N. 212 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 1988
N. 212 Ordinanza emessa il 7 dicembre 1988 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Brunotti Sandro ed altri Urbanistica - Autorizzazione per l'esecuzione di un insediamento industriale - Realizzazione, in concreto, su parte del terreno, di un complesso terziario-direzionale - Pretesa illegittimita' (sotto vari profili) dei principi affermati, riguardo ad alcune delle norme impugnate, dalla cassazione, in due ordinanze (di annullamento di un sequestro disposto nel corso del processo a quo) in forza dei quali nella suddescritta ipotesi non potrebbe ravvisarsi il reato di lottizzazione abusiva (contestato nella specie) - Lamentata violazione della liberta' di giudizio dei giudici di merito, se alle suddette pronunce della cassazione si dovessero riconoscere effetti non strettamente limitati al provvedimento cautelare. (Legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 18, primo comma, p.p., e 20, lett. c); cod. proc. pen., art. 343-bis). (Cost., artt. 3, 25, 101 e 102).(GU n.18 del 3-5-1989 )
IL PRETORE Nel procedimento penale a carico di Brunotti Sandro, Garozzo Salvatore, Meregalli Piergiorgio, Pedergnani Giuliano e Vigano' Armando imputati, fra l'altro del reato di cui agli artt. 110 del c.p., 18, primo comma, e 20, lett. c). Legge 28 febbraio 1985, n. 47, solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 18, primo comma, prima parte, e 20, lett. c) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dell'art. 343- bis del c.p.p., in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma, 101 secondo comma, e 102 primo comma, della Costituzione. La problematica che si intende prospettare prende origine dal provvedimento di sequestro adottato da questo pretore il 14 aprile 1988 concernente l'intera area interessata alla lottizzazione di cui alla convenzione del 19 novembre 1984 stipulata dal comune di Milano, da un lato, la Larix S.r.l., la Porcellane Richard-Ginori S.p.a. e la Lambrate Ottantuno S.r.l., dall'altro, in esecuzione della delibera del Consiglio Comunale Milanese del 4 giugno 1984. In tale provvedimento questo pretore includeva non solo l'area di nuova edificazione sulla quale erano in corso i lavori relativi a otto (8) fabbricati di nuova realizzazione, ma anche quella su cui sorgevano i vecchi capannoni della Porcellane Richard-Ginori S.p.a., in quanto il piano di lottizzazione di cui si e' detto coinvolgeva per l'appunto entrambe le aree. In relazione ai fatti emersi dalle indagini questo giudice aveva, fra l'altro ipotizzato il reato di cui agli artt. 18, primo comma, e 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (lottizzazione abusiva) in relazione agli artt. 19, 21 e 32 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. vigente in Milano, agli artt. 28 e 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche, al d.m. 2 aprile 1986, n. 1444, e all'art. 22 della legge regione Lombardia 15 aprile 1975, n. 51, sicche' il sequestro, ad avviso del giudice, non poteva che estendersi a tutta l'area interessata anche allo scopo di assicurarla, assieme agli edifici, al procedimento "in relazione all'applicazione obbligatoria di tutte le sanzioni penali stabilite dalla normativa urbanistica vigente". Con ordinanza del 28 aprile 1988 il tribunale della liberta' di Milano, investito con richieste di riesame proposte dalla Richard-Ginori e da Brunotti Sandro, amministratore unico quest'ultimo della Lambrate Ottantuno S.p.a., rigettava le richieste medesime e confermava il decreto di sequestro pretorile; A seguito di ricorso proposto dagli interessati, la Suprema Corte, con due ordinanze separate pronunciate nella stessa camera di consiglio del 4 ottobre 1988, per un verso annullava senza rinvio il sequestro del pretore per la parte concernente l'area su cui sorgevano i vecchi fabbricati della Richard-Ginori, per l'altro annullava con rinvio allo stesso tribunale della liberta' di Milano, per difetto di motivazione, l'ordinanza di quest'ultimo collegio relativamente alla parte confermativa del sequestro pretorile afferente gli otto edifici di nuova costruzione e l'area di immediata pertinenza. Il tribunale della liberta' con ordinanza del 2 novembre 1988 confermava ancora una volta il sequestro del pretore per la parte riguardante gli otto fabbricati di nuova edificazione e l'area relativa. E' nelle determinazioni assunte dalla Corte di cassazione in sede di ricorso che si appuntano i dubbi di costituzionalita' di questo giudice. Per avere un piu' completo quadro della problematica costituzionale che ne deriva, appare opportuno riportare testualmente i passaggi salienti delle due ordinanze