N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 1988

                                 N. 205
 Ordinanza  emessa  il  12  novembre  1988  dal  pretore di Modena nel
 procedimento civile vertente tra Melotti Maurizio e la ditta officina
 Bindi di Bertocchi Franco
 Previdenza e assistenza - Lavoratori privati dipendenti - Trattamento
 di  fine  rapporto  -  Nuove  norme  -  Criteri  di  calcolo  -   Non
 computabilita',  fra  i casi (infortunio, malattia, gravidanza, ecc.)
 di sospensione della prestazione di lavoro di cui all'art.  2110  del
 c.c.  (per  cui,  agli  effetti  del trattamento di fine rapporto, e'
 previsto il riferimento all'equivalente della retribuzione dovuta nel
 normale  svolgimento del rapporto di lavoro) del servizio militare di
 leva -  Violazione  del  principio  che  l'adempimento  del  servizio
 militare  non  pregiudica  la  posizione  di  lavoro  del cittadino -
 Ingiustificato deteriore trattamento dei dipendenti privati  rispetto
 ai  dipendenti  pubblici  -  Elusione  della  pronuncia  della  Corte
 costituzionale n. 8/1963.
 (Cod.  civ.,  art. 2120, terzo comma, testo sostituito dalla legge 29
 maggio 1982, n. 297, art. 1).
 (Cost., artt. 3 e 136).
(GU n.17 del 26-4-1989 )
                               IL PRETORE
    ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  relativa a
 controversia individuale di lavoro iscritta al numero  211  dell'anno
 1988  del  ruolo  generale  delle  controversia di lavoro promossa da
 Melotti Maurizio, residente in Modena,  rappresentato  e  difeso  dal
 proc.  avv. Gavino Comida e presso di lui, in Modena, via Sant'Agata,
 11, elettivamente domiciliato, attore, contro la ditta officina Bindi
 di  Bertocchi  Franco, corrente in Modena, rappresentata e difesa dal
 dott. Sandro Silvestri e presso di lui e nel suo studio,  in  Modena,
 via  del Teatro n. 1, elettivamente domiciliato convenuta in punto ad
 accertamento della computabilita' del periodo del  servizio  militare
 di  leva  ai  fini  del  trattamento  di  fine rapporto e conseguente
 pagamento di somma ad integrazione del detto trattamento;
    Il  pretore  all'esito  dell'udienza  del  giorno  26 ottobre 1988
 fissata per la discussione orale e per la decisione della causa;
    Esaminati  gli  atti  del  processo  ed i documenti prodotti dalla
 parte attrice;
    Sentiti  i  difensori  delle  parti,  a scioglimento della riserva
 formulata;
                             O S S E R V A
    Sull'assunto,  ex  adverso  non  contestato ed anzi implicitamente
 riconosciuto veritiero, di essere  stato  parte  di  un  rapporto  di
 apprendistato intercorso tra lui e l'impresa convenuta dal 5 dicembre
 1984 al 29 agosto 1987, ma di avere  prestato  servizio  militare  di
 leva  dal  18 agosto 1986 al 4 agosto 1987, l'attore pretende che, ai
 fini del trattamento di fine rapporto spettantogli, sia tenuto  conto
 del  periodo  di  servizio militare e l'ammontare dell'emolumento sia
 pertanto determinato, ai sensi dell'art. 2120  del  c.c.,  per  detto
 periodo  in  base alla retribuzione virtuale che avrebbe percepito se
 il rapporto di lavoro avesse avuto il  suo  normale  svolgimento,  in
 luogo  della  retribuzione  effettiva  non  ricevuta,  secondo quanto
 disposto dal terzo  comma  dello  stesso  art.  2120,  quale  risulta
 dall'art.  1  della  legge  29  maggio 1982, n. 297. Egli ha proposto
 pertanto  nei  confronti  dell'  ex  datore  di  lavoro  domanda   di
 accertamento della computabilita' del periodo di servizio militare di
 leva ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto  e  domanda
 di  condanna  al  pagamento  dell'ulteriore  somma  di  L. 396.050 ad
 integrazione del trattamento riscosso.
