopo  che,  non  la  presentazione
 della domanda, ne sia stata posta in essere l'indispensabile condicio
 iuris.
    A tale conclusione non e' pero' piu' dato pervenire una volta che,
 con  la  legge  13   dicembre   1986,   n.   912,   e'   stata   data
 l'interpretazione autentica, vincolante per il giudice, dell'art. 12,
 ultimo comma, della legge n. 118/1971. Il legislatore ha sovranamente
 disposto  che  la detta norma deve intendersi nel senso che gli eredi
 del  mutilato  od  invalido  civile,  deceduto   successivamente   al
 riconoscimento  dell'inabilita',  hanno diritto di percepire le quote
 di pensione gia' maturate dall'interessato  alla  data  del  decesso,
 anche  se il decesso stesso sia intervenuto prima della deliberazione
 concessiva del comitato provinciale di assistenza  e  di  beneficenza
 pubblica, ferma restando la necessita' della deliberazione stessa.
    La  norma  interpretativa,  che  ribadisce  e  quindi  comporta la
 necessita' del riconoscimento dello stato di inabilita' anteriormente
 al  decesso,  confermando la trasmissione agli eredi del diritto alle
 quote di pensione maturate solo se  la  morte  dell'invalido  si  sia
 verificata  dopo  l'avvenuto  accertamento sanitario della sua totale
 inabilita' lavorativa, distingue e regola diversamente  l'ipotesi  in
 cui  il  decesso  sia  avvenuto soltanto prima della deliberazione di
 concessione del comitato  provinciale  di  assistenza  e  beneficenza
 pubblica  di  cui  al  successivo  art.  14,  primo comma. Essa rende
 pertanto palese e non  diversamente  intellegibile  la  volonta'  del
 legislatore  di  escludere  il  diritto  degli eredi alle quote della
 prestazione assistenziale maturate tra la data della domanda e quella
 del  decesso  qualora l'invalido sia deceduto prima dell'accertamento
 sanitario delle condizioni di menomazione stabilite dalla legge quale
 presupposto   del  diritto  alla  prestazione.  Esplicita  quindi  la
 volonta' di subordinare, non la conservazione, ma l'esistenza  stessa
 del diritto dell'invalido civile all'accertamento dell'invalidita' da
 parte degli organi amministrativi  all'uopo  istituiti,  accertamento
 eseguibile  soltanto  se  e fino a quando l'interessato sia ancora in
 vita.
    La lettera della legge interpretativa, contenente la significativa
 reiterazione   della   previsione   del   decesso    successivo    al
 riconoscimento  dell'inabilita',  e  la  sua  ratio legis, desumibile
 dalla distinzione fatta e  sopra  evidenziata  dei  casi  di  decesso
 intervenuto  prima  della  deliberazione  del comitato provinciale di
 assistenza e  beneficenza  pubblica,  non  consentono  una  soluzione
 ermeneutica  diversa da quella delineata ed impongono al decidente di
 porsi la  questione  della  conformita'  ai  principi  costituzionali
 dell'art.  12,  quato  comma,  del  1971,  cosi'  come autenticamente
 interpretato nel 1986. La questione  di  legittimita'  costituzionale
 prospettata non appare manifestamente infondata.
    E'  gia'  stato  rilevato  come  per l'art. 38, primo comma, della
 Costituzione ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei  mezzi
 necessari  per vivere abbia diritto al mantenimento ed all'assistenza
 sociale. Dai lavori preparatori e' dato desumere con certezza che  il
 legislatore  costituente ha imposto allo Stato un obbligo generale ed
 incondizionato   di   provvedere   al   mantenimento,    oltre    che
 all'assistenza dei cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi
 occorrenti per il  soddisfacimento  delle  fondamentali  esigenze  di
 vita,  obbligo  al  quale  corrisponde  una  situazione  giuridica di
 diritto soggettivo di coloro che si trovino nelle condizioni previste
 dalla  norma  costituzionale.  Di  diritto del resto, in relazione al
 disposto dell'art. 38,  primo  comma,  ha  parlato  la  stessa  Corte
 costituzionale  (sentenza  n. 92/1966) riconoscendo che il diritto al
 mantenimento  ed  all'assistenza  costituisce  il  contenuto  di  una
 pretesa  attribuita ad ogni cittadino il quale sia invalido al lavoro
 e sfornito dei mezzi di sussistenza.
    Le provvidenze istituite in favore dei mutilati ed invalidi civili
 con le leggi 30 marzo 1971, n.  118,  e  11  febbraio  1980,  n.  18,
 costituiscono  attuazione  del  dettato  costituzionale  da parte del
 legislatore ordinario.
    Orbene una sistuazione giuridica di diritto soggettivo, quale deve
 essere  quella  in  esame,  e'   incompatibile   con   la   rilevanza
 determinante  attribuita  dalla legge all'accertamento amministrativo
 in vita dello stato di invalidita', quale condizione perche' venga ad
 esistenza e divenga quindi trasmissibile mortis causa il diritto alla
 prestazione.