della Corte, onde rappresentare in stretta relazione con il contenuto di queste ultime, le perplessita' costituzionali che, ad avviso dello scrivente, ne conseguono. Nella prima ordinanza in particolare e' detto: "... appare innanzitutto opportuno premettere, in fatto, che, come e' pacifico in processo, la ricorrente societa', proprietaria di un terreno alla via Tucidite di Milano, stipulo', in data 19 novembre 1984, una convenzione di lottizzazione con il comune di Milano, con la S.p.a. porcellane Ginori (proprietaria di altra area nella medesima via Tucidite), e la Larix S.r.l. (proprietaria del vicino terreno di via Corelli), in forza della quale provvide ad edificare otto fabbricati a torre destinati, in parte ad uso terziario amministrativo ed in parte ad uffici tecnici e laboratori. La detta societa' - pur avendo sostanzialmente rispettato il detto vincolo di destinazione provvide per altro ad offrire in locazione gli immobili ad una societa' (la Enichem) che, al contrario della Ginori, non disponeva in loco di un insediamento industriale. Da cio', quindi, la asserita configurabilita' nella specie dell'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 20, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto, secondo i giudici di merito la detta locazione avrebbe comportato il venir meno della connessione tra funzione primaria (industria) e funzione con essa compatibile (terziaria-amministrativa) e, quindi, una trasformazione del territorio in violazione degli strumenti urbanistici. Ora tale opinione non puo' essere condivisa. Come e' stato ripetutamente precisato da questa suprema Corte, con giurisprudenza consolidata, il reato di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio pretende, per la sua configurabilita': a) che la lottizzazione abbia ad oggetto una zona non urbanizzata e/o in relazione alla quale manchi 'qualsiasi strumento urbanistico'; b) che la condotta si estrinsechi nella divisione del terreno in uno o piu' lotti, suscettibili di sfruttamento edilizio; c) che tale attivita' abusiva sia suscettibile di comportare un danno all'ente locale, costringendolo ad eseguire opere di urbanizzazione in tempi e in luoghi non previsti. Ne consegue, pertanto, che presupposto imprenscindibile per la configurabilita' del reato e' proprio la abusivita' della attivita' lottizzatoria; abusivita' derivante dal fatto che l'attivita' medesima non sia stata previamente autorizzata. Ne' la configurazione giuridica del reato e del suo indefettibile presupposto (mancanza di previo provvedimento autorizzativo della autorita' comunale) possono ritenersi modificati dalla nuova legge 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto la definizione di condotta lottizzatrice enunciata nell'art. 18, primo comma, rivela chiaramente l'intento del legislatore di fare propri i risultati della lunga elaborazione svolta al riguardo dalla giurisprudenza, confermando che la lottizzazione abusiva e' reato che lede la riserva pubblica di programmazione territoriale e che, pertanto, esso sussiste laddove si dia vita ad un nuovo insediamento urbanistico al di fuori del preventivo controllo dell'autorita' comunale (cfr. Cassazione 28 marzo 1980, Petta). Ne' al riguardo vale il dedurre che - ad una prima lettura della norma - potrebbe sembrare che alla lottizzazione illecita per mancanza di autorizzazione il legislatore avrebbe aggiunto una lottizzazione illecita per contrarieta' agli strumenti urbanistici, atteso che, in contrario, non puo' non osservarsi che il regolare ed ordinato assetto del territorio e' regolato da una serie di interventi amministrativi che, partendo dal piano piu' generale, si restringono man mano nel disciplinare i particolari, fino all'ultimo indispensabile provvedimento autorizzativo diretto a regolare il singolo caso. Ne deriva, pertanto, che costituendo la 'abusivita'' presupposto assolutamente indispensabile per l'ipotizzabilita' del reato di lottizzazione abusiva, il detto reato potra' dirsi sussistente unicamente qualora manchi il detto provvedimento autorizzativo finale e non pure qualora - in presenza di tale autorizzazione - si accerti la violazione di altre norme urbanistiche (violazioni che eventualmente potranno concretizzare altre ipotesi di reato previste dalla citata legge n. 47/1985). Sostenere una soluzione diversa non solo significa annullare completamente l'area di operativita' dell'art. 20, lett. a), in favore di una ingiustificata ed arbitraria estensione della sfera incriminatoria dell'art. 20, lett. c) della legge; ma (ed il rilievo assume particolare consistenza nel caso in esame nel quale il reato di lottizzazione e' stato contestato sotto il profilo di un