    Per contrastare l'accoglimento delle domande attrici ed al fine di
 ottenere l'invocato accertamanto negativo  della  computabilita'  del
 periodo  di servizio militare nella determinazione del trattamento di
 fine rapporto, la parte convenuta ha sostenuto  l'accezionalita'  del
 richiamo  contenuto  nell'art.  2110  terzo  comma  alle  ipotesi  di
 sospensione del rapporto di lavoro previste dall'art. 2110 e  la  non
 estensibilita'  in  via  interpretativa  del principio alla diversa e
 pretermessa  ipotesi  di  sospensione  del  rapporto  di  lavoro  per
 prestazione  del  servizio  militare,  ipotesi autonomamente regolata
 dall'art. 2111.
    Essendo stata fissata altra udienza per la discussione orale e per
 la decisione, con assegnazione alle parti di termine per il  deposito
 di  note  difensive  ex  art.  429  secondo comma, del c.p.a., con le
 proprie note deositate  il  25  luglio  1988  la  difesa  attrice  ha
 sollevato,    in   via   subordinata,   questione   di   legittimita'
 costituzionale, con riferimento  all'art.  52  della  Costituzione  e
 rifacendosi  alla  sentenza  16  febbraio  1963,  n.  8,  della Corte
 costituzionale, dell'art. 2120 nel testo vigente, nella parte in  cui
 non  prevede  il computo del periodo di servizio militare ai fini del
 calcolo del trattamento di fine rapporto.
    All'udienza di decisione, attesa l'intervento sentenza 4-14 luglio
 1988,  n.  802  della   Corte   costituzionale,   la   questione   di
 costituzionalita'  dell'art. 2120, in relazione al disposto dall'art.
 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, e' stata dalla parte attrice
 riferita   non  piu'  all'art.  52  bensi'  all'art.  3  della  legge
 fondamentale dello Stato.
    La  questione  e'  rilevante. Il richiamo contenuto nell'art. 2120
 terzo comma soltanto alle  ipotesi  di  sospensine  del  rapporto  di
 lavoro  di cui all'art. 2120 e di intervento della Cassa integrazione
 guadagni non puo' interpretato  che  come  deliberata  esclusione  ad
 opera  del  legislatore  ordinario  della  rilevanza agli effetti del
 trattamento di fine rapporto del  periodo  di  servizio  militare  di
 leva, servizio che del pari sospende il rapporto di lavoro per quanto
 disposto dall'art. 1, primo comma, del d.l.C.p.S. 13 settembre  1946,
 n.  303. Detto limitativo richiamo impedisce ogni applicazione in via
 di interpretazione estensiva od analogica della  disposizione.  Cosi'
 e'  stato  ritenuto dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza
 n. 802/1988 (punto 2 della motivazione in diritto) che  ha  giudicato
 corretta  l'opinione del giudice a quo, secondo il quale va ravvisata
 all'art. 2120 una norma implicita di contenuto  negativo  comportante
 l'esclusione  del  tempo  trascorso in servizio di leva ai fini della
 determinazione del trattamento di fine rapporto. Del medesimo  avviso
 e'  la  Corte  di  cassazione  (sentenza 5 febbraio 1988, n. 1222) la
 quale ha a sua volta negato l'applicabilita' dell'art. 2120, in forza
 di    una    interpretazione   estensiva   o   analogica   dichiarata
 inammissibile, al caso di sospensione  del  rapporto  di  lavoro  per
 prestazione  del  servizio militare di leva, caso che non e' previsto
 dalla norma citata e che nell'art.  2111  e'  oggetto  di  previsione
 distinta  da  quella  di  sospenzione  del rapporto per richiamo alle
 armi.
    E'  certo  dunque che le domande attrici sono entrambe infondate e
 dovrebbero  essere  respinte  Potrebbe  addivenirsi  alla   decisione
 opposta  solo  qualora  la  questione  di legittimita' costituzionale
 fosse  ritenuta  meritevole  di  accoglimento   dal   giudice   della
 legittimita'  delle leggi, la cui pronuncia in tal caso provocherebbe
 una modificazione del diritto positivo vigente che renderebbe fondata
 la  pretesa  del  ricorrente ed accoglibili entrame le domande da lui
 proposte.