    Questo  viene  a  dipendere, non tanto da una circostanza casuale,
 (la data della morte) quanto dal  modo  e  dal  tempo,  assolutamente
 discrezionale,  dell'esercizio dell'attivita' amministrativa, nonche'
 dall'efficienza e dalla solerzia della pubblica amministrazione, alla
 quale  e'  attribuito  il  potere  (insindacabile)  di disporre della
 pretesa dell'invalido e delle sue  ragioni  di  credito  omettendo  o
 procastinando sino al decesso l'accertamento dovuto.
    Non   occorrono   altri   argomenti   per   dimostrare  il  valore
 costitutivo,  indiscutibilmente  attribuito  all'accertamento   dalla
 legge  interpretativa, espressione insostituibile di discrezionalita'
 amministrativa e  non  esercizio  di  mera  discrezionalita'  tecnica
 suscettibile   di   pieno  controllo  di  merito  o  di  accertamento
 sostitutivo da parte del giudice ordinario, al  quale  e'  consentito
 anche  nei  confronti  della  pubblica amministrazione di accertare i
 presupposti del diritto avanti a lui fatto valere  dal  privato,  non
 sia   in   linea  con  il  dettato  costituzionale,  derivandone  per
 l'invalido e per i suoi  eredi  una  situazione  giuridica  di  rango
 inferiore,  perche'  non direttamente tutelata, rispetto a quella che
 ad essi invece compete.
   Non  solo  l'esistenza,  ma  anche  realizzazione  ope  iudicis del
 diritto e' impedita dalla necessita'  che  l'accertamento  (positivo)
 dello    stato    invalidante    intervenga    prima    della   morte
 dell'interessato. I suoi eredi infatti non possono agire  (utilmente)
 in giudizio perche' l'autorita' giudiziaria supplisca all'inattivita'
 dei   competenti   organi   amministrativi,   ovvero   ne    corregga
 l'apprezzamento  tecnico negativo, se erroneo. E' ipotizzabile dunque
 la  violazione,  in  danno  degli  eredi  dell'invalido  civile,  del
 disposto  dell'art.  24,  primo  comma,  della Costituzione, il quale
 stabilisce che tutti possano agire in  giudizio  per  la  tutela  dei
 propri diritti ed interessi legittimi.
    Il   diritto   alla   tutela   giurisdizionale  costituzionalmente
 garantito  non  e'  attuato  qualora  l'azione  avanti  all'autorita'
 giudiziaria  sia  resa  inutile  da  una  struttura della fattispecie
 legale che impedisca la cognizione  del  giudice  sugli  accertamenti
 compiuti  in  sede  amministrativa,  cosi' da rendere il risultato di
 detti accertamenti insindacabile e/o insostituibile.  L'esistenza  di
 un  diritto  implica,  in  virtu'  dell'art.  24,  primo comma, della
 Costituzione, la possibilita'  di  farlo  valere  avanti  l'autorita'
 giudiziaria   con   i  mezzi  offerti  in  generale  dall'ordinamento
 giuridico, possibilita' che e' compromessa  quando  sia  limitata  la
 liberta'  di apprezzamento del giudice su un punto fondamentale della
 controversia (cosi' Corte costituzionale sentenza n. 70/1961), ovvero
 quando  l'accertamento dell'esistenza del diritto sia demandata ad un
 organo amministrativo, senza possibilita' di un controllo  di  merito
 da  parte  del  giudice  e con esclusione di ogni potere di decisione
 sullo   specifico   oggetto   della   controversia    (cosi'    Corte
 costituzionale sentenza n. 142/1974).
    A  maggior  ragione  va  ritenuto violato il dettato dell'art. 24,
 primo  comma,  quando,  per  il  valore  costitutivo  attribuito  dal
 legislatore  ad  un atto dell'autorita' amministrativa il giudice non
 puo' autonomamente accertarne i presupposti,  ovviando  all'omissione
 od  all'errore  di  ricognizione  e/o  di  valutazione  della realta'
 obbiettiva in cui sono incorsi  gli  organi  tecnici  della  pubblica
 amministrazione,   ma   debba   necessariamente   dichiarare,   quale
 conseguenza dell'omissione  o  dell'errore,  inesistente  il  diritto
 avanti a lui fatto valere.
    Infine  le norme della cui legittimita' costituzionale si scrutina
 non appare neppure conforme al fondamentale principio di  uguaglianza
 (art.  3,  primo  comma,  della  Costituzione)  in considerazione del
 diverso  e  deteriore  trattamento,  in  raffronto  alla   situazione
 giuridica degli eredi degli aventi diritto o degli aspiranti ad altre
 prestazioni previdenziali o assistenziali, riservato dalla legge agli
 eredi  dell'invalido  civile  per effetto della prescritta necessita'
 del decesso del loro dante causa  successivamente  al  riconoscimento
 dell'inabilita'.  Infatti  gli eredi del mutilato od invalido civile,
 nei  confronti  dei  quali   non   puo'   trovare   applicazione   il
 silenzio-rifiuto  istituito  con l'art. 7 della legge 11 agosto 1973,
 n. 533, atteso il valore costitutivo  dell'accertamento  in  vita  (e
 soltanto  dell'accertamento in vita) dell'inabilita', sono gli unici,
 oltre agli eredi dei soggetti affetti da sordomutismo di cui all'art.