avvenuto mutamento di destinazione d'uso di parte degli edifici costruiti in base a regolare concessione edilizia) significa altresi' dimenticare il disposto degli art. 8, lett. a), e 20, lett. c), della medesima legge. In base, infatti, alle menzionate disposizioni di legge, il mutamento di destinazione d'uso diventa punibile con la sanzione di cui all'art. 20, lett. b), qualora comporti la violazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, oppure con la piu' grave sanzione (ma, ovviamente, ai soli fini della commisurazione della pena) prevista per il reato di lottizzazione abusiva, qualora sia attuata su edifici sottoposti a vincoli artistici, storici, etc. Ne deriva, pertanto, che il mutamento di destinazione d'uso attuato mediante opere edilizie non integra mai il reato di lottizzazione abusiva in quanto altrimenti non si spiegherebbe la ragione per la quale il legislatore, per l'ipotesi estrema riguardante beni particolarmente rilevanti sotto il profilo storico, artistico etc., avrebbe attraverso un esclusivo richiamo quoad poenam, dovuto dichiarare applicabili le sanzioni penali previste dal citato art. 20, lett. c). Esclusa, pertanto, l'astratta configurabilita' nella specie dell'ipotizzato reato di lottizzazione abusiva, ne deriva, quale ineluttabile conseguenza, la inapplicabilita' della misura di sicurezza di cui all'art. 19 e, quindi, la illegittimita' di un sequestro funzionale alla confisca...". Nella seconda ordinanza fra l'altro si afferma: "... per una esatta valutazione della detta censura, appare innanzi tutto opportuno premettere, in fatto, che, come e' pacifico in processo, la ricorrente societa' e' proprietaria, in Milano, alla via Tucidite, 56, di un complesso industriale costituito da edifici ed aree di pertinenza, ricompreso in una lottizzazione convenzionata approvata dal comune di Milano e dalla regione Lombardia. Risulta, in particolare, che in data 19 novembre 1984, venne stipulata una convenzione di lottizzazione tra il comune di Milano, la S.p.a. porcellane Ginori, la Lambrate 81 S.r.l. (proprietaria di altra area in via Tucidite), e la Larix S.r.l. (proprietaria del vicino terreno di via Corelli), in forza della quale la detta societa' Lambrate provvede ad edificare otto fabbricati a torre sul proprio terreno, mentre la ricorrente soc. Ginori si limito' unicamente a cedere al comune un'area di mq. 560 destinata allo allargamento della via Corelli, senza svolgere la benche' minima attivita' edificatoria od urbanistica sul terreno o sui preesistenti fabbricati di sua proprieta'. Ora e' pur vero che il pretore di Milano ha contestato al Brunotti, amministratore unico della Lambrate 81, il reato di lottizzazione abusiva per 'mutamento di destinazione soggettiva' degli edifici da questa costruiti (sotto il profilo che tali edifici sarebbero stati offerti in locazione alla soc. Enichem, anziche' alla Richard-Ginori, preesistente in loco); ma - a prescindere da ogni indagine in merito alla fondatezza della accusa come sopra mossa al Brunotti - e' pur vero, peraltro, che nessuna ipotesi di violazione alla legge urbanistica e' stata mai avanzata dal pretore nei confronti della societa' Ginori; per cui l'estensione del sequestro anche ai beni di detta societa' si presenta chiaramente illegittimo, attesa la assoluta mancanza del benche' minimo nesso pertinenziale tra cosa sequestrata e reato. Ne' sul punto puo' condividersi l'affermazione del tribunale secondo la quale il sequestro de quo, in quanto finalizzato alla futura confisca obbligatoria dei terreni abusivamente lottizzati ex art. 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, dovrebbe riguardare tutti i beni inseriti nell'area, a prescindere dall'eventuale penale responsabilita' dei singoli proprietari; e cio' in quanto, in contrario, non puo' non osservarsi che, in forza dell'art. 240, terzo comma, del c.p., la confisca non puo' essere disposta qualora le cose appartengano a persona estranea al reato e che, nel caso in esame non e' certamente possibile sostenere che il preesistente complesso industriale della societa' Ginori debba essere annoverato tra le cose intrinsecamente criminose...". Sono soprattutto le affermazioni di principio contenute nella prima ordinanza che fanno insorgere, secondo la opinione di questo giudice, i dubbi di costituzionalita'. Una valutazione della definizione legislativa di lottizzazione abusiva prevista dall'art. 18, primo comma, prima parte, della legge n. 47/1985 induce a pensare che il legislatore abbia previsto due differenti ipotesi di tale reato: la prima consistente nell'inizio della esecuzione di opere che comportino la trasformazione urbanistica o edilizia di terreni senza l'autorizzazione prescritta dall'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo introdotto dall'art. 