N. 341 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 1988- 23 giugno 1989

                                 N. 341
 Ordinanza   emessa   il   27   gennaio  1988  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 23 giugno 1989) dalla Corte dei conti  sul  ricorso
 proposto da Pallante Domenico
 Pensioni  -  Militari - Diritto a pensione condizionato al compimento
 di venti anni di servizio - Mancata previsione dell'acquisizione  del
 diritto  al  compimento  di  quindici  anni  di  servizio anche per i
 militari di truppa come previsto per gli ufficiali ed i sottufficiali
 -  Eccesso  di  delega  della norma impugnata in relazione all'art. 6
 della legge n. 775/1970, in quanto non era  rinvenibile  nel  diritto
 vigente  anteriore  alla  formazione  del testo unico n. 1092/1973 un
 principio generale che fissasse  per  i  militari  a  venti  anni  di
 servizio il limite per l'acquisizione del diritto a pensione.
 (D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 52, terzo comma).
 (Cost., art. 76).
(GU n.29 del 19-7-1989 )
                           LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza, sul ricorso prodotto dal
 sig.  Domenico  Pallante  nato  il  22  gennaio  1932  a  Casape   ed
 elettivamente  domiciliato in Roma (00198), via Panama, 95, presso lo
 studio dell'avvocato Giovanni Rizza, rispettivamente avverso le  note
 del  17  marzo e del 14 dicembre 1983 della prefettura di Frosinone e
 il decreto del Ministro dell'interno 28 novembre 1983, n. 2961;
    Uditi nella pubblica udienza del 21 ottobre 1987, con l'assistenza
 del segretario sig. Paolo Franchetti, il consigliere  relatore  dott.
 Silvio  Pergameno,  l'avv.  Giovanni  Rizza  procuratore speciale del
 ricorrente e il pubblico ministero in persona  del  vice  procuratore
 generale dott. Gennaro Faracca;
    Visti i ricorsi iscritti ai numeri 118382 e 121331 del registro di
 segreteria;
    Visti gli atti e i documenti tutti della causa;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  il  primo dei due ricorsi prodotti, il sig. Pallante, guardia
 di P.S. cessato dal servizio per perdita del grado in data 21 gennaio
 1980,  ha impugnato la nota con la quale la prefettura di Alessandria
 gli aveva comunicato che la prefettura di Frosinone, con  "tele"  del
 15  febbraio  1983  aveva  disposto  la  sospensione  del trattamento
 provvisorio  di  pensione  in  godimento,  non  avendo  l'interessato
 raggiunto l'anzianita' minima di servizio effettivo necessaria per il
 conseguimento del diritto a pensione, in godimento.
    Con il secondo ricorso ha impugnato i provvedimenti con i quali la
 prefettura di Frosinone e il Ministero dell'interno gli hanno  negato
 il  diritto  al trattamento vitalizio e disposto la corresponsione di
 indennita' una tantum, sulla base dei seguenti servizi:

                                                anni mesi gg.
      Esercito 4 settembre 1953-16 dicembre 1954. 1   3   13
      P.S. 19 luglio 1955-28 febbraio 1967...... 11   7   12
      P.S. 1º marzo 1967-20 gennaio 1980........  6   5   10 (sosp.)
