N. 204 SENTENZA 12 - 20 aprile 1989
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Fallimento - Crediti da lavoro - Rivalutazione per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento - Esclusione Interessi dovuti sui crediti privilegiati da lavoro maturati nel corso della procedura - Prelazione - Mancata estensione Illegittimita' costituzionale parziale. R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59, in relazione all'art. 429, terzo comma, del codice procedura civile; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 54, comma terzo, e 55, comma primo). Cost., artt. 3 e 36)(GU n.17 del 26-4-1989 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Giovanni CONSO; Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 54, 55 e 59 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e combinato disposto degli artt. 59 stesso regio decreto e 429, comma terzo, del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 25 gennaio 1988 dal Tribunale di Frosinone nel procedimento civile vertente tra Belli Luciana e il Fallimento "Lesa Sport", iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima Serie speciale dell'anno 1988; 2) ordinanza emessa l'8 febbraio 1988 dal Tribunale di Savona nel procedimento civile vertente tra Viano Adriano e il Fallimento Valente Adriano, iscritta al n. 22 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima Serie speciale dell'anno 1988; 3) ordinanza emessa il 5 maggio 1988 dal Tribunale di Savona nella procedura fallimentare nei confronti del Fallimento S.n.c. Edilferro di Bergamini Wolmer e Ragazzi Walter, iscritta al n. 550 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima Serie speciale dell'anno 1988; Visto l'atto di costituzione di Belli Luciana, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 1989 il Giudice relatore Aldo Corasaniti; Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso da Belli Luciana nei confronti del fallimento della "LESA SPORT", ed avente ad oggetto l'ammissione al passivo dei crediti di lavoro dell'attrice, il Tribunale di Frosinone, con ordinanza emessa il 25 gennaio 1988 (R.O. n. 188/88), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36, comma primo, della Costituzione: a) dell'art. 59 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti di lavoro per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento; b) degli artt. 54, comma terzo, e 55, comma primo, dello stesso r.d. n. 267 del 1942, nella parte in cui non estendono la prelazione agli interessi sui crediti privilegiati di lavoro nella procedura fallimentare. In relazione alla questione sub a), il giudice a quo richiama la sentenza n. 300/1986 della Corte costituzionale, che analoga questione ha ritenuto fondata nell'ambito del concordato preventivo, ed osserva che anche nell'ambito del fallimento l'esclusione della rivalutazione dei crediti di lavoro importa violazione dei suindicati precetti costituzionali, e precisamente: 1) dell'art. 36, comma primo, perche' la mancata applicazione della regula iuris dettata dall'art. 429, comma terzo, c.p.c. puo' privare in tutto o in parte il lavoratore del diritto a lui garantito e cioe' di una retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro e sufficiente in ogni modo ad assicurare a se' e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa, minimum retributivo che la rivalutazione ha appunto la funzione di salvaguardare parametrandolo alle variazioni del costo della vita; 2) dell'art. 3, perche' l'art. 59 impone al lavoratore il cui datore incorre nella pronuncia di fallimento, e quindi senza alcuna diretta responsabilita' per fatto proprio, una limitazione della quale non soffrono i lavoratori dipendenti da altro datore di lavoro. Ne', al fine di giustificare una diversa soluzione nell'ambito del fallimento e del concordato preventivo e' invocabile la particolare disciplina diretta a ristabilire la par condicio creditorum, mediante la revocatoria, come ha argomentato la sent. n. 300/1986 per negare veste di precedente contrario alla sent. n. 139/1981 resa in riferimento alla procedura fallimentare, poiche' cio' che ha rilievo nella specie non e' il rispetto del suddetto principio, ma di quelli della retribuzione sufficiente e della uguaglianza