    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione va premesso
 che la Corte costituzionale ha dichiarato la questione  non  fondata,
 con  la  menzionata  sentenza 4-14 luglio 1988, n. 802, unicamente in
 riferimento all'art. 52, secondo comma, della Costituzione e che solo
 con riguardo al medesimo parametro di costituzionalita' essa e' stata
 giudicata manifestamente infondata dalla Corte di cassazione  con  la
 medesima  sentenza  n.  1222/1988.  La  questione  merita peraltro di
 essere nuovamente portata al vaglio della Corte costituzionale  sotto
 altri   profili  che  il  giudice  ad  quem  non  ha  avuto  modo  di
 considerare.
    Va  altresi' premesso che uno degli argomenti che hanno portato la
 Corte costituzionale  alla  propria  pronuncia  negativa  non  appare
 condivisibile,  tale  e'  quello  secondo  cui il trattamento di fine
 rapporto,  a  differenza  dell'indennita'  originariamente   prevista
 dll'art. 2120, non sarebbe un effetto dell'anzianita'.
    Puo'  infatti  osservarsi  a  tale  proposito  che  la  durata del
 rapporto di lavoro, id est l'anzianita' di servizio,  ha  in  realta'
 conservato,  con  l'entrata  in  vigore  della  legge n. 297/1982, la
 medesima rilevanza ai fini del trattamento di fine rapporto che aveva
 agli  effetti  dell'indennita' di anzianita'. E' vero che l'art. 2120
 vigente  non  contiene  piu'  la  prescrizione  della  necessaria  ed
 inderogabile  proporzionalita'  dell'emolumento  da esso disciplinato
 agli anni  di  servizio,  prescrizione  esistente  invece  nel  testo
 originario  dell'articolo,  ma  e' altrettanto vero che nel suo testo
 attuale e con il primo comma l'art. 2120 dispone che il,  trattamento
 di fine rapporto deve essere calcolato per ciascun anno di servizio e
 quindi con riferimento all'intera  durata  del  rapporto  di  lavoro,
 durata che ha dunque un rilievo non minore, bensi' identico, a quello
 che aveva  in  precedenza.  Il  trattamento  di  fine  rapporto,  non
 diversamente  dall'indennita'  di anzianita', sara' dunque di entita'
 tanto maggiore quanti piu' sono gli anni di servizio.  Se  cosi'  non
 fosse  la  questione  che ne occupa non si porrebbe neppure, come non
 sarebbe stata necessaria la previsione espressa dalla  computabilita'
 dei   periodi  di  sospensione  dell'attivita'  lavorativa  nei  casi
 previsti dall'art. 2110  ed  in  quelli  di  intervento  della  Cassa
 integrazione guadagni.
    In  realta'  la differenza fondamentale tra il trattamento di fine
 rapporto e l'indennita' di  anzianita'  e'  ravvisabile  nel  diverso
 criterio  di  calcolo  del  loro  ammontare.  Mentre  l'indennita' di
 anzianita'  doveva   essere   commisurata   all'ultima   retribuzione
 percepita  dal  prestatore  di lavoro e determinata in proporzione ai
 suoi  anni  di  servizio,  il  trattamento  di   fine   rapporto   va
 ragguagliata  ad  una  frazione della retribuzione annua percepita (o
 che sarebbe stata percepita se il rapporto di lavoro avesse avuto  il
 suo  normale  svolgimento)  ma ancora una volta per tutti gli anni di
 servizio,  quindi  per  l'intera  durata  del  rapporto.   L'identica
 rilevanza  dell'anzianita'  che  ne  deriva,  ai  fini  della  misura
 complessiva dell'attribuzione pecuniaria, salvo il diverso termine di
 riferimento (retribuzione di ogni singolo anno in luogo dell'ultima),
 rende del tutto assimilabili sotto tale riguardo  i  due  emolumenti,
 giacche' ognuno di essi e' direttamente proporzionato quanto alla sua
 entita' complessiva all'anziamita' di servizio dell'avente diritto  e
 rende  allo stesso modo determinanti, agli effetti della liquidazione
 del trattamento di fine rapporto,  i  periodi  di  sospensione  della
 prestazione   lavorativa   per   malattia,   infortunio,  gravidanza,
 puerperio, cassa integrazione e  servizio  militare,  come  tutti  lo
 erano   in   precedenza   per   la  liquidazione  dell'indennita'  di
 anzianita'.
