N. 339 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 1989

                                 N. 339
 Ordinanza  emessa  il  6  aprile  1989  dal  pretore  di  Catania nel
 procedimento civile vertente tra Malfitana Antonino ed E.N.P.A.M.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Medici liberi professionisti -
 Mancata previsione di criteri e limiti per la determinazione di mezzi
 adeguati  per  l'assicurazione  contro  la  vecchiaia  Ingiustificata
 disparita' di trattamento dei medici liberi  professionisti  rispetto
 ad  altre  categorie  di liberi professionisti (avvocati, ingegneri e
 architetti,  geometri,  commercialisti)  -   Previsione   di   minimi
 pensionistici inferiori a quelli delle pensioni sociali, e, pertanto,
 in contrasto con il diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in
 caso di vecchiaia.
 (D.L.C.P.S.  13 settembre 1946, n. 233, art. 21, ratificato con legge
 17 aprile 1956, n. 561).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.29 del 19-7-1989 )
                               IL PRETORE
    Con  ricorso  del  28  dicembre  1987,  Malfitana Antonio, isritto
 all'albo   professionale   tenuto   dall'ordine    provinciale    del
 medici-chirughi   e   degli   odontoiatri  di  Catania,  come  libero
 professionista  non  dipendente  ne'  convenzionato,   conveniva   in
 giudizio   l'Ente   nazionale   di  previdenza  e  assistenza  medici
 (E.N.P.A.M.)   nella   persona   del   Presidente    pro-tempore    e
 rappresentante legale.
    Il  ricorrente,  premesso  che  la pensione ordinaria per i medici
 liberi   professionisti   con   dipendenti    al    compimento    del
 sessantacinquesimo  anno  di  eta'  ammonta  a L. 220.000 mensili, in
 forza dell'art. 21 del  d.l.  C.  p.  S.13  dicembre  1946,  n.  233,
 ratificato  con  legge  17  aprile  1956,  n.  561,  il  quale mentre
 stabiliva l'obbligo per gli iscritti agli  albi  del  versamento  dei
 contributi  all'Ente  nazionale di previdenza e assistenza, demandava
 la determinazione degli stessi a orgni  competenti  dell'ente,  nulla
 invece  statuendo  sui criteri da seguire per determinare l'ammontare
 dei contributi e, correlativamente, quello della  liquidazione  della
 pensione.
    Premesso,  inoltre,  che,  al  contrario,  la  determinazione  dei
 contributi dovuti dai dottori commercialisti era stabilita  dall'art.
 10 della legge 29 gennaio 1986, n. 21, avendo riguardo obiettivo alle
 percentuali  del  reddito  professionale  netto  prodotto   nell'anno
 precedente;  quale risulta dalla relativa dichiarazione Irpef, mentre
 l'art. 2 della stessa legge determinava i criteri  oggettivi  per  la
 liquidazione  della pensione, avuto riguardo obiettivo alla media dei
 piu'  elevati  dieci   redditi   annuali   professionali   dichiarati
 dall'iscritto ai fini Irpef negli ultimi quindici anni solari.
    Premesso  ancora  che, l'art. 10 della legge 20 settembre 1980, n.
 576, dettava dei criteri oggettivi e minuziosi per la  determinazione
 dei  contributi  dovuti degli avvocati e procuratori, mentre l'art. 2
 della  stessa  legge  determinava  criteri  altrettanto  minuziosi  e
 oggettivi per la liquidazione della pensione di vecchiaia; tutto cio'
 premesso,  chiedeva  sollevarsi  la   eccezione   di   illegittimita'
 costituzionale   dell'art.  21  sopradetto,  per  contrasto  con  gli
 articoli  3,  35  e  38  della  Costituzione;  chiedeva  inoltre   la
 liquidazione della pensione secondo i criteri dell'art. 2 della legge
 29 gennaio 1986, n. 21, relativa ai dottori commercialisti.
    L'Enpam,  costituitosi,  chiedeva  il  rigetto  nel  merito  delle
 domande   attrici,   e    di    disattendere    la    eccezione    di
 incostituzionalita'.
    Osserva   il   decidente   che   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale  proposta  dal  ricorrente  appare  rilevante  e   non
 manifestamente infondata.
    Appare rilevante perche' dalla eventuale cassazione e integrazione
 normativa dell'art. 21 del d.l. C. p. S.  13 dicembre 1946,  n.  233,
 per  contrasto  con  una qualche norma costituzionale, deriverebbe il
 diritto per il ricorrente a vedersi liquidare altrimenti la pensione,
 secondo criteri da ricavare aliunde.
    Appare  inoltre non manifestamente infondata in quanto il disposto
 dell'art. 21 sopradetto  fa  si'  carico  a  non  meglio  specificati
 competenti organi dell'Enpam di determinare i contributi dovuti dagli
 iscritti all'albo, ma nulla stabilisce in ordine alla  determinazione
 di  criteri  sufficientemente  oggettivi  oltre che per commisurare i
 contributi, anche per la correlativa liquidazione della  pensione  di
 vecchiaia,  a  proposito  della  quale nessun'altra norma della legge
 medesima dispone alcunche'.