di trattamento. In relazione alla questione sub b), osserva il giudice a quo che l'art. 55 della Legge fallimentare fissa la regola secondo cui la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi, agli effetti del concorso, salvo che per i crediti assistiti da ipoteca, pegno e privilegio. Tuttavia l'art. 54, disciplinando la misura entro cui la prelazione che assiste il credito si estende anche agli interessi, richiama gli artt. 2788 e 2855 c.c. Sicche', per quanto riguarda i crediti privilegiati - non essendovi altresi' richiamo anche all'art. 2749 c.c., con estensione del privilegio agli interessi legali sino alla data della vendita - gli interessi maturati dopo la dichiarazione di fallimento possono essere fatti valere, secondo l'interpretazione corrente, solo in via chirografaria. Ora, prosegue l'ordinanza, la suindicata normativa, operante anche nel concordato preventivo in forza del richiamo contenuto nell'art. 169 della Legge fallimentare, e' stata dichiarata incostituzionale, nell'ambito di detta procedura concorsuale, con la sent. n. 300/1986, nella parte in cui non estende la prelazione agli interessi dovuti sui crediti privilegiati di lavoro, e ad uguale soluzione dovrebbe pervenirsi, in tema di crediti di lavoro subordinato, in riferimento alla procedura fallimentare. Anche in tale ipotesi, infatti, appaiono lesi gli artt. 3 e 36 della Costituzione, posti dalla sentenza n. 300/1986 a fondamento della decisione. Il primo, poiche' i privilegi sono causa di prelazione alla pari del pegno e dell'ipoteca, sicche' non si giustifica il trattamento preferenziale a favore degli interessi sui crediti garantiti da pegno e da ipoteca rispetto a quelli sui crediti assistiti da privilegio. Il secondo per la mancata garanzia della retribuzione proporzionata e sufficiente. 2. - Si e' costituita innanzi a questa Corte Belli Luciana, sollecitando l'accoglimento della questione. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione concernente la legittimita' costituzionale dell'art. 59 della legge fallimentare, nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti di lavoro per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, sia dichiarata manifestamente infondata. E cio' alla stregua della sentenza n. 139/1981 della Corte, che ha gia' dichiarato infondata identica questione, traendo argomento dalla funzione di remora all'inadempimento propria dell'art. 429 c.p.c. e della successiva sentenza n. 300/1986, che si e' data carico di sottolineare come il problema della rivalutazione dei crediti di lavoro per il periodo successivo all'apertura del fallimento del datore di lavoro sia caratterizzato da un contesto diverso rispetto a quello della rivalutazione degli stessi crediti per il periodo successivo alla domanda di concordato preventivo. Sicche' il princi'pio della rivalutabilita' affermato dalla seconda sentenza nell'ambito del concordato non e' estensibile all'ambito del fallimento. Osserva ancora l'Avvocatura dello Stato che l'esigenza del lavoratore di veder comunque soddisfatto il suo credito, anche nel caso di insolvenza del datore di lavoro, e' tutelata dal Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, di cui all'art. 2 della legge n. 297 del 1982, senza alcuna incidenza sulle modalita' di svolgimento della procedura concorsuale, della quale rispetta i princi'pi regolatori ed in particolare quello della par condicio. 3. - Il giudice delegato al fallimento di Valente Adriano, presso il Tribunale di Savona, in sede di ammissione al passivo, ex art. 101 L.F., di credito di lavoro di Viano Adriano, con ordinanza emessa l'8 febbraio 1988 (R.O. n. 222/1988) ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli stessi parametri, delle norme gia' censurate dalla precedente ordinanza n. 188/1988. Quanto all'art. 59 L.F. (considerato nel combinato disposto con l'art. 429, terzo comma, c.p.c.), osserva il giudice a quo che tale norma prevede che "i crediti non scaduti, aventi per oggetto una prestazione di denaro determinata con riferimento ad altri valori, concorrono secondo il loro valore alla data di dichiarazione del fallimento": tra tali crediti, per opinione oramai unanime, rientrano anche i crediti di lavoro, da qualificarsi come crediti di