      Aumento 1/5 (art. 3, quinto comma, della
      legge n. 284/1977.........................  1   1    7
                                                ---------------------
                                                 20   5   12

   Con  i  proposti gravami il ricorrente, ricordato di essere cessato
 dal servizio dalla data di passaggio in giudicato della  sentenza  di
 condanna  in  appello a seguito di rigetto di ricorso per Cassazione,
 ed in applicazione del disposto dell'art. 16, primo comma, lett.  g),
 della  legge  26  luglio 1961, n. 709 (Stato giuridico ed avanzamento
 dei militari di truppa di P.S.) e rilevato anche che  il  periodo  di
 sospensione  viene  valutato per meta' ai sensi dell'art. 8 del testo
 unico 29 dicembre 1973, n. 1092, fa presente quanto appresso:
      1) il decreto di cessazione dal servizio e' intervenuto solo nel
 novembre 1980 e quindi il rapporto di attivita' e' continuato fino  a
 tale  data,  o  quanto  meno  fino  al  31 luglio 1980 (fino a quando
 l'interessato ha percepito il trattamento di attivita'  in  relazione
 alla  posizione  rivestita  - cioe' quella di sospensione cautelare a
 seguito di instaurazione di procedimento penale -); pertanto, essendo
 intervenuto  provvedimento  di  cessazione  dal  servizio con effetto
 retroattivo, il periodo successivo alla cessazione, fino all'adozione
 del relativo decreto, dev'essere valutato;
      2) nella fattispecie non trova applicazione l'art. 8 del t.u. n.
 1092/1973, che stabilisce che il periodo di sospensione si valuta per
 meta',  in  quanto  tale  disposizione  si riferisce alla sospensione
 adottata con provvedimento definitivo ed irrevocabile e non a  quella
 cautelare, misura provvisoria destinata a cadere con il provvedimento
 di cessazione dal servizio (l'interessato  subirebbe  altrimenti  una
 duplice sanzione); al riguardo si fa riferimento alla decisione 44863
 del 6 marzo 1980 della Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale
 ordinaria, pensioni civili;
      3)  l'art.  52  del  t.u.  n.  1092/1973, che stabilisce in anni
 diciannove,  mesi  sei  e  giorni   uno   di   servizio   il   minimo
 indispensabile  per  il militare destituito per poter avere diritto a
 trattamento di quiescenza vitalizio, e' incostituzionale per  eccesso
 di  delega,  in  quanto  le  precedenti  disposizioni  prevedevano al
 riguardo  un  minimo  di  quindici  anni;  viene  percio'   sollevata
 questione  di  legittimita'  dell'art.  52, terzo e quarto comma, del
 t.u. n. 1092/1973 per eccesso  rispetto  alla  delega  conferita  con
 l'art.  6  della  legge  28  ottobre  1970,  n.  775,  per violazione
 dell'art. 76 della Costituzione;
      4)  occorre  valutare l'aumento di 1/5 di cui all'art. 3, quinto
 comma, della legge 27 maggio 1977, n. 284, che comporta un  ulteriore
 periodo pensionabile di anni uno, mesi uno e giorni 7;
      5)  il t.a.r. del Lazio, adito dal ricorrente, aveva disposto la
 sospensione del provvedimento con il  quale  era  stata  disposta  la
 sospensione  del  pagamento  del  trattamento  provvisorio; quindi il
 decreto di liquidazione dell'indennita' una tantum  e'  stato  emesso
 per eludere l'ordinanza del t.a.r. e come tale e' viziato per eccesso
 di potere (tra l'altro l'indennita' una tantum viene  incamerata  per
 costituire   posizione   assicurativa   presso   l'I.N.P.S.,  al  cui
 trattamento pensionistico il ricorrente non ha  attualmente  diritto,
 in ragione dell'eta').
    Concludendo  il  ricorrente  chiede  che  gli  sia riconosciuto il
 diritto a pensione vitalizia, con le conseguenze di legge (spese, Iva
 e maggiorazione).
    Dagli atti risulta che:
       a)  con  decreto  del prefetto di Frosinone in data 25 febbraio
 1967 l'agente Pallante fu sospeso precauzionalmente dal servizio  dal
 1º  marzo  1967,  perche' sottoposto a procedimento penale; la paga e
 gli altri  assegni  fissi  e  continuativi  venivano  contestualmente
 ridotti alla meta';
       b)  con decreto 30 agosto 1980 venne disposta la cessazione dal
 servizio del medesimo dal 21 gennaio 1980 (data della sentenza con la
 quale  la  Corte  di  cassazione  ha  rigettato il ricorso avverso la
 sentenza  della  corte  di  appello  di  Torino,  confermativa  della
 condanna inflitta all'agente dal tribunale di Alessandria).