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765); la seconda consistente nella esecuzione di opere che comportino la trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali pur in presenza di autorizzazione lottizzatoria. Il dato testuale non sembra lasciare margine a dubbi: l'impiego della disgiuntiva non sembra prestarsi ad interpretazioni differenti se alla parola "o" si attribuisca l'unico significato che la stessa puo' avere ("o senza la prescritta autorizzazione"). Reputa questo pretore - a differenza di quanto affermato in via di principio dalla suprema Corte - che solo mantenendo nei suoi contenuti letterali il senso dell'art. 18, primo comma, prima parte, nei termini teste' specificati si possa pervenire a risultati consoni ai principi costituzionali espressi dagli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione. Secondo il punto di vista che si espone, quando illecitamente si faccia un uso distorto degli strumenti di pianificazione esecutiva, quale deve considerarsi il piano di lottizzazione, e della relativa autorizzazione, si perviene a risultati comportamentali che costituiscono espressione di una piu' raffinata e puntuale capacita' criminosa. La fattispecie in considerazione, che ha attinenza con quella oggetto del presente procedimento, concerne il caso in cui venga richiesta e autorizzata una lottizzazione per la realizzazione di un complesso industriale, mentre nella realta' si intenda eseguire ed in concreto si realizzi un complesso terziario-direzionale. Quando cio' avvenga sembra che l'ottenuta autorizzazione lottizzatoria e le conseguenti concessioni edilizie necessarie per la esecuzione del complesso edilizio assumano una funzione meramente strumentale rispetto a quanto si vuole illecitamente attuare, atteso che vengono ad avere il ruolo di mera copertura, di schermo apparentemente lecito di quanto si va a costruire in contrasto con tutte le disposizioni della pianificazione territoriale, al triplice livello statale, regionale e comunale. In termini estremamente semplici si vengono ad impiegare l'autorizzazione a lottizzare una certa area e le concessioni edilizie conseguenti, rilasciate per la costruzione di un complesso industriale, per la effettiva creazione di un insediamento terziario-direzionale. E poiche' l'atto autorizzatorio ed i provvedimenti concessori conseguenti si riferiscono alla esecuzione di un complesso industriale, pare logico che, ove venga realizzato al contrario un insieme di edifici a destinazione direzionale-amministrativa, questo non possa che considerarsi abusivo a tutti gli effetti, non potendo l'autorizzazione lottizzatoria e le relative concessioni rilasciate che riferirsi ad un insediamento di carattere industriale. Se cio' appare vero in linea di principio, risulta esserlo ancora di piu' ove si vada a considerare la normativa vigente. Totalmente diverso e' infatti il regime giuridico in vigore per la differente tipologia degli interventi. Gia' per quanto concerne il contributo di concessione gli artt. 3 e 10 della legge n. 10/1977 stabiliscono un trattamento diversificatorio per le due tipologie di costruzioni e di impianti, esonerando quelli destinati ad attivita' industriali e artigianali dal pagamento del costo di costruzione ed assoggettandoli alla corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi, ove ne siano alterate le caratteristiche. Diversa, poi, e' la regolamentazione statale che attiene ai rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti e gli spazi pubblici riservati ad attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggio a seconda che i nuovi insediamenti siano a carattere industriale (riserva minima del 10% della superficie degli insediamenti) ovvero siano a terziario-direzionale (riserva minima dell'80% della superficie lorda di pavimento dei nuovi insediamenti), in relazione all'art. 41-quinquies, penult. comma, della legge n. 1150/1942 e successive modifiche e all'art. 5 del d.m. 2 aprile 1984, n. 1444 (aree a standards). In sede regionale lombarda tale ultima normativa ha trovato precisa attuazione con gli artt. 22 della l.r. n. 51/1975 e 12 della l.r. n. 60/1961 del 5 dicembre 1977, in forza dei quali le aree a standards devono essere cedute gratuitamente al comune nella misura del 20% della superficie destinata a nuovi insediamenti produttivi e nella misura del 100% della superficie lorda di pavimento per i complessi del settore terziario e commerciale. Nel comune di Milano il differente regime giuridico, gia' in posizione di netto favore per gli insediamenti industriali