valore, sulla base del loro automatico adeguamento agli indici ISTAT (artt. 429, terzo comma, c.p.c., e 150 d.a.c.p.c.); percio', ai sensi dell'art. 59 ora citato, ove si chieda l'ammissione allo stato passivo di un fallimento di un credito di lavoro, questo non e' suscettibile di rivalutazione dal momento della dichiarazione di fallimento. Su analoga normativa prevista dagli artt. 169 e 59 L.F. in combinato disposto, per la procedura di concordato preventivo, e' intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 300/1986, dichiarandone la illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Occorre quindi verificare - prosegue l'ordinanza - se nella motivazione di detta sentenza e' contenuta la ragione giustificatrice per cui la identica disciplina giuridica prevista nel caso di fallimento si salvi da una dichiarazione di incostituzionalita'. Nella sentenza della Corte ora citata si legge che "poiche' le fattispecie in esame rientrano nel settore del concordato preventivo, non assume veste di precedente la sentenza n. 139/1981, da questa Corte resa in riferimento al combinato disposto degli artt. 429, terzo comma, c.p.c. e 59 L.F., perche' l'esigenza della par condicio creditorum si realizza nella procedura fallimentare, in riferimento alla quale la sentenza fu pronunciata, con la revocatoria "non ordinaria" (o fallimentare che dir si voglia) che ha per oggetto atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie elencati nell'art. 67 L.F.; mezzo di tutela del quale non si ravvisa equipollente nella procedura di concordato preventivo". Ad avviso del giudice a quo, tale ragionamento non sembra influire sulla ritenuta costituzionalita' della mancata rivalutazione, in sede fallimentare, dei crediti di lavoro. La revocatoria fallimentare serve infatti a ristabilire una condizione paritaria tra crediti vantati, quando questa condizione venga lesa da atti del debitore poi fallito in frode agli altri creditori, come dimostra il sempre richiesto requisito della conoscenza dello stato di insolvenza in colui che riscuote, in epoca sospetta, il proprio credito. Ma il princi'pio cui risponde la esigenza di rivalutare il credito di lavoro, in primo luogo prescinde dalla esigenza di reagire a comportamenti fraudolenti del debitore e dei creditori previamente soddisfatti, in secondo luogo e' addirittura rivolto alla creazione di una posizione di impar condicio sulla base del dettato normativo dell'art. 36 della Costituzione. In sostanza, nulla ha a che vedere la pari posizione dei creditori in rapporto alla massa attiva fallimentare con la rivalutazione del credito di lavoro, perche' anzi con essa si pone volutamente in contrasto, e tuttavia e' estrinsecazione del dettato dell'art. 36 della Costituzione dove il diritto alla retribuzione viene individuato come diritto alla soddisfazione di beni primari. Rileva ancora l'ordinanza che la sentenza n. 139/1981, richiamata dalla sentenza n. 300/1986, aveva individuato la ragione dell'esclusione della rivalutazione monetaria del credito di lavoro, in linea con l'ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite (13 ottobre 1980 n. 492), nella ratio dell'art. 429 c.p.c. La ratio di detta norma, in relazione alla quale si invocava la rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, veniva infatti ravvisata nella funzione di "remora che essa ingenera rispetto... al fatto stesso del non puntuale adempimento alla scadenza delle prestazioni destinate ad assolvere esigenze primarie del lavoratore", funzione non operante nell'ambito delle procedure concorsuali, in ragione della loro natura esecutiva. Ad avviso del giudice a quo, e' tuttavia contestabile che l'art. 429 c.p.c. persegua solo la sanzione del ritardo nell'adempimento, da parte del datore/debitore. Con tale norma, invero, il legislatore ha voluto fornire di particolarmente incisiva e differenziata tutela il diritto del lavoratore alla controprestazione per la propria attivita', stante la funzione non solo patrimoniale e quasi alimentare da esso svolta, gia' chiaramente individuata dall'art. 36 della Costituzione in riferimento a beni della persona. Come rilevato da Cass. 3 marzo 1980 n. 1408 "il credito del lavoratore a titolo di retribuzione (comprendente anche