    La  diversita' di trattamento riservata al legislatore del 1982 al
 periodo di sospensione del rapporto per la prestazione  del  servizio
 militare   di  leva,  rispetto  alle  altre  ipotesi  di  sospensione
 nominativamente (e  tassativamente)  previste  dall'art.  2120  terzo
 comma,  non appare in linea con il principio di ugualgianza stabilito
 dall'art. 3, primo comma,  della  Costituzione  e  prima  ancora  con
 l'altrettanto  fondamentale  ed  inderogabile principio di necessaria
 complessiva  razionalita'  del  sistema,  desumibile  dalla  medesima
 disposizione costituzionale alla luce delle ragioni che hanno indotto
 la Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  8/1963,  a  dichiarare
 costituzionalmente  illegittime  le disposizioni allora in vigore che
 esludevano il diritto  del  prestatore  di  opere  all'indennita'  di
 anzianita' per il periodo di assenza dal lavoro per adempimento degli
 obblighi di leva, quali che fossero  la  natura,  la  funzione  e  la
 nisura   dell'indennita'.   Non   appare  conforme  al  principio  di
 uguaglianza, ne' razionale, la defferenziazione (risolventesi in  una
 vera  e  propria discriminazione in danno del militare in servizio di
 leva) reintrodotta dal legislatore ordinario qualora si consideri che
 l'interruzione  dell'attivita'  lavorativa  per  l'adempimento  degli
 abblighi di leva non e', al  pari  dell'interruzione  determinata  da
 malattia  ed  infortunio, in alcun modo addebitabile al lavoratore ma
 derivante da un obbligo di legge il cui assolvimento non  deve  (come
 ed  a maggior ragione delle precarie condizioni di salute comportanti
 anch'esse   impossibilita'   della   prestazione   del    lavoratore)
 pregiudicarne  la  posizione di lavoro (art. 52, secondo comma, della
 Costituzione)  e  quindi   non   solo   impedire   la   conservazione
 dell'occupazione   ma   anche   soltanto  limitare  od  escludere  le
 conseguenze legali di carattere patrimoniale della conservazione  del
 rapporto  che sono dalla legge riferite alla anzianita' di servizio e
 quindi alla durata complessiva del rapporto di lavoro.
    Attenendo  due  delle cause di sospensione previste dall'art. 2110
 (la  gravidanza  ed  il  puerperio)  esclusivamente  alla  condizione
 propria  delle  persone di sesso femminile, mentre la prestazione del
 servizio militare e'  per  diritto  positivo  obbligo  peculiare  dei
 cittadini  di  sesso  maschile, la disparita' di trattamento, ai fini
 considerati, tra il periodo di gravidanza e di puerperio da  un  lato
 ed  il periodo di servizio militare di leva dall'altro, si risolve in
 una pregiudizievole differenziazione del  trattamento  riservato  per
 legge  ai  lavoratori  di  sesso  maschile rispetto a quelli di sesso
 femminile, differenziazione essenzialmente inerente  alla  diversita'
 di  sesso,  con  vilazione anche sotto tale riguardo del principio di
 uguaglianza, che vieta ogni disuguaglianza sul sesso fondata.  Se  e'
 vero  che  la ricomprensione dei periodi di gravidanza e di puerperio
 nell'art. 2120 terzo comma trova ampia e sicura giustificazione nella
 speciale tutela che la Costituzione accorda alla donna lavoratrice ed
 alla sua essenziale funzione familiare (art. 37 primo comma), nonche'
 alla   maternita'  ed  all'infanzia  (art.  31,  secondo  comma),  e'
 altrettanto vero che rilievo  costituzionale,  oltreche'  sociale  ed
 etico,  non  inferiore  deve essere riconosciuto al dovere "sacro" di
 difesa della  Patria  (art.  52,  primo  comma  della  Costituzione),
 all'adempimento   del   quale   il   servizio  militare  di  leva  e'
 propedeutico ed il cui valore e' dunque esaltato e reso preminente su
 ogni   altro   dalla  sacralita',  quindi  dalla  massima  elevatezza
 costituzionalmente affermata, sotto ogni riguardo, dello  scopo.  Non
 sembra   dunque  legittima  dal  punto  di  vista  costituzionale  la
 diversita' di trattamento esistente in ordine al trattamento di  fine
 rapporto  tra la lavoratrice madre ed il lavoratore militare di leva.