e artigianali a livello di normativa statale e regionale, presenta ulteriori vantaggi per questa categoria di complessi - fatte salve le nuove disposizioni entrate in vigore nel settembre del c.a. che qui non interessano - prevede un indice di edificabilita' nettamente superiore (del 32% circa) rispetto a quello stabilito per il terziario espresso in superficie lorda di pavimento (1,2 mq/mq invece che 0,9 circa mq/mq, ove l'indice di edificabilita' del terziario, che e' di 3 mc/mq venga espresso in superficie lorda di pavimento rapportandolo all'altezza virtuale fissata in mt. 3,30 dall'art. 6.10 delle norme tecniche di attuazione del p.r.g.). A tutto cio' deve aggiungersi il significato che ha la localizzazione dei differenti insediamenti nell'ambito della pianificazione territoriale. Senza entrare in dettaglio nella problematica relativa alla suddivisione del territorio in zone omogenee secondo i parametri normativi generali dettati dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, va osservato come la ubicazione dei diversi insediamenti nel territorio risponda a precise scelte di programmazione ispirate, da un lato, a opportuni criteri distributivi e di sviluppo e, dall'altro, alla soddisfazione di esigenze totalmente differenti a seconda delle caratteristiche dei complessi. L'insediamento industriale presenta problemi di localizzazione e risponde ad esigenze socio-economiche affatto differenziate rispetto a quelli del complesso ad uffici. Si vuole evidenziare come la pianificazione urbanistica del territorio, che identifichi le aree d'intervento secondo le diverse tipologie realizzative, risponda da un lato a ragioni proprie di un ordinato e corretto sviluppo del tessuto urbano; preveda, dall'altro, differenziati trattamenti normativi a seconda della natura degli insediamenti. Sicuramente piu' favorevole e' quello stabilito per le attivita' industriali e artigianali rispetto a quello per gli insediamenti di carattere terziario. Sicche' avvalersi del regime normativo riservato all'industriale per poi eseguire in concreto terziario presenta altresi' enormi vantaggi in termini di indici di edificabilita', di cessione gratuita di aree a standards, di contributi di concessione. A questo punto e' facile intuire quali ulteriori aspetti di convenienza presenti camuffare da industriale la realizzazione di un complesso terziario-direzionale. Di tutto cio' ha tenuto conto il legislatore del 1985 quando ha contemplato l'ipotesi di lottizzazione solo apparentemente lecita perche' autorizzata per una determinata funzione ed in realta' illecita perche' esecutiva in concreto di una trasformazione edilizio-urbanistica inosservante delle norme di pianificazione a livello statale, regionale e comunale. L'occultare dietro una apparenza, uno schermo di legalita' un'attivita' trasformativa dei terreni in contrasto con tutte le predette disposizioni e' indice di una capacita' criminale di colui che la realizza dotata di connotati di antisocialita' e di pericolosita' piu' consistenti di quanto non la possieda colui che, alla luce del sole, proceda a lottizzare senza autorizzazione magari un'area di qualche migliaio di metri quadrati (in territorio comunale di Milano, ad esempio, la preventiva pianificazione esecutiva e' assolutamente indispensabile - salvi casi particolari - per le aree di nuovo intervento superiore ai 5.000 mq). Ed e' sotto questo profilo che, ad avviso del pretore, ancorare l'abusivita' di una lottizzazione alla mancanza di autorizzazione lottizzatoria significa creare una irrazionale disparita' di trattamento tra colui che da' corso ad una trasformazione edilizio-urbanistica del territorio attraverso il frazionamento di un terreno in piu' lotti e la esecuzione delle opere necessarie a scopo edificatorio senza la preventiva autorizzazione, con il rischio peraltro immediato e quotidiano di un intervento interruttivo della sua illecita attivita' a livello amministrativo e giudiziario; e colui che, invece, riesca ad ammantare di apparente legalita' un'attivita' trasformativa in contrasto con tutte le regole della pianificazione. Simile disparita' appare ancora piu' accentuata quando si vada a raffrontare quest'ultima situazione alla lottizzazione semplicemente negoziale nella quale la fase trasformativa vera e propria ed il conseguente danno urbanistico-ambientale non hanno ancora modo di realizzarsi. Non possono a questo punto condividersi le considerazioni espresse dalla Cassazione a sostegno del proprio assunto. Vi e' sicuramente lesione della riserva pubblica della programmazione territoriale, quando il comune autorizzi l'esecuzione di un insediamento industriale in conformita' con le previsioni