la indennita' di fine rapporto), ha finito con l'assumere, nella coscienza sociale e nella considerazione ponderata degli interessi generali, il carattere di un credito di valore, inteso come complesso di utilita' concretizzabili sul piano economico (e non sul piano monetario) idonee a garantire la fruizione dei beni necessari alla vita". Appare quindi non manifestamente infondato, secondo l'ordinanza, il dubbio sulla costituzionalita' della normativa risultante dal combinato disposto degli artt. 59 L.F. e 429, terzo comma, c.p.c.: a) per contrasto con l'art. 36 della Costituzione; b) per contrasto con l'art. 3 della Costituzione per il diverso trattamento dei crediti di lavoro vantati verso una procedura fallimentare, non piu' solo rispetto ai crediti di lavoro non sottoposti a procedure concorsuali, ma, stante la dichiarazione contenuta nella sentenza n. 300/1986, anche verso datori di lavoro sottoposti alla procedura di concordato preventivo. Per quanto concerne la disciplina degli interessi, risultante dagli artt. 54 e 55 L.F., rileva il giudice a quo che l'art. 55 L.F. sancisce la sospensione della decorrenza degli interessi, dal momento della sentenza di fallimento, a meno che non si tratti di crediti garantiti da pegno, privilegio od ipoteca e salvo il disposto dell'art. 54 L.F.. L'ultimo comma dell'art. 54 cit., richiamando gli artt. 2788 e 2855 c.c., stabilisce che gli interessi su capitali garantiti da pegno od ipoteca si collocano anche essi in privilegio (per il periodo ed alle condizioni dai detti artt. individuati). Non viene fatta menzione dei crediti garantiti da privilegio, come, nel caso di specie, i crediti di lavoro, tanto che essi vengono riconosciuti produttivi di interessi, collocabili pero' solo in via chirografaria. Anche tale situazione - prosegue l'ordinanza - e' idonea a sollevare dubbi di costituzionalita' rispetto al dettato dell'art. 3 della Costituzione, ove si consideri il diverso trattamento riservato ai crediti garantiti da pegno ed ipoteca, e, in conseguenza alla sentenza n. 300/1986, anche ai crediti di lavoro nella procedura di concordato preventivo cui e' sottoposto il datore di lavoro, nonche' rispetto all'art. 36 della Costituzione, stante la gia' individuata funzione dei crediti di lavoro. 4. - E'intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, eccependo l'inammissibilita' delle questioni, per carenza di legittimazione del giudice a quo. Osserva l'interveniente che, ai sensi dell'art. 101 L.F., il giudice delegato puo' disporre l'ammissione al passivo del credito insinuato tardivamente quando lo riconosca fondato ed il curatore non si opponga; diversamente, deve istruire la causa per la decisione da parte del Tribunale. Nel caso di specie, con la stessa proposizione della questione di costituzionalita', il giudice delegato rende manifesto che la domanda del creditore risulta (almeno in parte) infondata, alla stregua delle norme vigenti; e rende, per cio' stesso, manifesta la insussistenza di una delle condizioni - sopra richiamate - al cui concorso l'art. 101 cit. subordina l'esercizio di poteri decisori da parte del giudice delegato (al quale, quando agisca nella veste di giudice istruttore, Corte cost. n. 141/1971, ha negato la legittimazione a sollevare incidente di costituzionalita'). In subordine, l'Avvocatura dello Stato deduce l'infondatezza della questione di letittimita' costituzionale relativa all'art. 59 L.F., e concernente la non rivalutabilita' dei crediti di lavoro dopo l'apertura del fallimento, svolgendo considerazioni eguali a quelle gia' riportate nel riferire sull'ordinanza n. 188/1988 del Tribunale di Frosinone. 