    Con atto in data 6 aprile 1987 la procura generale di questa Corte
 ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi (previa riunione), in relazione
 ai  principi  contenuti  nella  gia'  ricordata  decisione  di questa
 medesima sezione n. 44863 del 6 marzo 1980.
    In  data  21  settembre  1987  la  parte  ricorrente ha depositato
 memoria  difensiva,  insistendo  per  l'accoglimento   dei   proposti
 ricorsi,  dopo  aver  riassunto  le motivazioni innanzi gia' esposte.
 Nell'udienza di discussione della  causa  il  pubblico  ministero  ha
 ritenuto  di  dover  modificare  la richiesta di cui all'atto scritto
 della procura generale non essendo  a  suo  avviso  condivisibile  il
 principio  cui  si  e'  ispirata la decisione della sezione n. 44863,
 sopra richiamata in quanto si deve ritenere che anche il  periodo  di
 sospensione  cautelare  debba  essere  valutato  per  meta'  e che la
 sospensione cautelare diviene definitiva ove il procedimento  penale,
 come nella fattispecie, si concluda con la sentenza di condanna; ne',
 ad  avviso  al  pubblico  ministero,  puo'  profilarsi  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 52 del t.u. n. 1092/1973, nei
 sensi di cui all'ordinanza della sezione n.  59035  del  12  febbraio
 1986  (ricorso  Pappaluca). Infatti con tale ordinanza, ha proseguito
 il pubblico ministero, e' stata proposta  questione  di  legittimita'
 costituzionale di diversa disposizione di legge, e cioe' dell'art. 58
 della legge n. 709/1961, per disparita' di trattamento  degli  agenti
 di  P.S.  rispetto  agli  ufficiali  quanto  alla durata del servizio
 minimo necessario per poter conseguire pensione vitalizia in caso  di
 cessazione  per destinazione (venti anni per i primi e quindici per i
 secondi, laddove  l'art.  52  del  d.P.R.  n.  1092/1973  dispone  in
 generale  per  tutti  i  militari,  quale  che  sia  il grado, che la
 pensione normale vitalizia si consegue con  venti  anni  di  servizio
 effettivo,  ove  la  cessazione dal servizio sia avvenuta per perdita
 del grado (oltre che a domanda o per decadenza).
    La  difesa  del  ricorrente  ha  ricordato  di  avere con gli atti
 scritti sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
 52  del t.u. n. 1092/1973 "per eccesso di delega", in quanto l'art. 6
 della legge  di  delegazione  legislativa  (Legge  n.  775/1970)  non
 consentiva  modificazioni  peggiorative del sistema, fino al punto di
 privare della pensione soggetti che prima ne avrebbero avuto diritto;
 per  una  tale  estensione,  la  legge  avrebbe  dovuto fissare nuovi
 principi direttivi; ha poi richiamato gli altri motivi del ricorso ed
 ha concluso chiedendo che al ricorrente sia riconosciuto il diritto a
 pensione vitalizia.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    La  sezione, rilevata preliminarmente la connessione soggettiva ed
 oggettiva tra i due ricorsi, ne dispone la riunione.
    Osserva poi che le considerazioni del pubblico ministero in ordine
 alla valutabilita' per meta' dell'effettivia durata  del  periodo  di
 sospensione  cautelare  meritano  di  essere  condivise.  E  cio' sia
 perche' l'art. 8 del t.u. n. 1092/1973,  che  sancisce  tale  ridotta
 valutabilita',  non  distingue  tra  le  varie  forme  di sospensione
 (disciplinare,  cautelare  e  conseguente  ad  espiazione   di   pena
 detentiva)   e   perche'   del  pari  nessuna  distinzione  viene  in
 considerazione nelle analoghe disposizioni  di  stato  giuridico  dei
 corpi  militari (ivi compreso l'art. 15, ultimo comma, della legge n.