dello strumento urbanistico vigente e venga invece in concreto realizzato un complesso terziario. E' proprio il comune a vedersi sottratta in concreto quella riserva di pianificazione che gli compete e a dovere subire i danni che ne derivano. Difficile, poi, risulta comprendere l'altra preoccupazione espressa dalla suprema Corte circa l'annullamento dell'ambito di operativita' della fattispecie di reato di cui all'art. 20, lett. a), della legge n. 47/1985, atteso che si e' ipotizzata la sistematica e complessiva violazione delle disposizioni previste dall'ordinamento giuridico a base della pianificazione del territorio a livello statale, regionale e comunale, cosi' da realizzare un aliud pro alio vale a dire un insediamento terziario-direzionale invece che un complesso industriale, abusivamente fruendo di un'area di p.r.g. e del regime giuridico riservati a quest'ultima categoria di interventi adilizi. L'oggettivita' giuridica della fattispecie di reati di cui all'art. 20 alla lett. a), della legge n. 47/1985 concerne, invece, situazioni di fatto in cui risultano di volta in volta violate le norme e le prescrizioni specificamente indicate secondo una gravita' ben diversamente significativa rispetto alle altre ipotesi di reato contemplate dallo stesso art. 20. In tema di inosservanze degli strumenti urbanistici rilevanti ai sensi dell'art. 20, lett. a), la gamma delle violazioni e' la piu' varia e la piu' ampia (distanze, volumetria, caratteristiche tipologiche, variazioni d'uso con caratteri specifici ecc.), sicche' la preoccupazione della Corte non appare affatto condivisibile. Altrettanto dicasi per l'altra ipotesi di reato presa specificatamente in considerazione dal supremo collegio, vale a dire quella contemplata dall'art. 8, lett. a), in relazione, ai fini sanzionatori ed a seconda delle ipotesi, all'art. 20, lett. b), e lett. c), della legge n. 47/1985, che questo pretore avrebbe obliterato nel caso di specie e che, invece, secondo le indicazioni della Cassazione potrebbe trovare applicazione. Anche la prospettata alternativa incriminatoria non convince. Le variazioni essenziali definite dall'art. 8 della legge n. 47/1985 risultano parificate ai fini sanzionatori al reato di totale difformita' quando siano effettuate "su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale nonche' su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali" (art. 8, terzo comma); e punite a norma dell'art. 20, lett. c), quando siano realizzate in "zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale". Negli altri casi, vale a dire quando manchino queste particolari forme di protezione, rimangono variazioni essenziali, difformita' parziali sanzionate ai sensi dell'art. 20, lett. a), visto che l'art. 20, lett. b), non menziona affatto le variazioni essenziali. Si badi bene - e si specifichera' piu' avanti - il complesso edilizio oggetto del presente procedimento non riguarda zone o immobili sottoposti a tutela particolare: sicche' non si riesce proprio a comprendere come possa essere ipotizzata la contravvenzione di cui agli artt. 8, lett. a), e 20, lett. b), di cui parla la Cassazione. Peraltro, dopo quanto si e' precisato, appare del tutto riduttivo circoscrivere il contesto alla violazione della disciplina sulle aree a standards, quando in realta' si e' ipotizzata la sistematica e complessiva violazione delle norme di vario livello che presiedono alla pianificazione del territorio. Parlare poi di mutamento di destinazione d'uso mediante opere edilizie nel caso di specie non appare esatto, quando in realta' si e' ipotizzata la realizzazione, fruendo delle norme di pianificazione riservate ai complessi industriali, di un insediamento di natura totalmente differente, per di piu' schermandone le reali caratteristiche dietro un'autorizzazione lottizzatoria rilasciata per un intervento per l'appunto di carattere industriale. Sembra che in tal modo risulti vulnerato anche il principio di stretta legalita' contemplato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Si viene innanzi tutto a circoscrivere l'ambito di applicazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 18, primo comma, prima parte, della legge n. 47/1985 limitandola al caso di assenza di autorizzazione lottizzatoria quando la lettera della disposizione, ad avviso del pretore, evidenzia e contiene l'altra ipotesi costituita dall'abusivo uso degli strumenti giuridici ed amministrativi di pianificazione in presenza di una autorizzazione lottizzatoria semplicemente fittizia. Si viene, peraltro verso, a prospettare come applicabile la differente fattispecie di reato di cui agli artt. 8, lett. a), e 20, lett. b), anche nel caso di