5. - Il giudice delegato al fallimento della S.n.c. Edilferro di Bergamini Wolmer e Ragazzi Walter, presso il Tribunale di Savona, in sede di ripartizione parziale dell'attivo, con ordinanza emessa il 5 maggio 1988 (R.Ord. n. 550/1988), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, degli artt. 55, primo comma, e 54, terzo comma, L.F., nella parte in cui non estendono il diritto di prelazione agli interessi sui crediti privilegiati di lavoro nella procedura fallimentare. Osserva il giudice a quo che l'art. 55, primo comma, L.F., nel riconoscere la decorrenza degli interessi, agli effetti del concorso, sui crediti garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, fa salvo il terzo comma del precedente art. 54 che richiama, per l'estensione della prelazione agli interessi, gli artt. 2788 e 2855 cod.civ., non anche l'art. 2749 cod. civ. che disciplina i crediti privilegiati. Ma il diverso trattamento, riservato dal combinato disposto degli artt. 55, primo comma, e 54, terzo comma, L.F. ai crediti garantiti da pegno ed ipoteca rispetto a quelli assistiti da privilegio non appare sorretto da alcun criterio di ragionevolezza, poiche' l'art. 2741, secondo comma, cod. civ., considera causa legittima di prelazione i privilegi in non diversa guisa del pegno e delle ipoteche. Rileva ancora il giudice a quo che, a seguito della sentenza n. 300/1986 della Corte costituzionale, con cui sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 55, primo comma, richiamato dall'art. 169, e 54, terzo comma, L.F. nella parte in cui non estendono il privilegio agli interessi dovuti su crediti privilegiati di lavoro nella procedura di concordato preventivo del datore di lavoro, per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione, si verifica una ingiustificata disparita' di trattamento anche nell'ambito dei crediti assistiti da privilegio, ai sensi dell'art. 2751 bis, n. 1, cod.civ., a seconda che il datore di lavoro sia ammesso alla procedura di concordato preventivo o sia dichiarato fallito. Conclude l'ordinanza con l'osservare che la collocazione in via chirografaria degli interessi su crediti di lavoro, maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento, sacrifica la posizione di creditori il cui credito capitale e' collocato al primo posto dell'ordine dei privilegi (art. 2751 bis cod. civ.) e comporta una illegittima decurtazione della retribuzione, determinata dal lasso di tempo - notoriamente non breve - che intercorre tra la dichiarazione di fallimento ed il riparto finale con il quale, di regola, vengono distribuite le somme ai creditori chirografari, raramente soddisfatti per l'intero credito ammesso al passivo. Considerato in diritto 1. - Con le ordinanze in epigrafe e' messa in dubbio la legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione: a) dell'art. 59 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) - da considerare nella combinazione del suo precetto con quello dell'art. 429, terzo comma, c.p.c. secondo uno dei giudici a quibus - nella parte in cui, nell'ambito del procedimento fallimentare, non consente la rivalutazione dei crediti da lavoro riguardo al periodo successivo alla dichiarazione di fallimento (ordinanza del Tribunale di Frosinone e del giudice delegato, presso il Tribunale di Savona, al fallimento di Adriano Valente); b) degli artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma, dello stesso regio decreto 267 del 1942, nella parte in cui, sempre nell'ambito del procedimento fallimentare, non estende agli interessi la prelazione che assiste i crediti da lavoro dipendente (ordinanze suindicate e ordinanza del giudice delegato, presso il Tribunale di Savona, al fallimento della S.n.c. Edilferro di Bergamini Wolmer e Ragazzi Walter). Stante la sostanziale identita' delle questioni che ne sono oggetto, puo' essere disposta la riunione dei giudizi. 2. - Va disattesa l'eccezione di inammissibilita' opposta dalla Avvocatura dello Stato circa la legittimazione del giudice delegato, presso il Tribunale di Savona, al fallimento di Adriano Valente, investito dell'esame di una domanda tardiva di ammissione. Invero non difettava il potere di decidere positivamente sull'ammissione del credito, anche se, ovviamente, il giudice ne ha subordinato l'esercizio alla pronuncia sulla questione di legittimita' sollevata. 