    Non   appare   determinante  per  escludere  la  fondatezza  della
 questione la circostanza che in tutte le ipotesi di  sospensione  del
 rapporto  privilegiate  rispetto  al  servizio  militare  di  leva il
 prestatore di lavoro abbia diritto ad  una  prestazione  assicurativa
 (indennita'   di  malattia,  indennita'  giornaliera,  indennita'  di
 maternita' o integrazione dei  guadagni)  sostitutiva  della  perduta
 retribuzione. Innanzitutto perche' anche chi presta servizio militare
 ha diritto ad una  elargizione  pecuniaria  erogata  dallo  Stato  ed
 integrata  da  attribuzioni  ulteriori  in  natura  (vitto, alloggio,
 vastiario,  servizi)  sicuramente  diverse   dalle   provvidenze   di
 carattere previdenziale ma aventi l'analoga funzione di sostentamento
 e di parziale compenso della retribuzione (eventualmente) perduta. Ma
 soprattutto  perche'  il  trattamento  di  fine rapporto non e' dalla
 legge riferito alla misura ed alla stessa  erogazione  delle  singole
 provvidenze assicurativa della retribuzione, bensi' alla retribuzione
 virtuale che il lavoratore ammalato, infortunato, collocato in  cassa
 integrazione o la lavoratrice gravida o puerpera avrebbe percepito se
 la causa di sospensione del  arpporto  non  fosse  intervenuta  e  la
 prestazione  lavorativa  avesse  avuto  esecuzione.  Non vi e' dunque
 motivo per trattare diversamente il lavoratore in  servizio  militare
 di  leva e non riconoscere anche per lui la rilevanza, per il periodo
 di servizio militare, della  retribuzione  perduta  ma  facilmente  e
 sicuramente determinabile in questo come negli altri casi.
    La   possibile   violazione   dell'art.   3,  primo  comma,  della
 Costituzione e' ben  ipotizzabile  anche  sotto  il  diverso  profilo
 prospettato  dalla  difesa  attrice, la quale ha posto in evidenza il
 miglior trattamento riservato dalla legge ai pubblici  dipendenti  in
 servizio  militare  di leva rispetto a coloro che, anch'essi militari
 in servizio di leva, siano invece soggetti ad un rapporto  di  lavoro
 subordinato  privato.  Mentre per questi ultimi, come si e' detto, il
 periodo  di  servizio  militare  non  e'  computabile  ai  fini   del
 trattamento  di  fine  rapporto,  per  i  pubblici dipendenti dispone
 invece l'art. 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, recante  norme
 sul  servizio  militare di leva e sulla ferma di leva prolungata, che
 il periodo di servizio militare e' valido a  tutti  gli  effetti  per
 l'inquadramento  economico  e  per  la determinazione dell'anzianita'
 lavorativa  ai  fini  del  trattamento  previdenziale   del   settore
 pubblico. In tale disposizione si e' data reale e completa attuazione
 anche per il servizio militare di leva  al  principio  dell'art.  52,
 secondo   comma,   della  Costituzione  per  il  quale  l'adempimento
 dell'obbligo di prestatore di servizio militare non puo' pregiudicare
 la  posizione  di  lavoro  del cittadino, posizione da intendersi nel
 senso lato  e  non  limitato  alla  sola  garanzia  di  conservazione
 dell'occupazione  gia'  evidenziata dalla Corte costituzionale con la
 sentenza n. 8/1963.
    Per  trattamento  previdenziale  del  settore  pubblico  va inteso
 essenzialmente quello costituito dall'indennita'  di  buonuscita  dei
 dipendenti  statali e dall'indennita' premio di servizio che compete,
 al termine del rapporto di impiego, ai dipendenti degli enti  locali.
 Infatti  il  d.P.R.  29  dicembre  1973, n. 1032, di approvazione del
 testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore  dei
 dipendenti civili e militari dello Stato, si contrappone al d.P.R. 29
 dicembre 1973, n. 1092, di approvazione del testo unico  delle  norme
 sul trattamento di quiescenza dei medesimi dipendenti, sia civili che
 militari, mentre la legge 8 marzo 1968, n. 152, contiene le norme  in
 materia  previdenziale  per  il  personale  degli  enti  locali  e si
 contrappone a sua volta alle norme  costituenti  l'ordinamento  della
 Cassa  di  previdenza  per le pensioni agli impiegati ed ai salariati
 degli enti locali, norme contenute nel r.d.-l. 3 marzo  1938,n.  680,
 nella  legge  25 luglio 1941, n. 934, ed infine nella legge 11 aprile
 1955, n. 379, unificativa delle, in  precedenza  distinte,  Casse  di
 previdenza.
