N. 213 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 1988- 13 aprile 1989
N. 213 Ordinanza emessa il 14 aprile 1988 (pervenuta alla Corte costituzionale il 13 aprile 1989) dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Soc. "Ste.Mo." e Calcagno Carlo Obbligazioni in genere - Mora del debitore - Svalutazione monetaria - Mancata previsione di automatica rivalutazione - Conseguente permanenza del rischio a carico del creditore anche durante la mora del debitore - Irragionevole discriminazione per i crediti di valuta rispetto a quelli di valore ed a quelli derivanti da illecito aquiliano o da illecito contrattuale. (Cod. civ., art. 1277). (Cost., art. 3).(GU n.18 del 3-5-1989 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 30665/1986 del r.c., promossa da: Societa' "SteMo." con sede in Roma, via del Mandrione, 105/A, in persona dell'amministratore pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, largo di Torre Argentina n. 11, presso lo studio dell'avv. Mario Colabucci che la rappresenta e difende in forza di procura a margine della citazione, contro l'arch. Carlo Calcagno domiciliato in Roma, via Spedalieri n. 7, convenuto contumace. F A T T O Con atto di citazione notificato il 10 gennaio 1986 la societa' Ste.Mo. conveniva in giudizio l'arch. Carlo Calcagno esponendo: a) che l'istante era creditrice nei confronti del convenuto della somma di L. 1.037.000, costituente l'importo di un assegno di conto corrente emesso dal Calcagno e risultato scoperto; b) che era stato elevato protesto dal notaio dott. Foglia Luigi, con un'ulteriore spesa di L. 15.780; c) che inutilmente erano state inviate al Calcagno varie diffide ad adempiere. Chiedeva pertanto la condanna del convenuto al pagamento della complessiva somma di L. 1.052.780, oltre interessi moratori ed oltre danni da svalutazione monetaria, con vittoria di spese e clausola di provvisoria esecuzione. Il convenuto, regolarmente citato, non si costituiva, onde il giudizio si svolgeva in sua contumacia. Il pretore, con sentenza in data odierna, condannava il convenuto al pagamento della somma originariamente dovuta, oltre spese di protesto ed interessi moratori, riservando al definitivo la pronunzia in ordine ai danni da svalutazione monetaria. La decisione su tale capo della domanda, infatti, dipende interamente dall'esito del giudizio di legittimita' costituzionale che viene promosso con la presente ordinanza. D I R I T T O La presente controversia ripropone in termini geometrici, ed in certo senso radicalizzati, l'annosa tematica relativa alla svalutazione monetaria nelle obbligazioni pecuniarie. Mentre infatti l'entita' della svalutazione monetaria e' di gran lunga superiore all'importo dell'originaria prestazione (che da L. 1.052.780 ascenderebbe a L. 3.705.000 qualora fosse rivalutata secondo indici Istat), la societa' istante nulla ha dedotto, e meno che mai provato, in ordine alla concreta verificazione di un danno "soggettivo" da svalutazione monetaria, il che implicherebbe il rigetto della domanda secondo gli insegnamenti formulati da Cass. sez. un. 5 aprile 1986 n. 2368 (di cui si dira' piu' oltre). Di qui la piena rilevanza, ai fini della decisione, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1277 del c.c., cui si richiama la menzionata pronunzia delle sezioni unite (sulle orme di un tradizionale orientamento interpretativo) per escludere ogni possibilita' di rivalutazione automatica, generalizzata ed eguale per tutti, delle prestazioni pecuniarie depauperate dalla svalutazione verificatasi durante la mora del debitore. Piu' specificamente, il problema di legittimita' costituzionale sollevato con la presente ordinanza riguarda i rapporti tra il principio nominalistico sancito dall'art. 1277 del c.c. ed il principio di responsabilia' di cui all'art. 1221 stesso cod. L'art. 1277 del c.c., disponendo che "i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale", pone una regola di chiaro contenuto: stabilisce cioe' che grava sul creditore il rischio inerente a fenomeni inflattivi