3. - La legittimita' costituzionale della norma che non consente la rivalutazione dei crediti da lavoro maturati anteriormente alla dichiarazione di fallimento con riguardo al tempo successivo e' messa in discussione deducendosi che la norma, da un lato, restringe ingiustificatamente l'attuazione del precetto costituzionale di cui all'art. 36 della Costituzione, attuazione alla quale e' preordinato l'art. 429, terzo comma, c.p.c., dall'altro determina una ingiustificata discriminazione sfavorevole dei portatori di crediti da lavoro fatti valere nel fallimento rispetto ai portatori di crediti da lavoro fatti valere in altre procedure. Con la sentenza n. 139 del 1981, questa Corte ha dichiarato non fondata una questione di legittimita' costituzionale in tutto analoga a quella ora proposta. Ha infatti ritenuto non contrastante con gli artt. 3 e 36 della Costituzione la non rivalutabilita' dei crediti da lavoro dipendente nella procedura fallimentare sia che tale non rivalutabilita' si faccia discendere dal coordinato disposto dell'art. 429, terzo comma, c.p.c.(che prevede la rivalutabilita' nel caso di sentenza di condanna al pagamento dei crediti stessi) e dell'art. 59 della legge fallimentare (che fissa nella data della dichiarazione di fallimento il momento al quale si deve avere riguardo nella quantificazione dei crediti aventi per oggetto una prestazione pecuniaria determinata con riferimento ad altri valori o una prestazione non pecuniaria), sia che si propenda a ricavare la non rivalutabilita' suddetta, in riferimento all'art. 429 c.p.c. ora richiamato, dagli artt. 42, 52, 92 e seguenti della legge fallimentare (che esprimono in vario modo l'esigenza di aver riguardo, per ogni valutazione attinente alla procedura fallimentare, alla data di dichiarazione di fallimento). Ha considerato in proposito che sue precedenti sentenze (nn. 13 e 43 del 1977), sebbene avessero ravvisato il presidio e la garanzia dell'art. 36 (oltre che di altri precetti) della Costituzione sullo sfondo dell'art. 429, terzo comma,c.p.c., avevano individuato il ruolo di tale ultima norma nella "remora" da essa posta al mancato soddisfacimento dei crediti da lavoro da parte dell'imprenditore, "remora" che non avrebbe ragion d'essere la' dove il soddisfacimento non e' piu' consentito dopo la dichiarazione di fallimento se non attraverso l'espletamento della procedura fallimentare. Ma con la successiva sentenza n. 300 del 1986, questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 59 della legge fallimentare e 429, terzo comma, c.p.c. nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti da lavoro per il periodo successivo alla domanda di concordato preventivo. E cio' in quanto ha ritenuto che, in tale ultimo procedimento, alla rivalutabilita' non si opponga la regola della par condicio creditorum, considerando cosi' tale regola per un verso essenziale al procedimento fallimentare e per altro verso idonea ad impedire la rivalutazione dei crediti da lavoro nel procedimento medesimo. Argomentando variamente in ordine alle statuizioni adottate ed alle motivazioni svolte da questa Corte con le sentenze dianzi richiamate, i giudici a quibus negano in particolare che la par condicio creditorum sia valido ostacolo alla rivalutabilita' dei crediti da lavoro nel fallimento, una volta che questa e' giustificata dall'attuazione dell'art. 36 della Costituzione (precetto per se' stesso implicante discriminazione favorevole dei lavoratori) e non costituisce una mera "remora" all'inadempimento da parte del datore di lavoro. 4. - Pur discutendosene il fondamento, e' comunemente riconosciuto che la par condicio creditorum e' la regola del procedimento fallimentare. Ma anche a ravvisarne il fondamento nel princi'pio costituzionale di eguaglianza - in quanto mira a garantire ad ogni creditore la possibilita' di soddisfacimento del credito in proporzione al suo ammontare - non per questo essa puo' vantare una assoluta inderogabilita'. Il princi'pio costituzionale di eguaglianza, infatti, tollera disparita' di trattamento se queste siano giustificate da ragioni apprezzabili, e tanto piu' se lo siano dall'attuazione di un valore costituzionale. E quest'ultima ipotesi deve ritenersi qui ricorrente, non essendovi dubbio che la rivalutazione dei crediti da lavoro dipendente costituisca forma di attuazione dell'art. 36 della Costituzione. Non puo' dunque in nessun caso ritenersi assolutamente preclusa, in nome della par condicio creditorum, la rivalutazione dei crediti da lavoro nel procedimento fallimentare, tenuto conto fra l'altro che essa opera non tanto come "remora" posta all'inadempimento da parte dell'imprenditore, quanto come strumento destinato ad assicurare l'effettivita' della garanzia apprestata dall'art. 36 della Costituzione tramite l'adeguamento del loro ammontare secondo dati criteri. D'altra parte l'assoluta preclusione della rivalutazione dei detti crediti nel fallimento determinerebbe realmente ingiustificata disparita' di trattamento dei portatori degli stessi rispetto ai portatori di crediti da lavoro fatti valere in altri procedimenti. 