    Il  servizio  militare  di leva e' dunque equiparato al periodo di
 normale  prestazione  di   attivita'   lavorativa   ai   fini   della
 liquidazione    tanto    dell'indennita'    di    buonuscita   quanto
 dell'indennita' premio di servizio, cioe' a prestazioni previdenziali
 erogate da enti (rispettivamente l'E.N.P.A.S. e I.N.A.D.E.L.) diversi
 dallo Stato a favore del quale il servizio militare e' prestato,  che
 sono  finalisticamente corrispondenti ed ontologicamente assimilabili
 alla antecedente indennita' di anzianita' ed all'attuale  trattamento
 di  fine rapporto. I dipendenti pubblici di conseguenza, a differenza
 dei dipendenti da privati o da enti pubblici economici, non  ricevano
 alcun  pregoudizio dalla prestazione del servizio militare di leva (e
 neppure  dal  suo  volontario  prolungamento)  ai   fini   del   loro
 trattamento di previdenza.
    Tanto  grave  disparita'  di  trattamento  non appare giustificata
 dalla  diversita',  pur  esistente  ma  sempre  piu'  attenuata,  del
 rapporto   di   lavoro  pubblico  del  rapporto  di  lavoro  privato.
 Prevalente  su  ogni  altra  considerazione   sembra   debba   essere
 l'identita' dell'obbligo di prestazione del servizio militare di leva
 gravante sia sui pubblici come sui privati dipendenti e la necessita'
 che  per  entrambe  dette categorie di lavoratori, e non soltanto per
 una di esse, trovi applicazione il  dettato  costituzionale  e  venga
 evitato   quel  pregiudizio  che  l'art.  52,  secondo  comma,  della
 Costituzione vuole sia impedito.
    Infine  dopo che, con la piu' volte menzionata sentenza 8/1963 era
 stato dichiarato costituzionalmente  illegittimo  l'art.  1,  secondo
 comma,  del d.l. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, il quale escludeva
 il diritto del prestatore d'opera al computo del periodo del servizio
 militare  di leva ai fini del calcolo della indennita' di anzianita',
 sentenza che aveva pertanto comportato la computabilita' ai  suddetti
 fini  del  servizio di leva, la sostituzione da parte del legislatore
 ordinario  all'indennita'  di  anzianita'  del  trattamento  di  fine
 rapporto  senza  ricomprendere  nella previsione dell'art. 2120 terzo
 comma nuovo testo il servizio  militare  di  leva  tra  le  cause  di
 sospensione  del  rapporto di lavoro nella ricorrenza delle quali per
 la  liquidazione  dell'emolumento  si  deve   avere   riguardo   alla
 retribuzione  virtuale  in  luogo  di  quella effettiva mancante, non
 appare in linea con il disposto dell'art.  136,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    Come  reiteratamente  precisato  dalla  Corte  costituzionale  (da
 ultimo con la sentenza 8-28 luglio 1988, n. 922, ed in precedenza con
 le  sentenze  n.  73/1963,  n. 88/1966 e n. 223/1983) le decisioni di
 accoglimento della Corte  hanno  per  destinatari  non  solo  chi  e'
 chiamato ad applicare la legge, ma lo stesso legislatore, al quale e'
 quindi   precluso   perseguire   e   raggiungere,   direttamente   od
 indirettamente,  risultati  corrispondenti  a  quelli  gia'  ritenuti
 lesivi della Costituzione. E' pertanto vietato di far rivivere  norme
 gia'  divenute  inefficaci  in  conseguenza della dichiarazione della
 loro  illegittimita'  da  parte  della  Corte  costituzionale  e   la
 violazione  di  tale  principio  contrasta con il rigore del precetto
 contenuto nell'art. 136, primo comma, della Costituzione, che  impone
 al  legislatore  ordinario  di  uniformarsi alla immediata cessazione
 della giuridica efficacia della norma illegittima, senza  che  se  ne
 possa prolungare la vita, o che la si possa far risorgere.