o svalutativi che determinino una menomazione della prestazione nel senso di ridurre il potere d'acquisto della somma dovuta. Occorre peraltro chiedersi come tale regola si raccordi con il principio di "responsabilita'" dettato dall'art. 1221 del c.c., secondo cui nelle obbligazioni aventi ad oggetto cose determinate grava sul debitore moroso il rischio del perimetro totale o parziale della cosa. In particolare occorre osservare: a) nelle obbligazioni aventi ad oggetto cose determinate il rischio del perimetro, che incombe sul creditore nel periodo intercorrente tra il sorgere dell'obbligazione ed il giorno stabilito per l'adempimento (res perit creditori), si sposta sul debitore nel momento in cui ha inizio la mora (res perit debitori), secondo il principio di responsabilita' dettato dall'art. 1221 c.c. (cosiddetta perpetuatio obligationis); b) nelle obbligazioni pecuniarie, disciplinate dall'art. 1277, due soluzioni sono invece astrattamente ipotizzabili: o ritenere che anche ad esse si applichi, in via estensiva o quanto meno analogica, la disciplina dettata dall'art. 1221 (con la conseguenza che il principio di responsabilita' verrebbe ad integrare e limitare quello nominalistico, temperandone l'assolutezza); ovvero ritenere che il principio nominalistico sia illimitato, non integrabile con quello di responsabilita', ed implichi quindi irrilevanza della mora ai fini dell'incidenza del rischio. La prima soluzione e' stata accolta, spesso intuitivamente e prescindendo da articolate motivazioni, dal prevalente orientamento delle magistrature di merito (piu' vicine alla "vita" ed ai problemi di "giustizia" che essa propone), nonche' da alcune sentenze di singole Sezioni della Corte di cassazione. Il principio nominalistico, secondo queste pronunce, si integra perfettamente con quello di responsabilita'; la loro coordinazione porta ad affermare che anche nelle obbligazioni pecuniarie il rischio inerente a fenomeni svalutativi o inflattivi, gravante sul creditore nel periodo intercorrente tra il sorgere dell'obbligazione e la data fissata per il pagamento (art. 1277 del c.c.), si trasferisce sul debitore nel momento in cui ha inizio la mora, con la conseguenza che, a partire da tale data, va effettuato l'adeguamento della prestazione secondo indici Istat (adeguamento che, per sua stessa natura, e' automatico, generalizzato, ed eguale per tutti, salva sempre al creditore la possibilita' di dimostrare, a sensi dell'art. 1224, 2 comma del c.c., l'esistnza di un "ulteriore danno" derivante dal ritardo). Naturalmente le vie tecniche, seguite per giungere a tale soluzione, sono diverse e variegate: a) la sentenza 7 gennaio 1983, n. 123, della Corte di cassazione, ad esempio, giunge senza reticenze al cuore della problematica perche', assimilando l'obbligazione pecuniaria ad un debito di cose, ne desume che la svalutazione monetaria opera allo stesso modo di un parziale perimento dell'oggetto della prestazione, trasformando il debito di valuta in debito di valore e determinando, sempre ed in ogni caso, l'obbligo del debitore moroso di adeguare la prestazione agli indici di svalutazione; b) altre pronunzie sono piu' sfumate perche', pur prestando formale adesione all'indirizzo che proclama l'illimitatezza del principio nominalistico, tentano di giungere al risultato ritenuto giusto per vie indirette, facendo leva sull'art. 1224, 2 comma, del c.c. per affermare che la svalutazione monetaria verificatasi durante la mora costituisce di per se' un "danno ulteriore" da risarcire a parte, senza che il creditore assolva alcun particolare onere probatorio, salva al debitore la possibilita' di dimostrare che la svalutazione non ha prodotto alcun danno o lo ha prodotto in misura inferiore a quella costituita dal tasso di inflazione (in tal senso vedasi, ad es., la pronunzia n. 3356/1985 della Corte di cassazione). L'illimitatezza del principio nominalistico e' stata invece riaffermata dalla prevalente giurisprudenza di legittimita' e segnatamente dalle sezioni unite della Cassazione con