5. - E' da ritenere tuttavia che la rivalutazione con riguardo al tempo successivo alla data della dichiarazione di fallimento non possa aver luogo, almeno in sede fallimentare, senza alcun limite, ma che essa debba essere disposta, sempre in tale sede, con riguardo al tempo fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo. Oltre tale limite, infatti, la rivalutazione sacrificherebbe ingiustificatamente l'interesse degli altri creditori nel fallimento (par condicio), mentre urterebbe contro esigenze proprie del procedimento in discorso, vale a dire tanto contro quella, rilevante per tutti i creditori (ivi compresi gli stessi portatori di crediti da lavoro), che la realizzazione dei crediti avvenga con la maggiore speditezza possibile, quanto contro quella che l'esecuzione qui si svolga, come ogni forma di esecuzione di crediti, secondo l'accertamento e/o la liquidazione che ne sono la base, accertamento e liquidazione contenuti appunto nello stato passivo. La rivalutabilita' entro il limite suindicato,invece, oltre a non determinare ingiustificato sacrificio degli altri creditori nel fallimento, risponde alle dette esigenze. Inoltre essa non importa intollerabile discriminazione fra i crediti da lavoro fatti valere nel fallimento e quelli fatti valere in altra sede (particolarmente, in assenza di fallimento o nel caso che il debitore sia ritornato in bonis, nella sequenza: cognizione-esecuzione individuale). Va dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti da lavoro nel fallimento entro il limite ora indicato. 6. - La legittimita' costituzionale della norma risultante dal coordinamento degli artt. 55 e 54 l.f., che, pur sancendo la produzione di interessi sulle somme oggetto di crediti assistiti da privilegio, non estende (in quanto l'art. 54, ultimo comma, l.f. non richiama in proposito gli artt. 2749 c.c. e 2751 bis n.1) la prelazione a tali interessi come invece fa per quelli sulle somme oggetto di crediti assistiti da pegno o da ipoteca, e' anche essa messa in dubbio in riferimento congiunto agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Premesso che gli obbiettivi di garanzia costituzionale per il lavoratore subordinato dianzi richiamati vengono in considerazione non soltanto per le somme oggetto dei crediti da lavoro (la cui disponibilita' e' direttamente connessa agli obbiettivi in parola), ma anche per gli interessi sulle somme stesse (destinati al ristoro della mancanza della detta disponibilita'), non sembra dubbio che sia ingiustificatamente lesiva dell'art. 36 della Costituzione la disparita' di trattamento determinata dalla denunciata omessa previsione della prelazione (cfr., in tal senso, la sentenza n. 300 del 1986 resa da questa Corte in riferimento all'ipotesi del concordato preventivo). E' dunque necessario dichiarare illegittima tale omissione, cosi' che rimanga adeguatamente integrata, anche in relazione al fallimento, la tutela, sotto tale aspetto, dei crediti da lavoro subordinato.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi: a) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 59 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), anche in relazione all'art. 429 terzo comma c.p.c. nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti da lavoro con riguardo al periodo successivo all'apertura del fallimento fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo; b) dichiara, l'illegittimita' costituzionale degli artt. 54, comma terzo, e 55, comma primo, del regio decreto n. 267 del 1942, nella parte in cui estendono la prelazione aagli interessi dovuti sui crediti privilegiati da lavoro nella procedura di fallimento del datore di lavoro. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1989. Il Presidente: CONSO Il redattore: CORASANITI Il cancelliere: MINELLI Depositata in cancelleria il 20 aprile 1989. Il direttore della cancelleria: MINELLI 89C0455