 709/1961, sullo stato giuridico dei militari di truppa  della  P.S.),
 sia  anche  perche'  le ricordate leggi di status stabiliscono i casi
 nei   quali   la    sospensione    precauzionale    viene    revocata
 (proscioglimento  in sede penale e disciplinare); in caso di condanna
 quindi,  come  esattamente  rilevato  dal  pubblico   ministero,   la
 sospensione  cautelare  diviene  definitiva. La valutazione per meta'
 del periodo di sospensione corrisponde poi a uno stato di  quiescenza
 del  rapporto,  durante  il  quale il militare viene anche pagato per
 meta' (artt. 12, 13, 14 e 15 della legge n. 709/1961).
    Il  periodo intercorrente fra la data di cessazione dal servizio e
 il 31 luglio 1980 non puo' essere valutato  ai  fini  di  quiescenza,
 nemmeno  per  meta'.  I principi stabiliti dalla Corte costituzionale
 con la sentenza 16 marzo 1971, n. 48 (ricorso  Stanco)  non  appaiono
 applicabili  nella  fattispecie,  infatti, con tale sentenza e' stata
 dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   secondo
 comma,  del  r.d. 21 novembre 1923, n. 2480, in quanto non consentiva
 la valutabilita' ai fini di pensione del servizio reso dopo  la  data
 di  cessazione  giuridica dal servizio, disposta con decreto adottato
 successivamente, e quindi con effetto retroattivo; in  tale  sede  la
 Corte  costituzionale  ha rilevato che se il rapporto di servizio non
 puo' avere termine senza un legittimo provvedimento,  finche'  questo
 non  e'  adottato esso vive e produce i suoi effetti, compreso quello
 dell'attribuzione di quella parte differita di retribuzione che e' la
 pensione.  Nella  fattispecie  oggetto  del  presente  ricorso invece
 l'interessato non ha prestato alcun servizio (in  quanto  si  trovava
 nella  posizione di sospeso) e per di piu', come e' stato riferito in
 narrativa, l'amministrazione non ha inteso riconoscergli  nemmeno  il
 diritto  al  trattamento  di  attivita'  ridotto  ad  un mezzo per il
 periodo 21 gennaio-31 luglio 1980; non  c'era  infatti  stata  alcuna
 prestazione   di   attivita'   lavorativa  (dalla  dichiarazione  del
 comandante del gruppo di P.S. di Frosinone in data 7  novembre  1980,
 n.  01746,  risulta  che  il  ricorrente  ha lasciato un debito di L.
 2.237.990 per stipendio ed altri assegni fissi percepiti per il detto
 periodo).
    Altra doglianza del ricorrente e' incentrata sull'osservazione che
 il decreto impugnato sarebbe stato  emanato  allo  scopo  di  eludere
 l'ordinanza   del   giudice   amministrativo,   di   sospensione  del
 provvedimento con il quale  era  stato  sospeso  il  pagamento  della
 pensione  provvisoria;  ma  al  riguardo va osservato che, a parte la
 circostanza che di quanto ritenuto dalla parte ricorrente non  esiste
 nemmeno  un  principio  di  prova,  la Corte dei conti e' giudice del
 rapporto e non della legittimita' dell'atto e deve  quindi  stabilire
 la sussistenza o meno del diritto rivendicato.
    In base alle considerazioni innanzi esposte non possono che essere
 disattesi i motivi di doglianza di cui ai punti 1, 3 e 4 del  ricorso
 (cosi' esposti in narrativa).
    Diversa  considerazione  e  valutazione,  ad  avviso del collegio,
 merita invece il secondo motivo di gravame, con  il  quale  e'  stata
 proposta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 52, terzo
 comma, del d.P.R. 29 dicembre  1973,  n.  1092,  con  fissa  in  anni
 diciannove,  mesi  sei e giorni uno il servizio minimo indispensabile
 affinche'  il  militare  destituito  possa  conseguire  la   pensione
 ordinaria;  la norma presenterebbe profilo di incostituzionalita', ad
 avviso della parte ricorrente, per eccesso rispetto  alla  delega  di
 cui  all'art.  6  della  legge 28 ottobre 1970, n. 775, in violazione
 quindi dell'art. 76 della Costituzione (norma  contenente  delega  al
 Governo di provvedere alla raccolta in testi unici delle disposizioni
 dei diversi  settori  dell'ordinamento,  apportando  alle  stesse  le
 modificazioni  e le integrazioni necessarie per il loro coordinamento
 ed  ammodernamento  ai  fini  di  una   migliore   accessibilita'   e
 comprensibilita' delle norme medesime).