variazioni essenziali non corcernenti immobili (art. 8, terzo comma) o zone (art. 20, lett. c), soggetti a vincoli o a tutela specifica: cio', a parere del pretore, sembra porsi in contrasto con il tenore letterale di queste due ultime norme nei sensi dianzi specificati, atteso che l'art. 20, lett. b), non menziona, ai fini sanzionatori, le variazioni essenziali riferentisi ad interventi al di fuori di protezione particolare. Quanto fin qui enunciato va altresi' posto in relazione con l'art. 343- bis del c.p.p., tenuto conto del fatto che la pronuncia della Cassazione, emessa ai sensi dell'ultimo comma di tale norma, avviene all'interno di un procedimento penale in corso, per di piu' in fase istruttoria. Nulla e' detto o specificato da detta disposizione in ordine agli effetti di una simile decisione sul procedimento medesimo e sui vincoli che ne conseguono per i giudici di merito anche in termini di contestazione dell'accusa, in particolar modo se questa gia' sia stata formulata nei sensi censurati dalla suprema Corte. In sostanza, non e' dato dedurre dalla specificata disposizione se la pronuncia della Cassazione sia data incidenter tantum con effetti circoscritti al provvedimento di sequestro convalidato o adottato direttamente dal magistrato, ovvero irradi la sua efficacia sull'intero procedimento cosi' da creare precisi limiti per il giudice di merito nella stessa fase istruttoria ed in quelle successive (dibattimento e appello). Se queste ultime dovessero essere le conseguenze potrebbero risultarne sconvolti i principi che regolano l'esercizio della giurisdizione ed, in particolare, l'articolazione dei gradi di giudizio secondo l'inderogabile progressione che vede esprimere insopprimibilmente le valutazioni e le pronunce di merito - indispensabili comunque per una corretta e completa ricostruzione del fatto - seguite poi dalla fase limitata alla legittimita'. Cio' secondo le norme di garanzia giurisdizionale previste dall'ordinamento giudiziario, cui si richiama espressamente l'art. 102, primo comma, della Costituzione, che concerne anche ed indefettibilmente l'articolazione dei gradi di giurisdizione. Se il provvedimento della Cassazione emesso a norma dell'art. 343- bis del c.p.p. dovesse esplicare i suoi effetti su tutte le fasi ed i contenuti del procedimento cui si riferisce, per il giudice di merito non resterebbero come unici parametri di riferimento il fatto processualmente accertato o da ricostruirsi e la norma astratta cui ricondurre tale fatto, in conformita' con il principio costituzionale di cui all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, ma un fatto e un dato normativo gia' precostituiti nei loro contenuti anche interpretativi (con riferimento al secondo) dalla pronuncia anticipata della Cassazione. Le espresse osservazioni appaiono quanto mai pertinenti, dato che nelle due ordinanze (particolarmente nella seconda come sta per vedersi) risultano enunciate osservazioni in qualche modo "ricostruttive" del fatto per cui e' processo. Rimane da ultimo da evidenziare come la questione che si prospetta sia pregiudiziale rispetto al presente giudizio, che non puo' essere definito senza la risoluzione della medesima. Il procedimento e' giunto sino alla contestazione dei reati ravvisati mediante mandato di comparizione a cinque imputati compresi Vigano' Armando e Garozzo Salvatore (quest'ultimo, fra l'altro, aveva a tutti gli effetti e quale procuratore speciale rappresentato la Societa' Porcellane Richard-Ginori S.p.a. in sede di stipula della convenzione di lottizzazione con atto del 19 novembre 1984). Al capo B) del mandato di comparizione e' stato in particolare contestato il reato di lottizzazione abusiva nei termini che si riassumono. Si e' dato in primo luogo atto della realizzazione di un complesso (terziario) ad uffici in un'area destinata dal piano regolatore ad attivita' industriali-artigianali, violando in tal modo non solo le riserve funzionali di zona ma sfruttando abusivamente anche la posizione di vantaggio prevista dallo strumento urbanistico per le attivita' industriali realizzando, fra l'altro, il 32% circa in piu' di superficie lorda di pavimento rispetto a quella ammessa per la funzione a terziario. Si e' implicitamente dato atto della fruizione non consentita del contributo di concessione riservato alle attivita' industriali riguardo al 24% del nuovo effettivamente realizzato rispetto alla previsione totale di superficie lorda di pavimento (20% di uffici tecnici e laboratori integrati +4%). Secondo l'accusa che si e' ipotizzata ne sarebbero conseguiti: lo scardinamento delle previsioni di piano regolatore con la sistematica violazione di quanto prescritto per