 7,  ultimo  comma,  della legge 26 maggio 1970, n. 381 (questi ultimi
 per effetto dell'art. 1, secondo comma, della legge  n.  912/1986)  a
 subire  un irreparabile pregiudizio delle loro ragioni successorie ed
 ad essere privati del diritto di percepire, in luogo  del  de  cuius,
 quanto  a  questo  avrebbe  dovuto  essere e non e' stato corrisposto
 prima del decesso.
    In relazione a nessuna altra prestazione attinente ad una forma di
 previdenza ed assistenza obbligatoria, salvo quelle dianze  indicate,
 e'  dalla  legge  stabilita  una condizione tanto pregiudizievole del
 diritto di  succedere  in  tutti  gli  elementi  patrimoniali  attivi
 dell'eredita' ed in particolare nel diritto alle quote maturate della
 prestazione assistenziale. La  situazione  giuridica  di  particolare
 sfavore  nella  quale  sono  posti gli eredi dei mutilati ed invalidi
 civili appare priva di ogni razionale giustificazione  e  costituisce
 una  disuguaglianza  disposta  per  legge che deriva unicamente dalla
 loro condizione personale e sociale di aventi causa iure successionis
 da  un  mutilato o da un invalido civile (o da un soggetto affetto da
 sordomutismo) anziche' da un qualsiasi altro avente  diritto  ad  una
 prestazione previdenziale o assistenziale che l'abbia richiesta e non
 l'abbia ottenuta prima della morte.
    Sotto  ognuno  dei  tre  profili  di  legittimita'  costituzionale
 esaminati la questione  di  costituzionalita'  dell'art.  12,  ultimo
 comma, merita di essere portata al vaglio della Corte costituzionale.
    La questione e' infatti rilevante, ancorche' oggetto della domanda
 attrice sia l'indennita' di accompagnamento di cui all'art.  1  della
 legge  11  febbraio  1980,  n.  118  e  non la pensione di inabilita'
 prevista dall'art. 12  della  legge  n.  18,  in  considerazione  del
 richiamo   all'anteriore   testo  legislativo,  in  particolare  agli
 articoli 2, 7 e 12, contenuto  nell'art.  1  della  legge  del  1980.
 Quest'ultimo  del  resto  dispone anch'esso esplicitamente, alla pari
 dell'art.  12,  primo  comma,   del   1971,   che   l'indennita'   di
 accompagnamento   sia   concessa,  ancorche'  al  solo  titolo  della
 minorazione, ai mutilati ed invalidi civili  totalmente  inabili  nei
 cui  confronti  le  commissioni sanitarie competenti all'accertamento
 della loro totale inabilita' abbiano altresi' accertato la ricorrenza
 delle  ulteriori speciali condizioni di menomazione fisica o psichica
 stabilita  dal  legislatore.  Se   ne   deve   inferire   un   rinvio
 generalizzato  della  legge  del 1980 a quella fondamentale del 1971,
 salvo per quanto da quella posteriore diversamente  disposto,  quindi
 l'estensibilita'  dell'art.  12,  ultimo  comma,  anche agli eredi di
 coloro che abbiano sollecitato e non ottenuto in vita  l'assegnazione
 dell'indennita'   di   accompagnamento  anziche'  della  pensione  di
 inabilita'.
    Solo in caso di riconoscimento della fondatezza della questione di
 costituzionalita'  sollevata  e  di  conseguente   dichiarazione   di
 illegittimita'    costituzionale    della   disposizione   di   legge
 incriminata, potrebbe essere accolta la domanda attrice, che in  caso
 contrario  sarebbe infondata ed andrebbe respinta. La soluzione della
 questione e' dunque pregiudiziale alla decisione di  merito.  La  sua
 riconosciuta  pregiudizialita'  rende necessario il promuovimento del
 giudizio incidentale di costituzionalita',  con  la  rimessione  agli
 atti alla Corte costituzionale e la sua sospensione del processo.
                                P. Q. M.
    Visto   l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, l'art. 23 della legge 11  marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento
 agli artt. 38, primo comma, 24, primo comma, e 3, primo comma,  della
 Costituzione,  la  questione di legittimita' costituzionale sollevata
 di ufficio e concernente l'art. 12,  ultimo  comma,  della  legge  30
 marzo  1971,  n.  118,  come autenticamente interpretato dall'art. 1,
 primo comma, della legge 13 dicembre 1986, n. 912, nella parte in cui
 subordina  il  diritto degli eredi del mutilato od invalido civile di
 percepire le quote della prestazione assistenziale  maturate  dal  de
 cuius alla data del decesso alla condizione che il decesso stesso sia
 avvenuto in epoca successiva al riconoscimento dell'inabilita';
    Ordina  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale e
 sospende il giudizio;
    Manda alla cancelleria per la notificazione del provvedimento alle
 parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e  per  la
 sua  comunicazione  al  Presidente  del Senato della Repubblica ed al
 Presidente della Camera dei deputati.
      Modena, addi' 4 ottobre 1988
                           (Seguono le firme)

 89C0429