    Ad  avviso  della  parte  ricorrente, la legislazione anteriore al
 t.u. n. 1092/1973 avrebbe riconosciuto  il  diritto  a  pensione  del
 militare  destituito  con  soli quindici anni di servizio, un diritto
 che non poteva essere poi disconosciuto in sede di  redazione  di  un
 testo  unico,  tenuto  in  particolare conto dei limiti della delega,
 come innanzi ricordati.
    Tale  impostazione  merita  innanzi  tutto una precisazione. Se si
 eccettua l'art. 12 del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626, in  base  alla
 cui  disposizione  si  riconosceva  diritto a pensione agli ufficiali
 destituiti con quindici  anni  di  servizio,  prima  dell'entrata  in
 vigore  del t.u. n. 1092/1973 non esitevano norme specifiche circa il
 diritto a pensione dei militari di truppa  e  dei  sottufficiali  che
 fossero  cessati  dal  servizio per perdita del grado; solo l'art. 58
 della legge 26 luglio 1961, n. 709 (stato giuridico dei  militari  di
 truppa  della  P.S.)  stabiliva  che  gli appartenenti al corpo delle
 guardie di P.S. che cessano dal servizio per perdita  del  grado  con
 provvedimento che non comporta la perdita del diritto a pensione. . .
 conseguono il trattamento di quiescenza  secondo  le  norme  generali
 vigenti in materia.
    Peraltro  anche  "tali  norme  generali"  risultavano di difficile
 individuazione, per la  circostanza  che  le  varie  norme  di  stato
 giuridico  del  personale  militare  non  contenevano disposizioni di
 carattere generale sul diritto a pensione, ma  stabilivano,  ai  fini
 della durata minima del servizio all'uopo necessario, limiti diversi:
 quindici anni di servizio utile di cui dodici di  servizio  effettivo
 nei  casi  di  cessazione  per eta', per infermita' non dipendente da
 causa di servizio, per  scarso  rendimento,  per  inosservanza  delle
 disposizioni sul matrimonio (oggi cadute); venti anni erano richiesti
 solo per le cessazioni a domanda.
    L'esistenza  di  un  limite  di  servizio di anni venti perche' il
 militare destituito potesse conseguire la pensione vitalizia e' stata
 peraltro  ritenuta,  anche dalla stessa Corte costituzionale, in base
 al c.d. "diritto vivente"; ma al riguardo deve essere ricordato  come
 con  numerose sentenze del supremo giudice delle leggi tale limite e'
 stato ritenuto incostituzionale nei riguardi di diverse categorie  di
 personale  militare  (di  truppa  e  sottufficiale) per disparita' di
 trattamento con il personale ufficiali (pensione con quindici anni di
 servizio,  sempre  in caso di destituzione), sempre con riferimento a
 casi di cessazione dal servizio anteriori all'entrata in  vigore  del
 t.u.  n.  1092/1973  (sentenza  22-25  ottobre 1985, n. 236; sentenza
 21-30 dicembre 1982, n. 255; sentenza  18-30  giugno  1971,  n.  144;
 sentenza 6 maggio 1987, n. 154).
    L'ultima  delle  sentenze  concerne  proprio  un  agente  di P.S.,
 cessato per perdita di grado, peraltro anteriormente  all'entrata  in
 vigore del t.u. n. 1092/1973.