sentenze nn. 3776/1979, 5572/1979 e 2368/1986. Gli insegnamenti formulati in tali pronunzie possono essere schematizzati nel modo seguente: 1) "Le obbligazioni nelle quali l'entita' della prestazione del debitore e' originariamente determinata con riferimento all'unita' monetaria legale di misura (cioe' le obbligazioni pecuniarie, che danno luogo al cosiddetto debito di valuta) sono soggette al principio nominalistico espresso dall'art. 1277 del c.c. e continuano ad esserlo anche dopo la scadenza; per cui le dette obbligazioni si estinguono, pur dopo che il debitore sia caduto in mora, con pagamento della quantita' di moneta cui sono comparate, anche se questa durante la mora abbia perduto parte del suo potere d'acquisto per effetto di svalutazione" (sez. un. 5 luglio 1979, n. 3776). 2) "Qualsiasi tentativo di assimilare l'obbligazione pecuniaria ad un debito di cose - per desumerne che la svalutazione opera allo stesso modo di un parziale perimento dell'oggetto della prestazione - e' destinato a sicuro insuccesso, posto che il debito pecuniario si differenzia da ogni altro proprio perche' ha ad oggetto una somma di denaro e il principio nominalistico vige per i pagamenti puntuali e per quelli tardivi, rendendo indifferente la prestazione pecuniaria alle vicende monetarie intercorrenti dalla sua genesi alla sua estinzione; cio' che direttamente risulta, del resto, dall'art. 1277 del c.c., il quale, nell'attribuire alla moneta avente corso legale efficacia liberatoria secondo il suo valore nominale, fa riferimento al tempo del pagamento, non a quello della scadenza del debito" (Cass. sez. un. 5 aprile 1986, n. 2368). 3) "Con riguardo alle obbligazioni pecuniarie il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell'ammontare del debito, ne' costituisce di per se' un danno risarcibile, ma puo' solo implicare, in applicazione dell'art. 1224, 2 comma del c.c., il risarcimento del maggior danno che sia derivato al creditore dall'impossibilita' di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l'inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro. Al fine dell'individuazione e quantificazione di tale danno, il ricorso ad elementi presuntivi ed ai fatti di comune esperienza non puo' tradursi nell'applicazione, in via generale, di parametri fissi, quali quelli evincibili dagli indici Istat o dal tasso corrente degli interessi bancari, e' puo' implicare l'esonero dal suddetto onere di allegazione e prova, ma deve ritenersi consentito soltanto in stretta correlazione con la qualita' e condizioni della categoria cui appartiene il creditore" (Cass. sez. un. 5 aprile 1986, n. 2368). Appare evidente, nei riprodotti insegnamenti delle sezioni unite, il tormentoso tentativo di evitare o temperare gli iniqui corollari cui condurrebbe, applicata con intransigente coerenza, la proclamata illimitatezza del principio nominalistico, vale a dire la totale eslcusione della svalutazione monetaria da ogni ipotesi di rivalsa. Se infatti il rischio di fenomeni inflattivi grava sempre e comunque sul creditore, anche durante la mora del debitore, diventa dialetticamente arduo (per non dire impossibile) reintrodurre per vie traverse nella materia il principio di responsabilita', sotto il profilo di un "maggior danno" subito dal creditore in conseguenza del ritardo (rt. 1224, 2 comma del c.c.), dato che tale maggior danno dovrebbe in ogni caso essere ricondotto ad un evento (inflazione) non prodotto dal debitore ne' ricompreso nel "rischio" posto dalla legge a suo carico. Anche prescindendo da tali considerazioni, peraltro, resta fermo che le conseguenze dei ricordati insegnamenti sono gravissime sia per il creditore - a cui carico viene posto un onere di difficile (o a volte impossibile) adempimento - sia per le strutture economico-sociali, dato che l'esenzione del debitore moroso dal rischio dell'inflazione si risolve ineluttabilmente in "convenienza economica dell'inadempimento". Esclusa la possibilia' di ridiscutere il problema sul terreno interpretativo - in quanto l'autorita' e