    A  ben  vedere,  infatti, l'esigenza di rispettare il principio di
 uguaglianza stabilito dall'art. 3  della  Costituzione  si  specifica
 anche  nella  necessita'  di  sancire  per  le  diverse  categorie di
 professionisti, che senz'altro si pongono nel medesimo piano quanto a
 rilevanza  sociale  e  esplicazione  di  proprie capacita' tecniche e
 operative, uguali criteri per la determinazione sia dei contributi da
 versare  agli  enti  previdenziali,  sia  per  la  liquidazione della
 pensione di vecchiaia.
    Vero  e'  che  tali  criteri  possono anche diversificarsi, tenuto
 conto della specifica natura dell'attivita' professionale esercitata,
 senza  venir  meno  al rispetto dell'art. 3 della Costituzione; ma e'
 altresi' vero che l'uguaglianza da questa norma costituzionale voluta
 come  principio  generale  dell'ordinamento si traduce in questo caso
 nella necessita' di individuare in modo obiettivo i suddetti criteri.
    In   altri   termini,  uguaglianza  di  disciplina  non  significa
 identita' dei criteri, ma  significa  possibilita',  legislativamente
 garantita, di una loro oggettiva e' percio' univoca individuazione.
    Ora, nel caso in esame, da un lato l'art. 21 suddetto, relativo ai
 medici non dipendenti  e  non  convenzionati,  lascia  ai  competenti
 organi  dell'Enpam  la determinazione del tutto discrezionale di tali
 criteri.
    Dall'altro,  per  contro,  gli artt. 2 e 10 della legge 29 gennaio
 1986, n. 21, relativa ai dottori commercialisti, e gli artt. 2  e  10
 della  legge  20  settembre  1980,  n.  576, relativa agli avvocati e
 procuratori, stabiliscono criteri obiettivi per la determinazione sia
 dei  contributi  da  versare per gli iscritti che per la liquidazione
 della  pensione  di  vecchiaia.  Si  viene   cosi'   a   creare   una
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento fra le varie categorie di
 professionisti sotto il profilo della obiettivita' dei criteri per la
 liquidazione della pensione.
    Ne'  vale  osservare,  come ha fatto la Corte costituzionale nella
 recente decisione del 23 giugno 1988, riprendendo un  argomento  gia'
 formulato nella sentenza n. 133/1984, che il sistema previdenziale si
 ispira a superiori esigenze di solidarieta' sociale, tali da  imporre
 di   prescindere  da  elementi  precipuamente  soggettivi,  quali  la
 maggiore o minore attivita' professionale e  la  conseguente  diversa
 renumerazione  e  che  percio', in accoglimento di siffatto principio
 solidaristico,    l'art.    21    cit.     razionamente     ricollega
 l'obbligatorieta'  del  contributo  al  solo  elemento  oggettivo del
 potenziale   esercizio   dell'attivita'    professionale,    connesso
 all'iscrizione  nel  relativo  albo  e  cio'  allo scopo di garantire
 l'attuazione dell'art. 38 della  Costituzione,  assicurando  adeguati
 mezzi  di  sussistenza a quei lavoratori che si trovino in condizione
 di  non  potersi  personalmente  cautelare  contro  i  rischi   della
 vecchiaia e della invalidita'.
    Infatti,  affermare,  come  anche  in  altre decisioni ha fatto la
 Corte,  che  il  principio  previdenziale  non  e'  mutualistico   ma
 solidaristico,  non  scalfisce  in alcun modo le considerazioni sopra
 esposte in ordine alla necessita' di predisporre  criteri  oggettivi,
 nel  senso  di  determinati  o  comunque determinabili, per stabilire
 l'entita' dei contributi o l'ammontare della pensione di vecchiaia da
 liquidare.     Solidarieta'    sociale    non    significa    insomma
 discrezionalita' assoluta nella liquidazione della pensione, la quale
 se  nel  suo principio puo' ispirarsi a ragioni solidaristiche non lo
 puo' nel computo effettivo che la rende liquida se non  agganciandosi
 ad  univoci ed obiettivi criteri di calcolo, qualsivoglia essi siano.
 Ritenere  altrimenti  significherebbe  equiparare   il   dovuto   per
 solidarieta'  a  cio'  che  si  deve per ragioni di carita' e non per
 ragioni di giustizia. Laddove quella e' oltre  ogni  calcolo,  questa
 non puo' farne a meno.
    Ed  e'  proprio  il  rispetto  dell'art.  3  e  dell'art. 38 della
 Costituzione che impone di considerare a pieno titolo diritto  quello
 al  trattamento  pensionistico  di  vecchiaia;  e  in quanto diritto,
 sottratto alla mera discrezionalita' di chi, persona fisica o  organo
 collegiale, abbia il compito di determinarlo concretamente.
    Ecco  perche' l'art. 21 citato va considerato in contrasto con gli
 art. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in  cui  non  prevede  la
 determinazione   di  criteri  obiettivi  per  la  commisurazione  dei
 contributi e per la liquidazione della pensione di vecchiaia.
                                P. Q. M.
   Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituazionale 9 febbraio 1948, n. 1, e  23  della  legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale  dell'art.  21  del  d.l.  C.  p.  S.  13
 dicembre  1946,  n. 233, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561,
 in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti
 alla Corte Costituzionale;
    Ordina  che  il  provvedimento  sia,  a  cura  della  cancelleria,
 notificato alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicato  al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei
 deputati.
      Catania, addi' 6 aprile 1989
                   Il presidente: (firma illeggibile)
 89C0772