le zone a "industriale-artigianale" (artt. 19, 21 e 32 delle norme tecniche di attuazione del p.r.g.); la eliminazione di qualunque collegamento ed integrazione tra l'esistente industriale e gli edifici di nuova esecuzione, con la conseguente rimozione di ogni ragione di esistenza del nuovo: gli uffici tecnici e i laboratori integrati nella misura del 20% del totale autorizzato e gli uffici amministrativi collegati nella misura del 30% del totale autorizzato in tanto potrebbero esistere in quanto esista nell'area di lottizzazione l'attivita' industriale cui sono integrati e collegati nelle percentuali indicate dal p.r.g. (art. 32 delle norme tecniche di attuazione); l'avvio, invece, della graduale rimozione del preesistente industriale (presentazione di progetto di demolizione di un capannone), che doveva essere mantenuto e sottoposto a lavori di manutenzione straordinaria (art. 12 convenzione di lottizzazione), provvedendo nel frattempo alla separazione dello stesso dai fabbricati di nuova realizzazione mediante apposite opere; la violazione delle disposizioni statali, regionali e comunali sulle aree a standards a livello qualitativo con la cessione delle medesime ad oltre 800 metri di distanza dal perimetro di lottizzazione, senza percio' nessuno nesso funzionale rispetto all'area di lottizzazione secondo quanto prescrivono il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, l'art. 22 della l.r. n. 51/1975 e l'art. 6.12 delle norme tecniche di attuazione del p.r.g.; e sotto il profilo quantitativo in relazione alla superficie lorda di pavimento dei nuovi fabbricati a terziario pari a circa 40.000 mq (area ceduta pari a circa 30.000 mq); la risultante inosservanza delle clausole della convenzione di lottizzazione sottoscritta con atto del 19 novembre 1984. Si sono, nella sostanza, ipotizzate la violazione sistematica delle regole della pianificazione e l'abusiva fruizione - oltre che di un'area - delle regole riservate alla realizzazione di un complesso industriale allo scopo di creare un insediamento terziario-direzionale. L'ipotesi di contestazione e' stata estesa a tutta l'area di lottizzazione poiche' in tanto si sarebbe potuto eseguire il nuovo in quanto espressione di un unico complesso industriale e, percio', integrato e strettamente connesso con l'esistente. Andando di diverso avviso, la Corte di cassazione nella seconda ordinanza concernente l'area occupata dai vecchi capannoni della Richard-Ginori ha fondato l'annullamento del sequestro pretorile riguardante tale area sulla "assoluta mancanza del benche' minimo nesso pertinenziale tra cosa sequestrata e reato": come a dire che l'area relativa ai vecchi fabbricati esistenti non sia stata considerata in forma assolutamente unitaria ed imprescindibile rispetto a quella riservata ai nuovi edifici - cosi' da costituire un "tutt'uno" - nel piano di lottizzazione di cui si discute, e ne sia invece rimasta al di fuori. Ed anzi la stessa Corte sembrerebbe aver ridotto la sostenza della questione al fatto che i nuovi fabbricati sarebbero stati offerti in locazione all'Enichem anziche' alla Richard-Ginori, preesistente in loco. Quanto, infine, alla osservazione espressa dalla Corte nella stessa seconda ordinanza, secondo la quale "la ricorrente soc. Ginori si limito' unicamente a cedere al comune un'area di mq 560 destinata all'allargamento di via Corelli, senza svolgere la benche' minima attivita' edificatoria od urbanistica sul terreno o sui preesistenti fabbricati di sua proprieta'", alla luce di quanto si e' detto non appaiono necessari ulteriori commenti, visto che proprio la separazione dell'esistente dal nuovo e l'avvio della rimozione del vecchio (su progetto di demolizione presentato proprio dall'imputato Brunotti Sandro) sembrerebbe prospettarsi come l'aspetto fondamentale di tutta l'operazione immobiliare di via Tucidite, 56, Milano, cosi' da farla qualificare contra legem. Sul fondamento delle esposte considerazioni questo pretore solleva la questione di legittimita' di cui trattasi, senza la cui risoluzione il presente giudizio non puo' essere definito.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 18, primo comma, prima parte, e 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e dell'art. 343- bis del c.p.p. in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma, 101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione nei sensi di cui a motivazione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina la sospensione del giudizio in corso; Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al pubblico ministero ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, addi' 7 dicembre 1988 (Seguono le firme) 89C0445