    E'  proprio  questo  invece  che ha fatto il legislatore dal 1982,
 allorche', con la legge 297, avendo pretermesso il servizio  militare
 di  leva  dalla tassativa previsione del nuovo art. 2120 terzo comma,
 ha ricreato, in relazione alle spettanze del lavoratore  in  caso  di
 estinzione  del  rapporto  di lavoro, l'identica situazione normativa
 esistente sino all'intervento del 1963 del giudice della legittimita'
 delle   leggi,   situazione  giudicata  incostituzionale  ed  espunta
 dall'ordinamento positivo ma in questo surrettiziamente  reintrodotta
 nel 1982.
    L'abolizione  formale  dell'istituto dell'indennita' di anzianta',
 la istituzione in sua vece del trattamento  di  fine  rapporto  e  la
 nuova  disciplina  cosi'  data  alla  materia,  non  costituiscono un
 mutamento del quadro normativo  tale  da  giustificare  la  stabilita
 reviviscenza   della   disposizione   dichiarata   costituzionalmente
 illegittima. Nei loro elementi fondamentali, ma soprattutto in quelli
 che   interessano,   l'istituto   dell'indennita'   di  anzianita'  e
 l'istituto che lo ha sostituito sono sostanzialmente analoghi  (salvo
 che  per  il  sistema  di liquidazione come si e' detto), sicuramente
 corrispondenti, rivolti al perseguimento del  medesimo  fine,  quindi
 funzionalmente  identici,  tenuto conto delle modificazioni al tenore
 originario dell'art. 2120  (conseguentemente  della  natura  e  della
 funzione  dell'indennita'  di  anzianita') derivanti dal fondamentale
 arresto della Corte costituzionale di cui  alla  sentenza  27  giugno
 1968,  n.  75,  ed  all'intervento dello stesso legislatore ordinario
 attuato con l'art. 9 della legge 15 luglio 1966,  n.  604.  Non  puo'
 pertanto  ritenersi consentita la mancata ricomprensione del servizio
 militare di leva tra le cause di sospensione del rapporto  di  lavoro
 che  danno  nondimeno  diritto,  per  il  periodo  di sospensione, al
 trattamento  di  fine  rapporto,  ma  e'  necessaria  ex   art.   136
 Costituzione,  la  sua  rilevanza,  nella  identica misura risultante
 dall'adozione del medesimo criterio di commisurazione  stabilito  per
 le altre cause di sospensione arbitrariamente preferite.
    La  questione,  sotto  i  diversi  profili  esaminati, deve essere
 pertanto  rimessa  alla  Corte  costituzionale  ed  il  giudizio  va'
 sospeso.
                                P. Q. M.
    Visto   l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e  l'art.  23  della  legge  11
 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara   rilevante   e   non   manifestamente   infondanta,  con
 riferimento all'art. 3, primo comma, ed all'art.  136,  primo  comma,
 della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 concernente l'art. 2120, terzo comma, del c.c., nel testo  sostituito
 dall'art.  1 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui e
 perche' non prevede il servizio militare di  leva  tra  le  cause  di
 sospensione  della  prestazione  di  lavoro  per le quali deve essere
 computato  nella  retribuzione  annua,  ai  fini  del   calcolo   del
 trattamento  di fine rapporto, l'equivalente della retribuzione a cui
 il lavoratore avrebbe avuto diritto qualora  il  rapporto  di  lavoro
 avesse  avuto  il  suo normale svolgimento, a differenza di quanto e'
 stabilito invece per  i  periodi  di  assenza  dal  lavoro  dovuti  a
 malattia, infortunio, gravidanza, puerperio o di sospensione totale o
 parziale della lavorazione con intervento  della  Cassa  integrazione
 guadagni, nonche' a differenza di quanto e' stabilito invece, ai fini
 dei loro trattamenti previdenziali,  per  i  pubblici  dipendenti  in
 servizio  militare  e nonostante la gia' avvenuta dichiarazione della
 illegittimita' costituzionale dell'art.  1  secondo  comma  del  d.l.
 C.p.S.  13  settembre  1946,  n. 303, escludente il computo del tempo
 trascorso in servizio militare di leva ai fini  della  indennita'  di
 anzianita';
    Sospende il giudizio;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone   che   il   presente   provvedimento  sia  notificato  ai
 procuratori delle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 sia  comunicato  al  Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed  al
 Presidente del Senato della Repubblica.
      Modena, addi' 12 novembre 1988
                           (Seguono le firme)

 89C0431