    Quanto sopra esposto il collegio rileva che la disposizione di cui
 all'art. 52, terzo comma, del t.u. n. 1092/1973 ha previsto  un  solo
 limite di anni venti per il conseguimento, del diritto a pensione nei
 riguardi del personale militare e senza  distinzione  di  grado;  non
 esiste  cioe'  piu'  al riguardo alcuna disparita' di trattamento. E'
 peraltro da sottolineare diversa circostanza che  puo'  far  dubitare
 della  legittimita' costituzionale delle disposizioni contenute nella
 norma in parola,  con  riferimento  in  sostanza  all'art.  76  della
 Costituzione,  anche  se non all'esatto senso prospettato dalla parte
 ricorrente.
    Senza  entrare  nel  merito  di  un  eccesso  di  delega in cui il
 normoteta sarebbe incorso nel momento  dell'emanazione  del  t.u.  n.
 1092/1973  stante  la  circostanza  che  il  limite  di venti anni di
 servizio - di cui si discute -  e'  stato  ritenuto  esistente  anche
 prima  del detto testo unico, come si e' ricordato, come disposizione
 di carattere generale, applicabile anche nel  caso  della  cessazione
 per  perdita  del  grado, ed anche a non voler ricordare che nel 1973
 era gia' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 45,  primo  comma, del r.d. 18 giugno 1931, n. 914, con la richiamata
 sentenza costituzionale  n.  144/1971,  con  la  conseguenza  che  ai
 sottufficiali   dell'esercito  e  della  marina  veniva  riconosciuto
 diritto  a  pensione  con  quindici  anni  di  servizio  (e  con  una
 motivazione - disparita' di trattamento rispetto agli ufficiali - che
 si  prestava  con  chiarezza  ad  essere  estesa  anche  al  restante
 personale  militare  della truppa e dei sottufficiali, come poi si e'
 verificato), resta comunque il fatto che dopo le  ricordate  sentenze
 costituzionali  la  regolamentazione della soggetta materia anteriore
 al testo unico e' venuta a cadere, e i casi - non poi  tanto  rari  -
 concernenti  il  trattamento  di  quiescenza  di  personale  militare
 destituito in data anteriore al 1º giugno 1974 (data  di  entrata  in
 vigore del t.u. n. 1092/1973) debbono essere risolti tenendo presente
 un'anzianita' di servizio di anni quindici.
    Il  collegio dubita cioe' che, nella situazione che si e' venuta a
 realizzare, la disposizione di cui al terzo comma  dell'art.  52  del
 t.u.   n.   1092/1973   corrisponda   a   un   criterio  di  migliore
 accessibilita' e comprensibilita' delle disposizioni  anteriori  (non
 senza  sospettare  che  un  sia pur minor dubbio analogo potesse gia'
 sorgere anche all'atto dell'emanazione  stessa  del  testo  unico  in
 parola).
    Considerato  che  tutti  i servizi sono stati esattamente valutati
 dal Ministero dell'interno con l'impugnato decreto, che  il  servizio
 effettivo  prestato  dal  ricorrente  non raggiunge il limite di anni
 venti  e  che  pertanto  la  risoluzione  dell'espresso   dubbio   di
 costituzionalita'  appare  rilevante per la decisione della causa, il
 collegio ritiene di sottoporre alla verifica di costituzionalita'  la
 menzionata norma (art. 52, terzo comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n.
 1092).
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione, 1 della legge 9 febbraio
 1948, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ordina  che,  sospeso il giudizio in corso, gli atti siano rimessi
 alla Corte costituzionale affinche', in relazione all'art.  76  della
 Costituzione  sia risolta la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 52, terzo comma, del t.u. sul trattamento di quiescenza dei
 dipendenti  civili  e  militari  dello Stato, approvato con d.P.R. 29
 dicembre 1973, n. 1092;
    Dispone  che  la  presente ordinanza sia notificata al procuratore
 generale di questa Corte e al Presidente del Consiglio dei  Ministri,
 nonche'  comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della
 Camera dei deputati.
    Cosi'  pronunciato  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio del 27
 gennaio 1988.
                Il presidente f.f.: (firma illeggibile)
 89C0790