reiterazione delle pronunzie, emesse dalla Corte al piu' alto livello, non consentono dubbi sulla "illimitatezza" del principio nominalistico - resta solo da porre la succedanea questione se l'art. 1277 del c.c., che sancisce quella illimitatezza, sia o meno conforme al dettato costituzionale. L'art. 1277 del c.c., disponendo che il principio nominalistico si applica sia ai pagamenti puntuali che a quelli tardivi (come ribadito dalle sezioni unite della Corte), introduce una deroga al principio generale di responsabilita'" dettato dall'art. 1221 del c.c. in riferimento alle obbligazioni aventi ad oggetto cose determinate, ma ipoteticamente applicabile in via estensiva o analogica a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni economicamente deperibili (quali, appunto, le prestazioni pecuniarie suscettibili di depauperamento per fenomeni svalutativi o inflattivi). In particolare: a) nelle obbligazioni aventi ad oggetto cose determinate il rischio del perimento totale o parziale, gravante sul creditore, si trasferisce sul debitore nel momento in cui questi diventa moroso, si' da realizzare la c.d. perpetuatio obligationis (art. 1221 del c.c.); b) viceversa nelle obbligazioni pecuniarie il rischio di depauperamento della prestazione, connesso a fenomeni svalutativi, resta sempre e comunque a carico del creditore anche durante la mora del debitore, perche' cosi' disposto dall'art. 1277 del c.c. La diversa e derogativa disciplina dettata da quest'ultima statuizione non sembra compatibile con il principio di "eguaglianza" di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto: 1) trasforma i creditori di prestazioni originariamente pecuniarie in categoria iniquamente ed immotivatamente discriminata, essendo evidente che non esistono differenti situazioni che possano giustificare l'antitetico trattamento o comunque ricondurlo nei limiti della ragionevolezza; 2) trasforma parallelamente i debitori di prestazione originariamente pecuniaria in categoria immotivatamente privilegiata, il cui inadempimento viene gratificato dall'ordinamento positivo (attraverso la possibilita' di estinguere l'obbligazione con prestazione economicamente ridotta, anche se nominalmente corrispondente a quella pattuita), anziche' essere "scoraggiato"; 3) la disparita' di trattamento appare vieppiu' irragionevole quando si estenda la comparazione agli obblighi di rimborso derivanti sia da illecito aquiliano (ad. es. spese terapeutiche sostenute dal danneggiato), sia da illecito contrattuale. Ad esempio, nel caso in esame, sarebbe rivalutabile secondo indici Istat la somma versata dall'odierna attrice per spese di protesto del titolo dedotto in giudizio (trattandosi di pregiudizio conseguente all'inadempimento), mentre non e' rivalutabile la somma per cui il titolo e' stato emesso, trattandosi di obbligazione pecuniaria di cui l'art. 1277 del c.c. esclude la rivalutabilita'. Non sembra che una siffatta normativa, che a situazioni sostanzialmente identiche riserva discipline diametralmente opposte, e che con la sua palese iniquita' alimenta da circa mezzo secolo l'enigmistica giudiziaria protesa alla ricerca di "rimedi" caso per caso (con buona pace per la certezza del diritto), possa reggere il confronto con l'art. 3 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della lege 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1277 del c.c., in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui dispone che nelle obbligazioni pecuniarie il rischio inerente a fenomeni svalutativi o inflattivi, verificatisi durante la mora del debitore, non si trasferisce su quest'ultimo in conformita' di quanto disposto dall'art. 1211 del c.c., ma continua a gravare sul creditore, il cui credito viene estinto dal tardivo pagamento della quantita' di valuta originariamente stabilita; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospenda il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che venga comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 14 aprile 1988 Il pretore: CIPPARONE 89C0446